Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Vi ricordate lo sciopero generale del 12 dicembre e la notizia degli scontri tra polizia e studenti davanti al Pirellone, sede del Consiglio regionale lombardo? Probabilmente sì, perché praticamente tutti gli organi di informazione hanno sbattuto gli scontri in prima pagina o, meglio, hanno riproposto il solito cliché degli antagonisti desiderosi di scontrarsi sempre e comunque con le forze dell’ordine. E così, quasi nessuno ha saputo la cosa più importante, cioè che gli studenti vestiti da babbo natale avevano scavalcato la recinzione del Pirellone per restituire simbolicamente al Presidente Maroni il “pacco” dei tagli natalizi all’istruzione.
Già, perché ormai i tagli all’istruzione sembrano essere diventati la nuova tradizione natalizia della Lombardia a gestione leghista. Un anno fa era toccato ai contributi regionali alle famiglie della scuola pubblica, tagliati brutalmente e quasi azzerati, pur di salvaguardare il privilegio dei 30milioni di euro di denaro pubblico consegnati alle famiglie della scuola privata. Quest’anno, invece, dovrebbe toccare ai fondi regionali destinati al diritto allo studio universitario, che secondo quanto deciso nelle Commissioni che hanno discusso il bilancio regionale dovrebbero subire un taglio del 40%.
La riduzione riguarda i fondi per il funzionamento degli enti per il diritto allo studio ed è nell’ordine di 6 milioni di euro su un totale di 15. Qualora confermati dal Consiglio in sede di votazione del bilancio nella seduta del 22 e 23 dicembre prossimi, i tagli metterebbe seriamente a repentaglio non solo i servizi erogati agli studenti, come per esempio le mense o gli alloggi, ma gli stessi livelli occupazionali nei servizi gestiti dal CIDiS (Consorzio Pubblico Interuniversitario per la gestione degli interventi per il diritto allo studio universitario). Infine, è bene ricordare che nel caso del diritto allo studio piove sul bagnato, cioè che dopo anni di tagli i fondi disponibili, sia per le borse di studio che per i servizi, sono ormai ridotti all’osso.
Insomma, Maroni e la Lega sono come e peggio di Formigoni e Cl. Si salvaguardano comunque le proprie clientele politiche e gli interessi privati, mentre il taglio di fondi operati dal Governo vengono scaricati esclusivamente sulla scuola pubblica e sul diritto allo studio.
Considerata l’entità del bilancio regionale, i 6 milioni eventualmente risparmiati con i tagli al diritto allo studio sono davvero poca cosa. Considerata invece l’esiguità dei fondi per i diritto allo studio, questi 6 milioni sono tantissimi. In altre parole, questo taglio non è assolutamente sostenibile e giustificabile.
Comunque sia, poiché il silenzio e l’immobilismo non cambiano mai nulla, bene hanno fatto gli studenti a recarsi al Pirellone il 12 dicembre scorso, come peraltro avevano fatto già un anno fa, prendendosi manganellate anche allora. Male hanno invece fatto gli organi di informazione a non parlare del vero problema, cioè dei tagli al diritto allo studio da parte del governo regionale.
E benissimo fanno gli studenti a non fermarsi. È stato infatti indetto per mercoledì 17 dicembre, alle ore 17.30, un presidio davanti al Palazzo Lombardia (MM Gioia), sede dell’amministrazione regionale, per continuare a chiedere il ritiro di questi tagli.
Se potete, fateci un salto.
Luciano Muhlbauer
La Regione Lombardia privilegia la scuola privata e discrimina la scuola pubblica. Alla prima vanno ogni anno decine di milioni di euro di denaro pubblico e alla seconda soltanto le briciole, peraltro sempre più esigue. Ma questo lo sanno ormai quasi tutti, così come anche i più testardi hanno dovuto prendere atto che nulla è cambiato con il passaggio dal ciellino Formigoni al leghista Maroni.
Però, fuori dal palazzo qualcosa ha iniziato a cambiare, poiché sempre più cittadini considerano questo stato delle cose per quello che effettivamente è: uno scandalo puro e semplice. E così, ad aprile è arrivato anche il primo ricorso al Tar vinto da due genitori della scuola pubblica e, di conseguenza, a Milano è stata promossa una sorta class action, proposta e coordinata dall’Associazione NonUnoDiMeno, con il sostegno della Flc Cgil. Ne abbiamo parlato approfonditamente nel nostro articolo di inizio luglio. Rileggetelo per sapere cosa dice esattamente la sentenza e il ricorso.
Ebbene, l’invito a chiedere in massa il rimborso a Regione Lombardia è stato un indubbio successo, a riconferma che qualcosa sta cambiando. Nonostante il periodo estivo, si sono recati agli sportelli quasi 2500 genitori a Milano e un migliaio in provincia.
Ma, com’era ampiamente prevedibile, non basta firmare una richiesta a Regione Lombardia perché si ottenga un risultato. Infatti, il 15 luglio scorso, l’assessorato regionale competente, amministrato da quella Valentina Aprea che nel 2008 aveva dato il suo nome alla famosa proposta di legge che intendeva privatizzare gli istituti scolastici (e che ora la buona scuola di Renzi intende risuscitare), ha chiarito formalmente che non intende pagare nulla, poiché la sentenza del Tar vale solo per chi ha fatto e vinto il ricorso e per nessun altro (vedi comunicato originale Rimborsi dote scuola 2013/2014 a seguito sentenza TAR).
E quindi, eccoci alla fase due, cioè alla class action vera e propria. Infatti, giovedì 18 settembre riapriranno gli sportelli presso la Camera del Lavoro di Milano, ma questa volta saranno due: uno per continuare a raccogliere le richieste di rimborso alla Regione e, l’altro, per promuovere il formale ricorso al Tar a fronte del diniego della Regione di corrispondere il rimborso.
Gli sportelli funzioneranno nei seguenti orari: da lunedì e giovedì, dalle ore 16.00 alle 19.00, presso la Camera del Lavoro in Corso Porta Vittoria 43, a Milano.
Ricordate però che per poter partecipare a questa ricorso dovete essere genitori di studenti della scuola pubblica che abbiano ottenuto il contributo regionale per il “sostegno al reddito” per l'anno scolastico 2013/2014.
Informazioni, materiali e contatti potete trovarli sul sito degli organizzatori della class action: NonUnoDiMeno.
Luciano Muhlbauer
Certo, non è ancora un testo di legge, molti particolari non proprio insignificanti sono avvolti nel mistero e poi ci saranno anche due mesi di consultazione pubblica, ma il piano “la buona scuola” del governo Renzi è pur sempre un testo organico di 136 pagine, che pretende indicare le linee guida per riformare la scuola italiana. E quindi, nessuno può esimersi dall’esprimere sin da subito una valutazione, un’opinione o un giudizio, in particolare per quanto riguarda il modello di scuola pubblica che viene delineato.
Già, perché il cuore strategico della “buona scuola” non è l’aspetto che ha avuto finora più attenzione mediatica e più simpatia pubblica, compresa la nostra, cioè l’annuncio che si porrà finalmente fine all’odiosa piaga del precariato nella scuola, assumendo nel settembre dell’anno prossimo 150mila insegnanti precari e svuotando così le graduatorie ad esaurimento e quella del 2012. Sempre che si trovino i 4 miliardi necessari per finanziare l’operazione, ovviamente, e che il tutto non finisca come la vicenda degli stipendi dei dipendenti pubblici, il cui blocco è stato ancora una volta reiterato, nonostante le tante chiacchiere estive del governo.
No, il cuore è il futuro modello di scuola ed è qui che bisogna iniziare a preoccuparsi o perlomeno a porsi seriamente qualche domanda, visto che il progetto, per nulla originale, si pone in piena continuità con quanto fatto o tentato dai precedenti governi e, persino, con i capisaldi della proposta di legge Aprea del 2008.
Esagero? Non credo e comunque vi invito a investire un po’ del vostro tempo e leggere con attenzione il piano “la buona scuola”. Non fatevi incantare dalle belle parole e dalla grafica accattivante e mettete per un attimo da parte le cose buone che pure ci sono, come il wi-fi e la banda larga o l’insegnamento della musica e della storia dell’arte, e concentratevi sull’essenziale. E così scoprirete concetti e proposte contro i quali siete probabilmente scesi ripetutamente in piazza negli ultimi anni.
Le parole d’ordine sono differenziazione e premialità e questo vale sia per il personale della scuola (docenti, amministrativi, dirigenti), che per gli istituti scolastici. Lo stipendio degli insegnanti, tra i più bassi d’Europa, verrà ristrutturato e reso meno certo nel suo valore. In altre parole, non crescerà più nel tempo in base all’anzianità di servizio, ma sarà sempre più condizionato dalle sue nuove parti variabili e differenziate, in base ai meriti e ai crediti. Anche gli istituti scolastici saranno sottoposti a valutazione e quest’ultima influirà non poco sulla quantità di risorse pubbliche che la singola scuola potrà ottenere.
Ma le scuole non dovranno competere solo per le risorse pubbliche, ma soprattutto cercarsi collaborazioni e finanziamenti sul mercato, cioè tra i privati. E per poter fare questo “la buona scuola” prevede una serie di nuove agevolazioni per i privati, tutte dalla denominazione rigorosamente in english (school bonus, school guarantee, crowdfunding), e soprattutto una modifica sostanziale del modo di essere del singolo istituto scolastico, che dovrà diventare una scuola-azienda, diretta da un preside-manager.
Il passaggio più rilevante a questo riguardo di “la buona scuola” è significativamente anche tra i più scarni dell’intero testo: “Anzitutto per le scuole deve essere facile, facilissimo ricevere risorse. La costituzione in una Fondazione, o in un ente con autonomia patrimoniale, per la gestione di risorse provenienti dall’esterno, deve essere priva di appesantimenti burocratici.” (pag. 124). Ebbene, ora leggetevi anche l’articolo 2 della proposta di legge Aprea e scoprirete un'assonanza davvero impressionante.
Insomma, il modello immaginato da Renzi prevede un sistema scolastico basato sulla differenziazione e sulla competizione. Tutto va conquistato, dal valore dello stipendio alle risorse economiche per l’istituto, passando per lo stesso posto di lavoro. Già, perché sarà la singola scuola, nella sua autonomia, a decidere le assunzioni, attingendo a un apposito registro nazionale docenti, contenente il “portfolio ragionato” di ogni singolo insegnante e amministrativo.
E tutto questo, come ci insegna l’esperienza dei sistemi scolastici che in giro per il mondo hanno spinto questi concetti alle estreme conseguenze, non può che produrre l’accentuazione e la cronicizzazione delle disuguaglianze e delle differenziazioni già esistenti tra i ceti sociali e i territori. Insomma, l’esatto contrario dei principi che avevano ispirato la riforma dell’istruzione pubblica a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, il cui obiettivo era tra l’altro garantire l’accesso alla scuola pubblica e all’università a tutti e tutte, a prescindere dalla provenienza sociale o territoriale. Ora la scuola proposta da Renzi, e praticamente identica a quella già immaginata da Berlusconi, Monti e Letta e dalle stesse puntuali letterine europee, ci dice che l’uguaglianza, persino quella delle opportunità, è roba del passato e che nel futuro ci sarà spazio soltanto per una parte e non per tutti e tutte. E pazienza se la lotteria della vita ha deciso di farti nascere in una famiglia con pochi mezzi economici e in un quartiere sfigato.
Infine, vi chiederete cosa dica questo testo sulla scuola privata, cioè quella che ormai si chiama pudicamente “paritaria”. Ebbene, praticamente non ne parla e c’è giusto qualche accenno di qua e di là, come nel caso del sistema nazionale di valutazione, che dovrà valutare tutti gli istituti, sia pubblici che “paritari”. Poca roba, insomma, ma che fa capire che questo governo, in continuità con quelli precedenti, considera la scuola pubblica e quella privata facente parte dello stesso sistema, della stessa offerta formativa. Per il resto, un premier molto attento alla comunicazione, avrà valutato che forse non era il caso di insistere troppo su un tema non molto popolare di questi tempi, come il finanziamento pubblico alla scuola privata. D’altronde dei soldi da dare alle private si parlerà altrove, non certo in un testo destinato al dibattito pubblico.
Luciano Muhlbauer
È partita la prima class action contro il discriminatorio sistema di finanziamento pubblico della scuola privata che vige in Lombardia. Concretamente possono parteciparvi tutti i genitori di studenti delle scuole pubbliche che nell’anno scolastico 2013/2014 siano stati beneficiari della “dote scuola” denominata “sostegno al reddito”. Infatti, secondo la recente sentenza del Tar della Lombardia, questi genitori sono stati discriminati e hanno ricevuto un contributo economico troppo basso.
Ma andiamo con ordine. Il 2 aprile scorso la terza sezione del Tar della Lombardia ha emesso la sentenza in merito a un ricorso di due genitori di studenti della scuola pubblica. Come avevamo commentato a suo tempo, la sentenza non mette in discussione il finanziamento pubblico della scuola privata in sé, ma punta l’indice contro quella che è la vera cifra del “buono scuola” lombardo, cioè la discriminazione degli studenti della scuola pubblica. In questo senso, pur non essendo rivoluzionaria, questa sentenza si configura però come una prima crepa nel sistema voluto da Formigoni e ora proseguito da Maroni.
In particolare, il Tar interviene su un istituto accessorio del buono scuola in senso stretto, cioè sull’”integrazione al reddito”, che prevede un sostengo economico supplementare per le famiglie meno abbienti delle private (la maggioranza dei beneficiari del buono per le private comunque non ne ha affatto bisogno). Infatti, la logica discriminatoria del buono scuola è talmente pervasiva e arrogante da spingersi fino a stabilire che, a parità di fascia ISEE (il riccometro utilizzato normalmente dalle pubbliche amministrazioni), il sostegno economico alle famiglie meno abbienti sia differenziato in base alla tipologia di scuola: una “integrazione al reddito” tra 400 e 950 euro, nel caso della scuola privata, e un “sostegno al reddito” tra 60 e 290 euro, nel caso della scuola pubblica.
Una discriminazione talmente macroscopica che persino una sentenza altrimenti piuttosto conservatrice si esprime al riguardo nei seguenti termini: “l’amministrazione ha previsto, senza alcuna giustificazione ragionevole e con palese disparità di trattamento, delle erogazioni economiche quantitativamente diverse, più favorevoli per coloro che frequentano una scuola paritaria … a fronte della medesima necessità … e a fronte della medesima situazione di bisogno economico”.
Di conseguenza, il Tar “annulla gli atti impugnati … nella parte in cui prevedono, a parità di fascia ISEE di appartenenza, l’erogazione a titolo di “sostegno al reddito” di buoni di valore inferiore a quelli erogabili a titolo di “integrazione al reddito”.
(Per leggere la versione integrale della sentenza clicca qui; per un commento giuridico alla sentenza qui).
Ebbene, poiché il Tar “ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa”, la class action, promossa dall’Associazione NonUnoDiMeno, con il sostegno della Flc-Cgil, consiste proprio nel richiedere a Regione Lombardia il pagamento della differenza dovuta.
Se quindi siete genitori con figli iscritti alla scuola primaria o secondaria statale che abbiano ottenuto il contributo per il “sostegno al reddito” per l'anno scolastico 2013/2014, allora potete fare richiesta alla Regione, avvalendovi degli appositi sportelli messi a disposizione dai promotori della class action.
In particolare, vi segnalo quello presso la Camera del Lavoro di Milano, in via Corso di Porta Vittoria 43, operativo fino alla fine di luglio nei seguenti orari: lunedì ore 15.00-17.30, martedì ore 10.00-12.30, giovedì ore 15.00-17.30. Per conoscere gli sportelli attivati in altri Comuni lombardi, chiedete informazioni mandando una mail a info@nonunodimeno.net.
In ogni caso, prima di recarvi allo sportello, leggete con attenzione tutte le istruzioni disponibili sul sito dell’Associazione NonUnoDiMeno!
Luciano Muhlbauer
C’è una sentenza del Tar che dice che Regione Lombardia discrimina gli studenti della scuola pubblica e c’è una dichiarazione dell’assessore regionale che afferma che nulla cambia, poiché la sentenza “non ha alcun effetto sul buono scuola”. E così, l’ultima puntata dell’annosa e scandalosa storia del finanziamento pubblico alla scuola privata in Lombardia sembra tingersi di giallo.
Ma il giallo non c’è, perché in realtà è soltanto una questione di punti di vista. Tecnicamente ha senz’altro ragione l’assessore Aprea (vedi suo comunicato del 5 aprile), perché la sentenza del Tar, depositata il 2 aprile scorso, accoglie soltanto in parte il ricorso dei genitori di due ragazze della scuola pubblica e, soprattutto, riguarda la delibera regionale precedente, in vigore fino all’anno scorso e sostituita all’inizio del 2014 da una nuova deliberazione.
Politicamente, invece, l’assessore ha torto marcio, perché si tratta della prima volta che un organo della magistratura riconosce quanto denunciamo da anni, cioè che il sistema del buono scuola è discriminatorio. O per dirla con le parole del Tar: “L’amministrazione ha previsto, senza alcuna giustificazione ragionevole e con palese disparità di trattamento, delle erogazioni economiche diverse e più favorevoli per coloro che frequentano una scuola paritaria... pur a fronte della medesima necessità e della medesima situazione di bisogno economico”.
Detto questo, ovviamente, rimane il fatto che quella sentenza non incide direttamente sul presente e che il Tar non ha sollevato la questione dell’incostituzionalità del buono scuola, limitandosi a considerare illegittima la parte riguardante i contributi per l’acquisto di libri di testo. Inoltre, si tratta soltanto della sentenza di primo grado e quindi non c’è nulla di definitivo.
In altre parole, la sentenza del Tar non è una rivoluzione e nemmeno una riforma. Ma è sicuramente un altro tabù che cade, una nuova crepa nel sistema escogitato nel 2000 da Formigoni e oggi fatto proprio anche da Maroni, poiché la discriminazione e la disparità di trattamento sono in ultima analisi le fondamenta sulle quali poggia tutta il meccanismo.
Oggi l’opposizione istituzionale allo scandaloso meccanismo del finanziamento pubblico alla scuola privata in Lombardia può sembrare più flebile rispetto agli anni passati, ma in cambio è cresciuta in maniera sensisbile la consapevolezza nella società. Certo, non ancora in tutta la regione, ma sicuramente a Milano, come ha dimostrato la reazione di insegnati, genitori e studenti al brutale taglio dei contributi regionali per la sola scuola pubblica, operata da Maroni nel dicembre scorso.
La strada da percorrere è dunque ancora lunga, ma la sentenza del Tar e la nuova sensibilità sociale ci confermano che è quella giusta. Quindi, non ci resta che percorrerla con ancora più determinazione.
Luciano Muhlbauer
Prima le notizie di scontri nella giunta regionale tra l’assessore all’istruzione e la componente ciellina e poi l’annuncio che in tema di “buono scuola”, cioè di finanziamento pubblico alla scuola privata, si cambia registro. “Stop ai contributi a pioggia”, titola oggi il Corsera di Milano, e la Regione fa sapere che d’ora in poi per avere il buono scuola bisognerà presentare l’indicatore Isee.
Detto così suona quasi come una piccola rivoluzione. Da non crederci, insomma. E infatti non credeteci troppo, perché non di rivoluzione si tratta, ma piuttosto del tentativo di salvare il più iniquo dei sussidi pubblici lombardi dalle contestazioni e dai probabili guai giudiziari o contabili.
Ma andiamo con ordine e vediamo anzitutto cosa cambia e cosa non cambia nel sistema della Dote Scuola. Anzitutto, non varia minimamente la distribuzione delle quantità economiche da erogare per il prossimo anno scolastico: 30 milioni di euro vanno al buono scuola, riservato alle famiglie degli studenti delle scuole private, e 5 milioni (che si aggiungono ai 5 milioni di fondi vincolati dello Stato) vanno a finanziare il “contributo acquisto libri di testo e dotazioni tecnologiche”, che sostituisce il precedente “sostegno reddito” e che sarà accessibile agli studenti delle statali, delle private e della formazione professionale.
A questo proposito, va ricordato che la discriminazione degli studenti delle pubbliche era stata accentuata proprio nel dicembre scorso, allorquando Maroni decise di indirizzare la quasi totalità dei tagli verso la scuola pubblica. Infatti, il buono scuola diminuì di poco, da 33 a 30 mln, mentre le voci “sostegno al reddito” e “merito” passarono rispettivamente da 23,5 a 5 mln e da 5 mln a 0 (zero).
L’unica novità sta dunque nella modalità di attribuzione del buono scuola. Già, perché fino ad oggi in Lombardia c’era uno scandalo nello scandalo, poichè mentre i comuni mortali, comprese le famiglie delle scuole pubbliche, dovevano esibire la certificazione Isee per poter accedere a un qualsiasi contributo regionale, le famiglie delle scuole private –e soltanto loro- potevano contare su un “indicatore reddituale” inventato ad hoc, che escludeva dal calcolo ogni patrimonio mobiliare e immobiliare. Fu così che per lunghi anni sussidi pubblici finivano nelle tasche di famiglie benestanti con tanto di casa di proprietà in pieno centro di Milano.
Ebbene, ora questo privilegio non c’è più e ci vorrà l’Isee. Senza esagerare, beninteso, visto che per le famiglie della scuola pubblica il limite massimo è di 15mila euro di reddito Isee, mentre per quelle delle private il limite è di 38mila, che equivale a un reddito dichiarato fino a 100mila euro. E poi, questo sistema è in vigore “in via sperimentale” e a giugno si ridiscute tutto.
Per chi, come il sottoscritto, si batte da molti anni contro l’odioso buono scuola, questa novità equivale certamente a una conferma della giustezza della battaglia fatta. Ma soprattutto significa che iniziano a fare effetto le mobilitazioni degli ultimi mesi, dai cortei studenteschi agli appelli e alla petizione sottoscritta da oltre 10mila cittadini, e le cause promosse da alcuni genitori della scuola pubblica.
E così, visti anche i tempi che corrono, era meglio mettere le mani avanti, almeno sugli aspetti più ripugnanti e indifendibili. Appunto, non per eliminare il privilegio e la discriminazione, bensì perché tutto rimanga come prima. Una ragione in più per non abbassare la guardia e, anzi, rilanciare la mobilitazione per la scuola pubblica e per l’abrogazione del buono scuola.
Luciano Muhlbauer
Come saprete, sin dall’anno scolastico 2001/2002 è in vigore in Lombardia il cosiddetto “buono scuola”, cioè un finanziamento pubblico esclusivo a favore di quanti frequentano istituti scolastici privati nella nostra regione. Negli anni la normativa regionale in materia è cambiata più volte, in particolare con l’introduzione del sistema della Dote Scuola a partire dall’anno scolastico 2008/2009, ma la sostanza è rimasta sempre invariata e nulla è cambiato neanche con la presidenza Maroni, anzi.
Qui, invece, voglio portare a vostra conoscenza un appello, che condivido e che quindi ho firmato, che intende proseguire e rafforzare la campagna per l’abrogazione del buono scuola.
Vi propongo, se lo condividete, di farlo circolare e di inviare la vostra adesione a info@nonunodimeno.net.
Luciano Muhlbauer
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APPELLO: I BUONI SCUOLA DELLA LOMBARDIA SONO INCOSTITUZIONALI, ABROGHIAMOLI!
La Giunta regionale della Lombardia nel dare attuazione all’Art.8 della Legge Regionale n. 19 del 2007 ha instaurato una palese ed ingiustificata disparità di trattamento tra gli studenti delle scuole statali e quelli delle scuole paritarie private, riservando solo a questi ultimi l’accessibilità ai Buoni Scuola (rinominati "Dote per la libertà di scelta").
Le successive delibere delle Giunte regionali lombarde hanno dato effetto a tale inaccettabile, grave ed ingiustificata discriminazione a danno di tutte le famiglie che hanno iscritto o iscrivono i propri figli alla scuola statale, cioè della larghissima maggioranza degli studenti della Lombardia.
I principi fondamentali della materia dettati dalla Legge n.62/2000 e dagli Artt. 33 e 34 della Costituzione, nonché dal principio di uguaglianza sancito dall’Art. 3 della Costituzione, inducono a ritenere che è vietato ad ogni Amministrazione di attribuire "Buoni e contributi" in maniera discriminatoria, violando l’uguaglianza di trattamento tra studenti delle scuole statali e studenti delle scuole paritarie private.
Tale disparità di trattamento risulta ancora più palese se si confronta l’entità del Buono Scuola - da 450 a 900 euro - e l’entità del sostegno al reddito - questo sì aperto anche agli studenti delle scuole statali - che va da un minino di 60 ad un massimo di 290.
La discriminazione è poi ulteriormente aggravata dalla disparità tra il sistema con cui si calcola il diritto al sostegno al reddito, cioè l’indicatore ISEE - comprensivo delle proprietà mobiliari ed immobiliari - e l’indicatore reddituale previsto invece per il Buono Scuola che non è comprensivo di tal proprietà mobiliari ed immobiliari, come stabilito dalla Giunta Regionale n. IX/2980 dell’8 febbraio 2012 che si fonda su "parametri di calcolo migliorativi" rispetto a quelli previsti dall’ISEE nazionale.
Per tutte queste ragioni i sottoscritti firmatari del presente APPELLO ritengono che questa illegittima discriminazione nei confronti del 90% degli studenti che frequentano le scuole statali lombarde debba cessare al più presto e chiedono quindi l’abrogazione della "Dote per la libertà di scelta".
Nello stesso spirito essi non solo condividono ma sostengono pienamente le ragioni di chi ha sollevato la questione di INCOSTITUZIONALITÀ dei Buoni Scuola, a partire dalle due Delibere della Giunta Regionale del gennaio del 2013.
Primi firmatari:
Luigi Ferrajoli – insigne costituzionalista
Giovanni Ferrara - Docente Emerito di Diritto Costituzionale - Università "La Sapienza" di Roma
Gaetano Azzariti - Docente ordinario di Diritto Costituzionale - Università "La Sapienza" di Roma
Domenico Gallo - magistrato
Domenico Pantaleo – Segretario Generale FLC/CGIL
Associazione NonUnodiMeno
Coordinamento Nazionale Scuola e Costituzione
Associazione Nazionale “Per la Scuola della Repubblica”
Flc/Cgil Milano
Fiom Milano
Usb Lombardia
Unione degli Studenti Milano
Unione degli Studenti Regione Lombardia
Studenti In Movimento (Rete Studenti e Casc Lambrate)
Collettivo Giovani Comunisti Milano
Costituzione Beni/Comuni
Sezione Milanese Giuristi Democratici
Docenti contro la Legge Aprea
Comitato per la Costituzione Zona 3 Milano
Comitato Milano Zona 3
Sinistreinzona2
Comitato genitori delle scuole del Trotter
Avv. Luigi Mariani
Anita Sonego – Consigliera Comunale “Sinistra per Pisapia”
Basilio Rizzo – Presidente del Consiglio Comunale di Milano
Celeste Grossi – Direttrice di Ecole
Luciano Muhlbauer – già Consigliere Regionale Rifondazione Comunista
Paola Macchi – Consigliera Regionale Movimento 5 Stelle
Silvana Carcano – Consigliera Regionale Movimento 5 Stelle
Iolanda Nanni – Consigliera Regionale Movimento 5 Stelle
Andrea Fiasconaro – Consigliere Regionale Movimento 5 Stelle
Eugenio Casalino – Consigliere Regionale Movimento 5 Stelle
Giampietro Maccabiani – Consigliere regionale Movimento 5 Stelle
GianMauro Corbetta – Consigliere Regionale Movimento 5 Stelle
Dario Violi – Consigliere Regionale Movimento 5 Stelle
Stefano Buffagni – Consigliere Regionale Movimento 5 Stelle
Massimo Gatti - Consigliere Prov. Lista un’altra Provincia Prc/Pdci Milano
Ines Patrizia Quartieri - Consigliera Comunale SEL Milano
Mirko Mazzali - Consigliere Comunale SEL Milano
Luca Gibillini - Consigliere Comunale SEL Milano
Giuseppe Angelico - Assessore Cologno Monzese
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 18 dicembre 2013
C’è una Lega delle parole e c’è una Lega dei fatti. La prima ama i comizi e si proclama forza del popolo, la seconda governa tre regioni del Nord e fa più o meno il contrario di quello che dice la prima. Storia vecchia, direte voi. Può darsi, ma qui non si tratta di discutere del passato, bensì del presente e di uno dei temi sociali e politici più rilevanti: la scuola e il diritto allo studio.
Ebbene, lunedì mattina a Milano c’è stata una protesta contro la trovata del Presidente regionale Maroni di tagliare drasticamente la spesa per la scuola pubblica e, contestualmente, di salvaguardare il consistente finanziamento pubblico alle scuole private. Insomma, come Formigoni, peggio di Formigoni.
Secondo la Lega e i suoi alleati, infatti, i fondi per il “buono scuola”, il sussidio riservato alle famiglie degli alunni delle scuole private, devono rimanere praticamente invariati rispetto all’anno precedente, passando da 33 milioni di euro a 30, mentre quelli destinati alle famiglie delle scuole pubbliche vanno fatti letteralmente a pezzi, riducendo la “dote per il sostegno al reddito” da 23,5 milioni a 5 e quella per il “merito” da 5 milioni a zero.
E i numeri non dicono nemmeno tutto, perché il sistema ideato a suo tempo da Formigoni è strutturalmente discriminatorio. Quindi, le famiglie della scuola pubblica, per poter avere un sussidio modesto, devono rispettare requisiti stringenti e presentare il certificato Isee, mentre quelle della scuola privata non solo hanno criteri molto più elastici e sussidi più generosi, ma soprattutto non devono presentare certificati. Basta, infatti, autocertificare un “indicatore reddituale”, dal quale è però esclusa ogni dichiarazione circa la situazione patrimoniale.
Contro questo scandalo, al quale oggi si aggiunge la beffa de tagli unilaterali, si sono mobilitati gli studenti, anche se solo pochi in giro per l’Italia lo sanno. Già, perché tutti i media, dai Tg nazionali alla carta stampata, hanno parlato della protesta e della sua vivacità, dell’acqua della fontana del Castello colorata di rosso, del corteo studentesco preso a manganellate davanti al Pirellone e del gruppo di studenti e insegnanti che ha interrotto i lavori Consiglio regionale. Ma, appunto, delle ragioni della protesta quasi nessuno ha parlato.
Ma il problema non è tanto il sistema informativo mainstream, quanto invece l’impressionante pochezza delle reazioni di chi, per ruolo politico o istituzionale, avrebbe invece il dovere di dire qualcosa sul merito della questione. Cioè, ognuno è libero di esternare come crede sulle forme della protesta, ma passare sotto silenzio le ragioni della mobilitazione non è ammissibile, non in questo caso.
Per non parlare, poi, dell’imbarazzante cinguettio del Ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, che commentava così la giornata: “Agli studenti di Milano: questo è il governo che ha investito sulla scuola. Basta con la violenza, protesta sì ma non violenta”. Almeno informarsi prima di parlare, no? In fondo, sarebbe istituzionalmente di interesse del Ministro dell’Istruzione sapere cosa sta facendo Regione Lombardia con il denaro pubblico in materia di istruzione.
Insomma, meno male che ci sono gli studenti, perché senza di loro avrebbe regnato il silenzio su questo ennesimo scandalo lombardo. Ma, a parte poche e lodevoli eccezioni, sono stati lasciati da soli e quindi difficilmente potevano riaprire i giochi. E così, nella giornata di ieri, il Consiglio regionale ha votato i tagli di Maroni. Colpa della Lega? Sì, certo, ma anche di chi è stato in silenzio o ha parlato d’altro.
Meno male che ci sono gli studenti, perché altrimenti ci sarebbe probabilmente solo un assordante silenzio, tanto ingiustificato quanto inopportuno, di fronte all’ennesimo scempio contro la scuola pubblica da parte del governo di Regione Lombardia.
E stavolta è pure peggio di altre volte, perché non solo viene confermato il finanziamento pubblico di 30 milioni di euro alle scuole private, ma contemporaneamente si scarica sulle spalle delle famiglie della scuola pubblica l’intero peso dei tagli di bilancio, riducendo il finanziamento della “dote per il sostegno al reddito” da 23,5 milioni a 5 mln e azzerando addirittura quella per il “merito”, che quindi passa da 5 mln a zero (per un approfondimento leggi il nostro post del 4 dicembre scorso). Questo è quanto prevede, infatti, la manovra finanziaria della Regione, che sarà discussa e votata dal Consiglio regionale, convocato in sessione di bilancio il 16 e il 17 dicembre prossimi.
Insomma, il leghista Maroni riesce ad essere persino peggio del ciellino Formigoni, eppure le reazioni sono state finora assolutamente sottotono, a livello istituzionale, politico e sociale. Gli unici che si sono mossi con decisione sono l’Associazione NonUnodiMeno, che ha raccolto 15mila firme contro lo scandalo del “buono scuola”, e gli studenti.
Il 5 dicembre scorso erano tutti a presidiare il Pirellone, in occasione dell’audizione loro concessa dalla VII Commissione consiliare. Qualche organo di stampa ne ha poi parlato (per un giorno…) e gli ottimisti speravano in qualche fatto nuovo da parte di chi governa la Lombardia. Ma non è successo nulla, neanche un timido segnale, niente.
Ed eccoci dunque al nostro meno male che ci sono gli studenti, perché dopo il 5 dicembre non sono tornati a casa, ma hanno iniziato a organizzare la mobilitazione. L’appuntamento, promosso da Rete Studenti Milano, Casc, Unione degli Studenti e altri, è per lunedì mattina alle ore 9.30, a Milano. Si parte in corteo da L.go Caroli e si va in direzione Pirellone, sede del Consiglio Regionale (eventi fb: Rete e Casc e Uds). Le richieste al Consiglio regionale sono semplici e chiare: no al finanziamento pubblico della scuola privata, sì agli investimenti per la scuola pubblica.
Se potete, lunedì fateci un salto. Altrimenti, diffondete comunque le informazioni, perché la scuola pubblica riguarda tutti e tutte e l’unica maniera per ottenere un risultato è non far passare sotto silenzio questa ennesima porcheria.
Luciano Muhlbauer
Piove sul bagnato in Lombardia, come sempre quando parliamo di finanziamento pubblico alla scuola privata. Non c’è più il ciellino Formigoni, bensì il leghista Maroni, ma per il resto tutto sembra uguale. E così, anche ora i soldi per la lobby delle scuole private ci sono in abbondanza, mentre gli studenti delle pubbliche e le loro famiglie dovranno accontentarsi delle briciole. Anzi, questa volta nemmeno più delle briciole.
Infatti, guardando i numeri della manovra finanziaria uscita dalle commissioni e consegnata alla sessione di bilancio del Consiglio regionale, c’è da fare più di un salto sulla sedia! Rispetto all’anno scorso, il finanziamento del “buono scuola”, sussidio riservato alle famiglie degli alunni delle scuole private, rimane praticamente invariato, passando da 33 milioni di euro a 30, mentre gli stanziamenti destinati alle famiglie delle scuole pubbliche vengono letteralmente massacrati: la “dote per il sostegno al reddito” passa da 23,5 milioni a 5 (cinque), mentre quella per il “merito” passa da 5 milioni a 0 (zero).
In altre parole, secondo la destra unita che governa la Lombardia, cioè l’alleanza Lega-Fi-Ncd-Fdi, cose come austerity, spending review e tagli valgono soltanto per scuola pubblica, ma non per quella privata, anche se quest'ultima viene frequentata da un’esigua minoranza. Non c’è dunque da stupirsi che le associazioni di scuole paritarie e genitori della Lombardia si siano abbandonate a un entusiastico comunicato di plauso a Maroni per la sua “scelta coraggiosa e lungimirante”.
Ma i numeri e le cifre non ci dicono tutto e, ahinoi, la situazione è anche peggio. Già, perché le scuole private vengono privilegiate non solo dal punto di vista della quantità di denaro pubblico erogato, ma anche da quello del modo in cui i contributi vengono assegnati. Infatti, per poter accedere alla “dote sostegno al reddito” o alla “dote merito”, tutto sommato di entità modeste (tra 60 e 290 euro nel caso del sostegno al reddito), la famiglia deve avere dei precisi requisiti di reddito e di patrimonio (e di valutazione dello studente nel caso del merito) e dimostrarli mediante l’esibizione della certificazione ISEE (Indicatore della situazione economica equivalente), cioè di quel riccometro di cui proprio in questi giorni si parla molto sulla stampa, preannunciando l’introduzione di parametri più stringenti.
Tutt’altra musica suona invece quando parliamo del “buono scuola”, perché le regole sopra ricordate non valgono più. Anzi, la Regione anni fa aveva addirittura inventato un sistema ad hoc per i richiedenti delle scuole private: niente certificato ISEE da esibire, ma soltanto un “indicatore reddituale” autocertificato. E c’è un bella differenza, perché non soltanto i limiti di reddito ammessi sono sensibilmente più alti, ma a differenza dell’ISEE, che si calcola tenendo presente reddito, patrimonio (immobili, conti correnti ecc.) e composizione del nucleo familiare, l’”indicatore” regionale considera soltanto il reddito e la composizione del nucleo familiare. In altre parole, se hai una casa di proprietà in San Babila a Milano, questo non ti impedisce minimamente di avere il sussidio regionale (ed è successo veramente!).
E, come se non bastasse, anche l’ammontare del contributo regionale è sensibilmente diverso. Per quanto riguarda il “sostegno al reddito” la “dote” viaggia, appunto, tra un minimo di 60 euro a un massimo di 290 euro, mentre nel caso del “buono scuola” le cifre sono rispettivamente 450 euro e 900 euro.
Insomma, se i tuoi figli vanno alla scuola pubblica e hai bisogno di un sostegno regionale, allora devi dimostrare di essere economicamente in una situazione difficile oppure tuo/a figlio/a deve essere particolarmente “capace e meritevole”. Se invece mandi i figli alla scuola privata, cioè se hai i soldi per farlo, allora non importa il profitto scolastico e nemmeno se sei benestante, perché l’unico vero requisito è, appunto, andare alla scuola privata.
Secondo chi governa Regione Lombardia, Formigoni prima, Maroni ora, tutto questo sistema va bene così. Loro dicono che lo Stato centrale si deve pagare la scuola pubblica, mentre la Regione deve finanziare la “libertà di scelta educativa delle famiglie” (vedi legge regionale n. 19/2007). E così, possiamo starne certi, giustificheranno anche la porcata del taglio della dote per le pubbliche, che è colpa dei tagli dei trasferimenti statali, e la contestuale salvaguardia del megafinanziamento alle private, che invece è merito della Regione.
A loro non passa nemmeno per l’anticamera del cervello che la Regione e il suo bilancio, finanziato dalle tasse di tutti i cittadini (cioè, quelli e quelle che pagano le tasse), non sia cosa loro, ma cosa pubblica, di tutti e tutte. A loro il divieto costituzionale di finanziare la scuola privata non interessa, se non come ostacolo da aggirare. Per loro, evidentemente, è una cosa giusta e normale tagliare i contributi alle famiglie che ne hanno necessità –e diritto-, pur di poter riconfermare un privilegio e un ingiustificato sussidio a chi non ne avrebbe nemmeno bisogno, ma che in cambio rappresenta una potente clientela politica.
Ma non tutto tace per fortuna. Giovedì 5 dicembre, a partire dalle ore 15.00, ci sarà un presidio sotto il Pirellone, in via Fabio Filzi a Milano, contro lo scippo dei fondi per le pubbliche e contro il finanziamento delle private. Ci sarà l’Associazione NonUnoDiMeno, promotrice della petizione per l’abrogazione del “buono scuola” che ha già raccolto oltre 10mila firme, e ci saranno ovviamente gli studenti ( vedi evento fb).
Un presidio non sarà sufficiente e nemmeno una raccolta firme, ovviamente, ma bisogna pur rompere il silenzio e iniziare da qualche parte. Quindi, facciamo girare le informazioni e cerchiamo di contribuire, ognuno e ognuna come può, affinché in vista della sessione di bilancio (circa metà dicembre) si produca una mobilitazione forte contro questa autentica porcata.
Luciano Muhlbauer - Articolo scritto per MilanoX
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