Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
E infine l’avviso di garanzia a Roberto Formigoni è arrivato, per corruzione con l’aggravante internazionale. Ieri, 25 luglio, la Procura di Milano ha dunque formalizzato quello che tutti già sapevano e invitato il Presidente della Regione Lombardia a presentarsi davanti i magistrati. Ma il problema non è solo giudiziario, anzi, è soprattutto politico.
Di seguito il testo dell’intervista sull’argomento, fattami dal quotidiano “il Manifesto” e pubblicata sul giornale in edicola oggi.
 
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Intervista / LUCIANO MUHLBAUER, ESPONENTE DEL PRC MILANO
«Il centrosinistra deve agire subito, come se si votasse domani mattina»
A cura di Luca Fazio – Milano
 
Le opposizioni chiedono elezioni subito. Non l'abbiamo già sentito troppe volte?
In realtà è persino noioso ripetere oggi la richiesta di dimissioni di Roberto Formigoni. Si tratta della stessa richiesta reiterata tutte le volte che diverse indagini lo [il suo entourage, NdA] hanno coinvolto con accuse molto pesanti, per fatti di corruzione e anche per presunta contiguità con la criminalità organizzata. Per non parlare dei suoi ex assessori indagati per fatti accaduti nella legislatura 2005-2010.
L'avviso di garanzia cambia le carte in tavola?
L'avviso di per sé non rappresenta certo una sorpresa, lo sapevano tutti che era indagato, il Corriere della Sera lo aveva anche sbattuto in prima pagina. L'unico a negare con forza era lui, Formigoni, ma lo faceva solo per portarsi avanti con l'autodifesa e togliere forza all'effetto sorpresa. Da settimane si discute di questa indagine e lui si è sempre difeso alzando il tiro, è arrivato a dire che si tratta di un tentato golpe giudiziario. Tutto è già stato detto e non credo che Formigoni cambi idea e strategia in proposito. Direi che oggi l'unica curiosità sta nel capire come si muoverà la Lega, visto che sono dieci anni che i leghisti governano insieme a lui al Pirellone.
Difficile che la Lega decida di sfidare le urne correndo il rischio di perdere la regione più importante.
La Lega è sempre stata attaccatissima alle sue poltrone e oggi lo è ancora di più a causa della gravissima crisi di consenso che sta vivendo, ma è anche vero che noi abbiamo il dovere di incalzarla su un argomento così delicato visto che proprio blaterando di legalità e scope per fare pulizia Roberto Maroni sta cercando di ribaltare la situazione. Ma il vero problema, lo sappiamo, è un altro: sono le opposizioni.
Appunto. Al di là dell'atto giudiziario, il sistema di malaffare è sotto gli occhi di tutti eppure non sembra che ci sia una alternativa politica qui in Lombardia.
Questa è la stessa domanda inevasa di sempre. Cosa fa la sinistra, cosa fa il centrosinistra? In questi ultimi mesi è apparso evidente che l'unica vera opposizione a Formigoni è la Procura della Repubblica di Milano, la quale, intendiamoci, fa solo il suo dovere. Ma dobbiamo avere ben chiaro che anche la migliore procura non potrà certo risolvere il nodo del collasso del sistema politico formigoniano. Questa impasse è un dramma per la Lombardia in un periodo di forte crisi come questo.
Formigoni non di dimette. Allora come se ne esce?
Il centrosinistra deve avviare immediatamente un percorso che porti alla definizione di un'alternativa di governo, con primarie vere e inclusive che allarghino la partecipazione ai tutti i movimenti e alle associazioni lombarde. Solo con un dibattito aperto possiamo arrivare ad un candidato credibile.
Siamo all'anno zero o ci sono già rumors su chi potrebbe sfidare la destra in Lombardia?
Nomi ne circolano anche troppi, ma non è il caso di dargli credito, il punto è che fino ad oggi le opposizioni non hanno voluto giocare fino in fondo questa partita che è tutta politica. Non è solo una questione di nomi.
Deboli o incapaci?
Diciamo che diciassette anni di formigonismo hanno fatto breccia anche nel campo delle opposizioni. Non mi riferisco solo al caso di Filippo Penati, il potente uomo che del Pd del nord a sua volta indagato con l'accusa di corruzione, parlo di una sudditanza di tipo culturale che riguarda anche il modo di gestire il potere. Il nodo irrisolto è cosa dovrebbe esserci dopo Formigoni. Cambiamo solo la guida del Pirellone o cerchiamo un'alternativa al cosiddetto modello lombardo? E come lo ridefiniamo il rapporto tra pubblico e privato? Questo nodo non è stato sciolto dalla forza politica più consistente, il Pd. L'unico modo per poterlo fare è consegnare ai cittadini un processo aperto e partecipato per costruire un'alternativa.
Un conto è dirlo...
Non c'è tempo da perdere, bisognerebbe cominciare questo processo di definizione di un'alternativa a partire da settembre, il centrosinistra dovrebbe lavorare come se le elezioni fossero domani mattina. Sfido chiunque a sostenere che in questa situazione sia possibile trascinarsi fino al 2015. Siamo già nell'era dopo Formigoni, ma più lenta sarà l'agonia più gravi saranno i danni per una regione già colpita dai tagli del welfare, dalla disoccupazione e della crisi delle attività produttive.
E l'idea che il Celeste se ne vada in parlamento approfittando delle prossime elezioni del 2013?
In questo momento Formigoni, come quasi tutto il ceto politico del Pdl, è ostaggio della crisi del centrodestra, e in assenza di sbocchi alternativi farà di tutto per aggrapparsi alla poltrona. Proprio per questo il suo inarrestabile declino rischia di essere tutt'altro che breve. Ma mettiamoci in testa che la magistratura non può bastare.
 
da il Manifesto del 26 luglio 2012
 
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La notizia di un possibile e imminente intervento di polizia contro il presidio operaio alla Jabil di Cassina de’ Pecchi (MI) è arrivata come una doccia fredda ed ha decisamente il sapore della beffa. Già, perché sono passati soltanto pochi giorni dall’incontro sulla vertenza Jabil del 24 luglio scorso, che ha visto la partecipazione del Ministero dello Sviluppo Economico, di Invitalia, della direzione di Nokia Siemens Networks, proprietaria dell’area, e dei rappresentanti dei lavoratori e che, soprattutto, ha prodotto l’impegno concreto, da parte governativa, di presentare entro sei mesi un progetto di sviluppo produttivo del sito, capace di assorbire i 325 operai ed operaie licenziati in tronco dalla Jabil il dicembre scorso.
Ma come, all’inizio della settimana le istituzioni si impegnano per l’occupazione e alla fine della stessa settimana sarebbero invece disponibili a rispondere positivamente alla richiesta della Jabil, che chiede di cacciare con la forza gli operai e di entrare nel sito produttivo al fine di smantellarlo? Sarebbe davvero il colmo!
Ovviamente, chi di dovere ha già richiesto a Prefettura e Questura di non dare seguito alle richieste della Jabil, che si riconferma assolutamente indisponibile a discutere con i lavoratori e le organizzazioni sindacali. Ma allo stato non sono pervenuti segnali tranquillizzanti e pertanto dobbiamo ritenere possibile un intervento di forza a breve. Anzi, a brevissimo, perché a questo punto ogni giorno è buono.
Il presidio degli operai della Jabil era iniziato un anno fa e si è rafforzato nelle sue ragioni strada facendo, specie con il licenziamento di massa di dicembre scorso. Quella resistenza, quella lotta e quel presidio sono maledettamente importanti, perché soltanto grazie ad essi si è arrivati all’incontro e agli impegni da parte del Governo di lunedì scorso. Se l’anno scorso gli operai e le operaie si fossero rassegnati e se avessero permesso lo smantellamento dello stabilimento, allora oggi non avremmo di fronte quella piccola, ma preziosa possibilità per il futuro, ma soltanto un immenso e triste deserto. Per questo, soprattutto per questo, c’è bisogno che il presidio degli operai ed i macchinari rimangano lì dove sono.
In altre parole, ora tocca noi fare qualcosa, perché occorre dimostrare che gli operai della Jabil non sono soli, che c’è solidarietà e complicità con loro, che la loro lotta per il lavoro non riguarda soltanto loro, ma tutti e tutte.
 
Per questo rilancio l’invito che viene dai lavoratori del presidio della Jabil: andare al presidio, stare lì e portare solidarietà, a partire da questa notte o non più tardi delle 5.00-5.30 del mattino.
 
Il presidio Jabil si trova a Cassina de’ Pecchi (MI), Strada Padana Superiore, al km 158.
 
Luciano Muhlbauer
 
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L’annunciato intervento di forza alla Jabil di Cassina de’ Pecchi (MI) è arrivato oggi all’alba, ma il blitz si è risolto in un fallimento completo per la multinazionale statunitense. Questo fatto dovrebbe far riflettere e, soprattutto, spingere tutti gli attori istituzionali a dare forza agli impegni di reindustrializzazione del sito, presi dal Ministero dello Sviluppo Economico soltanto lunedì scorso a Cassina.
Infatti, in questa settimana le istituzioni hanno brillato per ambiguità, poiché agli impegni concreti per il rilancio produttivo ed occupazionale di lunedì scorso, è seguito oggi un massiccio dispiegamento di polizia e carabinieri che ha aperto con la forza la strada a due camion e a una trentina di lavoratori, probabilmente dipendenti di una cooperativa a basso costo, che avrebbero dovuto asportare dal sito componenti e macchinari per conto del management della Jabil.
Se questa operazione fosse andata in porto, probabilmente gli impegni ministeriali sarebbero finiti in un cestino nel giro di qualche settimana, poiché una fabbrica svuotata di ogni valore e un presidio operaio smantellato non producono né vertenze, né soluzioni, né rispetto degli impegni. Ahinoi, così vanno le cose nel nostro paese.
Oggi le istituzioni non hanno fatto il loro dovere e tutto il peso della salvaguardia di una prospettiva produttiva ed occupazionale è rimasta sulle spalle degli operai e delle operaie licenziati da Jabil. Grazie alla loro straordinaria determinazione e al sostegno solidale ricevuto questa mattina da parte di molti, a partire dalla Fiom di Milano e dai giovani dei movimenti, stamattina i piani della direzione Jabil sono naufragati.
Polizia e carabinieri si sono presentati poco dopo le ore 5.00. La resistenza dei due presidi, corrispondenti a due ingressi allo stabilimento, è stata molto decisa, ma sempre a mani nude e a volto scoperto, mai violento, e quindi era solo questione di tempo perché i reparti antisommossa si aprissero un varco. Ma non era finita lì, perché dall’interno diversi operai salivano sui tetti in segno di protesta e, successivamente, decine di lavoratori e giovani sono riusciti ad invadere lo stabilimento, dove gli addetti inviati dalla direzione Jabil stavano tentando di portare via il materiale. Morale della storia: il blitz si è impantanato appena entrato nel vivo e poco dopo le 8.00 i due camion stavano già ripartendo, quasi vuoti.
Oggi, chi ha difeso il presidio operaio e l’integrità dello stabilimento ha reso un servizio non solo a se stesso, ma soprattutto all’interesse generale, poiché ha salvaguardato la possibilità di vedere rinascere l’attività produttiva. E questo dovrebbe essere di insegnamento a chi, pur essendo istituzione pubblica, ha preferito assecondare l’interesse privato di una società multinazionale che se ne frega dei territori e delle persone
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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di lucmu (del 03/09/2012, in Movimenti, linkato 911 volte)
Intervento di Luciano Muhlbauer pubblicato sul sito di movimento milanese “Milano in Movimento” il 3 settembre 2012
 
Gli anticicloni se ne sono andati e le vacanze sono finite, anche se, segno dei tempi, per sempre più milanesi, giovani e meno giovani, queste non sono mai iniziate. Comunque sia, ora l’autunno è qui e bisogna fare il punto sugli scenari che abbiamo di fronte e sulle cose da fare, cioè sull’agenda d’autunno dei movimenti milanesi.
 
1. Al primo posto c’è senz’altro il lavoro e il reddito. È anzitutto un problema di priorità politica, perché il paradosso del tempo presente, o meglio di molta politica del tempo presente, è che la questione socialmente più dirompente e che decide il presente e il futuro delle persone, si trovi magari al primo posto nelle chiacchiere pubbliche, ma poi finisca in fondo alla lista degli impegni veri.
Ma è anche un problema terribilmente concreto ed immediato dei nostri territori, perché sebbene la situazione qui non sia estrema come quella della Sardegna, che rischia una desertificazione produttiva pressoché totale, essa è però sempre più preoccupante e compromessa: lo scorso luglio la Lombardia ha segnato il record italiano di ricorso alla cassa integrazione, come ennesima testimonianza del processo di deindustrializzazione, e i recentissimi dati di Unioncamere e Ministero del Lavoro, relativi al 2012, segnalano un calo dell’occupazione anche nella provincia di Milano, che colpisce soprattutto i lavoratori precari.
In questo quadro desolante, segnato dal prolungato e persistente assenteismo delle istituzioni, nazionali e regionale, assumono un valore particolare e generale le lotte di resistenze dei lavoratori, come quelle nelle cooperative della grande distribuzione (Basiano, do you remember?) o quella della Jabil (ex Nokia Siemens) di Cassina de’ Pecchi, perché ci ricordano che non tutto è già scritto e che si può anche tentare di cambiare il futuro.
E allora, per essere concreti, dobbiamo mettere quelle lotte, cioè la solidarietà e il sostegno a quelle lotte, tra le cose da fare. Alla Jabil, il 27 luglio scorso, il movimento milanese, nelle sue diverse articolazioni, aveva saputo essere all’altezza della situazione ed aveva portato un contributo decisivo affinché fallissero i piani della proprietà e il presidio operaio potesse continuare. Abbiamo dunque guadagnato tempo prezioso, ma ora si tratterà di dare continuità a quella battaglia.
 
2. In secondo luogo, c’è il tema degli spazi sociali, che in realtà andrebbe chiamato in qualche altro modo, perché temo che questa definizione sia ormai insufficiente a contenere la ricchezza di esperienze e pratiche che intende racchiudere. Già, perché fortunatamente gli ultimi anni hanno visto sul territorio milanese, nella sua accezione più ampia, un importante processo di rinnovamento, dalle potenzialità ancora da esplorare, che anche nel primo semestre del 2012 ha portato all’affacciarsi di nuove esperienze, (Piano Terra, Officina dei Beni Comuni, Macao, Lambretta), di cui alcune caratterizzate da una forte carica innovativa.
Ovviamente, nulla è conquistato per sempre, anzi, i contraccolpi e gli sgomberi sono sempre in agguato e questo vale anche –e forse soprattutto- per le nuove realtà. Macao, dopo un atto di nascita poderoso e travolgente, due sgomberi e un successivo peregrinare per i meandri della città, si è infine accasato all’ex macello di viale Molise 68. Allo stato un atto di forza per sgomberare il “nuovo centro per le arti, la cultura e la ricerca” non pare all’ordine del giorno, anche se è sempre bene non rilassarsi troppo, e la principale sfida autunnale di Macao sarà dunque di natura politica.
Diverso, invece, è il discorso per il Lambretta, che è a forte rischio sgombero. Beninteso, non perché occupi un posto dove ci sono progetti esecutivi che bussano alle porte, anzi prima dell’occupazione c’era solo abbandono e spaccio, ma perché quel posto è dell’Aler Milano, il cui Presidente, Loris Zaffra, e la maggioranza del Consiglio d’amministrazione sono di nomina regionale, cioè rispondono alla maggioranza politica che governa Regione Lombardia. In altre parole, considerato il contesto politico, la tentazione di buttarla comunque in caciara sul territorio amministrato dall’avversario Pisapia sembra irresistibile.
E, infatti, se non fosse stato per lo spirito di apertura e l’intelligente lavoro nel quartiere da parte dei ragazzi e delle ragazze del Lambretta, lo sgombero sarebbe già arrivato a fine luglio, visto che il Presidente Zaffra l’aveva ancora una volta formalmente sollecitato. Quindi, ora si tratta di riprendere urgentemente quel lavoro, intensificarlo e finalizzarlo.
Un discorso più complesso è quello che riguarda Piano Terra, poiché si tratta di uno spazio di proprietà comunale, dove sarebbe prevista la prossima ubicazione di un “acceleratore d’impresa” per le imprese operanti all’interno delle carceri. Insomma, in questo caso, pare decisiva la strada del dialogo.
 
3. Il terzo asse è senz’altro rappresentato dalle grandi opere, che sul nostro territorio significa anzitutto, sebbene non soltanto, nuove autostrade (Pedemontana, BreBeMi, Tem ecc.) con annessi e connessi. Una follia bella e buona, se guardiamo alla questione dal punto di vista dell’interesse generale: il consumo del suolo in Lombardia ha ormai superato il livello di guardia (Monza e Brianza, ad esempio, è la provincia italiana in assoluto più antropizzata), il modello di mobilità è già ora gravemente sbilanciato a favore dell’automobile privata e a sfavore del trasporto pubblico su rotaie ed i costi per le nuove opere autostradali sono abnormi e sempre più insostenibili. Eppure, si insiste, prima di tutto da parte del governo regionale, perché ormai l’insieme degli interessi particolari e privati coinvolti la fa da padrone.
Tuttavia, il dissenso rispetto a queste opere è cresciuto sui territori, a partire da quello contro la Tem (Tangenziale Est Esterna di Milano), che peraltro insieme alla BreBeMi si dovrebbe mangiare un bel pezzo di Parco Sud. Beninteso, si tratta di un’opposizione ancora troppo debole per poter cambiare il corso degli eventi, ma contiene un elemento estremamente prezioso: cioè, la pluralità di soggetti che si mobilitano, che va dai residenti e agricoltori fino alle realtà di movimento, passando per associazioni ambientaliste ed alcuni soggetti politici. Insomma, si può e si deve investire su queste mobilitazioni, avendo sempre ben chiaro che radicalità e cura della pluralità del movimento sono due aspetti inseparabili.
Un primo appuntamento c’è già e sarà bene non mancarlo: domenica 9 settembre, alle ore 15.00, a Casalmaiocco (LO), per un corteo No Tem.
 
Ebbene, pur avendola fatta lunga, questa agenda non esaurisce ovviamente l’autunno. Ci saranno altre esperienze e lotte da fare o con cui rapportarsi, per esempio nella scuola, ed è un pia illusione pensare che fascisti e razzisti non si rifaranno vivi. Poi c’è il contesto politico generale, perché di fatto saremo in clima di campagna elettorale, e il governo Monti, la Bce e compagnia bella non si fermeranno di certo nella loro opera di smantellamento del welfare e dei diritti. Ci sarà il rapporto con l’amministrazione comunale, le luci e le ombre e l’annunciata “fase 2”. Forse ci sarà anche da occuparsi più da vicino della Regione Lombardia, anzi, di sicuro dovremo farlo, perché le mele non cascano da sole, almeno in politica, neanche quelle marce, come Formigoni e il formigonismo. Ci sarà tutto questo, ma sicuramente i temi e gli assi di mobilitazione indicati nell’agenda attraverseranno tutto quanto e rappresenteranno anche una piccola bussola per non perdersi nella tempesta.
 
Infine, prima di chiudere davvero, dobbiamo ricordarci di un’altra cosa da fare in autunno e anche oltre. Il 13 luglio scorso una sentenza di cassazione ha confermato le condanne per “devastazione e saccheggio” per 10 manifestanti delle giornate di Genova del 2001. Due di loro sono già in carcere. Ebbene, non vanno lasciati soli. E non vanno nemmeno confinati in una solidarietà di nicchia, fatta da pochi per pochi.
 
(visita il sito Milano in Movimento)
 
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Arrivano i cantieri della Tem (Tangenziale Est Esterna Milano). Dopo l’installazione del cosiddetto “campo base” di Truccazzano (MI) e l’inaugurazione ufficiale dell’11 giugno scorso, tenutasi in Provincia di Milano, l’apertura dei cantieri va avanti. Non si sono fermati nemmeno nella torrida estate e con un blitz hanno delimitato l’area cantiere anche dalle parti di Casalmaiocco, nel lodigiano.
E vanno avanti nonostante l’assurdità di questa ennesima colata d’asfalto sia ogni giorno più evidente. Infatti, non passa giorno che su qualche giornale, anche su quelli certamente non ostili alle grandi opere, come il Corriere della Sera, non troviamo qualche grido d’allarme a proposito del consumo del suolo, che in Lombardia ha ormai superato il livello di guardia, con la provincia di Monza e Brianza campione d’Italia in questa poco edificante competizione e con un ritmo da brividi: 13 ettari di verde spariscono ogni giorno a livello regionale.
Poi ci sarebbe pure il modello di mobilità imperante, già estremamente squilibrato a sfavore del trasporto pubblico, a consigliare di non canalizzare le principali –e sempre più scarse- risorse verso le grandi opere autostradali (Pedemontana, BreBeMi, Tem ecc.), aumentando così ulteriormente il traffico automobilistico, con i relativi costi sociali ed ambientali.
Last but not least, c’è il problema del finanziamento della Tem e delle altre grandi opere autostradali. Già, perché a parte ogni possibile considerazione sul contesto generale e sulle priorità, c’è il fatto molto concreto che pur essendo ancora agli inizi, mancano già i fondi per andare avanti… Proprio qualche giorno fa un altro giornale non certo ostile alle grandi opere, come il Sole 24 Ore, aveva titolato: “Pedemontana e Tem rischiano il blocco: servono subito 300 milioni”. Ovviamente, come sottolinea anche il Sole, i soldi si potrebbero forse anche trovare, rivolgendosi però ai privati e dandogli quello che vogliono. E rieccoci al bello del project financing, che significa coinvolgere i privati, garantendogli la remunerazione del capitale attraverso la gestione dei pedaggi futuri e con la concessione di maggior libertà di costruire al fianco dell’infrastruttura (su questo punto il pressing sul quadro normativo da parte del governo regionale è continuo), cioè di “valorizzare” il territorio.
 
Insomma, le ragioni per opporsi a questa follia sono tante e sempre più fondate. Per questo vi invito a sostenere le mobilitazioni contro la Tem, che fortunatamente si stanno moltiplicando. Il 10 giugno scorso c'è stato il bel corteo a Melzo, con un migliaio di persone, e domenica prossima, 9 settembre, ci sarà un corteo No Tem a Casalmaiocco (LO). L’appuntamento è alle ore 15.00 in piazza San Valentino. Ci saranno i comitati locali, rappresentanze dei movimenti, associazioni ambientaliste e alcune forze politiche della sinistra. Io ci vado, se potete, andateci anche voi!
 
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Qui di seguito, l’appello dei comitati per il corteo di domenica:
 
Sono arrivati in piena estate, come un rullo compressore.
Il mais sarebbe stato maturo a breve, ma è stato tagliato senza sentir ragioni, per procedere ad una presunta bonifica da ordigni bellici dei terreni di Casalmaiocco e Vizzolo, interessati dall’Autostrada TEM.
Questo il loro biglietto da visita. Questo il loro modo irrispettoso e prepotente di prendersi il territorio, fuori e dentro il Parco Sud Milano, che nella loro logica non è un Bene Comune da valorizzare, ma qualcosa da saccheggiare per far cassa. Se questa è la loro idea di progresso, è superata nei fatti dalla crisi che viviamo. Non saranno le colate di asfalto, previste in Lombardia, come altrove, a portarci fuori da questo tunnel!
Contro questa visione miope ed egoista, che non porta sviluppo, ma distruzione, inquinamento e precariato, invitiamo tutti i cittadini, i comitati, le associazioni, i lavoratori ed i sindacati, le istituzioni e i politici coraggiosi a partecipare alla grande manifestazione, indetta per il 9 settembre con ritrovo alle ore 15:00 presso piazza San Valentino a Casalmaiocco (LO).
Salviamo il nostro territorio, lottiamo per il nostro futuro.
 
Per chi arriverà in treno sarà disponibile un servizio navetta dalla fermata della linea S1 di San Zenone.
 
DE CHI SE PASA NO!
 
Coordinamento comitati NO TEM
 
 
due siti per tenersi informati sulla mobilitazione No Tem:
 
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di lucmu (del 11/09/2012, in Lavoro, linkato 864 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer pubblicato sul giornale on line Paneacqua.info l’11 settembre 2012
 
Finalmente una buona notizia a sinistra: stamattina sono stati depositati in Cassazione i due quesiti referendari sul lavoro, è stato costituito un comitato promotore unitario e, quindi, a metà ottobre si partirà con la raccolta delle firme per abrogare l’art. 8 del decreto legge n. 138/2011 e per ripristinare l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Si tratta di una buona notizia per diverse ragioni. Anzitutto, perché finalmente si tenta di rimettere al centro dell’agenda politica la questione del lavoro e, soprattutto, i lavoratori e le lavoratrici in quanto portatori di diritti e soggettività.
Certo, i due quesiti non possono esaurire l’insieme del discorso sul lavoro, ma essi aggrediscono senza ombra di dubbio uno dei capisaldi delle politiche liberiste e di austerità, che postula la necessità di ridurre il lavoratore ad individuo isolato, privato dei diritti, sostanzialmente precario e, dunque, docile. Già, perché la ratio delle due norme oggetto dei referendum puntano esattamente a questo: l’art. 8 del decreto legge n. 138/2011 generalizza il modello Marchionne e rende il contratto nazionale sempre e comunque derogabile, depotenziandolo nell’immediato e riducendolo a mero ornamento in prospettiva; la manomissione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori ad opera della riforma Fornero (legge n. 92/2012) liberalizza il licenziamento illegittimo, esponendo il lavoratore al ricatto permanente.
In questo senso, i due quesiti sollevano una questione generale, cioè se la crisi in cui decenni dì politiche liberiste -a partire dalla liberalizzazione dei mercati finanziari- hanno gettato le nostre società debbano essere pagate dai lavoratori, “garantiti” o precari che siano, oppure da quanti portano la responsabilità della situazione. O, molto più semplicemente, se sia ipotizzabile un futuro socialmente e politicamente sostenibile con le politiche di austerità oppure se vada cercata e costruita da subito un’alternativa, rovesciando il paradigma dominante.
E qui siamo alla seconda ragione che fa di questi referendum una buona notizia. Cioè, finalmente c’è la possibilità di parlare delle cose vere, del merito e dei contenuti, e non semplicemente di alleanze elettorali a prescindere. Infatti, con questi referendum sul banco degli accusati non troviamo uno schieramento, bensì quella politica che ha attraversato diversi governi: quello Berlusconi, sostenuto da Pdl e Lega, e quello Monti, sostenuto da Pdl, Pd e Udc. In altre parole, si tratta di decidere se continuare con la politiche di Monti, della Bce e della grande finanza oppure se cambiare radicalmente discorso.
In terzo luogo, questo referendum, iniziato con una fuga solitaria in avanti dell’IdV, alla fine ha rimesso attorno ad uno stesso tavolo, cioè uno stesso comitato promotore, diversi soggetti della dispersa sinistra sociale e politica (Fiom, intellettuali, Idv, Prc, Sel, Pdci, Alba, pezzi di Cgil eccetera). Beninteso, non è certo l’inizio di una nuova primavera, è semplicemente quello che è, ma di questi tempi non è poco.
 
Infine, un avvertimento a noi tutti e tutte. L’avvio della campagna referendaria sul lavoro è una buona notizia, ma nulla è dato ovviamente, né sul piano dell’esito della campagna referendaria, né tanto meno su quello delle possibili implicazioni politiche. Siamo solo al punto di partenza, per il resto è ancora tutto da vedere e da fare. Molto dipenderà da quello che riusciremo a mettere in campo. Ma conviene investirci, seriamente!
 
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Venerdì 14 settembre ci sono nel milanese due appuntamenti importanti, ai quali vi invito a partecipare. Il primo, è il presidio per ricordare "Abba" Abdoul Guibre, ammazzato a sprangate quattro anni fa a causa del colore della sua pelle. Il secondo, è l’incontro pubblico organizzato dal presidio operaio della Jabil, a sostegno della loro lotta. Si tratta di due iniziative apparentemente diverse, che di per sé forse tendono a rivolgersi a persone diverse, ma che in fondo parlano dello stesso ordine di problemi, cioè del paese che c’è e del paese che, invece, vorremmo, dove il razzismo la xenofobia siano banditi e dove il lavoro, i lavoratori e i diritti vengano prima dei profitti, dei bilanci e dei privilegi.
 
Ebbene, eccovi le coordinate delle iniziative:
 
Alle ore 19.00, a Milano, in via Zuretti (ang. v. Zuccoli), il luogo dove Abba, allora 19enne, venne assassinato il 14 settembre 2008, ci sarà un presidio. Dicevano che fu ucciso perché aveva rubato dei biscotti, ma in realtà, a spiegare la micidiale violenza che rubò la vita ad Abba non erano tanto i biscotti o qualche “futile motivo”, concetto un po’ troppo comodo, bensì il fatto che il giovane di Cernusco sul Naviglio avesse la pelle nera. E in quell’epoca, che ora sembra così lontana, anche se sono passati soltanto quattro anni, a Milano c’era un brutto clima, consapevolmente e cinicamente fomentato da chi, sedendo ai vertici delle istituzioni locali, indicava sempre e comunque lo straniero, l’immigrato, il clandestino eccetera come causa di ogni male.
Quei tempi ora sembrano lontani, fortunatamente, ma attenzione, la crisi picchia e la destra è sempre in agguato (Grecia e “Alba Dorata” docet) e se dimentichiamo di ricordare, se smettiamo di costruire anticorpi, allora quei tempi possano anche tornare, forse peggio di prima… E poi, ora le seconde e terze generazioni sono cresciute eppure, ottenere la cittadinanza del paese dove sono sempre state, cioè il loro paese, sembra ancora un privilegio e non un diritto o, semplicemente, un atto di buon senso.
Per saperne di più sul presidio, che questo anno comprenderà anche la proiezione di film, e sulle altre iniziative in occasione dell’anniversario dell’omicidio di Abba, visita la pagina Abba Vive. Cittadinanza x tutti, miseria x nessuno.
 
Alle ore 20.30, nel Centro Civico di Cassano d’Adda, in v. Dante 4, inizia l’incontro pubblico “Il lavoro e il presidio Jabil: un’esperienza di lotta in continua evoluzione”. Ci saranno lavoratori e delegati del presidio, rappresentanti dei Comuni della zona, lavoratori di altre realtà e, auspico, molte persone che vogliono portare la solidarietà alla lotta operaia della Jabil di Cassina de’ Pecchi.
L’assemblea sarà un momento di solidarietà, ma anche di conoscenza della situazione dopo il fallito blitz del 27 luglio scorso, quando la proprietà tentò con la forza di asportare materiali e macchinari e, quindi, di smantellare il presidio operaio. Cioè, si tratta di fare il punto della situazione, ma soprattutto di rafforzare ed estendere il sostegno alla lotta, perché ci sono gli impegni del Ministero, che però vanno tradotti in pratica –e questo difficilmente accadrà spontaneamente-, e poi c’è anche la drammatica situazione della Nokia Siemens Networks di Cassina (di cui la Jabil è una cessione di ramo d’azienda), che a luglio aveva annunciato licenziamenti di massa.
Insomma, detto brutalmente, si tratta non tanto di chiacchierare, ma di confrontarsi sul da farsi. E l’incontro di Cassano è una buona occasione per farlo.
 
Ci vediamo venerdì, spero.
 
Luciano Muhlbauer
 
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Il centrodestra regionale preferisce il degrado e lo spaccio alle attività sociali e culturali di un gruppo di giovani? Una domanda apparentemente assurda, visto che parliamo di amministratori pubblici, ma che purtroppo si fa molto concreta di fronte alle strane e ripetute pressioni su Prefetto e Questore perché procedano con urgenza allo sgombero del “Lambretta” di piazza Ferravilla, a Milano.
Già, perché a giudicare dalle insistenze del Presidente dell’Aler Milano, Loris Zaffra, e dell’Assessore regionale alla Casa, Domenico Zambetti, sembra quasi che le “villette” occupate dai giovani nell’aprile scorso rappresentino la quintessenza del problema casa a Milano. Invece, queste erano vuote prima e neanche oggi esistono progetti concreti di alcun tipo.
Ebbene sì, perché contrariamente a quello che sostengono gli esponenti regionali, non risulta dagli atti pubblici che gli immobili in questione siano stati venduti o che ci siano lavori di riqualificazione alle porte.
Dalla documentazione di Infrastrutture Lombarde S.p.A., la società a controllo regionale incaricata della “valorizzazione” degli immobili Aler del “Quartiere De Sarto”, si evince infatti quanto segue: 1) quasi tutti gli immobili (i civici: v. Andrea del Sarto 26/28 e 30/32, via Tiepolo 53/55, p.zza Ferravilla 11/13 e 15, v. Appollodoro 1, 3/5, 4 e 6) sono stati messi in vendita alla fine dell’anno scorso e l’asta pubblica, dopo vari rinvii, si è tenuta il 22 maggio scorso, senza esito positivo conosciuto; 2) un’altra parte degli immobili (i civici: v. del Sarto 20 e via Tiepolo 49-51) è oggetto di lavori di ristrutturazione,  in vista di Expo 2015, ed il relativo appalto è stato aggiudicato il 16 luglio scorso.
In altre parole, le villette attualmente occupate dai ragazzi, che si trovano in p.zza Ferravilla 11, non sono state vendute ed i lavori di riqualificazione riguardano altri immobili. Cioè, non vi è urgenza, né pregiudizio in relazione ad eventuali progetti di valorizzazione o riqualificazione. E allora, perché tutto questo accanimento, visto peraltro che i ragazzi del  Lambretta rappresentano nemmeno un problema di ordine pubblico?
Probabilmente la risposta è da cercarsi nel clima politico, in un centrodestra senza idee per Milano e in gravi difficoltà politiche e giudiziarie in Regione. Troppo forte pare dunque essere la tentazione di buttarla in caciara in casa dell’avversario Pisapia e, en passant, di far dimenticare che l’Aler, la cui sede milanese si trova a soli 200 metri, non si è nemmeno accorta che le villette abbandonate erano diventate un piccolo fortino dello spaccio.
D’accordo, occupare è illegale, ma non è forse preferibile, da ogni punto di vista, che nelle villette ci siano i ragazzi del Lambretta con le loro attività, piuttosto che lo spaccio e l’eroina? E non sarebbe meglio che l’assessore regionale e il presidente dell’Aler aprissero un confronto con il territorio, magari a partire dal Consiglio di Zona, per spiegare ai residenti cosa intendono fare con le villette, piuttosto che tirare per la giacchetta la Questura per fini poco trasparenti?
Da parte nostra auspichiamo che Questore e Prefetto sappiano resistere alle infondate ed improprie pressioni regionali ed esprimiamo la nostra solidarietà ai ragazzi e alle ragazze del Lambretta.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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C’è la crisi e poi ci sono i furbetti della crisi. E così, nonostante le commesse siano tornate, la proprietà ha annunciato la chiusura dello stabilimento Maflow di Trezzano sul Naviglio (MI), facendo carta straccia degli impegni e degli accordi firmati.
Ieri pomeriggio, infatti, si è tenuto un incontro in Regione Lombardia, dove il gruppo multinazionale polacco Boryszew, proprietario della Maflow, ha formalizzato la sua intenzione di chiudere la fabbrica e, dunque, di avviare la procedura di mobilità, cioè il licenziamento, per 70 lavoratori dei 90 rimasti.
Senza farla troppo lunga, poiché su questo blog ne avevamo parlato ripetutamente e poi vi segnalo anche il blog dei lavoratori Maflow, ricordo soltanto che la Maflow, produttrice di componenti auto, era entrata in crisi a causa del taglio delle commesse da parte della Bmw, che rappresentavano l’80% del lavoro dello stabilimento di Trezzano. Quindi, dopo un periodo di commissariamento, la Maflow fu venduta nel 2010 alla Boryszew, comportando peraltro una forte riduzione di personale. Tutta l’operazione era legata e vincolata ad un’ipotesi precisa, che era poi la base su cui poggiavano le prospettive di rilancio produttivo della fabbrica: cioè, ottenere che la Bmw riassegnasse le commesse alla Maflow. Ebbene, anche grazie alle mobilitazioni dei lavoratori, che si erano recati finanche in Germania, le commesse Bmw sono tornate, ma i furbetti della Boryszew, disattendendo totalmente quanto da loro stessi firmato due anni fa, hanno deciso che la produzione verrà spostata in altri stabilimenti del gruppo, in Polonia e forse anche in Cina, dove il costo della manodopera è inferiore e i profitti dunque maggiori.
Da Regione Lombardia e Ministero ci aspettiamo che escano dal letargo e che agiscano con urgenza, anche perché –ed è opportuno ricordarlo- in tutta questa operazione di vendita e accordi firmati c’erano anche loro.
Ci saranno poi le azioni legali, necessarie e sacrosante, che promuoveranno le due organizzazioni sindacali che sostengono la battaglia dei lavoratori Maflow, cioè la Cub e la Fiom, perché la Boryszew ha violato tutti gli accordi firmati, truffando di fatto i lavoratori.
Tuttavia, ciò non basta, perché l’esperienza insegna che puoi anche vincere in tribunale, ma nel frattempo ti hanno chiuso e sigillato la fabbrica… Quindi, i lavoratori hanno deciso di mobilitarsi, subito.
Ieri sera è stata dichiarata l’assemblea permanente e questo fine settimana non si allontaneranno dalla loro fabbrica, per difenderla, per non permettere che qualcuno tenti di smantellarla di notte o di domenica.
Gli operai e le operaie della Maflow di Trezzano non si sono arresi alla prepotenza della proprietà e hanno deciso di battersi, così come hanno fatto negli ultimi anni. Avranno bisogno di sostegno e solidarietà. L’invito è quello di portargliela.
 
Mentre scrivo, i lavoratori sono riuniti per decidere le iniziative e le modalità dell’assemblea permanente. In ogni caso, lo stabilimento Maflow si trova in via Boccaccio 1, a Trezzano sul Naviglio (MI).
 
Luciano Muhlbauer
 
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di lucmu (del 26/09/2012, in Regione, linkato 885 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sui giornali on line MilanoX e Paneacqua.info il 26 settembre 2012
 
Renata Polverini si è dimessa e la Regione Lazio va al voto. Roberto Formigoni, invece, non ci pensa nemmeno e così la Regione Lombardia continua a navigare a vista, senza più idee e progetti, se non quello di tentare di salvare i destini e gli interessi del Presidente e della sua cerchia.
Dicono che è giusto così, perché la Lombardia non è mica il Lazio e di fronte a certe desolanti scene da fine impero a spese del contribuente verrebbe quasi da dargli ragione. Già, Er Batman e Ulisse, le ancelle e i maiali, sono difficili da superare. E anche la trovata della Polverini di estendere il vitalizio ai suoi assessori non eletti (sic) non è facile da battere. Eppure, a guardare bene, al netto dei toga party la situazione in Lombardia è forse anche più grave.
E poi, non è nemmeno vero che in terra lombarda certe cose non succedono. In fondo, il bunga bunga è stato inventato in Brianza ed ha prodotto persino una consigliera regionale, tale Nicole Minetti, eletta nel listino del Presidente Formigoni (quello delle firme false, per intenderci). O vi ricordate di un certo trota oppure di tal Pier Gianni Prosperini, stella  fascistoide e xenofoba delle tv locali e soprattutto assessore di Formigoni, condannato per corruzione e turbativa d’asta, nonché tuttora indagato per traffico d’armi? Ma stile e sobrietà si cercano inutilmente anche nelle vicende di altri due ex assessori di Formigoni, Nicoli Cristiani e Ponzoni, finiti in carcere l’inverno scorso per corruzione. Il primo accumulava a casa sua banconote da 500 euro, mentre il secondo aveva persino ricevuto un boss della ‘ndrangheta all’assessorato.
Ovviamente, il Presidente Formigoni dice di non c’entrare nulla, esattamente come sostiene l’ex Presidente Polverini. Ma se la seconda è poco credibile, il primo dovrebbe addirittura far sobbalzare dalla sedia, visto che buona parte dei consiglieri regionali inguaiati sono suoi ex assessori, accusati peraltro di reati commessi quando facevano gli assessori. Un esempio? L’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale nominato all’inizio della legislatura è per quattro quinti inquisito per corruzione. Ebbene, a parte il contributo poco edificante del Pd con Penati, gli altri tre, cioè i già citati Nicoli Cristiani (Pdl) e Ponzoni (Pdl), nonché l’ex Presidente, Boni (Lega), erano tutti assessori di Formigoni fino alla primavera del 2010.
Ma la vera differenza con il Lazio sta da un’altra parte. In Lombardia Formigoni e Comunione e Liberazione governano in maniera ininterrotta da ormai 17 anni e in questo tempo si è formato, radicato e ramificato un sistema di potere, dove pubblico e privato si sovrappongono e si confondono. La conseguenza è un diffuso malaffare che trova il suo core business nella sanità, il settore che assorbe la maggior parte del bilancio regionale.
Infatti, in quello che Formigoni chiama “modello Lombardia” vi è una contraddizione intrinseca. Cioè, prima si mettono su un piano di totale parità soggetti pubblici e soggetti privati, ma poi questi ultimi non camminano sulle proprie gambe, ma campano integralmente sui contributi e rimborsi pubblici. In altre parole, i buoni rapporti con chi comanda in Regione è determinante per poter fare affari nella sanità. Lo sapevano bene Don Verzé e il San Raffaele e lo sapeva bene la Fondazione Maugeri, il cui incaricato del lobbying presso l’assessorato alla Sanità, cioè Pierangelo Daccò, era lo stesso che pagava le lussuose vacanze a Roberto Formigoni.
Sarà il processo a decidere se Formigoni è colpevole di corruzione, come sostiene la Procura, oppure no, ma da un punto di vista morale e politico una cosa è chiara ed cristallina da tempo: il sistema di potere costruito da Formigoni e Cl e sostenuto dalla Lega Nord, è marcio, irriformabile e un danno per la Lombardia.
No, la differenza tra Regione Lazio e Regione Lombardia non sta nel livello di degrado morale ed istituzionale, ma unicamente nella quantità di potere controllato dai protagonisti. Renata Polverini non aveva più una maggioranza e sarebbe stata mandata a casa dai consiglieri dimissionari. Ha semplicemente anticipato i tempi, cercando di salvare la faccia con una furbata. Formigoni, invece, può contare su un sistema di potere e di complicità che non si ferma ai confini del suo campo politico e finché la Lega lo sosterrà non ci sarà una maggioranza di consiglieri in grado di sciogliere il Consiglio con le sue dimissioni.
Eppure, dopo la vicenda Lazio qualcosa è cambiato. Oggi, Roberto Formigoni è un po’ meno legittimato nella sua arroganza e nel suo arroccamento. Certo, sarà düra, come dicono da un’altra parte, ma questo è il momento di agire, non per sostituire un presidente, beninteso, bensì per cambiare il modello. Oggi in Lombardia, questo è il tema per la sinistra.
 
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