Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 12 genn. 2006 (pag. Milano)
 
Ieri sera i rifugiati sudanesi, alloggiati in viale Ortles, hanno lasciato il dormitorio comunale e si sono diretti a Como, dove hanno varcato il confine di Stato. Attualmente 62 di loro si trovano a Chiasso, nei centri competenti delle autorità elvetiche. Secondo quanto dichiarato dai profughi, l’intenzione è quella di raggiungere la sede Onu di Ginevra, per denunciare il trattamento che hanno subito da parte del Comune di Milano.
Il gesto disperato dei profughi del Sudan aggiunge una nuova vergogna ad una vicenda che ha dell’incredibile e rappresenta l’ultimo capolavoro dell’assessore Maiolo. Proprio ieri sera, insieme all’assessore comunale Manca, ha diffuso una dichiarazione stupefacente con la quale i difficili passi avanti realizzati negli ultimi giorni venivano praticamente vanificati. Non solo i due sono tornati ai toni polemici e sgradevoli di una settimana fa, ma hanno apertamente accusato il Presidente della Provincia, Penati, di parlare con tre rifugiati non rappresentativi, mentre il Comune avrebbe trovato un accordo con le tre comunità eritrea, etiope e sudanese. E l’assurdo è che già nei giorni precedenti la Maiolo aveva rivendicato ripetutamente di aver trovato un’intesa in particolare con i rifugiati sudanesi!
Una colossale bugia, visto che proprio i profughi sudanesi se ne sono andati ieri sera. La responsabilità di quanto accaduto è esclusivamente dell’assessore Maiolo, poiché ha rifiutato sistematicamente ogni dialogo con i rifugiati, tentando invece di creare insane divisioni e conflitti, ricorrendo persino all’arma della minaccia e del ricatto. Il risultato di questo atteggiamento irresponsabile e ingiustificabile è sotto gli occhi di tutti. Complimenti assessore Maiolo. Oggi c’è da vergognarsi di essere milanesi.
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La scorsa notte è stata sfiorata la rivolta nei container di via di Breme, dove sono alloggiati i rifugiati etiopi di via Lecco. Avvisati verso le 21.00 di ieri sera da volontari del Naga, io e il consigliere provinciale del Prc, Piero Maestri, ci siamo recati sul posto.
Tutto ha avuto origine da un fatto marginale accaduto il pomeriggio, quando un rifugiato etiope ha perso la calma, danneggiando leggermente un vetro e imprecando contro i custodi. Per punizione, il Comune ha successivamente decretato l’allontanamento del rifugiato dai container per due giorni.
Data la situazione di tensione e nervosismo che vivono i rifugiati in questi giorni, il provvedimento di espulsione è stato come gettare benzina sul fuoco e ha suscitato la reazione di tutti gli ospiti di via di Breme. Quando siamo giunti sul luogo, vi era una situazione di stallo, con i rifugiati etiopi che non intendevano cedere sull’espulsione del loro compagno e con il comune che non intendeva modificare di una virgola il suo provvedimento. Presenti anche funzionari delle forze dell’ordine, impegnati a mediare tra le parti e a evitare il precipitare della situazione.
Verso l’una di notte, sembrava ristabilita la calma e la polizia si è allontanata. A questo punto, però, è accaduto qualcosa di preoccupante e inaccettabile. Il nutrito gruppo di responsabili della cooperativa, che ha in gestione i container per conto del Comune, ha tentato una sorta di espulsione fai da te, cercando di allontanare con la forza il rifugiato etiope. Hanno tolto la corrente elettrica a tutti i container e assaltato quello in cui il rifugiato si trovava. Il tutto con il contorno di grida da bullo di quartiere, tipo “se sei un uomo viene con noi” .Ovviamente, ne è nato un parapiglia generale, terminato soltanto con il ritorno sul posto di funzionari della questura, che hanno messo fine a questa situazione al confine estremo della legge e del buon senso.
Rimane aperta la domanda se i responsabili della cooperativa, indubbiamente privi dei requisiti minimi per poter gestire un luogo come quello di via di Breme, abbiano agito di spontanea iniziativa oppure su indicazione di qualche funzionario del comune. Quello che pare invece certo è che occorre porre fine al più presto al clima di tensione instaurato dal Comune nei confronti dei rifugiati di via Lecco, trattati come nemici politici da sconfiggere e non come persone portatrici di bisogni e diritti.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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di lucmu (del 25/01/2006, in Scuola e formazione, linkato 974 volte)
Oggi è approdata in VII commissione consiliare la deliberazione che definisce le modalità di erogazione del buono scuola per l’anno scolastico 2005-2006, licenziata dalla Giunta regionale il 29 dicembre scorso. Un provvedimento identico a quelli degli ultimi quattro anni, che rinnova lo scandalo del lauto finanziamento pubblico a favore delle scuole private e di famiglie di ceto medio-alto, mentre la stragrande maggioranza delle famiglie lombarde si vede esclusa da ogni tipo di sostegno per l’istruzione. Una vera e propria operazione da Sceriffo di Nottingham, tanto più stucchevole quanto è stato sostanzioso –del 21% - il taglio di risorse per l’istruzione ai danni degli enti locali, operata dall’ultima legge Finanziaria del governo.
Basta d’altronde analizzare velocemente i dati relativi all’anno scolastico 2004-2005, per capire che di autentico scandalo si tratta. La Regione Lombardia, infatti, aveva stanziato 42 milioni di euro per il buono scuola, destinati all’ 8,47% degli studenti lombardi che frequentano le scuole non statali (di questi il 6,27 prende effettivamente il buono scuola), e soltanto poco più di 7 milioni per il diritto allo studio, destinati al restante 91,53% degli studenti. Ovvero, siamo di fronte ad un investimento medio pro capite di 666,49 euro per gli alunni delle scuole private e di 7,04 euro per quelli che frequentano la scuola pubblica.
Ma non è tutto. Oltre il 50% (22 mln) di questi 42 milioni di euro è stato assegnato a famiglie con un reddito annuo dichiarato tra 40 e 186 mila  euro. Altro che sostegno a famiglie bisognose! Si aggiunga a ciò che l’analisi dei dati ha rilevato che 954 beneficiari del buono scuola dichiarano un reddito annuo praticamente sotto lo zero, cioè oscillante tra -116mila euro e 1960,26. Pertanto, il Prc ha sollecitato un supplemento di controllo regionale della veridicità della situazione familiare dichiarata, come peraltro prevede la normativa nazionale sull’ISEE.
Infine, la Giunta Formigoni aveva motivato l’introduzione del buono scuola con la “libertà di scelta” delle famiglie. Ebbene, i dati relativi agli ultimi quattro anno dimostrano che non vi è stato un traghettamento di alunni dalla scuola pubblica a quella privata, ma semplicemente quello di denaro pubblico, cioè di tutti, alle scuole private e ai ceti abbienti.
Rifondazione Comunista chiede che lo scandaloso sistema di erogazione del buona scuola venga abolito e che si apra immediatamente il confronto istituzionale al fine di giungere ad un modello che ristabilisca la parità di diritti dei cittadini, privilegi l’orientamento delle risorse a favore della famiglie a basso reddito e sostenga la scuola pubblica.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
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Tredici consiglieri regionali dei gruppi di Prc, Verdi, Ds, Margherita, PdCI, Italia dei Valori, Uniti nell’Ulivo e Pensionati hanno oggi depositato una interpellanza con la quale si chiede l’annullamento della delibera n. 19904/2004 della Giunta regionale. Tale delibera aveva introdotto l’obbligo per gli inquilini degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, di proprietà Aler e comunali, di pagare di tasca propria le spese di amministrazione e generali.
“Se non fosse scritto nero su bianco, si potrebbe pensare ad uno scherzo di cattivo gusto –afferma Luciano Muhlbauer, consigliere del Prc e primo firmatario dell’interpellanza - Non si sono infatti mai visti contratti di affitto, sia nell’edilizia privata che in quella pubblica, che prevedono che le spese di amministrazione siano a carico dell’inquilino. Ed è ovvio che sia così, poiché l’amministratore viene nominato dalla proprietà e ad essa risponde in maniera esclusiva”.
“E come se non bastasse –prosegue Muhlbauer- la normativa regionale è talmente generica che non indica nemmeno criteri applicativi univoci. La conseguenza è che gli enti gestori lombardi, Aler o Comuni che siano, si stanno muovendo in ordine sparso e in maniera assolutamente difforme, non soltanto rispetto ai tempi di applicazione (l’Aler di Milano lo impone a partire dal 1/1/2006), ma soprattutto rispetto ai criteri. Ci sono enti gestori che non richiedono il pagamento, altri chiedono un rimborso forfetario per unità abitativa oppure sulla base della superficie e altri ancora lo chiedono in base a giustificativi di spesa”.
“Insomma –conclude Muhlbauer-  al danno si aggiunge la beffa. Non soltanto gli inquilini delle case popolari lombarde sono vittime di una sorta di appropriazione indebita, che si può tradurre per gli inquilini di prima fascia (reddito annuo fino a 8.800 euro) in un aumento fino al 50% di quanto pagato per l’alloggio, ma sono altresì esposti a una grande confusione applicativa e quindi a trattamenti arbitrari. Due buone e pressanti ragioni, dunque, per procedere immediatamente all’abrogazione di questa normativa vergogna”.
 
Comunicato stampa
 
qui puoi scaricare l’interpellanza

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di lucmu (del 02/02/2006, in Casa, linkato 1407 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 2 febbr. 2006 (pag. Milano)
 
Rifondazione Comunista ha presentato una proposta di legge regionale per la requisizione temporanea delle case sfitte. Una iniziativa analoga è già stata presentata in Regione Liguria e prende spunto dall’esperienza fatta dal X Municipio del Comune di Roma.
La proposta di legge prevede la possibilità per i Comuni lombardi ad alta tensione abitativa di poter requisire per un periodo di 18 mesi, motivatamente rinnovabili per una sola volta per altri 18 mesi, gli alloggi sfitti da almeno un anno. Le unità immobiliari requisite verrebbero poste nelle disponibilità dell’ALER territorialmente competente e assegnate agli aventi diritto sulla base delle graduatorie già approvate dai Comuni, dando priorità alle persone sottoposte a sfratto esecutivo e alle giovani coppie.
Dalla possibilità di requisizione sono comunque escluse le prime e le seconde abitazioni, mentre a tutela dei diritti delle proprietà colpite dal provvedimento sono definite una serie di misure, come la garanzia della restituzione dell’immobile nelle condizioni originarie, l’esenzione dal pagamento dell’ICI e la corresponsione dell’80% del canone di locazione.
Le aree metropolitane lombarde, in particolare quella milanese, stanno marciando diritto verso una vera e propria emergenza casa. Il fabbisogno abitativo aggiuntivo nella sola provincia di Milano è stimato tra 100 e 140mila alloggi per i prossimi dieci anni, mentre il mercato immobiliare è sempre più drogato e distorto. I prezzi delle case e gli affitti sono aumentati in maniera sproporzionata e le speculazioni edilizie si stanno moltiplicando. Non a caso, la percentuale di alloggi sfitti nella città di Milano, attualmente l’8% del patrimonio abitativo complessivo, è assolutamente superiore alla media delle grandi città europee. A tutto ciò si aggiunga che a Milano sono 10mila gli sfratti in arrivo in questo inizio 2006 e 19mila sono le famiglie in graduatoria per l’assegnazione di una casa (di cui 2000 in graduatoria di emergenza).
La politica regionale in materia di edilizia residenziale pubblica è assolutamente inadeguata a fare fronte alla drammaticità della situazione e, inoltre, rinuncia a qualsiasi intervento teso a contrastare le speculazioni e a calmierare il mercato. La proposta di legge di Rifondazione Comunista ha dunque un duplice scopo. Anzitutto, quello di una risposta immediata all’emergenza sfratti e, in secondo luogo, quello di disincentivare, con la possibilità di requisizione, le speculazioni edilizie e favorire la messa sul mercato degli alloggi tenuti vuoti o in stato di abbandono.
E, per favore, non si dica che si tratta di una proposta estremista, visto che lo stesso TAR del Lazio ha riconosciuto, con sentenza di fine gennaio, la legittimità della requisizione di alloggi sfitti.
 
qui puoi scaricare il testo del PdL

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di lucmu (del 11/02/2006, in Politica, linkato 1208 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 11 febbraio 2006
 
L’aveva detto Umberto Bossi, sarebbe stata una campagna elettorale all’insegna dell’omofobia e della xenofobia. E la Lega, come un sol uomo, si è scatenata, dagli insulti razzisti di Calderoli in diretta tv fino alla mozione leghista nel consiglio comunale di Milano che vorrebbe imporre allo straniero richiedente la cittadinanza italiana un questionario, contenente domande illuminanti tipo “cosa pensa dell’omosessualità?” oppure “è giustificabile una reazione violenta per bloccare vignette?”.
Così vanno le campagne elettorali, dice qualcuno per minimizzare. Poche settimane fa, un esponente di primo piano dei DS, come Bersani, ha persino riesumato il concetto di “forza popolare” per dire che in fondo con la Lega si può anche parlare. Insomma, è netta la sensazione che dietro gli scandali per gli “eccessi” leghisti, dalla durata solitamente effimera, si nasconda in realtà una drammatica sottovalutazione politica.
E allora ripartiamo dalla Lombardia, terra natale e roccaforte della Lega Nord. Viste da qui le campagne leghiste dal tenore esplicitamente xenofobo o razzista non sono né una novità, né un’appendice, ma piuttosto una costante dominante.
Da tempo ormai la parola d’ordine dell’autonomismo ha perso la sua forza propulsiva ed espansiva e oggi appartiene soprattutto al ceto politico e ad alcuni interessi materiali ben identificati. Il federalismo, poi, non è più appannaggio della sola Lega, essendosi trasformato nella bandiera di tanti, dall’abile Formigoni fino a buona parte della sinistra moderata, come ci aveva dimostrato la sciagurata modifica del titolo V della Costituzione. Insomma, il classico “Roma ladrona” ha fatto il suo tempo.
L’ostilità nei confronti del diverso ha sempre fatto parte del bagaglio politico e culturale del leghismo, ma è soltanto negli ultimi anni che ha assunto il predominio, in concomitanza con il manifestarsi delle conseguenze sociali delle politiche liberiste. La perdita di potere d’acquisto di salari e pensioni, l’espansione della precarietà del reddito e della vita e i tagli al welfare stanno aumentando sempre di più le difficoltà quotidiane per ampie fasce popolari e producono un diffuso sentimento di insicurezza, specie nelle aree metropolitane. Ovvero, il brodo di coltura ideale perché le incertezze e le paure si traducano in avversione per il diverso, in primis per i diversi per antonomasia, cioè i migranti, che nella sola Lombardia sono ormai quasi un milione.
Insomma, la Lega ha scelto deliberatamente un cambio di strategia, mettendo in secondo piano l’autonomismo e sostituendolo con la xenofobia e l’islamofobia. Un discorso politico certamente rozzo, ma per nulla improvvisato e, anzi, perseguito con perseveranza. Una linea politica praticata in maniera martellante in Lombardia. Sulle tv locali è un succedersi senza soluzioni di continuità di insulti e requisitorie degne del Ku Klux Klan. Altro che le battute di Calderoli sulle “abbronzature”! I consigli comunali, provinciali e regionale sono pieni di iniziative dal sapore discriminatorio e razzista, contro le moschee, le scuole arabe, i rifugiati, i rom, i “clandestini”, gli immigrati che rubano la casa agli italiani e così via.
In altre parole, la Lega ha scelto di occupare uno spazio politico analogo a quello occupato in Francia da Le Pen. Non a caso, in Lombardia la Lega ha sorpassato a destra AN. E come succede in Francia con Sarkozy, quello è uno spazio che fa gola a molti e il razzismo della Lega riesce a contaminare e trascinare. Infatti, è del Sindaco di Milano, targato Forza Italia, e non della Lega la definizione grottesca, ma significativa, di “clandestini con regolare permesso di soggiorno” per i rifugiati politici di via Lecco.
Fare dunque finta che si tratti soltanto di campagna elettorale è un grave errore. La deriva lepenista della Lega è deliberata e lucida e i danni che provoca nel corpo sociale la legittimazione incessante delle tesi razziste e dei toni da crociati sono alla lunga incalcolabili. Bisogna porvi un freno e questo non può essere compito della sola Rifondazione, ma riguarda tutta l’Unione. E ci sono soltanto due modi per farlo: cominciare a chiamare le cose con il loro nome, senza reticenze e ipocrisie, e soprattutto con una politica in materia di immigrazione dichiaratamente e radicalmente alternativa a quella sinora praticata.
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Il centrodestra lombardo ha dato il via libera all’investimento di 10 milioni di euro nel “Fondo Abitare Sociale 1”, in occasione dell’ultima riunione della V commissione consiliare. Rifondazione Comunista e Italia dei Valori hanno espresso voto contrario, mentre Ds, Margherita e Verdi si sono astenuti.
Con questa operazione Regione Lombardia acquista il 20% del fondo controllato da Nextra Investment Management Sgr spa, una società a sua volta controllata da Banca Intesa. Una iniziativa che non ha precedenti, come riconosce lo stesso centrodestra, e che solleva numerosi dubbi, anzitutto in virtù dell’assenza di garanzie reali circa le sue finalità sociali.
Secondo la maggioranza del Pirellone, l’esborso di 10 milioni di euro di denaro pubblico a favore di un fondo privato sarebbe giustificato dal fatto che due terzi degli alloggi costruiti dal Fondo andranno a favore di famiglie bisognose. Un’affermazione azzardata, alla luce di quanto scritto effettivamente nel regolamento del fondo, laddove abbondano invece gli impegni generici e poco trasparenti. Infatti, l’unico “impegno” è quello di garantire canoni di locazione “inferiori al livello di mercato”, senza però dire di quanto inferiori, mentre per il resto ci si limita a un fumoso “cercando di massimizzare” gli alloggi locati a canone moderato, convenzionato o sociale. Un po’ poco per sbandierare le finalità sociali, ci pare.
Quanto alla garanzia rappresentata dal diritto di veto del rappresentante regionale nel comitato tecnico di controllo del fondo, denominato Advisory Committee e composto da sette membri, ci permettiamo di avanzare ulteriori dubbi. Anzitutto, il rappresentante regionale è nominato direttamente dall’assessore Borghini, escludendo pertanto ogni funzione di controllo diretto da parte del Consiglio, e, in secondo luogo, si tratta di un diritto di veto vincolato in ultima istanza all’accordo con il Presidente del comitato tecnico, il quale è di nomina della Fondazione Housing Sociale, cioè di Banca Intesa.
Si tratta della prima volta che Regione Lombardia traduce in pratica ciò che da tempo annuncia. Ovvero, che inizia l’era della collaborazione privato-pubblico in materia di edilizia residenziale pubblica. E inizia nell’unico modo possibile, cioè rinunciando alla trasparenza, all’efficacia sociale e ad un controllo pubblico degno di questo nome. E non potrebbe essere diversamente, poiché il privato pretende che il capitale investito sia remunerato, mentre il pubblico dovrebbe preoccuparsi di garantire l’accesso alla casa a tutti, a cominciare dai settori socialmente più svantaggiati.
Banca Intesa fa il suo mestiere, ma la stessa cosa non si può dire della Giunta Formigoni che oggi sottrae 10 milioni di euro ai fondi per l’edilizia residenziale pubblica, per affidarli al buon cuore di Banca Intesa.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
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di lucmu (del 20/02/2006, in Casa, linkato 1001 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberamente di genn.-febbr. 2006
 
Di casa si parla spesso, ma quasi sempre a spizzichi e bocconi. Il dibattito politico che ne consegue risulta monco e reticente. In altre parole, si elude il vero nodo della questione, che così possiamo riassumere: mentre all’orizzonte si profila una vera e propria emergenza sociale, la questione abitativa è relegata al margine dell’agenda politica. Una marginalità che si riscontra spesso anche a sinistra, ahimé compreso il nostro partito. Beninteso, in Rifondazione non manca la sensibilità e la consapevolezza, ma sui territori scarseggia frequentemente la strategia e l’iniziativa.
Per cogliere meglio la dimensione del problema è sufficiente ricordare alcuni dati relativi al capoluogo lombardo. Una recente indagine ha calcolato il fabbisogno abitativo aggiuntivo per i prossimi dieci anni attorno 100-140mila alloggi in provincia di Milano. Nel frattempo, in città circa 24mila abitazioni sono state erose dalle attività economiche, mentre i prezzi degli immobili e gli affitti sono schizzati alle stelle. Tanto per capirci, 90 mq in una zona semicentrale a Milano valevano 7,6 stipendi annuali dieci anni fa, mentre oggi ne valgono ben 9,8. Le speculazioni edilizie hanno campo libero, facendo sì che l’8% del patrimonio abitativo milanese sia ormai sfitto o abbandonato, mentre le graduatorie per le case popolari si stanno ingrossando, con le loro 19mila famiglie in attesa, di cui 2000 in graduatoria d’emergenza.
Di fronte a questa situazione presente e futura la Giunta Formigoni -ma anche il Comune di Milano- punta tutto sull’imperativo della progressiva dismissione del patrimonio e dell’intervento pubblico, per affidarsi alle magnifiche sorti di un mercato sempre più inaccessibile per interi settori sociali, colpiti come sono dai bassi salari e dalla precarietà del lavoro e del reddito. Infatti, gli ultimi provvedimenti in materia di edilizia residenziale pubblica, già adottati o in via di adozione, portano questo marchio indelebile, come il declassamento dell’erp da servizio pubblico a “servizio di interesse economico generale” e la conseguente apertura ai capitali privati. Esempio lampante, nonché pionieristico, la recente decisione di sottrarre 10 milioni di euro all’edilizia pubblica per investirli in un fondo di housing sociale controllato da Banca Intesa.
Ad aggravare ulteriormente il quadro interviene la situazione nazionale, considerato che oltre il 90% dell’edilizia pubblica è tuttora finanziata da fondi statali che vengono dal passato. Stiamo parlando dei fondi ex-Gescal, costituiti dai prelievi sulla busta paga dei lavoratori dipendenti e riscossi fino al 1998. Di conseguenza, l’entità dei trasferimenti statali alle Regioni caleranno progressivamente, fino al loro definitivo esaurimento attorno al 2020. Infatti, lo stanziamento regionale per l’edilizia residenziale pubblica per gli anni 2006-2008 è praticamente dimezzato rispetto al periodo precedente.
Il centrodestra lombardo pare pienamente consapevole che la sua politica è incapace di rispondere alla crescente domanda sociale di abitazioni, visto che sceglie consapevolmente di aggiungere al danno anche la beffa. Questo vale sia per l’insana trovata di far pagare agli inquilini delle case popolari le spese per l’amministrazione, che per l’odiosa, inutile e incostituzionale discriminazione che impone cinque anni consecutivi di residenza per poter accedere ai bandi. Insomma, non si affronta il problema, ma in cambio si fomenta un po’ di guerra tra poveri.
Di fronte a questo stato di cose occorre cambiare marcia, radicalmente e subito. Ecco perché i consiglieri regionali del Prc, tra le altre cose, hanno presentato una proposta di legge regionale per la requisizione temporanea delle case sfitte, fatte salve tutte le garanzie per la proprietà ed escluse le prime e seconde abitazioni. La destra e parte della sinistra moderata hanno subito gridato allo scandalo, anzi all’esproprio proletario. Una sciocchezza terrificante, visto che non solo il Tar del Lazio ha considerato legittimo requisire, ma lo stesso Prefetto di Roma le sta ipotizzando. Il vero scandalo sta da un’altra parte, cioè nel considerare normale e socialmente accettabile che percentuali significativi del patrimonio abitativo vengano lasciati in stato di abbandono prolungato per motivi speculativi, mentre migliaia di famiglie e persone si vedono negato il diritto alla casa. Un segno dei tempi, dirà qualcuno, ma soprattutto di una politica cieca, fastidiosamente di classe e subalterna all’ideologia del primato del privato.
Certo, la requisizione temporanea non risolverebbe tutti i problemi e ben altro ci vuole, ma sarebbe almeno un punto di partenza, un indizio concreto che si vuole cambiare strada e affrontare finalmente una situazione straordinaria con mezzi straordinari, ridando centralità all’intervento pubblico e ai bisogni dei ceti popolari.
 
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Ancora una manifestazione degli operai dell’Alfa Romeo di Arese davanti al Pirellone. Dopo i presidi di Slai-Cobas e Cub delle ultime settimane, oggi è la volta di Fiom, Fim e Uil. E la richiesta è sempre la medesima, cioè che la Giunta regionale dia seguito agli accordi firmati un anno fa.
Formigoni aveva speso fiumi di parole e promesse sull’Alfa, per dire che lui aveva la soluzione in tasca e che la Regione si sarebbe attivata per la reindustrializzazione dell’area, con tanto di polo per la mobilità sostenibile, e per la ricollocazione degli operai. Era stato persino siglato un accordo che traduceva queste parole in impegni precisi.
Ma appunto, questo accadeva un anno fa ed eravamo alla vigilia delle elezioni regionali. Nel frattempo l’Alfa di Arese comincia ad assomigliare ogni giorno di più a una delle tante aree dismesse, senza che si veda anche solo l’ombra delle nuove attività produttive annunciate, mentre agli operai non rimane che la cassa integrazione e un futuro fosco. Infatti, Sviluppo Italia, che doveva acquisire l’area dell’Alfa secondo gli accordi, non l’ha ancora fatto, mentre l’ultima Finanziaria del governo Berlusconi ha ulteriormente decurtato i relativi fondi. Ora la Giunta regionale fa sapere che l’acquisizione dovrebbe avvenire entro il 15 marzo, mentre sul piano della ricollocazione dei lavoratori tutto rimane segnato dall’assenza di tempi e modi certi.
Dopo un anno di silenzi e in un quadro di incertezza continua, la Giunta Formigoni non ha nemmeno sentito il bisogno di convocare i soggetti firmatari dell’accordo, così come continua a negarsi alle commissioni 4° e 7° del Consiglio Regionale, che sin dal novembre scorso le chiedono di relazionare sullo stato dell’attuazione degli accordi firmati.
A questo punto è lecito domandarsi cosa si nasconda dietro questa reticenza e questi silenzi. Pertanto Rifondazione Comunista, oltre a ribadire la sua piena solidarietà agli operai dell’Alfa, chiede che il presidente Formigoni si presenti immediatamente nelle competenti commissioni del Consiglio Regionale, al fine di fornire tutte le informazioni del caso e chiarire quali iniziative concrete intende prendere per garantire un futuro occupazionale agli operai dell’Alfa.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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di lucmu (del 27/02/2006, in Sicurezza, linkato 1011 volte)
La morte violenta di Abdel Khalek Nakab, cittadino marocchino, provocata da un colpo d’arma da fuoco esploso da una guardia giurata, necessita anzitutto un accertamento dei fatti rapido ed esaustivo. Che Nakab fosse pregiudicato e non in regola con i documenti non cambia nulla della drammaticità e gravità di quanto avvenuto in via Cavezzali.
Stamattina è suonato un campanello d’allarme che dovrebbe stimolare una riflessione seria e urgente. Da troppo tempo ormai Milano è priva di una politica di contrasto del degrado, della speculazione e dell’emarginazione, mentre si sprecano gli appelli alla repressione e all’uso della forza. E purtroppo, ancora una volta, l’assessore Manca è tornato a intonare il ritornello dello “sgombero delle aree occupate abusivamente”, senza preoccuparsi minimamente della situazione reale dello stabile di via Cavezzali, segnata piuttosto dal micidiale intreccio di abbandono e interessi immobiliari senza scrupoli.
Milano ha urgentemente bisogno di voltare pagina, di dare priorità alla riqualificazione delle sue tante periferie e a politiche attive che favoriscano l’inclusione in una città che vive un rapido cambiamento. In altre parole, servono prima di tutto più Comune e più politica, non più armi e manganelli.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
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