Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Dopo il corteo del 25 aprile di Milano, circa 200 persone si sono recate in Via Corelli per esprimere solidarietà con gli immigrati detenuti nel Cpt, in stato d’agitazione da ormai più di due settimane.
I responsabili delle forze dell’ordine non hanno consentito al presidio pacifico di avvicinarsi al centro di detenzione, né alla delegazione del “Comitato d’appoggio” di poter incontrare i reclusi, come questi ultimi avevano richiesto. Alla fine è stato consentito l’accesso al Cpt unicamente ai due rappresentanti istituzionali presenti, il Consigliere Regionale del Prc, Luciano Muhlbauer, e il Consigliere Provinciale del Prc, Piero Maestri, negando però l’assistenza al colloquio di un interprete.
La delegazione di cinque detenuti, in rappresentanza di tutte le camerate del Cpt, -dopo aver sottolineato ancora una volta l’invivibilità della loro condizione di detenzione e quindi la richiesta di libertà- ha richiesto un nuovo incontro diretto con i rappresentanti della Prefettura, come avvenuto già giorni fa, dato che secondo quanto denunciato dai detenuti, gli impegni assunti in quella occasione non sarebbero stati rispettati. Inoltre, è stato chiesto che nel frattempo non venissero attuate delle espulsioni punitive nei confronti dei detenuti che hanno parlato con i Consiglieri, nonché la possibilità di poter incontrare dei giornalisti.
La Prefettura, contattata immediatamente dai Consiglieri presenti, nella persona del Capo Gabinetto, dott. Tortora, ha tuttavia respinto tutte le richieste, dichiarandosi indisponibile al dialogo con i reclusi, ribadendo il divieto per i rappresentanti del Comitato d’appoggio di poter incontrare i detenuti, non fornendo alcune garanzie circa espulsioni punitive ed arbitrarie e negando persino la possibilità che la stampa possa accedere al Cpt.
Questa è la cronaca di una serata stupefacente, in un luogo, il Cpt di Via Corelli, considerato dalla stessa pessima legge non un carcere, ma un “centro di permanenza temporanea e accoglienza”, dove i reclusi vengono definiti “ospiti”, anche se possono passarvi fino a 60 giorni in condizione di assoluta privazione della libertà personale, senza aver commesso alcun reato.
E stupisce e preoccupa ancora di più l’atteggiamento irresponsabile e sordo assunto dalla Prefettura, la quale, dopo due settimane di ripetute denunce circa irregolarità e di continue rivolte all’interno del Cpt, non trova di meglio che scegliere la strada di una fermezza fuori luogo, rifiutando le forme più elementari di dialogo e confronto con delle persone, colpevoli unicamente di aver cercato una possibilità di futuro in Italia.
Auspichiamo che il Prefetto Ferrante possa correggere al più presto questa posizione e nel contempo invitiamo tutte le forze associative e politiche democratiche di far sentire la proprio voce, anche per evitare che succedano cose irreparabili.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer e Piero Maestri
Nella tarda serata di ieri una cinquantina di detenuti e detenute immigrati del CPT di Milano ha occupato per diverse ore i tetti delle camerate. Dopo alcuni giorni di relativa calma, è ripresa dunque la protesta da parte dei cittadini stranieri, che segna da ormai oltre un mese la vita interna del lager di Via Corelli.
I detenuti e le detenute, oltre a ribadire la richiesta di libertà per tutti, hanno chiesto di poter parlare con la stampa, al fine di esporre alla cittadinanza di Milano la loro situazione. La Prefettura, tuttavia, ha negato l’accesso alla stampa e, nello specifico, ad una giornalista di Radio Popolare già presente sul posto, così come al Consigliere provinciale di Milano, Piero Maestri. Alla fine, come previsto peraltro dalla legge, è stato consentito l’ingresso unicamente al Consigliere Regionale di Rifondazione, Luciano Muhlbauer.
“Attorno a mezzanotte, dopo il mio ingresso – racconta Muhlbauer - i detenuti hanno deciso di scendere dai tetti e con loro ho parlato per quasi tre ore. Le denunce che hanno avanzato dipingono l’ormai consueto quadro disumano di Via Corelli. Strutture spesso fatiscenti, assistenza medica approssimativa con largo uso di farmaci sedativi e, soprattutto, l’assurdità e l’insopportabilità di una legge che priva della libertà personale, fino a 60 giorni, persone che non hanno commesso alcun reato”.
“Casi - prosegue il consigliere - come quelli di A.S., padre di un bimbo di 5 anni nato in Italia che ora sta con la madre a Brescia, e che ciononostante è rinchiuso nel Cpt in attesa di espulsione forzata. Oppure quello di A.E.M., cittadino egiziano, che è in Italia da molti anni e che possiede regolarmente una piccola attività economica, sottratto alla sua vita di tutti giorni nonostante fosse in possesso della famosa “ricevuta” che rilascia la questura in attesa del rinnovo del permesso. O ancora, un cittadino albanese, con l’udienza di appello per la concessione dell’asilo politico già fissata per il 7 luglio a Roma e, tuttavia, rinchiuso nel Cpt, mentre moglie e figlio di 13 mesi sono ora abbandonati a se stessi, senza più fonte di reddito”.
“Il teatro dell’assurdo, anzi dell’indecenza - conclude Muhlbauer - potrebbe continuare a lungo e forse sarebbe un bene che la stampa tutta iniziasse ad occuparsene con più insistenza, semplicemente raccogliendo le storie di uomini e donne vittime di una vera e propria apartheid giuridica che li considera esseri umani di serie B. Luoghi come il Cpt di Via Corelli non dovrebbero esistere in una società democratica. Questa è la ragione ultima perché le rivolte e le proteste si susseguono e si susseguiranno. E questa è la ragione perché ancora una volta chiediamo la chiusura del lager di Via Corelli”.
Comunicato stampa
di lucmu (del 16/05/2005, in Lavoro, linkato 1062 volte)
Esprimo massima solidarietà al SULT e, in particolare, ai suoi due segretari nazionali, Andrea Cavola e Paolo Maras, da oggi in sciopero della fame per affermare il rispetto del diritto di sciopero.
Il diritto di sciopero è garantito in Italia dalle disposizioni costituzionali. Tuttavia l’impianto legislativo oggi esistente in tutto il settore dei servizi, cioè la legge 146, piuttosto che regolamentarne l’esercizio, rappresenta in realtà una vera e propria limitazione, cioè un impedimento. A ciò si aggiunga che la Commissione di Garanzia, istituita dalla stessa legge, si è arrogata nel tempo una sorta di podestà normativa de facto, che la colloca al confine delle sue stesse funzioni istituzionali e che ne fa un organismo di parte, praticamente un tribunale speciale sempre schierato contro i lavoratori e le organizzazioni sindacali.
I lavoratori dei trasporti sono oggi le principali vittime di una legge e di una prassi che si basa sulla filosofia della criminalizzazione del conflitto sociale, assunto non come opportunità di progresso sociale e civile, bensì come un problema da reprimere. Come se il diritto alla mobilità dei cittadini non fosse messo a repentaglio dalle politiche di smantellamento dei sistemi di trasporto pubblico, ma dalle rivendicazioni dei lavoratori. Ed ecco che i lavoratori che si battono per la difesa dell’occupazione, dei diritti e del salario sono costretti a diventare “selvaggi”, esposti a sanzioni di ogni tipo. Così era successo agli autoferrotranvieri e così sta succedendo ora ai lavoratori del Sult.
La legge antisciopero 146 e le pratiche punitive e repressive della Commissione di Garanzia e del Ministero dei Trasporti vanno messe in discussione. Si tratta di una questione che non riguarda soltanto qualche sindacato, come il Sult, colpevole unicamente di fare il proprio mestiere di sindacato dei lavoratori, ma riguarda l’insieme del movimento sindacale e delle forze politiche della sinistra. Ecco perché lo sciopero della fame di Cavola e Maras non deve essere semplicemente occasione per una rituale solidarietà, bensì di una iniziativa politica tesa a ristabilire il rispetto di un diritto elementare ed irrinunciabile, come quello del diritto di sciopero.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 18/05/2005, in Lavoro, linkato 3550 volte)
Oggi il Gruppo regionale di Rifondazione Comunista ha incontrato una delegazione della RSU dell’IBM di Vimercate. Al centro della discussione la grave situazione determinatasi a causa dell’annuncio, da parte dell’azienda, di circa 1000 esuberi e della chiusura di attività produttive in Italia e in Lombardia.
Particolarmente grave è il fatto che non ci troviamo di fronte a una scelta motivata da un calo di vendite sul mercato italiano, bensì esclusivamente dalla ricerca di maggiori margini di profitto. Infatti, non di semplice chiusura di attività si tratta, ma di delocalizzazione in altri paesi, dove i livelli salariali e di tutela dei diritti dei lavoratori sono più esigui. Il centro di calcolo dell’IBM di Vimercate, secondo i piani dell’azienda, verrebbe così trasferito a Brno, nella Repubblica Ceca.
A tutto ciò si aggiunge che l’IBM Italia rifiuta ogni confronto e trattativa con le rappresentanze sindacali e con le istituzioni locali, a partire dal Comune di Vimercate e la Provincia di Milano, limitandosi a “comunicazioni” e altri atti unilaterali. Riteniamo inaccettabile nel metodo e nel merito il comportamento di IBM Italia, che mette a repentaglio un importante insediamento produttivo della nostra regione, dove sono impiegati oltre 4000 dipendenti.
Esprimiamo pertanto totale solidarietà ai lavoratori e alle lavoratrici dell’IBM e sosteniamo la mobilitazione del 23 maggio, l’IBM Action Day, che vedrà coinvolti i dipendenti del gruppo transnazionale a livello internazionale.
Chiediamo che tutti i Gruppi consiliari e la Giunta regionale prendano chiaramente posizione e pretendano dall’IBM l’apertura di un confronto e la rinuncia ad ogni azione unilaterale.
Comunicato stampa di Mario Agostinelli, Luciano Muhlbauer e Osvaldo Squassina
I componenti della nuova Giunta regionale della Lombardia non sembrano d’accordo su nulla. Prima lo scontro sui “sottosegretari”, ora quello sulla legge sul territorio, approvata appena due mesi fa. Nei giorni scorsi il neo-assessore leghista Boni, pur avendola votata lo scorso marzo, ha dichiarato di volerne modificare l’impianto; poi il governo Berlusconi l’ha impugnata su alcuni aspetti e oggi Formigoni dichiara invece che la legge rimane in vigore.
Questo scontro evidenzia tuttavia non solo le divisioni tra i partiti del centrodestra, ma altresì il carattere insostenibile di una legge che di fatto liberalizza la politica urbanistica, esponendo il territorio lombardo alla cementificazione selvaggia e al dissesto ambientale. Se rimanesse invariata e venissero per di più accolte le obiezioni del Governo, come sembra dire Formigoni, ne risulterebbe addirittura un ulteriore peggioramento di una già pessima legge, poiché verrebbe eliminato anche ogni residuo controllo sull’installazione di antenne e tralicci.
Di fronte a questo scenario e data l’importanza della materia, il Gruppo consiliare di Rifondazione Comunista chiede che la legge venga riportata in Aula e interamente ridiscussa e che sull’argomento venga avviato, da parte della Regione Lombardia, un confronto a tutto campo, a partire dagli enti locali e dalle associazioni della società civile.
In altre parole, i litigi istituzionali del centrodestra diventino occasione per riprendere un dibattito serio sul governo del territorio, che non può essere abbandonato al mercato e svenduto agli interessi immobiliari.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Sono passati soltanto pochi giorni dalla costituzione della nuova Giunta regionale, in cui Formigoni ha subito la fame di poltrone dei notabili di partito e l’offensiva leghista contro i suoi fedelissimi, ed ecco che arriva la contromossa del Governatore. Nella prima riunione di Giunta è stata deliberata la mega-nomina di 52 dirigenti di alto livello dell’amministrazione regionale, di cui ben 22 rispondono direttamente a Formigoni, mentre gli altri 15 assessorati si dividono i restanti 30.
Un esercito di dirigenti formigoniani che corrisponde ad un accentramento di poteri nella direzione generale alle sue dirette dipendenze, con un’altra invenzione analoga a quella dei “sottosegretari”, cioè le “direzioni centrali”. Così facendo, Formigoni controllerà direttamente anche il bilancio, la politica del personale - con l’arrivo inquietante del ristrutturatore delle Poste, Enrico Pazzali - e le funzioni di coordinamento dell’insieme della struttura regionale.
Insomma, gli scontri tra le varie forze che compongono il centrodestra lombardo si annunciano senza quartiere e coinvolgono pesantemente la stessa struttura amministrativa della Regione, evidentemente da qualcuno considerata proprietà privata e non cosa pubblica.
Tutto questo avrà un costo, non soltanto in termini di trasparenza ed efficienza dell’amministrazione regionale, ma anche in termini monetari. Attendiamo la stipulazione dei contratti dei dirigenti per capire quanto costerà al contribuente questa guerra amministrativa, ma sin d’ora inquietano i criteri contenuti nella delibera. Infatti, le retribuzioni dei direttori “vicari” e di “funzione specialistica” - questi ultimi tutti alla dipendenze dirette del Presidente - potranno essere persino pari a quelle dei direttori generali.
Mentre siamo nel bel mezzo di un’offensiva propagandistica contro i dipendenti pubblici, da tempo senza rinnovo contrattuale e additati come “improduttivi”, il centrodestra lombardo non si fa scrupoli ad utilizzare il denaro pubblico per finanziare, a peso d’oro, la sua guerra intestina. Tutto ciò è semplicemente inaccettabile e forse sarebbe il caso che se ne occupasse anche la Corte dei Conti.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 23/05/2005, in Pace, linkato 1451 volte)
Le notizie sulle trattative per la liberazione di Clementina Cantoni si susseguono incessantemente e tuttora non possiamo dirci definitivamente ottimisti. Ciononostante, troppo flebili sono finora le voci dello stesso movimento pacifista. Non si è riprodotto il meccanismo di mobilitazione che era scattato per le due Simone e per Giuliana Sgrena. Forse perché incombe il rischio dell’assuefazione, forse perché l’Afghanistan appare più lontano e più incomprensibile dell’Iraq.
Eppure, la storia di Clementina non è diversa dalla loro o da quella, troppo in fretta accantonata, di Florence e Hussein. Una delle tante storie di uomini e donne che non si vogliono arrendere alla presunta normalità della guerra, scegliendo invece di raccontarne gli orrori o, come Clementina, di portarvi l’antidoto dell’umanità e della solidarietà. Ebbene sì, perché l’Afghanistan è un teatro di guerra, una terra occupata manu militari da eserciti stranieri, come lo è l’Iraq.
Il Gruppo consiliare di Rifondazione Comunista aderisce e invita a partecipare alla manifestazione indetta dal Comitato Fermiamolaguerra di Milano, che si terrà domani 24 maggio, alle ore 18.00 in Piazza della Scala.
Esigendo dai rapitori la liberazione di Clementina, chiediamo la stessa cosa per Florence, Hussein e per tutti gli ostaggi. E lo chiediamo per tutti gli uomini e le donne vittime della guerra, a partire dai popoli afgano e irakeno. L’alternativa alla guerra e alle occupazioni militari sta nella pace e nella giustizia, nel rispetto dei diritti umani e della sovranità dei popoli. Ecco perché, proprio ora, ribadiamo con forza la richiesta di un cambio radicale di politica estera del governo italiano e dunque del ritiro di tutte le truppe d’occupazione italiane dall’Iraq e dall’Afghanistan.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Ieri notte nel Cpt di Via Corelli, a Milano, è scoppiata l’ennesima protesta da parte dei cittadini stranieri detenuti. Il Consigliere regionale del Prc, Luciano Muhlbauer, è riuscito a entrare nel centro verso mezzanotte:
“Sono ormai due mesi che si susseguono le proteste, le rivolte, gli scioperi della fame e gli atti di autolesionismo all’interno del centro di Via Corelli, ma ieri notte vi è stato un evidente precipitare della situazione. Un campanello d’allarme che dovrebbe essere ascoltato, invece di abbandonarsi a inopportuni ‘plausi’ e alla solita stupida propaganda, come fa anche oggi la Lega, oppure trincerarsi dietro improbabili complotti orditi dall’esterno, come sembra fare la Questura di Milano.
La realtà di Via Corelli è quella di un luogo ai confini della legge, dove vengono rinchiuse, fino a 60 giorni, persone che non hanno commesso alcun reato e che non hanno subito alcun processo. Vi si possono trovare mischiati insieme ex-detenuti che hanno già scontato la pena, un sordomuto russo raccolto chissà dove, un operaio che aveva perso la mano lavorando in nero per un padrone italiano e un richiedente asilo politico con tanto di appuntamento per l’udienza in tasca.
Una situazione incivile e insostenibile che provoca fisiologicamente protesta e rivolta. Con l’aggravante, in questo caso, che due mesi di proteste non hanno trovato né disponibilità di dialogo, né riflessione da parte delle istituzioni. Anzi, proprio quanto avvenuto questa notte sembra volerci indicare che si insiste sulla strada del mero ordine pubblico, quando siamo invece di fronte ad un problema sociale e al palese fallimento di una politica sull’immigrazione cieca e repressiva.
Prima che succeda l’irreparabile, sempre in agguato quando si sceglie la strada della forza e delle porte chiuse, deve entrare in campo la politica. Per questo, diverse associazioni e forze politiche, dall’Arci al CS Leoncavallo, dal SinCobas a Rifondazione, hanno oggi iniziato la raccolta di adesioni su un appello che chiede la chiusura del Cpt di Via Corelli e la possibilità di accesso al centro per le associazioni del volontariato e per la stampa.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberamente di maggio-giugno 2005
A Milano dire Via Corelli equivale a dire Cpt, cioè “Centro di permanenza temporanea e di assistenza”. Un luogo identico a tanti altri sparsi per la penisola, anzi per il continente europeo. Quando, anni fa, ne fu avviata la costruzione, una parte della città reagì con indignazione e oltre 15mila persone marciarono su Via Corelli, chiedendone l’abbattimento. Oggi invece, le continue proteste e rivolte nel centro, nei mesi di aprile e maggio, hanno incontrato soltanto la mobilitazione generosa di pochi e la stessa stampa, a parte le solite eccezioni, non le considerava una “notizia”.
Le ragioni di questo contrasto tra ieri e oggi sono tante, da una certa abitudine e rassegnazione, nelle stesse fila della sinistra alternativa, di fronte al diffondersi delle politiche securitarie, fino alle purtroppo consuete divisioni tra le forze impegnate per i diritti dei migranti. Comunque sia, la conclusione è la medesima: vi è oggi l’impellente necessità di ri-costruire un tessuto di iniziativa politica e sociale, unitaria e incisiva, che si ponga l’obiettivo della chiusura dei Cpt.
Ma forse vale la pena ricordare anzitutto cosa sono e rappresentano i Cpt. Si tratta di luoghi di detenzione, cioè di privazione della libertà personale, istituiti dalla legge Turco-Napolitano, per cittadini di paesi non comunitari che non risultano in regola con il permesso di soggiorno. Lo stato di detenzione, secondo quanto poi stabilito dalla legge Bossi-Fini, si può protrarre fino a 60 giorni e viene determinato senza che ci sia necessità di alcun intervento da parte della magistratura ordinaria e senza processo penale. In altre parole, vengono ingabbiate delle persone che non hanno commesso alcun reato.
Soltanto una recente sentenza della Corte costituzionale ha imposto la convalida del “trattenimento”, poi però attribuita dal governo ai “giudici di pace”. Cioè, a dei magistrati ausiliari che, quando si tratta di cittadini italiani, si possono occupare al massimo di infrazioni al codice della strada. Pare dunque quasi superfluo aggiungere che nel 99% dei casi i “giudici di pace”, dopo udienze sbrigative, si limitano a convalidare semplicemente quanto richiesto dalla questura.
In fondo basterebbe questo per farci inorridire, poiché siamo alla negazione pura e semplice di uno dei principi fondamentali della stessa democrazia liberale, cioè il famoso “la legge è uguale per tutti”. In altre parole, in Italia vige oggi una sorta di apartheid giuridica per cui c’è un diritto per i cittadini italiani e comunitari e poi ce n’è un altro per i migranti. Non a caso, infatti, tutta la legislazione sui Cpt è piena zeppa di ambiguità e zone d’ombra, a partire dal fatto che i detenuti vengono chiamati ipocritamente “ospiti”.
Un grande abuso istituzionale, qual è l’esistenza stessa dei Cpt, genera ovviamente un’infinità di abusi quotidiani, documentati da anni di lavoro di associazioni e movimenti. Per non parlare delle espulsioni coatte che spesso seguono i 60 giorni di detenzione, dove la violenza è all’ordine del giorno.
Insomma, i Cpt sono insopportabili ed inaccettabili in una società democratica, ne rappresentano un cancro da estirpare. Ma allo stesso tempo sono lo specchio fedele di una politica sull’immigrazione basata sulla repressione e sull’esclusione, che oggi trova la sua codificazione nella razzista Bossi-Fini.
Forse le tante settimane di rivolte da parte dei detenuti e delle detenute di Via Corelli sono riuscite a darci l’opportunità di riannodare i fili in una città per troppo tempo distratta. Occorre accendere i riflettori sul Cpt, costruire mobilitazione e comunicazione o forse semplicemente ritrovare la capacità di indignarsi, per dire senza sé e senza ma che Via Corelli va chiusa, così come tutti i Cpt. È una questione che non riguarda soltanto i movimenti, le associazioni e i sindacati, ma anche i partiti dell’Unione. L’alternativa al governo Berlusconi non può prescindere da un rovesciamento della logica repressiva e antidemocratica dell’attuale politica sull’immigrazione e questo significa prima di tutto cancellare la Bossi-Fini, senza tornare alla Turco-Napolitano. Il gruppo consiliare di Rifondazione Comunista si mette al servizio di questo percorso e di questo impegno.
Che nessuno si nasconda dietro un dito, il no dei cittadini francesi non è un incidente di percorso. Dalle urne di oltralpe esce sconfitta non un’Europa generica, bensì il progetto concreto di un’unificazione continentale su base iperliberista, dove i diritti sono ridotti a variabili dipendenti delle scelte dei potentati economici. Esce sconfitto un trattato costituzionale scritto da ristrette élite governative a propria immagine e somiglianza ed illeggibile per la grande maggioranza dei cittadini europei.
Il no francese non è un disastro, ma piuttosto una salutare boccata d’ossigeno. In Italia ci consegna l’opportunità di riaprire quel dibattito politico, soffocato in un ovattato clima bipartisan, per cui si sarebbe trattato semplicemente di uno scontro tra europeisti ed anti-europeisti. Ed ecco un parlamento italiano che approva il trattato costituzionale senza alcuna consultazione popolare, mentre la stragrande maggioranza dei cittadini non ha mai avuto la possibilità di sapere che cosa ci fosse scritto.
Dalla Francia non ci viene un no all’Europa tout court, ma a questa Europa, generosa con i ricchi e impietosa con i lavoratori. Un no ad un’unificazione che affossa il modello sociale europeo per sposare quello “americano” e che pratica una politica lontana dai cittadini e dalle cittadine. Invece di insistere su una strada sbagliata e fallimentare, magari per consegnare il futuro del continente ai neo-nazionalismi, occorre ripartire da qui, per rilanciare un’altra Europa, che metta al centro i diritti sociali e di cittadinanza e si basi sulla partecipazione democratica dei cittadini e delle cittadine.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
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