Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
di lucmu (del 20/12/2013, in Pace, linkato 1182 volte)
Non è facile fare gli auguri di buone feste di questi tempi e guardare con un minimo di serenità all’anno che verrà. Ci lasciamo alle spalle un altro anno di crisi e di folli politiche di austerità, che arricchiscono pochi e impoveriscono ulteriormente molti. E per capire quanto sia seria la situazione non è nemmeno necessario consultare le statistiche, basta guardarsi attorno tra familiari, amici e conoscenti.
Eppure, proprio in momenti come questi è fondamentale non perdere la bussola e la capacità di coltivare ogni segno di speranza e cambiamento. Ed è di vitale importanza non lasciare che ci atomizzino del tutto, che ci rinchiudano, un@ alla volta, nella prigione della solitudine. Insomma, la solidarietà non è una questione di buoni sentimenti, ma di necessità reciproca, di lungimiranza collettiva. La solidarietà è un’arma, si diceva una volta e forse dobbiamo ricominciare a dirlo.
Ecco perché vi propongo una “buona azione” per le feste, un atto di solidarietà tra chi resiste, lotta, spera, si sbatte per cambiare lo stato di cose presente. Non importa quanto o cosa potete metterci, importante è farlo.
Non è difficile, ahinoi, trovare chi necessità solidarietà. C’è chi continua a stare in strada a lottare per il lavoro (a proposito, gli operai e le operaie della Jabil di Cassina de’ Pecchi si apprestano a passare il terzo natale consecutivo al presidio, mentre a Trezzano sul Naviglio ci sono le attività della fabbrica recuperata Ri-Maflow), chi si ostina a pensare che l’informazione mainstream non sia l’unica possibile (il Manifesto, Radio Popolare e Radio Onda d’Urto sono tutti in campagna abbonamento in questi giorni) oppure c’è chi lotta sul territorio e nella scuole e per questo si trova ora inondato da procedimenti giudiziari, che hanno un loro costo anche economico (il sito MilanoInMovimento ha lanciato una campagna di sottoscrizione per le spese legali intitolata La lotta (si) paga). E poi ci sono tanti altri ancora.
Io però voglio proporvi una “buona azione” in particolare. Riguarda una terra e una causa geograficamente più lontane e di cui dalle nostre parti si parla sempre di meno: la lotta del popolo palestinese per la sua terra e per il suo futuro. La situazione è più drammatica che mai, il processo di pace è poco più di una farsa, il governo israeliano sta rilanciando proprio in questi giorni il programma di espansione delle colonie, le incursioni militari continuano incessantemente e, come se non bastasse, Gaza di recente è stata pure colpita duramente dal maltempo e da inondazioni.
La situazione più critica continua ad essere quella della striscia di Gaza, assediata da più di sei anni e trasformata in una prigione a cielo aperto, dove ormai manca tutto. Proprio lì si sviluppa il progetto “Shady” di affido a distanza, rivolto in particolare a bambini che presentano disagio psichico e difficoltà di apprendimento.
Il progetto è curato dal comitato milanese di Salaam Ragazzi dell’Olivo Onlus. Sul loro sito (www.salaam-milano.org) trovate le info e le coordinate per contattarli. È gente seria, ci si può fidare. Per quanto mi riguarda sostengo un affido a Gaza da anni e intendo rinnovarlo anche per il 2014.
Questo è quanto. Deciderete voi se e che cosa fare. A me non rimane che augurare a tutti e tutte buone feste e un anno nuovo migliore di quello vecchio.
Luciano Muhlbauer
Quello che colpisce nella fiction “Gli anni spezzati” non è tanto l’ennesimo tentativo di ri-scrivere la storia recente del nostro paese e nemmeno il fatto che l’artefice dell’operazione sia la Tv di Stato, con il patrocinio dell’Associazione nazionale della Polizia di Stato. No, quello che colpisce e offende è che lo si faccia con tanta spudorata banalità, grossolanità e approssimazione e senza che ci sia almeno un accenno di scandalo pubblico.
Segno dei tempi anche questo, perché fino a non troppi anni fa almeno ci si sforzava un po’, si producevano ri-letture un po’ più sofisticate e confezionate meglio. Specie quando si toccava il tasto del periodo della strage di Piazza Fontana. E non perché la memoria storica fosse molto di più solida di oggi, come aveva evidenziato già nel 2006 un’inchiesta della Provincia di Milano tra gli studenti medi (vedi “Piazza Fontana, sono state le Br. O la mafia”, Corriere della Sera 13.12.2006), ma molto più semplicemente perché bisognava attrezzarsi in vista delle prevedibili reazioni pubbliche.
Oggi, invece, la prospettiva della polemica pubblica non sembra più preoccupare nessuno e i fatti, ahinoi, paiono dare ragione alla Rai, perché a due giorni dalla messa in onda del primo capitolo della trilogia, Il Commissario, la polemica, le reazioni, la critica e la stessa discussione sono fondamentalmente confinate in un pezzo di mondo assai caratterizzato. Come mi ha scritto ieri una mia amica su facebook: “Preoccupante è il fatto che ovviamente se ne parla solo tra noi”.
Beninteso, non che sui mezzi di informazione mainstream ci siano le standing ovation, ma ci si limita a far finta di niente oppure a parlarne criticamente soltanto a pagina 42, come fa oggi La Repubblica. Davvero un po’ poco per una fiction che è ha stravinto la gara degli ascolti televisivi (share del 18,66% per la prima parte e del 17.14% per la seconda).
E così, ci troviamo di fronte a un prodotto televisivo mediocre, dove la sciatteria nella cura dei dettagli, come quel manifesto contro Casa Pound in casa di un anarchico del ‘69 (vedi segnalazione di Militant), costituisce un semplice sottoprodotto di una più generale e grossolana noncuranza per la realtà di quegli anni, che porta a ignorare il clima politico, i movimenti di massa e l’autunno caldo e a ridurre la strage di Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi di Stato, a mero e inintelligibile sfondo per una telenovela il cui unico fine è l’esaltazione di una versione alquanto irreale del Commissario Calabresi. Come stupirsi dunque che alla fin della fiera la fiction proponga sulla strage del 12 dicembre, sulla stagione della strategia della tensione e sulla stessa morte in Questura di Pinelli un livello di verità persino molto inferiore a quella che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, aveva definito "una verità storica conseguita”.
Un’operazione di falsificazione storica, senza dubbio, offensiva per la coscienza e la memoria storica, per non parlare dei familiari di Giuseppe Pinelli e degli anarchici, ma anche un’operazione che ha spopolato in prima serata e che dunque ha raccontato la sua verità su anni cruciali della nostra storia a milioni di persone. Ecco perché è sbagliato il troppo silenzio da parte di troppi, che invece la possibilità di parlare pubblicamente ce l’avrebbero. E la qualità infima della revisione storica non è un attenuante per i silenzi, anzi, semmai è un aggravante.
E poi, non è neanche finita qui, perché ci aspettano ancora due puntate. Settimana prossima toccherà a Il Giudice, dedicato alla figura del giudice Mario Sossi, sequestrato dalle Brigate Rosse nel ’74, e poi arriva L’ingegnere, che pretende di raccontarci la lotta operaia alla Fiat attraverso gli occhi di un dirigente della multinazionale…
Penso sia chiaro l’intento revisionista della fiction ed è altrettanto chiaro che si possa perseguire questo intento in maniera talmente banale e grossolana perché il vento che tira lo permette, perché l’egemonia culturale è ormai di qualcun altro, perché siamo passati dal pensiero debole a quello liquido, perché la storia la scrivono i vincitori ecc. ecc. ecc. Eppure, tutto ciò non è una giustificazione per non dire e non fare, anzi, perché come sempre, quando si riscrive il passato, l’obiettivo è il presente e il futuro.
Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 14/01/2014, in Lavoro, linkato 1450 volte)
L'hanno fatto in tempi da record, senza dire nulla a nessuno e sotto la potente spinta del timore che una legge sulla rappresentanza sindacale si potesse materializzare nel prossimo futuro, invadendo un campo che evidentemente considerano cosa loro. E così, dopo soli sette mesi dalla firma del protocollo d’intesa e con somma noncuranza per le implicazioni della sentenza della Corte Costituzionale sul caso Fiom-Fiat del luglio scorso, il 10 gennaio i vertici di Cgil, Cisl, Uil e Confindustria hanno firmato il “Testo Unico sulla Rappresentanza”.
Mai come in questo caso metodo e merito si danno la mano ed è più che sintomatico che la diplomazia segreta delle segreterie, che ha escluso dalla discussione non soltanto i diretti interessati, cioè i lavoratori e le lavoratrici, ma persino intere categorie aderenti alle confederazioni, come la Fiom (vedi dichiarazione di Landini), sia stata applicata a una materia -la rappresentanza dei lavoratori, i diritti e le libertà sindacali- che invece richiederebbe l’esatto opposto, cioè il massimo di trasparenza e partecipazione.
Come meravigliarsi dunque che proprio nei giorni in cui la Consulta pubblica le motivazioni della sentenza che ha fatto a pezzi il Porcellum, ribadendo anzitutto il principio costituzionale che la sovranità appartiene al corpo elettorale e non ai partiti, a poca distanza venga formalizzato invece un sistema di regole che sequestra la democrazia sui luoghi di lavoro, togliendo la titolarità ai lavoratori e alle lavoratrici, per assegnarla alle organizzazioni sindacali confederali.
Per carità, non che le cose andassero bene fino ad oggi, anzi. Per esempio, nel settore privato è tuttora in vigore, sebbene ormai talmente in crisi di legittimità da venir archiviato dal nuovo accordo, la sconcezza del 33% di posti riservati a Cgil-Cisl-Uil nelle Rsu. Ed è proprio per questo che ci vuole una legge che regoli la rappresentanza sui luoghi di lavoro, per sottrarre la materia alle parti in causa che inevitabilmente finiscono per scrivere delle regole a proprio uso e consumo, cioè esattamente quello che è successo con l’accordo del 10 gennaio (per il testo integrale dell’accordo vedi allegato).
Esagero? Non credo proprio e per dimostrarlo è sufficiente leggere il testo dell’accordo, cosa che vi invito a fare, anche se può essere un po’ faticoso. Qui mi limito a ricordarne le parti salienti, mentre per alcune valutazioni più generali rinvio al mio articolo sul protocollo d’intesa del 31 maggio scorso (vedi Le larghe intese sindacali sequestrano la democrazia), del quale l’accordo costituisce figlio legittimo e applicazione concreta.
Ebbene, l’accordo stabilisce anzitutto e soprattutto il principio che la rappresentanza dei lavoratori e i diritti e le liberta sindacali vengono riconosciuti dalle aziende soltanto nella misura in cui corrispondono a quanto pattuito con Cgil, Cisl e Uil. Le altre associazioni sindacali formalmente costituite potranno esistere in questo sistema soltanto se accettano “espressamente, formalmente e integralmente” i contenuti dell’accordo.
Ma non è soltanto un sistema esclusivo ed escludente, ma anche blindato dall’alto, poiché limita fortemente l’autonomia dei delegati eletti dai lavoratori e delle stesse categorie rispetto ai vertici confederali. Infatti, l’obiettivo della blindatura non sono tanto e soltanto le organizzazioni sindacali di base e conflittuali, ma qualsiasi espressione di autonomia e conflitto, che sia a livello aziendale, territoriale o categoriale, esterno o interno a Cgil, Cisl e Uil.
Ma facciamo prima ad andare per punti. Primo, se in un’azienda dei lavoratori intendono presentare alle elezioni Rsu (Rappresentanze sindacali unitarie) una lista, questa deve essere espressione di un’organizzazione sindacale che ha accettato in toto le regole dell’accordo. Altrimenti, se non sei d’accordo, non hai diritto di presentare liste (e di avere i diritti sindacali).
Secondo, un’organizzazione sindacale può anche decidere di rimanere fuori dalle Rsu, ma anche questo comporta complicazioni di natura formale, perché l’accordo stabilisce che le aziende accetteranno deleghe soltanto a favore di organizzazioni sindacali che “aderiscano e si obblighino a rispettare integralmente i contenuti del presente Accordo”.
Terzo, una volta eletto il delegato dei lavoratori ha una sorta di vincolo di mandato, cioè non può cambiare “appartenenza sindacale”, altrimenti decade dalla Rsu e viene sostituito (occhio quindi a polemizzare troppo con la linea del tuo sindacato…).
Quarto, i contratti firmati sono “efficaci ed esigibili” e quindi sono previste “disposizioni volte a prevenire e sanzionare eventuali azioni di contrasto di ogni natura”. Le sanzioni possono essere di tipo pecuniario e/o comportare la sospensione dei diritti sindacali.
Insomma, dissentire da quanto stabilito dai vertici di Cgil, Cisl e Uil e fare conflitto diventa un esercizio alquanto complesso e pericoloso.
Ovviamente, vengono blindate maggiormente anche le categorie rispetto alle confederazioni (e qui il pensiero non può che andare alle recenti vicende in Fiat). La cosa funziona così: siccome il regime sanzionatorio per garantire l’esigibilità va definito in sede di contratto nazionale di categoria e può succedere che non si trovi facilmente un accordo in tempi utili (pensiamo per esempio ai metalmeccanici), eccovi dunque una sorta di tribunale speciale che comunque garantisce da subito che vengano sanzionate le “azioni di contrasto di ogni natura” anche in assenza di regole a livello di categoria. Cioè, viene istituito un collegio di conciliazione e arbitrato a livello confederale.
Infine, è necessario aggiungere che non è prevista l’obbligatorietà del referendum per validare i contratti siglati, ma soltanto una non meglio precisata “consultazione certificata”, e che sarà possibile firmare contratti aziendali in deroga ai contratti nazionali.
Insomma, se non vi siete stancati prima e avete letto fino a qui vi sarà sicuramente suonato qualche campanello, tipo “ma questo cosa non è roba simile ai contratti introdotti da Marchionne negli stabilimenti Fiat?”. Già, appunto.
È un pessimo accordo dunque, anzitutto perché stabilisce che i diritti e le libertà sindacali non appartengono ai lavoratori, ma a Cgil, Cisl e Uil, con la benedizione padronale di Confindustria. Ed è un pessimo accordo perché è dominato dalla paura delle segreterie di Cgil, Cisl e Uil di “perdere il controllo” in un momento di crisi e difficoltà. E così, invece di fare il sindacato e cercare il consenso dei lavoratori, si decide di farsi legittimare dalla controparte e di fare il poliziotto.
Vediamo come va a finire e se questo accordo reggerà così com’è, anche se c’è poco da essere ottimisti. Infatti, a parte lo scontato e sacrosanto dissenso delle organizzazioni sindacali di base, dall’interno di Cgil, Cisl e Uil provengono per ora pochissime voci. Anzi, per essere precisi per ora abbiamo sentito soltanto le proteste della Fiom e della Rete 28 Aprile. Forse un po’ poco.
Da parte mia, comunque sia, ritengo che questo porcellum sindacale meriti più di una battaglia, non solo sindacale, ma anche culturale e politica, perché qui non stiamo parlando semplicemente di cose sindacali, ma di democrazia e di conflitto. Ed è più che mai impellente l’esigenza di una legge sulla rappresentanza sindacale che ridia ai lavoratori ciò che è dei lavoratori.
Luciano Muhlbauer
in allegato il testo integrale del Testo Unico sulla Rappresentanza, firmato da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria il 10 gennaio 2014
di lucmu (del 15/01/2014, in Lavoro, linkato 2540 volte)
Fabio Zerbini, attivista del sindacato di base S.I.Cobas, ieri pomeriggio è stato aggredito e malmenato. Secondo il comunicato del suo sindacato, che potete leggere più sotto, si è trattato di un vero e proprio agguato, in zona Affori a Milano, e il pestaggio è stato accompagnato dalla minaccia di fargli fare una brutta fine nel caso non la smettesse di seguire le lotte operaie.
Esprimo a Fabio la mia solidarietà e gli auguro di rimettersi prestissimo.
È importante non far passare sotto silenzio la vicenda o sottovalutarla, perché dare oggi l’impressione che gli attivisti e dirigenti del S.I.Cobas non siano accompagnati dalla solidarietà, autorizza magari certa gente a pensare che si possa riproporre il “metodo”.
Infatti, Fabio e il S.I.Cobas sono particolarmente attivi nel sostegno e nell’organizzazione sindacale delle vertenze nella logistica, che vedono protagonisti gli operai facchini. Il mondo degli appalti e degli subappalti della logistica e della movimentazione merci è un mondo dove per i lavoratori ci sono pochissime tutele, dove le poche regole esistenti vengono sistematicamente aggirate e dove, dunque, il diritto di scioperare ed organizzarti è una cosa che devi conquistarti giorno per giorno, con lotte anche molto dure, come ha insegnato l’esperienza recente. È un mondo dove per le organizzazioni malavitose è relativamente facile inserirsi e, infatti, diverse volte è successo e succede.
Le vertenze nella logistica sono segnate da repressioni poliziesche anche molto pesanti (vi ricordate Basiano, per stare in zona Milano?), da vicende giudiziarie e interventi mirati contro dirigenti sindacali (il caso di Aldo Milani, per fare solo un esempio) e, ovviamente, anche da fatti violenti in pieno stile mafioso, come è successo ieri a Fabio Zerbini.
Quello della logistica e degli appalti è un mondo dove fare sindacato non è un impegno comodo, ma pericoloso. E non è nemmeno facile far parlare di te, delle tue ragioni, perché i media tendono a ignorare la realtà di quel mondo. Chissà, forse perché gli interessi in gioco sono forti e perché la maggior parte degli operai sono migranti?
Comunque sia, per questo è maledettamente importante essere solidali e non lasciare da solo nessuno e nessuna.
Vi propongo dunque di diffondere la notizia dell’aggressione e la vostra/nostra solidarietà e di sostenere le eventuali iniziative che verranno organizzate dal S.I.Cobas.
Luciano Muhlbauer
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Il comunicato del S.I.Cobas del 15.01.2014:
Un agguato in stile mafioso ad un compagno dirigente del S.I. Cobas
Ieri pomeriggio il compagno Fabio Zerbini è stato attirato in una specie d'imboscata e pestato a sangue. Con la scusa di un incontro per risarcire i danni di un incidente automobilistico (uno specchietto rotto) avvenuto a fine dicembre, è stato attirato in zona Affori.
Appena sceso dall'auto, è stato assalito a tradimento e pestato a sangue.
Gli aggressori si sono quindi allontanati promettendogli una brutta fine se si occuperà ancora dell'organizzazione delle lotte operaie.
Questo pestaggio è la continuazione della strategia repressiva che combina l'intervento delle forze del disordine, con quelle dell'ordine di mafia, n'drangheta e camorra di cui hanno fatto le spese i nostri militanti sindacali , con minacce, processi, pestaggi, incendi d'auto ecc...
Più lo scontro politico si accentua, più si intrecceranno queste azioni atte ad intimidire la lotta dei lavoratori della logistica, ma solo l'estensione di questa, l'organizzazione di essa e dei COBAS potrà garantire una maggior difesa agli attacchi posti in atto dal padronato e dai loro sgherri, contro i sindacalisti attivi.
Non ci faremo intimidire!
Un caloroso saluto e una pronta guarigione va a Fabio, uno dei nostri compagni più in vista nelle lotte portate avanti tra gli operai della logistica.
Il S.I. COBAS nazionale
Aggiornamento del 16 gennaio: in seguito all'aggressione contro Fabio Zerbini, il S.I.Cobas ha deciso di convocare un'assemblea nazionale, "aperta a tutti i sostenitori della lotta degli operai", per domenica 19 gennaio, alle ore 11.00, presso il Csa Vittoria (via Friuli ang. via Muratori, Milano).
Oggi al Politecnico di Milano è andato in scena un autentico sfregio alla città. Dentro l’ateneo si è tenuto, con l’autorizzazione del rettore, un convegno neonazista e fuori gli studenti antifascisti che protestavano sono stati caricati dalla polizia.
È di una gravità inaudita quanto successo stamattina e la responsabilità grava interamente sulle spalle del rettore del Politecnico. Infatti, i responsabili dell’ateneo non potevano non conoscere la natura politica del convegno e degli organizzatori, cioè il gruppo “Alpha”, espressione della formazione neonazista “Lealtà e Azione”, poiché agli stessi era stata negata pochi giorni fa l’autorizzazione da parte della Statale, dov’era inizialmente prevista l’iniziativa.
In Statale gli studenti antifascisti si erano mobilitati da tempo e una volta chiarito chi erano i soggetti che si celano dietro la sigla “Alpha”, l’università ha loro giustamente negato l’agibilità. Nessuno si era però fidato, perché i nazi erano decisi a trovarsi lo stesso e così, da stamattina la Statale era presidiata dagli studenti. Quello che però nessuno ha osato immaginarsi è che i nazi avrebbero trovato porte aperte da parte del rettore del Politecnico.
Quanto avvenuto è grave in sé, ma ancora più inquietante appare alla luce del fatto che da anni i vari gruppi della galassia neofascista e neonazista tentano di mettere radici a Milano e di conquistarsi legittimità pubblica. E grazie alle scelte del Politecnico ora possono dire di aver realizzato un convegno neonazista con l’autorizzazione dell’ateneo e, quindi, anche con la protezione degli organi di polizia.
Una pessima notizia per Milano e occorre che Milano sappia reagire a questo scempio.
Luciano Muhlbauer
Come saprete, sin dall’anno scolastico 2001/2002 è in vigore in Lombardia il cosiddetto “buono scuola”, cioè un finanziamento pubblico esclusivo a favore di quanti frequentano istituti scolastici privati nella nostra regione. Negli anni la normativa regionale in materia è cambiata più volte, in particolare con l’introduzione del sistema della Dote Scuola a partire dall’anno scolastico 2008/2009, ma la sostanza è rimasta sempre invariata e nulla è cambiato neanche con la presidenza Maroni, anzi.
Qui, invece, voglio portare a vostra conoscenza un appello, che condivido e che quindi ho firmato, che intende proseguire e rafforzare la campagna per l’abrogazione del buono scuola.
Vi propongo, se lo condividete, di farlo circolare e di inviare la vostra adesione a info@nonunodimeno.net.
Luciano Muhlbauer
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APPELLO: I BUONI SCUOLA DELLA LOMBARDIA SONO INCOSTITUZIONALI, ABROGHIAMOLI!
La Giunta regionale della Lombardia nel dare attuazione all’Art.8 della Legge Regionale n. 19 del 2007 ha instaurato una palese ed ingiustificata disparità di trattamento tra gli studenti delle scuole statali e quelli delle scuole paritarie private, riservando solo a questi ultimi l’accessibilità ai Buoni Scuola (rinominati "Dote per la libertà di scelta").
Le successive delibere delle Giunte regionali lombarde hanno dato effetto a tale inaccettabile, grave ed ingiustificata discriminazione a danno di tutte le famiglie che hanno iscritto o iscrivono i propri figli alla scuola statale, cioè della larghissima maggioranza degli studenti della Lombardia.
I principi fondamentali della materia dettati dalla Legge n.62/2000 e dagli Artt. 33 e 34 della Costituzione, nonché dal principio di uguaglianza sancito dall’Art. 3 della Costituzione, inducono a ritenere che è vietato ad ogni Amministrazione di attribuire "Buoni e contributi" in maniera discriminatoria, violando l’uguaglianza di trattamento tra studenti delle scuole statali e studenti delle scuole paritarie private.
Tale disparità di trattamento risulta ancora più palese se si confronta l’entità del Buono Scuola - da 450 a 900 euro - e l’entità del sostegno al reddito - questo sì aperto anche agli studenti delle scuole statali - che va da un minino di 60 ad un massimo di 290.
La discriminazione è poi ulteriormente aggravata dalla disparità tra il sistema con cui si calcola il diritto al sostegno al reddito, cioè l’indicatore ISEE - comprensivo delle proprietà mobiliari ed immobiliari - e l’indicatore reddituale previsto invece per il Buono Scuola che non è comprensivo di tal proprietà mobiliari ed immobiliari, come stabilito dalla Giunta Regionale n. IX/2980 dell’8 febbraio 2012 che si fonda su "parametri di calcolo migliorativi" rispetto a quelli previsti dall’ISEE nazionale.
Per tutte queste ragioni i sottoscritti firmatari del presente APPELLO ritengono che questa illegittima discriminazione nei confronti del 90% degli studenti che frequentano le scuole statali lombarde debba cessare al più presto e chiedono quindi l’abrogazione della "Dote per la libertà di scelta".
Nello stesso spirito essi non solo condividono ma sostengono pienamente le ragioni di chi ha sollevato la questione di INCOSTITUZIONALITÀ dei Buoni Scuola, a partire dalle due Delibere della Giunta Regionale del gennaio del 2013.
Primi firmatari:
Luigi Ferrajoli – insigne costituzionalista
Giovanni Ferrara - Docente Emerito di Diritto Costituzionale - Università "La Sapienza" di Roma
Gaetano Azzariti - Docente ordinario di Diritto Costituzionale - Università "La Sapienza" di Roma
Domenico Gallo - magistrato
Domenico Pantaleo – Segretario Generale FLC/CGIL
Associazione NonUnodiMeno
Coordinamento Nazionale Scuola e Costituzione
Associazione Nazionale “Per la Scuola della Repubblica”
Flc/Cgil Milano
Fiom Milano
Usb Lombardia
Unione degli Studenti Milano
Unione degli Studenti Regione Lombardia
Studenti In Movimento (Rete Studenti e Casc Lambrate)
Collettivo Giovani Comunisti Milano
Costituzione Beni/Comuni
Sezione Milanese Giuristi Democratici
Docenti contro la Legge Aprea
Comitato per la Costituzione Zona 3 Milano
Comitato Milano Zona 3
Sinistreinzona2
Comitato genitori delle scuole del Trotter
Avv. Luigi Mariani
Anita Sonego – Consigliera Comunale “Sinistra per Pisapia”
Basilio Rizzo – Presidente del Consiglio Comunale di Milano
Celeste Grossi – Direttrice di Ecole
Luciano Muhlbauer – già Consigliere Regionale Rifondazione Comunista
Paola Macchi – Consigliera Regionale Movimento 5 Stelle
Silvana Carcano – Consigliera Regionale Movimento 5 Stelle
Iolanda Nanni – Consigliera Regionale Movimento 5 Stelle
Andrea Fiasconaro – Consigliere Regionale Movimento 5 Stelle
Eugenio Casalino – Consigliere Regionale Movimento 5 Stelle
Giampietro Maccabiani – Consigliere regionale Movimento 5 Stelle
GianMauro Corbetta – Consigliere Regionale Movimento 5 Stelle
Dario Violi – Consigliere Regionale Movimento 5 Stelle
Stefano Buffagni – Consigliere Regionale Movimento 5 Stelle
Massimo Gatti - Consigliere Prov. Lista un’altra Provincia Prc/Pdci Milano
Ines Patrizia Quartieri - Consigliera Comunale SEL Milano
Mirko Mazzali - Consigliere Comunale SEL Milano
Luca Gibillini - Consigliere Comunale SEL Milano
Giuseppe Angelico - Assessore Cologno Monzese
Intervento di Luciano Muhlbauer pubblicato su MilanoX il 29 gennaio 2014
Lo scenario politico europeo sta prendendo una brutta piega e rischiamo seriamente che rimangano in campo soltanto due opzioni politicamente e culturalmente rilevanti: l’Europa così com’è, cioè quella dell’austerità e del neoliberismo, e l’Europa dei ripiegamenti nazionali e regionali, intrisa di egoismi, intolleranze e xenofobia. Attorno alla prima opzione si sono formate le grandi coalizioni oligarchiche centrodestra-(ex)centrosinistra, attorno alla seconda si sta delineando un ancora caotico, ma molto determinato fronte delle destre.
Due prospettive per nulla desiderabili, soprattutto se guardiamo al problema dal punto di vista di chi sta pagando il prezzo sociale della crisi, costretto a bassi salari, disoccupazione e precarietà a gogò.
L’Europa così com’è, quella della demolizione del welfare e dei diritti sociali, del cappio del fiscal compact e della massima libertà per i detentori di capitali, non è una soluzione, anzi, è parte fondamentale del problema. L’Europa dei ripiegamenti, quella di Le Pen, Wilders e Salvini, che dà tutta la colpa alla moneta unica e ai migranti, non propone un modello sociale alternativo, ma semplicemente una variante della guerra tra i poveri, dove alla fine vince sempre e comunque il ricco e il potente. E così, invece di mettere in competizione diretta il salario dell’operaio polacco e quello dell’operaio italiano, fanno scannare tra di loro l’autoctono e l’immigrato, il cristiano e l’islamico, l’etero e l’omo eccetera.
Il rischio di rimanere prigionieri di queste due opzioni e di dover quindi scegliere tra il Pasok e il Front National (o l’astensione) è serio e concreto, ma non è certo un destino ineluttabile. E per favore smettiamola anche con la storia trita e ritrita del tanto non c’è nulla da fare, perché in tempi di crisi e disoccupazione di massa vince sempre e comunque la destra. Sarà anche vero, ma oggi e qui sa tanto di autoassoluzione. E poi, come mai una delle esperienze più vive, fresche e promettenti della sinistra europea, cioè Syriza, si è formata e affermata proprio laddove la crisi e le politiche anticrisi hanno picchiato più duro, cioè in Grecia?
Appunto, non c’è mai nulla di ineluttabile, c’è sempre un sentiero da esplorare. E proprio dalla Grecia ci viene oggi un insegnamento e una proposta che guarda all’Europa, a un’altra Europa. I sondaggi danno Syriza ormai come primo partito greco. Syriza è di sinistra, chiaramente di sinistra, ha unito pezzi di sinistra preesistenti senza fare inguardabili pateracchi, perché l’ha fatto non nelle stanze di qualche palazzo, ma per strada, al calore dei movimenti e delle lotte sociali. Syriza è radicalmente contro le politiche di questa Europa, ma non è contro l’Europa. Anzi, ritiene che il terreno di scontro fondamentale sia continentale, che si debbano costruire alleanze con movimenti e forze organizzate degli altri paesi per riuscire a cambiare le cose, per costruire un’altra Europa.
Insomma, per non farla lunga, Syriza è la sinistra che ci vorrebbe un po’ dappertutto e non per motivi astratti o ideologici, ma perché rappresenta un’opzione concreta, politicamente e culturalmente rilevante. Forse anche per questo, anzi, sicuramente per questo, in tutta Europa le sinistre discutono se dare vita a liste di sostegno alla candidatura di Alexis Tsipras, il leader più in vista di Syriza, a presidente della Commissione Europea. Cioè, la candidatura di Tsipras costituisce una possibilità concreta per tentare di far emergere anche a livello europeo l’opzione che ancora manca (almeno in termini di rilevanza), quella più importante, quella di un’Europa sociale, dei diritti e dei popoli.
Ed eccoci arrivati a noi, alla disastrata sinistra italiana. C’è anzitutto un elemento positivo, cioè un diffuso consenso alla proposta di costruire una lista Tsipras anche in Italia, a partire dall’ottimo appello di Barbara Spinelli e altri, che qualcuno ha definito “degli intellettuali” o “della società civile”, ma che in realtà (e per fortuna) è già andato ben oltre definizioni del genere. Poi ci sono i partiti esistenti della sinistra, dallo scontato sostegno di Rifondazione Comunista, che ha in comune con Syriza la collocazione nella Sinistra Europea, a quello meno scontato e non ancora definitivo di Sel. E poi ci sono tanti altri pronunciamenti positivi, come quello di Sandro Mezzadra e Toni Negri. Insomma, siamo di fronte una convergenza ampia su un obiettivo comune che in Italia a sinistra non si vedeva da tempo.
Bene, ottimo. Ma qui iniziano anche i problemi, perché una cosa è avere un largo consenso, un’altra è tradurlo in una lista per le elezioni europee all’altezza della situazione. E da questo punto di vista non c’è nulla di semplice o scontato, perché il recente passato tipo Sinistra Arcobaleno o Rivoluzione Civile pesa, così come le mille divisioni e incomunicabilità, le troppe piccole patrie, i troppi recinti e i troppi protagonismi.
Non ho soluzioni pronte per risolvere il problema e per costruire nel poco tempo che resta una proposta politica ed elettorale credibile, rilevante e seria in vista delle elezioni europee di maggio. Eppure, non condivido il pessimismo di alcuni, come quello di Aldo Giannuli, che considera la proposta fuori tempo e senza spazio, perché quello spazio sarebbe irrimediabilmente occupato dal M5S.
Ho invece due convinzioni. La prima è che è necessario farlo, perché urge terribilmente far vivere anche in Italia e in maniera rilevante l’opzione per un’altra Europa, rispetto alla quale il M5S mantiene davvero troppe ambiguità. E se qualcuno avesse qualche dubbio sull’importanza del terreno europeo, in fondo gli basterebbe guardare meglio alla vicenda dell’Electrolux di questi giorni, poiché questa, come tante altre, ci ricorda con la brutalità dei fatti che in ultima analisi lo scontro sociale e politico si colloca a livello almeno continentale.
La seconda è che è possibile farlo, a patto però che si applichi il metodo suggerito dallo stesso Tspiras nella sua lettera del 24 gennaio scorso, che non a caso si chiude con queste parole: “solo se facciamo tutti insieme un passo indietro, per fare tutti insieme molti passi in avanti, potremmo cambiare la vita degli uomini”.
Insomma, Tsipras c’è e c’è anche la possibilità di fare qualcosa di vero, di utile e di sinistra. Questo è il punto, tutto il resto viene dopo. Sta dunque a noi tutti e tutte non fare cazzate questa volta.
Luciano Muhlbauer
Prima le notizie di scontri nella giunta regionale tra l’assessore all’istruzione e la componente ciellina e poi l’annuncio che in tema di “buono scuola”, cioè di finanziamento pubblico alla scuola privata, si cambia registro. “Stop ai contributi a pioggia”, titola oggi il Corsera di Milano, e la Regione fa sapere che d’ora in poi per avere il buono scuola bisognerà presentare l’indicatore Isee.
Detto così suona quasi come una piccola rivoluzione. Da non crederci, insomma. E infatti non credeteci troppo, perché non di rivoluzione si tratta, ma piuttosto del tentativo di salvare il più iniquo dei sussidi pubblici lombardi dalle contestazioni e dai probabili guai giudiziari o contabili.
Ma andiamo con ordine e vediamo anzitutto cosa cambia e cosa non cambia nel sistema della Dote Scuola. Anzitutto, non varia minimamente la distribuzione delle quantità economiche da erogare per il prossimo anno scolastico: 30 milioni di euro vanno al buono scuola, riservato alle famiglie degli studenti delle scuole private, e 5 milioni (che si aggiungono ai 5 milioni di fondi vincolati dello Stato) vanno a finanziare il “contributo acquisto libri di testo e dotazioni tecnologiche”, che sostituisce il precedente “sostegno reddito” e che sarà accessibile agli studenti delle statali, delle private e della formazione professionale.
A questo proposito, va ricordato che la discriminazione degli studenti delle pubbliche era stata accentuata proprio nel dicembre scorso, allorquando Maroni decise di indirizzare la quasi totalità dei tagli verso la scuola pubblica. Infatti, il buono scuola diminuì di poco, da 33 a 30 mln, mentre le voci “sostegno al reddito” e “merito” passarono rispettivamente da 23,5 a 5 mln e da 5 mln a 0 (zero).
L’unica novità sta dunque nella modalità di attribuzione del buono scuola. Già, perché fino ad oggi in Lombardia c’era uno scandalo nello scandalo, poichè mentre i comuni mortali, comprese le famiglie delle scuole pubbliche, dovevano esibire la certificazione Isee per poter accedere a un qualsiasi contributo regionale, le famiglie delle scuole private –e soltanto loro- potevano contare su un “indicatore reddituale” inventato ad hoc, che escludeva dal calcolo ogni patrimonio mobiliare e immobiliare. Fu così che per lunghi anni sussidi pubblici finivano nelle tasche di famiglie benestanti con tanto di casa di proprietà in pieno centro di Milano.
Ebbene, ora questo privilegio non c’è più e ci vorrà l’Isee. Senza esagerare, beninteso, visto che per le famiglie della scuola pubblica il limite massimo è di 15mila euro di reddito Isee, mentre per quelle delle private il limite è di 38mila, che equivale a un reddito dichiarato fino a 100mila euro. E poi, questo sistema è in vigore “in via sperimentale” e a giugno si ridiscute tutto.
Per chi, come il sottoscritto, si batte da molti anni contro l’odioso buono scuola, questa novità equivale certamente a una conferma della giustezza della battaglia fatta. Ma soprattutto significa che iniziano a fare effetto le mobilitazioni degli ultimi mesi, dai cortei studenteschi agli appelli e alla petizione sottoscritta da oltre 10mila cittadini, e le cause promosse da alcuni genitori della scuola pubblica.
E così, visti anche i tempi che corrono, era meglio mettere le mani avanti, almeno sugli aspetti più ripugnanti e indifendibili. Appunto, non per eliminare il privilegio e la discriminazione, bensì perché tutto rimanga come prima. Una ragione in più per non abbassare la guardia e, anzi, rilanciare la mobilitazione per la scuola pubblica e per l’abrogazione del buono scuola.
Luciano Muhlbauer
Il dibattito sull’Europa e sul che fare, anche in vista delle elezioni europee che si terranno il 25 maggio prossimo, è più che mai aperto e nel suo piccolo lo dimostra anche la polemica che si è aperta tra me e il mio amico Aldo Giannuli, il quale ha pubblicato sul suo blog lunedì e martedì due articoli in risposta al mio intervento di settimana scorsa, scritto per MilanoX e intitolato Con Tsipras, senza esitazione, per un’altra Europa.
Ebbene, le sue argomentazioni meritano senz’altro una replica, non per dare vita a un botta e risposta senza fine, cosa che non interesserebbe nessuno, ma piuttosto perché i temi sollevati mi pare appartengano a un dibattito ben più vasto. E poi, io credo nella dialettica e se la nostra piccola polemica servirà per alimentare e allargare il confronto, allora avremo fatto anche una cosa buona e utile.
1. La prima domanda, anzi la madre di tutte le domande non è se la Ue sia riformabile o irriformabile, oppure se l’attuale architettura europea e la sua moneta unica siano vicini al collasso. E nemmeno se il Parlamento europeo possa essere strumento di riforma dell’Unione, anche perché in un contesto continentale dove i Parlamenti nazionali sono sempre più svuotati di funzioni e poteri, cosa dovrebbe fare un’istituzione che di funzioni legislative e di potere non ne ha mai avuti? No, a monte c’è un altro quesito, cioè qual è oggi il terreno del conflitto di classe e, di conseguenza, qual è la dimensione in cui costruire e articolare una prospettiva di trasformazione, un programma, una strategia e una soggettività o meglio, una convergenza di soggettività.
Questo credo sia il punto di partenza di ogni ragionamento, perché viviamo in una dimensione non solo continentale, ma mondiale, in cui la globalizzazione liberista non è soltanto ideologia o proclama, ma anche sostanza economica, sociale e culturale. Gli stati nazionali rimangono altamente significativi, certo, perché è quella la dimensione in cui si costruisce la legittimazione politica del potere e sono quelli i livelli che detengono la forza armata e la funzione repressiva. Ma i luoghi del potere e delle decisioni che contano e il “campo di gioco” si trovano altrove e sfuggono alla mera dimensione nazionale. Vale per il capitale finanziario, vale per le transnazionali, vale per l’Electrolux o per la Fiat (pardon FCA), vale per qualsiasi grande istituto bancario, vale per la politica. Il sup Marcos qualche anno fa chiamò tutto questo La quarta guerra mondiale e la definizione mi pare assai calzante.
In un mondo e in un’Europa siffatti si può pensare davvero che la dimensione del conflitto, della lotta sociale e politica, del perseguimento di obiettivi concreti come un salario decente o un reddito sociale e della definizione di un modello di società possa essere diversa da quella sovrannazionale? Non è una questione astratta o ideologica, ma maledettamente concreta. In fondo è una questione di efficacia dell’azione sociale e politica.
2. L’Unione Europea è fondamentalmente al servizio del liberismo. Così come si è storicamente configurata con i suoi trattati, cioè con gli accordi tra i governi nazionali, è stata ed è strumento per abbattere frontiere ed eliminare regole per i capitali, innalzare muri per le persone, mettere in competizione livelli salariali diversi, fare dumping sociale, spingere i riluttanti a privatizzare di più e più in fretta. Con la crisi sono poi arrivate le politiche d’austerità e del pareggio di bilancio, che hanno fiaccato una parte del continente e che stanno strangolando interi settori sociali. E con loro sono arrivate le troike, le letterine ai governi, i fiscal compact, i commissariamenti di fatto. Quasi scontato che di conseguenza sia arrivata anche la crisi di legittimità delle istituzioni europee, già in partenza prive di investitura democratica diretta e ora sempre di più identificate come la causa di ogni male.
Oggi questa Europa rischia davvero di collassare e con essa la moneta unica. E anche sulla sua “riformabilità” ho dei sinceri dubbi. Non sta qui, infatti, il punto di divergenza con Giannuli. Il punto di divergenza con lui e con altre forze di sinistra, come il KKE greco, o movimenti “non etichettabili come destra” (per usare la definizione di Giannuli), come il M5S, è che non credo affatto che di conseguenza l’unica strada sia tifare per il disfacimento dell’Ue e della moneta unica, che altro non significa, in assenza di un discorso e di un orizzonte europeo, che ritornare alla dimensione e alle monete nazionali. E se succedesse questo, senza avere in campo un’opzione alternativa di sinistra a livello europeo e una cooperazione di movimenti e forze sul piano continentale, allora mi pare evidente, vista anche l’aria che tira, che la strada sarebbe più che libera per opzioni di destra, che nel ripiegamento nazionale si trovano invece perfettamente a loro agio.
Insomma, avere in campo un’opzione europea di sinistra dovrebbe essere una preoccupazione non solo di chi crede che l’attuale assetto istituzionale sia destinato a durare, ma soprattutto di chi crede che siamo ormai vicini al collasso.
3. Ultimo punto, o per dirla con le parole di Giannuli: “la lista Tsipras si fa o no?”. Magari lo sapessi, magari avessi la sfera di cristallo. Comunque, lo sapremo a breve, perché i tempi sono molto stretti e Tsipras venerdì sarà a Roma al Valle occupato. Credo che in quel frangente qualche elemento più concreto ci sarà per forza di cose, in positivo o in negativo.
Per quanto mi riguarda, come ho già scritto, io tifo perché ci sia la lista Tsipras e per quel che vale mi impegno in tal senso. E lo faccio nonostante sia perfettamente consapevole delle contraddizioni, delle difficoltà, dello stato pietoso in cui sono ridotte le sinistre italiane, delle tante autoreferenzialità dei ceti politici di partito e non di partito, dei litigi, degli odi, delle cazzate e delle idiozie. Lo faccio perché Tsipras rappresenta un’esperienza politica concreta e positiva e perché oggi la sua candidatura a livello europeo costituisce una possibilità per costruire convergenze a livello continentale per un’altra Europa.
Non è detto che si riesca, ovviamente. Tanti dicono di sostenere Tsipras, ma mettere i tanti insieme è dura, ci conosciamo. Eppure, per poter funzionare bisogna mettere insieme tutti e fare un'unica lista, aperta e includente.
I tempi sono stretti? Ci sono tante firme da raccogliere, grazie a una legge elettorale che penalizza chi non è già in parlamento? Certo, è difficile, ma non impossibile, a patto che la lista non sia un pateracchio, che non respinga le forze dotate di organizzazione, che non dia l’impressione di essere un club privato e, soprattutto, che in giro susciti un po’ di sano entusiasmo.
La lista, anche se riesce a presentarsi e a superare lo sbarramento, poi “si squaglierebbe in venti secondi”. Forse sì, forse no. Io penso che del poi bisogna occuparsi poi e che sarà determinato anche da quello che è successo prima. E magari, facendo delle cose insieme, si riesce a cambiare tutti e tutte e non necessariamente in peggio.
Insomma, ci sono tante controindicazioni e tanti pericoli. Ma i tempi della politica raramente seguono i nostri tempi, cioè quelli che noi pensiamo debbano essere i nostri tempi. Bisogna dunque osare, tentare, altrimenti non combineremo mai niente. Io la vedo così.
Per concludere, io sono fermamente convinto che la dimensione europea della lotta e del conflitto sia una necessità imprescindibile per i movimenti sociali, per le organizzazioni dei lavoratori e per le forze che fanno i conti con il livello elettorale e istituzionale. E che dunque sia quello il contesto in cui bisogna agire e costruire, anche al di là delle elezioni europee, che tuttavia nella congiuntura attuale assumono un significato politico di primaria importanza. Per questo vale la pena lavorare perché ci sia una lista Tsipras anche in Italia. Magari ci riusciamo, magari finisce prima di iniziare. Lo vedremo. Comunque sia, anche nella peggiore delle ipotesi, potremo dire di averci provato, invece di arrenderci passivamente a quel che passa il convento, cioè l’astensionismo o il voto al M5S. Nella migliore delle ipotesi, invece, avremo fatto finalmente qualcosa di utile.
Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 11/02/2014, in Lavoro, linkato 1165 volte)
La miglior difesa è l’attacco, avranno pensato Susanna Camusso e il suo entourage, specie quando in gioco ci sono delle posizioni di potere ritenute fino ad oggi consolidate e inattaccabili. E quindi, in questi giorni è partita una vera e propria offensiva all’interno della Cgil per estendere il pessimo e antidemocratico testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio scorso, siglato da Cgil-Cisl-Uil e Confindustria, a tutte le categorie del mondo del lavoro, compreso addirittura il pubblico impiego, dove esiste già un accordo generale che regola la rappresentanza.
Il primo appuntamento formale in questo senso è programmato per venerdì prossimo a Milano, quando tutte le categorie, tranne la Fiom (…), verranno chiamate a raccolta da Susanna Camusso per “estendere gli accordi su democrazia e rappresentanza a tutti i luoghi di lavoro”. Formalmente si tratta di un attivo regionale dei “settori non industriali”, ma per i duri di comprendonio il comunicato stampa ufficiale precisa subito che “saranno presenti i Segretari Generali Nazionali delle categorie interessate”.
Tanta fretta e tanto decisionismo colpiscono in un’organizzazione che in tutti questi anni di governi tecnici e di larghe intese, di riforme Fornero, riscrittura dell’art. 18, licenziamenti e austerity non ha promosso nemmeno uno sciopero generale degno di questo nome. Ma qui il punto è un altro, cioè che la crisi che scuote la più grande organizzazione sindacale del paese è anche crisi del suo potente apparato, cioè della sua capacità di fabbricare e organizzare consenso ed egemonia.
Le avvisaglie c’erano da tempo e, in fondo, sono in sintonia con quanto accade sul piano più generale, ma ultimamente i campanelli d’allarme sono diventanti davvero tanti e frastornanti. Basti pensare, per esempio, alle ultime primarie del Pd, dove l’indicazione di voto compatta da parte della quasi totalità del gruppo dirigente della Cgil a favore di Cuperlo si è rilevata drammaticamente irrilevante. E ora c’è pure la Fiom che rompe le scatole, che ha i vertici di tutte le categorie contro, ma che ciononostante non ha piegato la testa e, anzi, è riuscita a mettere in difficoltà Susanna Camusso.
A questo punto, però, sono successe una serie di cose, che indicano che il gruppo dirigente camussiano -e con esso l’intero apparato della Cgil- ha deciso di giocarsi il tutto per tutto. L’obiettivo è palese: liquidare ogni opposizione nella Cgil. E per poter fare questo, oggi e qui, va anzitutto liquidata l’autonomia della Fiom, cioè l’unica categoria che ha osato dire che non era d’accordo.
Il tutto è iniziato sabato scorso, con l’intervista a Susanna Camusso su Repubblica, in cui è stato annunciato un referendum tra gli iscritti “sul testo unico ma anche sul nostro modello sindacale”. Molti l’avevano scambiata per un’apertura verso Landini, visto che lui chiede il referendum. Invece, si è trattato dell’esatto contrario, perché a votare sarebbero stati non i lavoratori interessati e nemmeno gli iscritti Cgil interessati, bensì tutte le categorie della sola Cgil. Ma poiché sarebbe un po’ problematico spiegare al mondo perché i lavoratori del pubblico impiego o del commercio dovrebbero decidere su un accordo che non viene applicato a loro, ma solo a quelli dell’industria, allora è stato deciso di estendere, almeno in prospettiva, il testo unico del 10 gennaio a tutte le categorie dell’universo. Et voilà, les jeux sont fait, tutti gli iscritti Cgil possono votare e così mandiamo sotto la Fiom. E se poi non si adeguano ancora, ci sono sempre le sanzioni.
In teoria, chi non fa parte della Cgil, come il sottoscritto, a questo punto potrebbe anche disinteressarsi della questione oppure seguirla come spettatore. Sì, ma molto in teoria, perché in realtà qui non si sta parlando delle regole valide per gli iscritti della Cgil (o della Cisl o della Uil), bensì delle regole valide per tutti i lavoratori e le lavoratrici in Italia. E pur di salvare se stessi, Susanna Camusso e l’apparato Cgil sono disposti a far felice Cisl e padroni e a imporre l’estensione dell’accordo del 10 gennaio a tutti e tutte, persino andando a riscrivere e peggiorare le regole vigenti nel pubblico impiego, che fino a ieri venivano esibite come un modello.
Ma in fondo questo ha una sua logica. Lo stesso accordo sulla rappresentanza riflette la paura di perdere il controllo, poiché invece di aprire una riflessione critica e cercare di tornare al senso originario del fare sindacato, è stata scelta la strada opposta, quella del sistema bloccato e chiuso, quella della ricerca della propria legittimazione nelle pacche sulle spalle della controparte e, in ultima analisi, quella del sequestro e della privatizzazione dei diritti e delle libertà, anche costituzionali, che appartengono ai lavoratori (vedi il mio intervento Rappresentanza: arrivano il porcellum sindacale e le sanzioni per chi lotta).
Avrà una sua logica, certo, ma è proprio quella logica che non va bene. E quindi, molto concretamente, quello che ora sta accadendo in Cgil non riguarda soltanto la Cgil, ma riguarda tutti i lavoratori e le lavoratrici di questo paese, anzi, riguarda la qualità democratica tout court del paese. E quindi è un problema di tutti contribuire affinché a Susanna Camusso venga impedito di portare a compimento i suoi propositi.
Luciano Muhlbauer
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