Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale online Paneacqua (ex Aprileonline) il 3 novembre 2010
Marchionne è un uomo esigente, pretende serietà, parole chiare e impegni precisi. E chi sgarra, chi non rispetta i patti, deve subire le sanzioni. Beninteso, questo mister Marchionne lo pretende dagli altri, dai suoi dipendenti anzitutto, perché per quanto riguarda lui, vabbè, è tutta un’altra storia.
E così, oggi pomeriggio, presso il Ministero del Lavoro, cioè in casa dell’amico Sacconi, l’amministratore delegato della Fiat ha iniziato a violare addirittura l’accordo separato su Pomigliano, scritto da lui stesso e fatto approvare solo cinque mesi fa con il famigerato referendum-ricatto. Infatti, quell’accordo diceva chiaro e tondo che l’azienda avrebbe richiesto la cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs) “per ristrutturazione per due anni dall’avvio degli investimenti”.
Invece no, tutta carta straccia, e oggi Marchionne, peraltro in assenza di ogni garanzia sugli investimenti, ha chiesto e ottenuto la cassa integrazione in deroga per otto mesi per 4.812 lavoratori degli stabilimenti di Pomigliano e Nola. Il Ministro ha dato la sua benedizione e Fim, Uilm, Fismic e Ugl hanno firmato senza battere ciglio di fronte alla cestinazione del punto 9 dell’accordo separato di Pomigliano.
Ma che bravi! Marchionne cambia le carte in tavola quando e come gli pare e tutto va benissimo, ma se ci dovesse provare un lavoratore, allora sarebbero guai. Infatti, secondo la “clausola di responsabilità”, introdotta dall’accordo separato di Pomigliano -e poi generalizzata dall’accordo separato sulle deroghe al contratto nazionale-, se un operaio non rispetta uno qualsiasi degli impegni fissati nel contratto in deroga, tipo fa lo sciopero degli straordinari, può essere punito immediatamente dall’azienda, visto che il contratto è “un insieme integrato, sicché tutte le sue clausole sono correlate e inscindibili tra di loro” (punto 14).
Comunque, non divaghiamo, perché l’odierna mossa di sostituire la Cig “straordinaria” con quella “in deroga” nasconde qualcosa di più grave. Infatti, il quadro già di per sé fumoso per il futuro dei lavoratori di Pomigliano, checché ne dicessero i numerosi cortigiani di Marchionne, è ora ancora più incerto.
In primo luogo, perché la cassa “straordinaria” in caso di ristrutturazione viene concessa fino a due anni, cioè il periodo minimo prospettato dalla Fiat per la ripresa produttiva nello stabilimento di Pomigliano, mentre quella “in deroga” concessa oggi dura soltanto otto mesi.
In secondo luogo, perché quella “straordinaria” presuppone una continuità degli assetti proprietari, mentre quella “in deroga” no.
In altre parole, gli otto mesi rappresentano semplicemente i tempi necessari per passare la proprietà della fabbrica a una newco, cioè una nuova società, la Fabbrica Italia Pomigliano, il cui amministratore delegato si chiama sempre Marchionne.
E i quasi 5mila dipendenti della Fiat di Pomigliano che vengono messi in cassa in deroga? Ebbene, questo oggi non si è detto. Anzi, è proprio l’incertezza sull’occupazione il motivo principale per cui la Fiom non ha (giustamente) firmato l’odierno accordo. Ma tecnicamente le cose stanno più o meno così: alla fine degli otto mesi ci sono soltanto due opzioni, la disoccupazione o l’assunzione da parte della nuova società, con un nuovo contratto, cioè quello di Marchionne e Bonanni.
A proposito, questi otto mesi li pagano integralmente i bilanci pubblici: il 70% lo Stato e il 30% la Regione Campania. La Fiat non ci mette nulla, nemmeno quel “contributo addizionale” che le aziende devono invece sborsare in caso di Cig “straordinaria”.
Insomma, siamo al ricatto istituzionalizzato, a spese del contribuente. O accetti le mie condizioni senza fiatare oppure ti licenzio; cioè non ti riassumo.
Comunque, quello che colpisce e disturba di più non è l’arroganza e il doppiopesismo di Marchionne, ma la facilità con cui trova complicità non soltanto nel Governo, ma anche nel mondo sindacale e in pezzi dell’opposizione.
Oggi Marchionne, Sacconi e Bonanni hanno risposto a modo loro alla grande mobilitazione del 16 ottobre scorso. Una risposta che assomiglia a una dichiarazione di guerra. Sta a noi, a quanti e quante quel giorno erano a Roma, riprendere il nostro cammino.
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