Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Fallimento aziendale, Compagnia delle Opere, amministrazione straordinaria, appalti che girano, Expo 2015, software antimafia disperso. Sono questi alcuni degli ingredienti che fanno di Opera 21 una vicenda poco chiara e per nulla trasparente, dove l’unica certezza, tanto per cambiare, è che oltre 250 lavoratori e lavoratrici rischiano di pagare il conto con la perdita del posto di lavoro. Per questo mercoledì mattina, 2 aprile, saranno in sciopero e manifesteranno sotto il Palazzo della Regione a Milano.
Ma facciamo un passo indietro, per cercare di capire come siamo arrivati a questo punto.  Fino al 2013 Opera 21, azienda del settore informatico, era una delle tante società del circuito Compagnia delle Opere -il braccio economico di Comunione e Liberazione-,  disponeva di tre sedi italiane (Vimodrone, Roma e Napoli) e impiegava circa 450 dipendenti, di cui oltre la metà nel milanese.
Ma nel giugno dell’anno scorso la proprietà decide di chiudere e l’azienda passa in amministrazione straordinaria. Alcuni mesi più tardi, a novembre, arriva la TopNetwork S.p.A. che prende in mano l’azienda mediante un contratto d’affitto, che prevede la salvaguardia dei livelli occupazionali. In quel momento, i dipendenti di Opera 21 erano ancora oltre 300.
Ma a questo punto arriviamo all’oggi, cioè a marzo, quando la TopNetwork invia una sua relazione (vedi allegato) a tutte le parti interessate, in cui annuncia che in assenza di elementi nuovi restituirà l’azienda al commissario straordinario. Una relazione dai toni duri, anzi, un vero e proprio atto di accusa. La TopNetwork parla di “aggressione” e sostiene di aver subito un “incontrovertibile saccheggio di clienti e di personale”. Insomma, secondo questa accusa Opera 21 sarebbe stata “depredata delle attività più remunerative”, cioè le sarebbero state portate via in modo poco corretto e in pochi mesi importanti appalti e il relativo personale specializzato.
La TopNetwork non fa molti nomi, più che altro accenna a complicità interne a Opera 21 e a “clienti disponibili all’avvicendamento, anche operanti nel settore della pubblica amministrazione”. Ma poi qualche nome lo fa: “Un esempio eclatante e ‘spudorato’ è rappresentato dalla commessa Expo 2015”. La TopNetwork non dice di che appalto si tratti, ma in cambio lo fa il Fatto Quotidiano (vedi allegato): si tratta dell’appalto per il software Sigexpo, cioè la piattaforma informatica al servizio del controllo di legalità sugli appalti Expo, annunciato con gran clamore come “sistema innovativo” nel febbraio 2012 in occasione della firma in Prefettura del Protocollo di Legalità.
Ebbene, due anni dopo, tra una cosa e l’altra, Sigexpo non esiste ancora. Opera 21, che aveva ottenuto l’appalto in epoca ciellina, non l’aveva realizzato e ora la commessa è stata soffiata da Wiit.. Ma pare che neanche loro lo realizzeranno, poichéExpo S.p.A. ha dichiarato che la Wiit c’è l’ha soltanto “temporaneamente” e che si farà una nuova procedura di gara per trovare un “nuovo appaltatore”. Chissà, forse per la fine di Expo sarà pronto…
In conclusione, non ho la più pallida idea se in questa vicenda vi siano elementi di rilevanza penale. Auspico ovviamente che la TopNetwork, considerati i toni della sua relazione, abbia presentato denuncia formale, in modo che ci possano essere gli accertamenti del caso. Anche perché altrimenti è legittimo pensare che si tenti soltanto di costruire la giustificazione per eventuali licenziamenti di massa.
E comunque sia, dal punto di vista della salvaguardia occupazionale ogni eventuale accertamento postumo di irregolarità sarebbe purtroppo irrilevante. L’hanno già dimostrato casi ben più eclatanti che abbiamo conosciuto sul nostro territorio, come l’Agile-Eutelia di Pregnana o la Lares di Paderno Dugnano, dov’era stato accertato che fossimo di fronte a autentici fatti delinquenziali da parte della proprietà, ma alla fine i lavoratori sono rimasti disoccupati lo stesso.
Per questo, a parte la necessità che si faccia celermente chiarezza e che eventuali responsabilità vadano accertate, occorre che le istituzioni, in primis Ministero e Regione Lombardia, intervengano immediatamente, cioè a partire dallo sciopero di domani, per impedire che il conto lo debbano pagare i lavoratori.
 
Luciano Muhlbauer
 
 
cliccando sull’icona sotto, puoi scaricare la relazione della TopNetwork (priva degli allegati, poiché contengono dati sensibili) e l’articolo “Expo, il software ‘antimafia’ è scomparso”, pubblicato dal Fatto Quotidiano il 29 marzo 2014.
 

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di lucmu (del 26/03/2014, in Politica, linkato 1292 volte)
L’Expo si farà, non c’è alcun dubbio. O meglio, quasi tutti faranno di tutto perché si faccia, comunque. Troppi si sono esposti, troppe risorse sono state mobilitate e troppe promesse sono state fatte nel suo nome. E quindi, non c’è scandalo attuale o futuro che tenga, indietro non si può tornare. Ma tutto il resto, cioè cosa sarà esattamente Expo e, soprattutto, cosa ci lascerà in eredità, è un problema più che mai aperto. Anzi, è il problema.
 
Ma iniziamo da quello che Expo sicuramente non sarà. Cioè, non sarà quella cosa presentata a suo tempo al Bie e ostentata da Formigoni, Moratti e Penati nella grottesca Victory Parade del 2008. Il progetto originario è stato ripetutamente tagliato, ridotto e modificato. Vi ricordate, tanto per fare degli esempi, delle vie d’acqua navigabili, della linea metropolitana M6 o dell’orto planetario? Ebbene, oggi non solo tante cose non ci sono più, ma anche molte delle opere connesse sopravvissute non saranno pronte per l’evento.
Colpa della crisi, dirà qualcuno. Certo, la crisi ha peggiorato la situazione, ma il percorso era viziato sin dall’inizio. Infatti, una cosa era il progetto presentato per farsi assegnare l’Expo, ma ben altra faccenda era la realtà fatta di prepotenti appetiti immobiliari e speculativi, di cui lo scontro istituzionale tra l’allora Sindaco di Milano, Letizia Moratti, e l’allora Presidente regionale, Roberto Formigoni, ambedue di centrodestra, era un fedele riflesso. Eravamo solo nel 2009, ma già allora un preoccupato Corriere della Sera titolava Expo, l’occasione (quasi) perduta.
 
Oggi e qui, quando manca soltanto un anno all’evento, Expo si presenta come un grande pasticcio. Un pasticcio pesantemente contaminato dal malaffare e dalle infiltrazioni malavitose. E non si tratta di quisquilie che si possano liquidare con un’alzata di spalle. Quando il Prefetto di Milano parla di 34 imprese allontanate dal 2009 ad oggi (appalti M5, Teem, Pedemontana, sito Expo) e scrive alla Commissione parlamentare antimafia che c’è “una tendenza che si sta delineando e sempre più consolidando di una penetrazione nei lavori Expo di imprese contigue, se non organiche alla criminalità organizzata”, allora la soglia di allarme è già oltrepassata.
E poi c’è l’affaire Infrastrutture Lombarde (Ilspa) e la decapitazione del suo vertice ad opera della Procura di Milano, che sta destabilizzando fortemente Expo e gettando ulteriori pesanti ombre sulla gestione dell’evento. E non potrebbe essere diversamente, considerato il ruolo della società nella gestione degli appalti e il fatto che Ilspa è controllata al 100% da Regione Lombardia. E solo un ingenuo può pensare che sia finita qui, perché l’inchiesta è destinata ad allargarsi. Tanto per fare un esempio, in un’informativa della Guarda di Finanza il comportamento del Commissario Unico di Expo, Giuseppe Sala, viene definito “né irreprensibile, né lineare”.
Ma tutto questo marciume era davvero imprevedibile e inevitabile? Certo, viviamo nel mondo in cui viviamo e nessuno ha la bacchetta magica, ma è altrettanto vero che buona parte del marcio di oggi è il frutto delle condizioni e dell’ambiente in cui il progetto Expo era nato. Oggi a Milano abbiamo per fortuna un Prefetto attento alla lotta contro le mafie, ma vi ricordate che ancora nel gennaio 2010 l’allora Prefetto -e attuale Presidente dell’Aler Milano-  Gian Valerio Lombardi dichiarò che dalle nostre parti la mafia non esisteva?
Oppure avete presente il sistema politico-affaristico formigoniano che condizionò sin dall’inizio i progetti legati a Expo e di cui Infrastrutture Lombarde e il suo management sono diretta espressione? Anzi, Ilspa è una di quelle società del cosiddetto Sistema Regionale (SiReg), collocate dalla gestione Formigoni fuori dal perimetro stretto dell’amministrazione regionale proprio per sottrarle ai meccanismi ordinari di controllo istituzionale e per metterle alle dirette ed esclusive dipendenze della Presidenza lombarda. Ebbene, Formigoni non c’è più e la magistratura sta smantellando pezzo per pezzo il sistema di potere ciellino, ma il vero problema è che l’attuale Presidente, Roberto Maroni, non ha mai rotto veramente con quel sistema e non ha mai prodotto discontinuità. E il fatto che Rognoni sia stato messo fuorigioco dalla Procura e non dal presidente leghista sta lì a ricordarcelo.
 
Nonostante tutto ciò molti milanesi e lombardi continuano a guardare con favore al mega evento, nella speranza che possa rappresentare almeno una boccata d’ossigeno economica. E come biasimarli, con i tempi che corrono. Certo, qualcosa arriverà di sicuro e comunque: un po’ di turismo, un po’ di denaro fresco e qualche posto di lavoro (precario) in più. Ma difficilmente Expo potrà essere quel volano economico universale invocato a ogni piè sospinto da Presidenti, Sindaci e Ministri, come se un grande evento potesse sostituire un progetto di sviluppo che non c’è. Anzi, la veemenza delle invocazioni è direttamente proporzionale al vuoto di visione politica e di strategie economiche.
E quindi come meravigliarsi che in tutta la vicenda Expo il tema del lavoro e del reddito sia stato ridotto a una triste rincorsa al dumping sociale. Altro che Jobs Act, qui siamo oltre e si vuole derogare persino al contratto precario “normale”. Lavoro volontario, stagista a 516 euro al mese, apprendista di Operatore di Grande Evento eccetera, sono tutte forme contrattuali inventate ad hoc da un accordo sottoscritto l’anno scorso da Expo 2015 S.p.A. e sindacati confederali milanesi.
E come se non bastasse, ora Maroni vorrebbe allargare il modello a tutta la Lombardia e a tutte le categorie, addirittura peggiorandolo ulteriormente. Ma quello che fa davvero specie in tutta questa vicenda è che anche a livello lombardo sembra esserci la piena disponibilità di Cgil, Cisl e Uil (vedi L’Expo della precarietà). Insomma, da una parte si spara a zero sui contratti precari di Renzi, ma dall’altra in Lombardia si trattano cose anche peggiori. Per intenderci, all’apprendistato in somministrazione neanche Renzi ci era ancora arrivato…
 
Infine, Expo è un’altra cosa ancora. È un campo di battaglia e la posta in gioco è la poltrona di Sindaco di Milano. Insomma, la campagna elettorale in vista delle elezioni comunali del 2016 è ufficialmente iniziata e basta guardare ai protagonisti istituzionali che si fanno sentire di più per capirlo, da Maurizio Lupi, Ministro delle Infrastrutture e ciellino, a Roberto Maroni, Presidente regionale e leghista. Le destre non hanno mai digerito di aver perso Milano e la vogliono riprendere.
E Giuliano Pisapia? Quella primavera del 2011 che pose fine a 20 anni di dominio delle destre a Milano è oggi lontanissima. Troppe aspettative non hanno trovato risposte, troppe delusioni. Non siamo ancora al terreno fertile per la rivincita delle destre, ma gli scricchiolii vanno ascoltati per tempo. E da questo punto di vista la vicenda della via d’acqua è illuminante.
L’elezione di Pisapia era espressione di una discontinuità, di una rottura netta con l’esperienza amministrativa precedente e pertanto al Sindaco non può essere attribuita alcuna responsabilità nella genesi della vicenda Expo. Eppure, l’amministrazione Pisapia aveva scelto nel 2011 di starci, di tentare di gestire un evento già disegnato e pesantemente ipotecato dai suoi vizi originari. La realtà ha dimostrato che quei vizi sono più forti di tanto ottimismo.
Oggi forse sarebbe necessario praticare nuovamente un po’ di discontinuità, per quello che è ancora possibile, ovviamente. Ma ciò che si può fare va fatto, perché sarebbe davvero curioso che alla fin della fiera uscissero vittoriosi i responsabili politici del disastro.
 
Questo è Expo oggi. Cosa sarà domani dipende da molti fattori. Dall’evoluzione delle inchieste, dalle scelte dei vari livelli istituzionali, dalla crisi e così via. Ma dipende anche da che cosa farà o non farà e da quanto riuscirà ad essere incisivo chi finora non ha avuto voce in capitolo, chi sin dall’inizio ha criticato la logica del grande evento e i suoi peccati originali, chi pensa che un grande evento non giustifichi la devastazione del suo territorio, chi ritiene che il lavoro vada rispettato e retribuito dignitosamente o chi, semplicemente, è stufo di mafie e malaffare.
 
Luciano Muhlbauer
 

Questo articolo è stato pubblicato anche sui siti MilanoX, Milano in Movimento, Nordmilanotizie e Pressenza
 
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di lucmu (del 19/03/2014, in Territorio, linkato 1138 volte)
Quando un movimento di base e di cittadini inizia a battersi contro un’opera ritenuta strategica di solito trova pochi alleati di un certo peso, ma quando poi porta a casa un risultato, allora cambia tutto e inizia il grande gioco della strumentalizzazione, da chi si precipita sul sempre affollato carro del vincitore fino a chi impugna la vicenda come un randello per abbattere l’avversario politico. È sempre stato così e non poteva essere diversamente anche nel caso della via d’acqua, con l’annesso rischio che alla fine il movimento e i cittadini si ritrovino defraudati della loro vittoria.
Ma andiamo con ordine, un po’ per rinfrescarci la memoria, un po’ per mettere ordine nella ridda di parole e dichiarazioni. Il 25 febbraio scorso i No Canal vincono una battaglia fondamentale: il Commissario Unico per Expo 2015, Giuseppe Sala, dichiara formalmente che il progetto cambia e che si ragionerà quindi su una “pura opera idraulica che non interessa i parchi della corona urbana Ovest di Milano”. Il giorno dopo tutti iniziano a saltare sul carro del vincitore e a dire che la via d’acqua era un progetto sbagliato eccetera eccetera, compreso chi fino al giorno prima diceva più o meno il contrario, come il Corriere della Sera. A rimanere con il cerino in mano era il Comune di Milano.
Ma appunto, era iniziato il grande gioco della strumentalizzazione, anche perché la vicenda rappresenta un’occasione ghiotta per troppi. Infatti, siamo di fronte a un fallimento per l’amministrazione Pisapia proprio sul terreno più delicato, cioè quello della partecipazione e del coinvolgimento diretto della cittadinanza nella costruzione delle decisioni. Anzi, in questo senso la vicenda rischia di fungere come catalizzatore di tutte le difficoltà accumulate dall’amministrazione arancione in questi tre anni di vita. E tutto questo a pochi mesi dalle elezioni europee e da quelle amministrative, che interesseranno ben 1043 comuni nella sola Lombardia, per non parlare del fatto che tra due anni si voterà anche a Milano.
Insomma, in questo contesto l’avvicinarsi del momento della verità, cioè della comunicazione della decisione definitiva e operativa sulla via d’acqua, inizialmente previsto per la fine di questa settimana (vedi comunicato del 14 marzo), ha ovviamente agitato le acque politiche. Così, sabato scorso Beppe Grillo, accompagnato dai suoi parlamentari e da un vero e proprio corteo di giornalisti, si è recato al sito di Expo, tentando en passant di autointestarsi la lotta no canal. Poi, ieri, Giuseppe Sala ha messo le mani avanti, affermando che ci sono due progetti in campo, quello originario e quello alternativo, che il tema è di “natura politica” e che, dunque, ad annunciare la decisione finale sarà una conferenza stampa alla presenza del Sindaco Pisapia e del Presidente Maroni.
Già, la Regione Lombardia, l’avevamo quasi dimenticata. Eppure, anche la Lega è in campagna elettorale, tant’è vero che nella sua versione Salvini aveva perfino strizzato l’occhio ai no canal. Ma del canale e dei parchi alla Lega non gliene frega niente e quindi ora, nella versione Maroni, dice l’esatto contrario. Secondo un virgolettato del Corriere della Sera, pubblicato oggi dall’edizione cartacea (vedi articolo Strappo anche su Expo. E Sala: c’è un caso politico), Roberto Maroni avrebbe infatti espresso il seguente concetto: “Se il Comune di Milano non è in grado di reggere la pressione di un manipolo di facinorosi, è un problema suo. Io non cedo alla violenza. Se il progetto è fattibile e buono, non vedo perché dovremmo rinunciarci.”
“Manipolo di facinorosi”? “Violenza”? Certo, un bel salto mortale della linea della Lega, ma appunto, è la campagna elettorale bellezza. E quindi rieccoci a quella grottesca tesi già introdotta a suo tempo da Sala e che non promette nulla di buono.
E ora cosa succederà? Chissà, forse l’annunciata conferenza stampa sulla via d’acqua slitterà, forse i parchi torneranno nel mirino dell’opera o forse no. Comunque sia, per ora i comitati dei cittadini stanno reggendo la pressione, come dimostra il loro comunicato unitario del 17 marzo. La lotta è impari, ovviamente, un po’ come Davide contro Golia, ma d’altronde è stato così fin dall’inizio. E ora è importante non farsi scippare la vittoria e non farsi dividere.
E il Comune e il Sindaco? Ebbene, mi pare che il gioco preveda che debba rimanere con il cerino in mano anche al secondo round. Da parte mia, mi auguro invece che questa volta prevalga la lungimiranza e che non si ripetano gli errori del recente passato. Il posto del Comune è a fianco dei suoi cittadini e, in fondo, se oggi si discute di un piano B è anche perché il Sindaco si è rifiutato di comportarsi come i suoi predecessori del Pdl e della Lega, che di fronte a ogni problema invocavano il manganello. Certo, questa diversità da sola non può bastare, non cancella i tanti errori e le troppe sottovalutazioni, ma potrebbe essere un punto da cui ripartire.
 
Luciano Muhlbauer
 
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Ci siamo, domani inizia la triste primavera nera di Milano. Non ripeto qui il ragionamento generale già fatto alcuni giorni fa (vedi A Milano arriva la primavera nera), ma piuttosto cerco di dare un contributo alla condivisione delle informazioni disponibili, a partire dagli aggiornamenti sulla presenza dei nazi di Alba Dorata a Milano, e  delle mobilitazioni da fare, comprese quelle programmate da tempo in occasione dell’anniversario dell’omicidio di Dax.
Ebbene, la prima informazione è che è stato reso pubblico il luogo dove si terrà l’iniziativa, organizzata da Casa Pound, che vedrà la presenza pubblica a Milano, per prima volta, di due esponenti del partito neonazista greco, Alba Dorata. Il luogo è l’Hotel Admiral, che si trova in via Domodossala 16, in zona Fiera. E l’iniziativa è prevista per le h. 16 di sabato 15 marzo.
Il tempo è poco, ovviamente, ma qualcosa si può e si deve fare da subito, a partire dall’invio massiccio di messaggi mail di protesta all’indirizzo info@admiralhotel.it, in cui si chiede alla direzione dell’Hotel Admiral di revocare la sala per l’evento neonazista (per chi vuole usare telefono o fax, ecco i numeri: tel. 023492151, fax 0233106660). È una cosa semplice, che chiunque può fare con il suo pc, tablet o smartphone. Ed è una cosa che può essere anche efficace, come dimostra il caso monzese, dove un’analoga campagna ha portata alla revoca della sala per Forza Nuova.
In secondo luogo, occorre chiedere alle rappresentanze istituzionali, alle forze e ai movimenti politici, alle associazioni ecc. di prendere parola contro l’eventualità che Milano venga insultata con la presenza dei neonazisti di Alba Dorata. Qualcuno sta già iniziando a muoversi in quella direzione, come la Rete antifascista milanese.
Per tutto il resto, gli aggiornamenti, eventuali altre iniziative ecc., tenete le orecchie aperte e seguite le notizie che circolano, in particolare sui social network. Oppure usate anche lo spazio commenti di questo post, per condividere informazioni.
 
Detto questo, vi ricordo comunque tutte le altre iniziative antifasciste in programma in questo fine settimana nell’area metropolitana, altrettanto importanti.
 
Sabato 15 marzo:
 
Monza, h. 15, è confermato il presidio antifascista. Forza Nuova è rimasta senza albergo, ma per il resto non si sa cosa faranno. Per informazioni e aggiornamenti, seguite il sito del Foa Boccaccio.
Novate Milanese, h. 17, in P.zza Martiri della Libertà, corteo antifascista contro l’ingresso di Casa Pound nel Consiglio comunale.
Rozzano, h. 22, via Franchi Maggi 118, concerto per Dax con Banda Bassotti, Los Fastidios, Skassapunka e Cleopatra Sound.
 
Domenica 16 marzo a Milano:
 
h. 16, Ripa dei Malfattori, Ripa di Porta Ticinese 83, incontro con i compagni del Comité pour Clement e di Pavlos, e alle h. 18 presentazione del libro “Resisto! 10 anni senza te, 10 anni con te”, curato dall’Associazione Dax 16marzo2003.
h. 21, via Brioschi, parole e musica per Dax, con interventi dalla Francia e dalla Grecia, Audio-Tributo a Dax e monologo MADAMA CIE di e con AttriceContro
h. 22:30, da via Brioschi parte il corteo per le vie del Ticinese.
Per eventuali aggiornamenti sulle iniziative per Dax, vedi l’evento fb.
 
Luciano Muhlbauer


Post Scriptum del 17 marzo:
un bilancio sintetico di quanto avvenuto in questo fine settimana, potete trovarlo nel post 16 marzo per Dax, pubblicato da Milano in Movimento.
 
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Vi ricordate dell’occupazione della Torre Galfa a Milano di due anni fa? Fu una notizia che fece il giro del mondo, poiché per prima volta era stato occupato un grattacielo, ma soprattutto coinvolse un numero impressionante di giovani e meno giovani. Gli occupanti erano anzitutto lavoratori dello spettacolo, dell’arte, della ricerca e dell’immateriale.
L’occupazione del grattacielo fu l’inizio di una storia, quella di Macao, che dal giugno del 2012 abita all’ex Macello di Viale Molise, un altro spazio lasciato in stato di abbandono e poi risistemato dal collettivo.
Alcuni hanno perso un po’ di vista le attività di Macao dopo la vicenda della Torre Galfa, perché la stampa ormai se ne occupava raramente e perché Macao è sì uno spazio sociale occupato, ma non è un centro sociale classico. È, appunto, un Nuovo Centro per le Arti, la Cultura e la Ricerca, per dirla con le parole di Macao.
Ma Macao in questo tempo ha lavorato e prodotto e ha fatto rete con altre realtà simili, come il Teatro Valle di Roma. Ora, insieme a due di queste realtà, l’Ex Asilo Filangieri di Napoli e il S.a.L.E. Docks di Venezia, ha pensato di presentare un progetto e partecipare al bando CheFare2. Se vince il loro progetto, che si chiama alla maniera di Macao, cioè #Apparecchioper aprire dal disotto, ci sono 100mila euro di premio per realizzarlo.
Insomma, penso sia sempre un’ottima cosa quando si semina cultura, autogestione e partecipazione. E Macao lo ha fatto. Quindi credo valga la pena di sostenere anche questa nuova avventura. In altre parole, per far vincere il progetto #Apparecchioper bisogna votarlo on line. Io l’ho già fatto e ora, se vi va, tocca a voi. È semplicissimo: basta andare su www.che-fare.com/progetti-approvati/apparecchio-per-aprire-dal-di-sotto e seguire le istruzioni.
Ma dovreste farlo praticamente subito, perché ormai siamo in dirittura d’arrivo. Cioè, bisogna votare entro la mattina di giovedì 13 marzo.
Per sapere in cosa consiste esattamente il progetto, vi consiglio la lettura della presentazione scritta dal collettivo Macao, che trovate qui sotto. Il linguaggio è quello di  Macao, ovviamente, ma ce la farete.
 
Luciano Muhlbauer
 
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Mancano due giorni alla chiusura del bando CheFare2, il premio di 100.000 euro per la cultura promosso dall'associazione culturale Doppiozero che anche quest'anno è riuscito a catalizzare molti progetti interessanti e di forte portata innovativa e che si basa sul voto online.
 
Ne costituisce un esempio il progetto di #Apparecchioper aprire dal disotto, presentato da Ex Asilo, Macao e Sale Docks , Ecco il link per votarlo: www.che-fare.com/progetti-approvati/apparecchio-per-aprire-dal-di-sotto
 
In questi ultimi tre anni di intensa mobilitazione di cui fanno parte in modo determinante le realtà che hanno scritto questo progetto, l’imprudenza si è fatta pratica diffusa, condivisa, relazionale: un’alleanza radicale di migliaia di corpi, di intelligenze e di desideri. La mobilitazione ha significato in primo luogo una serie di rifiuti: rifiuto delle relazioni esistenti, delle logiche dell’industria culturale, della privatizzazione (o dell’abbandono) degli spazi pubblici (e privati), della mortifera e avvilente narrazione del precariato, della speculazione edilizia che divora le città. Ma ha significato soprattutto una spinta esplosiva, costituente più che destituente, animata dalla volontà di ricreare con le proprie mani, letteralmente prima ancora che metaforicamente, un nuovo presente. I teatri chiusi, le palazzine abbandonate, gli edifici dismessi sono diventati i laboratori in cui è stato possibile tradurre il piano del conflitto e dell’immaginario in nuove forme di produzione culturale e, talvolta, di nuove istituzioni.
 
Il progetto #apparecchioper permette di leggere tre dimensioni che hanno caratterizzato questa fase dell’imprudenza: innovazionemessa in relazione e istituzionalizzazione. Ma prima di tutto, cos’è l’#apparecchioper?
 
“L’#Apparecchioper rappresenta il potenziamento delle pratiche di produzione culturale che in questi anni si sono attivate negli spazi autocostruiti del Sale, dell’Asilo e di Macao: una produzione fondata sul continuo intreccio di relazioni e di scambi di competenze. In particolare, il progetto prevede la messa a disposizione gratuita delle risorse dei tre soggetti proponenti (spazi, attrezzature, supporti tecnologici, competenze) al fine di permettere una maggiore accessibilità dei mezzi di produzione in ambito culturale. La relazione tra persone e spazi di produzione è agevolata dalla costruzione di una piattaforma online. Questa conterrà alcuni dei dispositivi fondamentali per concretare il progetto: una mappatura dei mezzi di produzione messi a disposizione dalla rete aderente, gli strumenti per renderli accessibili (calendari, mappe,…), l’area per la banca del tempo, uno spazio per il crowdfunding, la creazione di una moneta digitale comune, ambienti social di relazione, un’area per l’archivio digitale delle opere, liberamente scaricabili, con la possibilità di fare donazioni per sostenere l’autore permettendogli di proseguire il suo lavoro” (Estratti dal progetto).
La piattaforma rappresenta dunque lo strumento attraverso cui avviare, progettare e costruire una nuova produzione culturale. Il legame tra piattaforme digitali e innovazione culturale rappresenta anche il fulcro di un altro importante progetto all’interno di questo panorama: il progetto europeo Inherit, di cui Panspeech rappresenta la “piattaforma per la creazione distribuita e la condivisione di contenuti, fondata sui principi del crowdsourcing”. Inoltre, sono le pratiche accolte all’interno delle piattaforme digitali ad avere un carattere innovativo e trasformativo di per sé: basti pensare alla condivisione gratuita dei mezzi di produzione, o alla creazione di contenuti in modo condiviso basata su relazioni non gerarchiche e su monete alternative. Infine, a livello più eminentemente politico la forza trasformativa che questo tipo di sinergie offre è quello di radicare la nuova produzione culturale e materiale all’interno delle lotte sociali, sottraendosi sia alla retorica dell’impresa sociale che allo statalismo nostalgico.
 
La messa in relazione rappresenta un presupposto e un risultato delle azioni previste dal progetto. Nuove relazioni potranno essere costruite all’interno delle piattaforme digitali, ma quello che questo progetto segnala è anche una preliminare, e fondamentale, relazione tra gli spazi promotori. In questo senso, la rete dei teatri e degli spazi occupati è essa stessa prova di questa trasformazione nella misura in cui ha iniziato a fare un discorso condiviso sulle forme di produzione culturale. A fianco alla grande ricchezza di forme che i vari spazi stanno sperimentando all’interno dei loro territori si apre quindi una fase in cui mettere in comune, dapprima tra gli spazi stessi e poi aldilà di essi, le risorse di cui dispongono nel tentativo di dare corpo a una produzione culturale dal basso radicalmente condivisa.
 
Infine, una chiosa sull’istituzionalizzazione. Con questo termine non credo si debba necessariamente alludere ad una sussunzione nel regno del già detto, già fatto e della coazione a ripetere. Il “regolamento condiviso di uso civico” dall’Ex-Asilo Filangieri di Napoli, l’associazione culturale del S.a.L.e. Docks di Venezia, la Fondazione Teatro Valle Bene Comune e, ora, il comitato di scopo che Macao, Sale e Asilo hanno costituito per partecipare al bando CheFare2, rappresentano a vario titolo istituzioni che servono a garantire, tutelare e a proiettare queste esperienze all’interno di un orizzonte più vasto. Tuttavia, il campo su cui insiste questa evoluzione è innervato di tensioni politiche che muovono in direzioni diverse e, in quanto tale, estremamente scivoloso. Si procede per tentativi ed errori, in un costante avanzamento che è oggetto sia di sperimentazione pratica (ne è un esempio la Fondazione Teatro Valle Bene Comune che, pur avendo negli ultimi giorni subito una momentanea battuta d’arresto, ha tentato di scardinare dall’interno l’istituto giuridico della fondazione) che di riflessione condivisa a livello europeo (ne è un esempio il seminario che si terrà al Museo Reina Sofia di Madrid alla fine del mese in cui si discuterà della formazione di nuovi attori politici e culturali in risposta all’insufficienza della struttura istituzionale attuale).
Si tratta insomma di procedere all’identificazione – tramite prassi e teoria, tra diritto e conflitto – delle istituzioni e dei modelli economici atti a sostenere e tutelare i beni comuni. Anche su questi temi, che riteniamo più che mai urgenti all’interno del dibattito attuale, sollecitiamo gli spazi ad intervenire sulle nostre pagine.
 
 
I soggetti promotoriEx Asilo Filangieri / Macao  / S.a.L.E. Docks
 
by Macao
 
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A Milano tocca anche quest’anno la sua primavera nera. Ormai sembra diventata una triste consuetudine e così, non appena l’inverno accenna ad andarsene, i vari gruppi della galassia nazifascista, con annessi buoni uffici della destra istituzionale, fanno convergere le loro iniziative sulla territorio milanese. L’obiettivo è sempre lo stesso, cioè mettere nuove radici e rafforzarsi organizzativamente e politicamente in una metropoli che tradizionalmente non li ha mai amati.
E questa volta, visto che si avvicinano le elezioni europee, si inizia con una provocazione in grande stile: i fascisti di Casa Pound annunciano per sabato 15 marzo un’iniziativa pubblica a Milano, in luogo non ancora comunicato, con due esponenti del partito neonazista greco, Alba Dorata. In altre parole, il partito considerato un’organizzazione criminale dai magistrati ellenici e additato da mezzo mondo come un pericolo per la democrazia in Europa, dovrebbe parlare tranquillamente a Milano e per giunta il giorno prima dell’anniversario dell’omicidio fascista di Dax. Pazzesco! E c’è davvero da augurarsi che di fronte a questa eventualità non siano soltanto i soliti ad attivarsi per dire che a Milano per i nazisti non c’è proprio posto.
Ma, appunto, non stiamo parlando soltanto di una singola provocazione, ma di un insieme di iniziative e fatti. In questo senso, va anzitutto ricordato che le giornate in cui si ricorda Dax fanno gola non soltanto a casa Casa Pound, ma anche a Forza Nuova, che lo stesso 15 marzo organizza nella vicina Monza un’iniziativa pubblica con Roberto Fiore. In quel caso si conosce già il luogo, cioè l’Hotel della Regione, ed è già prevista una mobilitazione antifascista.
L’elenco potrebbe proseguire a lungo, ma ci limitiamo a ricordare altri due fatti, forse quelli più significativi. Il primo è l’apertura della nuova sede milanese di Lealtà e Azione, una sigla di copertura del movimento neonazista Hammerskin, nello stesso luogo che fu di Cuore Nero. Cioè, in via Pareto, a due passi dalla Cascina Autogestita Torchiera…
Il secondo è l’ingresso ufficiale di Casa Pound nel Consiglio comunale di Novate Milanese. La vicenda è torbida, perché nasce da una consigliera ex Pdl in conflitto con i capi locali di Forza Italia, che un bel giorno decide di costituire il gruppo di Casa Pound. Ma da cosa nasce cosa e siccome tra qualche mese ci sono le amministrative, ora i fascisti di Casa Pound non si vogliono più muovere da Novate.
Insomma, vicende diverse tra di loro, ma che convergono nel tempo e nello spazio e che nel loro insieme ci restituiscono bene il quadro di una galassia nazifascista, profondamente divisa al suo interno, ma capace di lavorare con determinazione nella medesima direzione per rafforzarsi e avanzare sul territorio. Infatti, questo è il punto e questa è la posta in gioca.
Per questo occorre reagire con fermezza e con intelligenza, senza farsi prendere dall’ansia, costruendo mobilitazione, conflitto e consenso e, soprattutto, non perdendo di vista l’obiettivo, cioè impedire che i gruppi nazifascisti avanzino anche solo di un millimetro nell’area milanese.
 
Luciano Muhlbauer
 
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L’Expo 2015 è tante cose. È cemento, business immobiliare e vetrina, ma è anche una grande promessa, soprattutto di lavoro e reddito. E indubbiamente un po’ di occupazione e denaro fresco arriverà con il grande evento e l’afflusso di visitatori e turisti, ma il punto è un’altro: di che tipo di posti di lavoro stiamo parlando?
Si tratta di un quesito decisivo, eppure se ne parla poco e male. Anzi, a livello pubblico si tende a eludere o a banalizzare il problema, come se in questi tempi di crisi sociale e di paura del futuro fosse sufficiente la promessa di un lavoro qualsiasi, a condizioni qualsiasi e con una paga qualsiasi. Invece no, non può bastare, specie se di mezzo ci sono istituzioni pubbliche e organizzazioni sindacali.
E da questo punto di vista c’è da essere preoccupati, seriamente preoccupati, perché in queste settimane, senza che se ne parli troppo in giro, tra le segreterie regionali di Cgil, Cisl e Uil e gli uomini del Presidente lombardo, Maroni, sta girando una bozza di accordo che intende estendere nel tempo, nello spazio e negli ambiti d’applicazione il cosiddetto modello Expo, cioè il protocollo firmato tra Expo 2015 Spa e sindacati confederali milanesi il 23 luglio dell’anno scorso.
La bozza c’è, anche se è praticamente impossibile recuperarne una copia. Se ne ha notizia soltanto grazie a qualche dichiarazione sparsa di Maroni e della Cisl e, soprattutto, a un articolo dell’Unità del 4 marzo, che cita parti del documento. Insomma, secondo l’Unità l’accordo si intitola “Un patto per il lavoro ed Expo in Lombardia” e prevede l’estensione del modello milanese a tutto il territorio lombardo per un periodo di due anni, cioè dal 1 luglio 2014 fino al 30 giugno 2016.
Per poter inserire nei contratti di lavoro la “causale Expo”, che motiva tecnicamente le deroghe alle norme contrattuali vigenti, sarebbe poi sufficiente che un’azienda o un ente dimostrasse un qualche legame, anche vago, con il grande evento. E per quanto riguarda i settori economici non ci sarebbero praticamente più confini: “Sito espositivo (compreso la costruzione di dei padiglioni), commercio, turismo, artigianato e settori da individuare legati ad Agenda Italia, nonché alle attività di innovazione, ricerca e sviluppo inerenti i temi dell’evento”. E ancora: “Si tratta inoltre di regolare l’allargamento a settori di servizi pubblici che dovranno essere potenziati durante l’evento (sanità pubblica e privata, trasporti, raccolta rifiuti, altri servizi pubblici di enti locali o ministeriali)”. Insomma, dappertutto.
Anche le tipologie contrattuali in deroga sono quasi senza limiti e vi troviamo tutta la fiera del precariato sottopagato esistente ed immaginabile: stage, apprendistato, formazione on the job, lavoro somministrato ecc. Immagino che nella versione regionale si vorrà rinunciare al lavoro volontario, presente invece ampiamente nel protocollo milanese, ma in cambio pare che la fantasia lombarda abbia partorito l’ideona dell’“apprendistato in somministrazione”…
Ora, il problema non è che si parli di contratti a tempo determinato, visto che stiamo parlando di un evento per definizione limitato nel tempo, bensì che si introduca in maniera spudorata una sorta di dumping sociale sullo stesso contratto precario. In altre parole, invece di stipulare con il lavoratore un normale contratto a termine, posso assumerlo come stagista a 516 euro al mese oppure come apprendista di Operatore di Grande Evento. Invece di affittare un lavoratore precario, posso affittare un apprendista lavoratore precario. E così via.
L’Expo porterà nuovo lavoro? Se la logica è questa, pare piuttosto che Expo porterà nuova precarietà sottopagata, incentivando le aziende a sostituire contratti minimamente decenti con contratti indecenti.
Il protocollo milanese dell’anno scorso era un pessimo servizio al mondo del lavoro, per quello che stabiliva e perché apriva le porte a ulteriori arretramenti sul piano dei diritti. Ora, com’era prevedibile, pare che qualcuno voglia passare da quelle porte. Siamo ancora alle bozze, non c’è ancora un documento firmato e forse è il caso che se ne parli pubblicamente ora, subito.
Insomma, davvero Regione Lombardia vuole farsi promotore di questa schifezza? E i sindacati confederali che dicono? Cgil, Cisl e Uil davvero vogliono essere complici fino a questo punto di un’Expo della precarietà?
 
Luciano Muhlbauer
 
 
post scriptum: chi cerca trova e alla fine una copia della bozza “Un patto per lavoro ed Expo in Lombardia” l’abbiamo trovata. È firmata Cgil Cisl Uil Lombardia e la data è febbraio 2014. Comunque, la trovate in allegato in versione originale, basta cliccare sull’icona qui sotto per scaricarla.
 

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Quattro anni fa la grande partecipazione allo sciopero dei migranti del primo marzo sorprese molti e molte, forse persino le quattro donne che l’avevano ideato. Centinaia di migliaia di uomini e donne, migranti e italiani vecchi e nuovi, riempirono le strade di una sessantina di città. Fu un successo, un salutare grido collettivo di ripudio del razzismo.
Ne è passata di acqua sotto i ponti da allora e nel frattempo la crisi e le politiche d’austerità hanno scavato in profondità, sconvolgendo le vite di autoctoni e migranti. Paradossalmente oggi le campane xenofobe sembrano suonare con meno vigore rispetto al 2010. Probabilmente i quotidiani proclami leghisti, postfascisti e a volte persino democratici erano diventati troppi e con l’incalzare della crisi sociale hanno finito per produrre un effetto overdose. A Milano, dove si erano inventati addirittura la vergogna del  coprifuoco in via Padova, un anno dopo il primo sciopero dei migranti gli elettori avrebbero votato in massa per voltare pagina e farla finita con la politica dell’odio.
Ma non illudiamoci troppo, perché l’acqua continua a scorrere sotti i ponti. Le pubbliche lacrime per i morti al largo di Lampedusa o per l’infamia dei centri di detenzione chiamati Cie durano il tempo che durano e non si traducono mai in fatti concreti e tangibili, mentre a destra in molti pensano che stia tornando il tempo dei vecchi amori. La Lega che governa la Lombardia annuncia nuove discriminazioni negli accessi ai servizi e Salvini in Europa stringe apertamente alleanze con i neofascisti francesi del Front National. D’altronde, in giro per l’Europa l’effetto overdose non c’è mai stato e xenofobia, razzismo ed estrema destra non hanno fatto che crescere in questi anni. E vi risparmio l’elenco che tutti conoscete.
Insomma, momenti come il primo marzo, finiti negli ultimi anni un po’ nell’ombra, diventano di nuovo importanti, molto importanti, perché sarebbe un grave errore aspettare passivamente che il peggio si materializzi. Anzi, il peggio va combattuto sul nascere, da subito. Ovunque, anche a Milano.
 
Per questo vi invito a partecipare sabato 1 marzo al corteo che partirà alle h. 14.30 da p.le Loreto (ang. v. Padova) e terminerà in Duomo.  Di seguito trovate l’appello ufficiale e qualche link.
 
Luciano Muhlbauer
 
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DIRITTI PER I/LE MIGRANTI = DIRITTI PER TUTTI E TUTTE
Manifestazione cittadina a Milano
1 marzo 2014 - ore 14.30 - Piazzale Loreto/angolo via Padova
 
Il 1 marzo è diventato uno degli appuntamenti simbolo dell’antirazzismo. Anche quest’anno vogliamo ribadire a gran voce che garantire i diritti dei e delle migranti vuol dire garantire i diritti di tutta la società.
 
Solo insieme, migranti ed autoctoni, possiamo rispondere al clima di razzismo e di paura, che alcuni esponenti di istituzioni, partiti politici o mass media vogliono affermare nel paese.
 
Solo insieme possiamo costruire una risposta alla crisi e a chi fomenta la guerra tra poveri facendo crescere la solidarietà per rendere concreto il sogno di una società di convivenza, in cui tutte le persone possano godere degli stessi diritti, senza distinzioni basate sulle diversità.
 
Per ciò chiamiamo tutti e tutte a manifestare il Primo Marzo a Milano contro ogni forma di razzismo e per i diritti dei e delle migranti.
 
Vogliamo far risuonare per le strade di Milano le nostre richieste:

·       La chiusura immediata dei Centri di Identificazione ed Espulsione e la chiusura definitiva del Centro di via Corelli a Milano

·       Una nuova legge sull’immigrazione

·       Svincolare il permesso di soggiorno dal lavoro

·       Il diritto di cittadinanza per le bambine e i bambini nati e/o cresciuti in Italia

·       Il diritto di voto per i/le migranti che risiedono in Italia

·       Il diritto al lavoro per tutti e tutte come previsto dalla Costituzione e parità di diritti fra cittadini

·       Il diritto al reddito per tutti e tutte

·       Una legge per il diritto d’asilo e reali politiche di accoglienza

·       No alla discriminazione nell'acceso ai diversi servizi

·       Garantire l'esercizio della libertà di culto

 
MILANO SENZA FRONTIERE
 
 
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di lucmu (del 26/02/2014, in Territorio, linkato 1552 volte)
La contestata via d’acqua nei parchi dell’ovest milanese non si farà più. Non è ancora una certezza certificata, poiché bisogna attendere il nuovo progetto esecutivo, ma è da fantapolitica pensare che il Commissario Unico per Expo 2015, Giuseppe Sala, possa tornare indietro rispetto a quanto dichiarato ufficialmente ieri, cioè: “Stiamo valutando la revisione di una parte del progetto delle ‘Vie d’Acqua’, in particolare con riferimento al tratto ‘Sud’. Nel nuovo disegno la realizzazione dovrebbe limitarsi ad una pura opera idraulica che non interessa i parchi della corona urbana Ovest di Milano” (vedi comunicato stampa).
Insomma, è lecito affermare che la mobilitazione dei cittadini, dei comitati, degli ambientalisti, dei No Canal ha vinto. Ma con loro ha vinto anche il buon senso e Milano. Ed è importante, anzi decisivo, sottolineare questo punto, perché altrimenti si finisce per accreditare e alimentare la grottesca tesi secondo cui il canale di cemento nei parchi non si fa perché una minoranza estremista dei comitati avrebbe imposto con la prevaricazione il blocco dei cantieri. Una tesi in circolazione da qualche giorno e rilanciata purtroppo anche ieri dallo stesso Sala, che parla addirittura di “atti di illegalità, come azioni vandaliche e sabotaggi”.
Insistere su questi discorsi per motivare la rinuncia al canale nei parchi sarebbe però un errore madornale, perché aggiungerebbe danni ai danni. E per molteplici ragioni.
Anzitutto, perché questa tesi racconta una storia non vera, come dimostra peraltro il fatto che le critiche contro il progetto si sono allargate in città proprio in queste ultime due settimane, coinvolgendo noti estremisti come l’editorialista di La Repubblica, Ivan Berni (vedi suo articolo), il Presidente della Commissione Ambiente del Consiglio comunale, Carlo Monguzzi del PD, o associazioni come Fiab-Ciclobby.
In secondo luogo, perché se fosse vero che il potente Commissario Unico di Expo 2015 S.p.A. ha rinunciato a un’opera, considerata fino a due giorni fa strategica e imprescindibile, soltanto perché una piccola minoranza dei comitati non voleva fare accordi e si dedicava al sabotaggio, allora dovrebbe dimettersi immediatamente dal suo incarico per manifesta incapacità.
Infine, la ragione più importante. Nella vicenda della via d’acqua, che in realtà è più corretto chiamare canale di cemento, perché a questo era ridotto rispetto ai proclami originari del 2008, ormai non era in gioco soltanto l’integrità di quattro parchi milanesi (Parco delle Cave, Boscoincittà, Parco Pertini, Parco di Trenno), ma anche il rapporto tra il Sindaco e la città, tra l’esperienza amministrativa arancione e i cittadini e le cittadine che nel 2011 avevano votato per voltare pagina rispetto al ventennio delle destre. E da questo punto di vista sarebbe davvero incomprensibile se la maggioranza che amministra la città non valorizzasse lo stop al contestato canale come un’occasione per rianimare un rapporto che ultimamente si era un po’ guastato.
Nel mio intervento alla vigilia della manifestazione dei comitati del 16 febbraio scorso (È ora di ascoltare la giusta protesta) avevo espresso il mio convincimento che, arrivati a questo punto, al Sindaco Pisapia non rimanessero che due opzioni: fare l’opera comunque, anche con l’uso delle forze dell’ordine, oppure modificare il progetto della via dell’acqua. Ebbene, mi pare evidente che l’amministrazione cittadina abbia scelto la seconda opzione, perché non c’è dubbio che la decisione di Expo 2015 S.p.A. di ieri sia il frutto del pressing del Comune e dell’indisponibilità del Sindaco di chiedere l’intervento dei reparti mobili di polizia e carabinieri contro i cittadini. Forse è poco, forse è tanto, chissà, ma rimane il fatto che vi è una certa differenza con i tempi quando a Palazzo Marino comandava De Corato e ogni problema veniva trasformato in questione di ordine pubblico da risolvere a manganellate.
Anche per questo, anzi soprattutto per questo, sarebbe una sciocchezza se continuassero a circolare certe storie su minoranze estremiste e sabotaggi. Hanno vinto i No Canal e con loro ha vinto tutta Milano, perché i parchi sono salvi dalle ruspe e perché nessuna opera è stata imposta con la forza. Poi, domani è un altro giorno e ci sarà non soltanto da definire il progetto alternativo e definitivo, ma anche da ricostruire il rapporto di fiducia tra amministrazione e cittadini dei quattro parchi.
 
Luciano Muhlbauer
 
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Ci sono cose che accadono esattamente nel momento giusto, o sbagliato, a seconda dei punti di vista. E il proclama dei “Nuclei operativi armati”, con le sue minacce di morte e il suo inneggiare alla lotta armata, fa senz’altro parte di quelle cose. Infatti, è stato recapitato alla stampa a soli tre giorni dalla giornata nazionale di mobilitazione del movimento No Tav del 22 febbraio, che ha al suo centro la richiesta di liberazione di quattro attivisti, incarcerati in regime di massima sicurezza e accusati incredibilmente di terrorismo.
Non ho la più pallida idea chi ci sia dietro la sigla Noa, anche se la storia recente del nostro paese potrebbe suggerirci qualche ipotesi. Ma è assolutamente certo che quel comunicato è contro il movimento No Tav, che infatti lo ha bollato come deliranti follie. Ed è altrettanto certo che danneggia la campagna contro l’escalation repressiva che sta colpendo il movimento.
Già, perché ci sono i quattro attivisti, Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, detenuti da più di due mesi e accusati di terrorismo. Il fatto a cui si riferisce l’accusa è un assalto a un cantiere dell’alta velocità in Val di Susa nella primavera dell’anno scorso. In quella occasione fu danneggiato un compressore, ma nessuna persona si era fatta male. Terrorismo?
Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò rischiano di pagare il conto, in termini di decine di anni di reclusione, di una campagna che tenta di delegittimare l’intero movimento No Tav, perché se è terrorista l’azione a cui avrebbero partecipato, allora tutto il movimento è di fatto connivente. O almeno questo è il messaggio che passa a livello di opinione pubblica.
Associarsi alla richiesta di liberazione di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò non significa sposare in toto tutte le pratiche che si danno in Val di Susa, ma vuol dire avere a cuore la democrazia, la libertà e la giustizia nel nostro paese. E significa anche non guardare da un’altra parte quando quattro giovani vite rischiano di essere ingiustamente stritolate.
Per questo vi propongo di raccogliere l’appello dei familiari di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, che potete leggere qui sotto.
E se vi va, sabato 22 febbraio ci sono anche le iniziative e le mobilitazioni, lanciate dal movimento No Tav. La lista degli appuntamenti su scala nazionale la trovate qui. A Milano l’appuntamento è alle 14 in piazza XXV Aprile.
 
Luciano Muhlbauer
 
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Appello dei familiari dei 4 No Tav arrestati per terrorismo
 
In queste settimane avete sentito parlare di loro. Sono le persone arrestate il 9 dicembre con l’accusa, tutta da dimostrare, di aver assaltato il cantiere Tav di Chiomonte. In quell’assalto è stato danneggiato un compressore, non c’è stato un solo ferito. Ma l’accusa è di terrorismo perché “in quel contesto” e con le loro azioni presunte “avrebbero potuto” creare panico nella popolazione e un grave danno al Paese. Quale? Un danno d’immagine. Ripetiamo: d’immagine. L’accusa si basa sulla potenzialità di quei comportamenti, ma non esistendo nel nostro ordinamento il reato di terrorismo colposo, l’imputazione è quella di terrorismo vero e volontario. Quello, per intenderci, a cui la memoria di tutti corre spontanea: le stragi degli anni 70 e 80, le bombe sui treni e nelle piazze e, di recente, in aeroporti, metropolitane, grattacieli. Il terrorismo contro persone ignare e inconsapevoli, che uccideva, che, appunto, terrorizzava l’intera popolazione. Al contrario i nostri figli, fratelli, sorelle hanno sempre avuto rispetto della vita degli altri. Sono persone generose, hanno idee, vogliono un mondo migliore e lottano per averlo. Si sono battuti contro ogni forma di razzismo, denunciando gli orrori nei Cie, per cui oggi ci si indigna, prima ancora che li scoprissero organi di stampa e opinione pubblica. Hanno creato spazi e momenti di confronto. Hanno scelto di difendere la vita di un territorio, non di terrorizzarne la popolazione. Tutti i valsusini ve lo diranno, come stanno continuando a fare attraverso i loro siti. E’ forse questa la popolazione che sarebbe terrorizzata? E può un compressore incendiato creare un grave danno al Paese?
 
Le persone arrestate stanno pagando lo scotto di un Paese in crisi di credibilità. Ed ecco allora che diventano all’improvviso terroristi per danno d’immagine con le stesse pene, pesantissime, di chi ha ucciso, di chi voleva uccidere. E’ un passaggio inaccettabile in una democrazia. Se vincesse questa tesi, da domani, chiunque contesterà una scelta fatta dall’alto potrebbe essere accusato delle stesse cose perché, in teoria, potrebbe mettere in cattiva luce il Paese, potrebbe essere accusato di provocare, potenzialmente, un danno d’immagine. E’ la libertà di tutti che è in pericolo. E non è una libertà da dare per scontata.
 
Per il reato di terrorismo non sono previsti gli arresti domiciliari ma la detenzione in regime di alta sicurezza che comporta l’isolamento, due ore d’aria al giorno, quattro ore di colloqui al mese. Le lettere tutte controllate, inviate alla procura, protocollate, arrivano a loro e a noi con estrema lentezza, oppure non arrivano affatto. Ora sono stati trasferiti in un altro carcere di Alta Sorveglianza, lontano dalla loro città di origine. Una distanza che li separa ancora di più dagli affetti delle loro famiglie e dei loro cari, con ulteriori incomprensibili vessazioni come la sospensione dei colloqui, il divieto di incontro e in alcuni casi l’isolamento totale. Tutto questo prima ancora di un processo, perché sono “pericolosi” grazie a un’interpretazione giudiziaria che non trova riscontro nei fatti.
 
Questa lettera si rivolge:
 
Ai giornali, alle Tv, ai mass media, perché recuperino il loro compito di informare, perché valutino tutti gli aspetti, perché trobino il coraggio di indignarsi di fronte al paradosso di una persona che rischia una condanna durissima non per aver trucidato qualcuno ma perché, secondo l’accusa, avrebbe danneggiato una macchina o sarebbe stato presente quando è stato fatto..
 
Agli intellettuali, perché facciano sentire la loro voce. Perché agiscano prima che il nostro Paese diventi un posto invivibile in cui chi si oppone, chi pensa che una grande opera debba servire ai cittadini e non a racimolare qualche spicciolo dall’Ue, sia considerato una ricchezza e non un terrorista.
 
Alla società intera e in particolare alle famiglie come le nostre che stanno crescendo con grande preoccupazione e fatica i propri figli in questo Paese, insegnando loro a non voltare lo sguardo, a restare vicini a chi è nel giusto e ha bisogno di noi.
 
Grazie.
 
I familiari di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò
 
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