Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
L’Expo si farà, non c’è alcun dubbio. O meglio, quasi tutti faranno di tutto perché si faccia, comunque. Troppi si sono esposti, troppe risorse sono state mobilitate e troppe promesse sono state fatte nel suo nome. E quindi, non c’è scandalo attuale o futuro che tenga, indietro non si può tornare. Ma tutto il resto, cioè cosa sarà esattamente Expo e, soprattutto, cosa ci lascerà in eredità, è un problema più che mai aperto. Anzi, è il problema.
Ma iniziamo da quello che Expo sicuramente non sarà. Cioè, non sarà quella cosa presentata a suo tempo al Bie e ostentata da Formigoni, Moratti e Penati nella grottesca Victory Parade del 2008. Il progetto originario è stato ripetutamente tagliato, ridotto e modificato. Vi ricordate, tanto per fare degli esempi, delle vie d’acqua navigabili, della linea metropolitana M6 o dell’orto planetario? Ebbene, oggi non solo tante cose non ci sono più, ma anche molte delle opere connesse sopravvissute non saranno pronte per l’evento.
Colpa della crisi, dirà qualcuno. Certo, la crisi ha peggiorato la situazione, ma il percorso era viziato sin dall’inizio. Infatti, una cosa era il progetto presentato per farsi assegnare l’Expo, ma ben altra faccenda era la realtà fatta di prepotenti appetiti immobiliari e speculativi, di cui lo scontro istituzionale tra l’allora Sindaco di Milano, Letizia Moratti, e l’allora Presidente regionale, Roberto Formigoni, ambedue di centrodestra, era un fedele riflesso. Eravamo solo nel 2009, ma già allora un preoccupato Corriere della Sera titolava Expo, l’occasione (quasi) perduta.
Oggi e qui, quando manca soltanto un anno all’evento, Expo si presenta come un grande pasticcio. Un pasticcio pesantemente contaminato dal malaffare e dalle infiltrazioni malavitose. E non si tratta di quisquilie che si possano liquidare con un’alzata di spalle. Quando il Prefetto di Milano parla di 34 imprese allontanate dal 2009 ad oggi (appalti M5, Teem, Pedemontana, sito Expo) e scrive alla Commissione parlamentare antimafia che c’è “una tendenza che si sta delineando e sempre più consolidando di una penetrazione nei lavori Expo di imprese contigue, se non organiche alla criminalità organizzata”, allora la soglia di allarme è già oltrepassata.
E poi c’è l’affaire Infrastrutture Lombarde (Ilspa) e la decapitazione del suo vertice ad opera della Procura di Milano, che sta destabilizzando fortemente Expo e gettando ulteriori pesanti ombre sulla gestione dell’evento. E non potrebbe essere diversamente, considerato il ruolo della società nella gestione degli appalti e il fatto che Ilspa è controllata al 100% da Regione Lombardia. E solo un ingenuo può pensare che sia finita qui, perché l’inchiesta è destinata ad allargarsi. Tanto per fare un esempio, in un’informativa della Guarda di Finanza il comportamento del Commissario Unico di Expo, Giuseppe Sala, viene definito “né irreprensibile, né lineare”.
Ma tutto questo marciume era davvero imprevedibile e inevitabile? Certo, viviamo nel mondo in cui viviamo e nessuno ha la bacchetta magica, ma è altrettanto vero che buona parte del marcio di oggi è il frutto delle condizioni e dell’ambiente in cui il progetto Expo era nato. Oggi a Milano abbiamo per fortuna un Prefetto attento alla lotta contro le mafie, ma vi ricordate che ancora nel gennaio 2010 l’allora Prefetto -e attuale Presidente dell’Aler Milano- Gian Valerio Lombardi dichiarò che dalle nostre parti la mafia non esisteva?
Oppure avete presente il sistema politico-affaristico formigoniano che condizionò sin dall’inizio i progetti legati a Expo e di cui Infrastrutture Lombarde e il suo management sono diretta espressione? Anzi, Ilspa è una di quelle società del cosiddetto Sistema Regionale (SiReg), collocate dalla gestione Formigoni fuori dal perimetro stretto dell’amministrazione regionale proprio per sottrarle ai meccanismi ordinari di controllo istituzionale e per metterle alle dirette ed esclusive dipendenze della Presidenza lombarda. Ebbene, Formigoni non c’è più e la magistratura sta smantellando pezzo per pezzo il sistema di potere ciellino, ma il vero problema è che l’attuale Presidente, Roberto Maroni, non ha mai rotto veramente con quel sistema e non ha mai prodotto discontinuità. E il fatto che Rognoni sia stato messo fuorigioco dalla Procura e non dal presidente leghista sta lì a ricordarcelo.
Nonostante tutto ciò molti milanesi e lombardi continuano a guardare con favore al mega evento, nella speranza che possa rappresentare almeno una boccata d’ossigeno economica. E come biasimarli, con i tempi che corrono. Certo, qualcosa arriverà di sicuro e comunque: un po’ di turismo, un po’ di denaro fresco e qualche posto di lavoro (precario) in più. Ma difficilmente Expo potrà essere quel volano economico universale invocato a ogni piè sospinto da Presidenti, Sindaci e Ministri, come se un grande evento potesse sostituire un progetto di sviluppo che non c’è. Anzi, la veemenza delle invocazioni è direttamente proporzionale al vuoto di visione politica e di strategie economiche.
E quindi come meravigliarsi che in tutta la vicenda Expo il tema del lavoro e del reddito sia stato ridotto a una triste rincorsa al dumping sociale. Altro che Jobs Act, qui siamo oltre e si vuole derogare persino al contratto precario “normale”. Lavoro volontario, stagista a 516 euro al mese, apprendista di Operatore di Grande Evento eccetera, sono tutte forme contrattuali inventate ad hoc da un accordo sottoscritto l’anno scorso da Expo 2015 S.p.A. e sindacati confederali milanesi.
E come se non bastasse, ora Maroni vorrebbe allargare il modello a tutta la Lombardia e a tutte le categorie, addirittura peggiorandolo ulteriormente. Ma quello che fa davvero specie in tutta questa vicenda è che anche a livello lombardo sembra esserci la piena disponibilità di Cgil, Cisl e Uil (vedi L’Expo della precarietà). Insomma, da una parte si spara a zero sui contratti precari di Renzi, ma dall’altra in Lombardia si trattano cose anche peggiori. Per intenderci, all’apprendistato in somministrazione neanche Renzi ci era ancora arrivato…
Infine, Expo è un’altra cosa ancora. È un campo di battaglia e la posta in gioco è la poltrona di Sindaco di Milano. Insomma, la campagna elettorale in vista delle elezioni comunali del 2016 è ufficialmente iniziata e basta guardare ai protagonisti istituzionali che si fanno sentire di più per capirlo, da Maurizio Lupi, Ministro delle Infrastrutture e ciellino, a Roberto Maroni, Presidente regionale e leghista. Le destre non hanno mai digerito di aver perso Milano e la vogliono riprendere.
E Giuliano Pisapia? Quella primavera del 2011 che pose fine a 20 anni di dominio delle destre a Milano è oggi lontanissima. Troppe aspettative non hanno trovato risposte, troppe delusioni. Non siamo ancora al terreno fertile per la rivincita delle destre, ma gli scricchiolii vanno ascoltati per tempo. E da questo punto di vista la vicenda della via d’acqua è illuminante.
L’elezione di Pisapia era espressione di una discontinuità, di una rottura netta con l’esperienza amministrativa precedente e pertanto al Sindaco non può essere attribuita alcuna responsabilità nella genesi della vicenda Expo. Eppure, l’amministrazione Pisapia aveva scelto nel 2011 di starci, di tentare di gestire un evento già disegnato e pesantemente ipotecato dai suoi vizi originari. La realtà ha dimostrato che quei vizi sono più forti di tanto ottimismo.
Oggi forse sarebbe necessario praticare nuovamente un po’ di discontinuità, per quello che è ancora possibile, ovviamente. Ma ciò che si può fare va fatto, perché sarebbe davvero curioso che alla fin della fiera uscissero vittoriosi i responsabili politici del disastro.
Questo è Expo oggi. Cosa sarà domani dipende da molti fattori. Dall’evoluzione delle inchieste, dalle scelte dei vari livelli istituzionali, dalla crisi e così via. Ma dipende anche da che cosa farà o non farà e da quanto riuscirà ad essere incisivo chi finora non ha avuto voce in capitolo, chi sin dall’inizio ha criticato la logica del grande evento e i suoi peccati originali, chi pensa che un grande evento non giustifichi la devastazione del suo territorio, chi ritiene che il lavoro vada rispettato e retribuito dignitosamente o chi, semplicemente, è stufo di mafie e malaffare.
Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 01/04/2014, in Lavoro, linkato 4736 volte)
Fallimento aziendale, Compagnia delle Opere, amministrazione straordinaria, appalti che girano, Expo 2015, software antimafia disperso. Sono questi alcuni degli ingredienti che fanno di Opera 21 una vicenda poco chiara e per nulla trasparente, dove l’unica certezza, tanto per cambiare, è che oltre 250 lavoratori e lavoratrici rischiano di pagare il conto con la perdita del posto di lavoro. Per questo mercoledì mattina, 2 aprile, saranno in sciopero e manifesteranno sotto il Palazzo della Regione a Milano.
Ma facciamo un passo indietro, per cercare di capire come siamo arrivati a questo punto. Fino al 2013 Opera 21, azienda del settore informatico, era una delle tante società del circuito Compagnia delle Opere -il braccio economico di Comunione e Liberazione-, disponeva di tre sedi italiane (Vimodrone, Roma e Napoli) e impiegava circa 450 dipendenti, di cui oltre la metà nel milanese.
Ma nel giugno dell’anno scorso la proprietà decide di chiudere e l’azienda passa in amministrazione straordinaria. Alcuni mesi più tardi, a novembre, arriva la TopNetwork S.p.A. che prende in mano l’azienda mediante un contratto d’affitto, che prevede la salvaguardia dei livelli occupazionali. In quel momento, i dipendenti di Opera 21 erano ancora oltre 300.
Ma a questo punto arriviamo all’oggi, cioè a marzo, quando la TopNetwork invia una sua relazione (vedi allegato) a tutte le parti interessate, in cui annuncia che in assenza di elementi nuovi restituirà l’azienda al commissario straordinario. Una relazione dai toni duri, anzi, un vero e proprio atto di accusa. La TopNetwork parla di “aggressione” e sostiene di aver subito un “incontrovertibile saccheggio di clienti e di personale”. Insomma, secondo questa accusa Opera 21 sarebbe stata “depredata delle attività più remunerative”, cioè le sarebbero state portate via in modo poco corretto e in pochi mesi importanti appalti e il relativo personale specializzato.
La TopNetwork non fa molti nomi, più che altro accenna a complicità interne a Opera 21 e a “clienti disponibili all’avvicendamento, anche operanti nel settore della pubblica amministrazione”. Ma poi qualche nome lo fa: “Un esempio eclatante e ‘spudorato’ è rappresentato dalla commessa Expo 2015”. La TopNetwork non dice di che appalto si tratti, ma in cambio lo fa il Fatto Quotidiano (vedi allegato): si tratta dell’appalto per il software Sigexpo, cioè la piattaforma informatica al servizio del controllo di legalità sugli appalti Expo, annunciato con gran clamore come “sistema innovativo” nel febbraio 2012 in occasione della firma in Prefettura del Protocollo di Legalità.
Ebbene, due anni dopo, tra una cosa e l’altra, Sigexpo non esiste ancora. Opera 21, che aveva ottenuto l’appalto in epoca ciellina, non l’aveva realizzato e ora la commessa è stata soffiata da Wiit.. Ma pare che neanche loro lo realizzeranno, poichéExpo S.p.A. ha dichiarato che la Wiit c’è l’ha soltanto “temporaneamente” e che si farà una nuova procedura di gara per trovare un “nuovo appaltatore”. Chissà, forse per la fine di Expo sarà pronto…
In conclusione, non ho la più pallida idea se in questa vicenda vi siano elementi di rilevanza penale. Auspico ovviamente che la TopNetwork, considerati i toni della sua relazione, abbia presentato denuncia formale, in modo che ci possano essere gli accertamenti del caso. Anche perché altrimenti è legittimo pensare che si tenti soltanto di costruire la giustificazione per eventuali licenziamenti di massa.
E comunque sia, dal punto di vista della salvaguardia occupazionale ogni eventuale accertamento postumo di irregolarità sarebbe purtroppo irrilevante. L’hanno già dimostrato casi ben più eclatanti che abbiamo conosciuto sul nostro territorio, come l’Agile-Eutelia di Pregnana o la Lares di Paderno Dugnano, dov’era stato accertato che fossimo di fronte a autentici fatti delinquenziali da parte della proprietà, ma alla fine i lavoratori sono rimasti disoccupati lo stesso.
Per questo, a parte la necessità che si faccia celermente chiarezza e che eventuali responsabilità vadano accertate, occorre che le istituzioni, in primis Ministero e Regione Lombardia, intervengano immediatamente, cioè a partire dallo sciopero di domani, per impedire che il conto lo debbano pagare i lavoratori.
Luciano Muhlbauer
cliccando sull’icona sotto, puoi scaricare la relazione della TopNetwork (priva degli allegati, poiché contengono dati sensibili) e l’articolo “Expo, il software ‘antimafia’ è scomparso”, pubblicato dal Fatto Quotidiano il 29 marzo 2014.
Si chiama Ring of Fire e vuole fare terra bruciata attorno alla nuova sede che i neonazisti di Lealtà e Azione hanno aperto in via Pareto, nello stesso luogo che fu di Cuore Nero. Concretamente, si tratta di un corteo, anzi di una “parata spettacolare e musicale”, e l’appuntamento è per domenica 6 aprile, alle ore 15.00, in piazza Cimitero Maggiore a Milano.
La mobilitazione del 6 aprile è importante in sé e lo è in prospettiva, poiché ci troviamo di fronte a un susseguirsi di iniziative da parte dei gruppi neofascisti e neonazisti che nel loro insieme disegnano una sorta di primavera nera, tesa a estendere e rafforzare il loro insediamento politico e organizzativo nel milanese. E in questo senso, il corteo di domenica è parte di un percorso che non si esaurisce certo in un giorno o in un luogo.
Per non farla lunga e per concentraci sulle settimane che abbiamo di fronte, la mobilitazione per la chiusura del covo nazifascista di via Pareto proseguirà il 25 aprile, quando l’ormai tradizionale concerto del pomeriggio di Partigiani in ogni Quartiere si terrà davanti al Cimitero Maggiore.
Il 29 aprile, infine, i gruppi nazifascisti hanno in programma la solita manifestazione a base di croci celtiche, saluti romani e marce paramilitari. Anzi, non la solita, perché una volta il 29 aprile era la commemorazione di Sergio Ramelli, il giovane del Msi ucciso a Milano nel 1975, ma negli ultimi anni questa data è stata trasformata in un’occasione per cortei apertamente e dichiaratamente neofascisti. Ebbene, quest’anno vogliono fare un passo in più e pare che il corteo abbia addirittura un carattere nazionale, con tanto di ruolo organizzativo preminente degli hammerskin di Lealtà e Azione.
Contro questa eventualità si è costituito il comitato Milano 29 Aprile: Nazisti No Grazie, la Camera del Lavoro, l’ANPI Provinciale e il Presidente del Consiglio di zona 3 hanno presentato un esposto a Prefetto e Questore e, infine, in diversi Consigli di zona vengono approvate delle mozioni che chiedono al Sindaco di intervenire “in prima persona” perché a Milano non vengano “più tollerate manifestazioni che vanno contro la nostra Costituzione”. Allo stato già quattro Consigli di zona (1, 6, 8 e 9) hanno approvato mozioni di questo tipo e altri se ne aggiungeranno settimana prossima. In ogni caso, gli antifascisti saranno in piazza il 29 aprile.
Insomma, per concludere, se non siete proprio da un’altra parte questo weekend, domenica pomeriggio passate in piazza Cimitero Maggiore. È importante.
Luciano Muhlbauer
C’è una sentenza del Tar che dice che Regione Lombardia discrimina gli studenti della scuola pubblica e c’è una dichiarazione dell’assessore regionale che afferma che nulla cambia, poiché la sentenza “non ha alcun effetto sul buono scuola”. E così, l’ultima puntata dell’annosa e scandalosa storia del finanziamento pubblico alla scuola privata in Lombardia sembra tingersi di giallo.
Ma il giallo non c’è, perché in realtà è soltanto una questione di punti di vista. Tecnicamente ha senz’altro ragione l’assessore Aprea (vedi suo comunicato del 5 aprile), perché la sentenza del Tar, depositata il 2 aprile scorso, accoglie soltanto in parte il ricorso dei genitori di due ragazze della scuola pubblica e, soprattutto, riguarda la delibera regionale precedente, in vigore fino all’anno scorso e sostituita all’inizio del 2014 da una nuova deliberazione.
Politicamente, invece, l’assessore ha torto marcio, perché si tratta della prima volta che un organo della magistratura riconosce quanto denunciamo da anni, cioè che il sistema del buono scuola è discriminatorio. O per dirla con le parole del Tar: “L’amministrazione ha previsto, senza alcuna giustificazione ragionevole e con palese disparità di trattamento, delle erogazioni economiche diverse e più favorevoli per coloro che frequentano una scuola paritaria... pur a fronte della medesima necessità e della medesima situazione di bisogno economico”.
Detto questo, ovviamente, rimane il fatto che quella sentenza non incide direttamente sul presente e che il Tar non ha sollevato la questione dell’incostituzionalità del buono scuola, limitandosi a considerare illegittima la parte riguardante i contributi per l’acquisto di libri di testo. Inoltre, si tratta soltanto della sentenza di primo grado e quindi non c’è nulla di definitivo.
In altre parole, la sentenza del Tar non è una rivoluzione e nemmeno una riforma. Ma è sicuramente un altro tabù che cade, una nuova crepa nel sistema escogitato nel 2000 da Formigoni e oggi fatto proprio anche da Maroni, poiché la discriminazione e la disparità di trattamento sono in ultima analisi le fondamenta sulle quali poggia tutta il meccanismo.
Oggi l’opposizione istituzionale allo scandaloso meccanismo del finanziamento pubblico alla scuola privata in Lombardia può sembrare più flebile rispetto agli anni passati, ma in cambio è cresciuta in maniera sensisbile la consapevolezza nella società. Certo, non ancora in tutta la regione, ma sicuramente a Milano, come ha dimostrato la reazione di insegnati, genitori e studenti al brutale taglio dei contributi regionali per la sola scuola pubblica, operata da Maroni nel dicembre scorso.
La strada da percorrere è dunque ancora lunga, ma la sentenza del Tar e la nuova sensibilità sociale ci confermano che è quella giusta. Quindi, non ci resta che percorrerla con ancora più determinazione.
Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 15/04/2014, in Lavoro, linkato 2608 volte)
Emma Marcegaglia festeggia la sua nomina a presidente dell’Eni chiudendo una fabbrica a Milano e togliendo il lavoro a 169 operai. Sembra incredibile, ma a meno di 24 ore dalla nomina, il gruppo dell’ex presidente di Confindustria ha annunciato ai sindacati la chiusura della Marcegaglia Buildtech di viale Sarca 336, sul confine tra Milano e Sesto San Giovanni.
Il tutto è successo questa mattina e le ragioni vere di questa chiusura non sono chiare, poiché in viale Sarca nessuno era in cassa e, anzi, si facevano persino i turni di notte. Insomma, il lavoro c’è, si produce. Tuttavia, sebbene l’azienda non abbia chiarito alcunché, non è difficile fare delle ipotesi, considerato che l’area dove si trova lo stabilimento, cioè la zona Bicocca, è ad altissimo valore immobiliare.
E non è nemmeno chiaro cosa succederà agli operai. Il gruppo Marcegaglia parla di un trasferimento verso il suo stabilimento di Pozzolo Formigaro, in provincia di Alessandria, ma a parte la fumosità della “proposta” e i circa 100 chilometri di distanza, c’è il piccolo particolare che lo stabilimento di Pozzolo F. ha recentemente annunciato 40 esuberi…
Mentre scriviamo gli operai della Marcegaglia stanno scioperando e bloccando viale Sarca. La rabbia, giustamente, è tanta. Nelle prossime ore decideranno come proseguire la mobilitazione.
Se siete in zona, magari passateci e portate un po’ di sacrosanta solidarietà.
Luciano Muhlbauer
Aggiornamento delle h. 16.30: l’assemblea dei lavoratori ha deciso di tenere il presidio permanente davanti alla Marcegaglia in viale Sarca 336. Fanno sapere che “la solidarietà è ben accetta”. Domani decideranno come andare avanti.
Aggiornamento del 16 aprile – comunicazione di Massimiliano Murgo, delegato Rsu Fiom della Marcegaglia Buildtech di v.le Sarca, a proposito delle decisioni dei lavoratori: “L’assemblea di oggi e i lavoratori della Marcegaglia hanno deciso che domani e dopodomani rientriamo a lavorare. La battaglia contro la Marcegaglia durerà almeno tre-quattro mesi e comunque probabilmente fino a dicembre. Restiamo in stato di agitazione permanente e articoleremo iniziative improvvise di blocco e sciopero. Attualmente il presidio ai cancelli è stato sospeso. Nei giorni in cui lavoreremo è stata comunque indetta una drastica autoriduzione dei ritmi di lavoro. Grazie a tutti dei messaggi di solidarietà. La lotta continua.”
Il 29 aprile gli antifascisti e le antifasciste milanesi saranno in piazza, per ribadire i valori di giustizia sociale e libertà e per dire che Milano non può e non deve più tollerare che questa data venga utilizzata dai gruppi neofascisti e neonazisti per inscenare delle parate pubbliche in pieno stile Alba Dorata. L’appuntamento è alle ore 19.00 in piazza Oberdan (P.ta Venezia) e da lì si muoverà il corteo, che allo stato è autorizzato “con riserva” dalla Questura fino a piazza Risorgimento.
Occorre essere chiari e trasparenti, anche per sfatare alcuni miti che ambienti della destra ripropongono ogni anno, nel tentativo di accreditare sé stessi e di delegittimare ogni critica. Cioè, il problema non è certo la commemorazione, anche in forma pubblica, di Sergio Ramelli e Enrico Pedenovi, i due militanti di estrema destra uccisi rispettivamente il 29 aprile del 1975 e del 1976. I morti vanno rispettati, ci mancherebbe altro.
No, il problema è che con il passare degli anni attorno a quelle commemorazioni è stato costruito ben altro, qualcosa di inaccettabile. Il 29 aprile, man mano, è stato trasformato in una sorta di carnevale nazifascista, in una giornata dove tutto è permesso, dalle marce paramilitari all’esibizione di tutto l’armamentario fascista e nazista lungo le vie di zona Città Studi. E giusto per non lasciare alcun dubbio sul messaggio da lanciare, era stata aggiunta anche un’altra commemorazione, che con gli anni ’70 c’entra un fico secco: quella in piazzale Susa del repubblichino Carlo Borsani, fucilato dai partigiani il 29 aprile del 1945.
Questo crescendo, insieme alle immagini della parata diffuse dai principali quotidiani, spiega perché l’anno scorso le proteste si erano moltiplicate. Lo stesso Sindaco aveva detto che cose del genere non dovevano più ripetersi a Milano. Ed è così che arriviamo al 2014, quando finalmente la reazione è scattata prima e non dopo il fattaccio.
Si è costituito il comitato “Milano 29 aprile: nazisti no grazie!”, di cui il sottoscritto è uno dei promotori, l’Anpi, la Camera del Lavoro e il Presidente del Consiglio di Zona 3 hanno presentato un esposto a Questore e Prefetto, praticamente tutti i Consigli di Zona della città hanno approvato mozioni, a volte a larghissima maggioranza, per chiedere di impedire la parata nazifascista e, infine, lo stesso Sindaco Pisapia ha preso posizione contro “la parata nazi-fascista che da anni deturpa la nostra città”, chiedendo “che le autorità competenti facciano tutto quanto possibile per evitare questa grave offesa alla Milano Medaglia d'oro della Resistenza”.
Insomma, qualcosa si è mosso, ma evidentemente non abbastanza, considerato che il corteo nazifascista è stato autorizzato dalla Questura con lo stesso percorso degli anni precedenti, cioè con partenza da piazzale Susa. Certo, è vero che alla fine il Questore, diversamente dagli altri anni, ha diffidato formalmente gli organizzatori dall’ostentazione di simboli nazifascisti, ma è altrettanto vero che è difficile immaginarsi che loro si attengano a queste prescrizioni. Infatti, già il 15 aprile scorso hanno comunicato pubblicamente che se ne sarebbero fregati della diffida.
Gli antifascisti, invece, hanno dovuto tribolare non poco per farsi riconoscere il proprio diritto a manifestare il 29 aprile. Un primo preavviso era stato mandato già nel mese di gennaio, ma il 9 aprile scorso il Questore ha emesso una diffida formale e vietato il presidio antifascista di piazzale Susa con una motivazione lunga quattro pagine.
Un nuovo preavviso di manifestazione è stato poi inoltrato alla Questura il 16 aprile e ci sono volute quasi tre ore di discussioni in via Fatebenefratelli per arrivare a una conclusione, soltanto parzialmente soddisfacente. Infatti, c’è l’ok, “con riserva”, a un corteo da piazza Oberdan fino a piazza Risorgimento, ma in maniera incomprensibile è stato negato l’arrivo in piazzale Dateo. Incomprensibile, perché non cambia nulla dal punto di vista dell’ordine pubblica, ma in cambio impedisce al corteo di terminare nelle immediate vicinanze di via Goldoni, dove verrà deposta una corona in memoria di Gaetano Amoroso, deceduto nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1976 in seguito a un’aggressione neofascista.
Certezze non ci sono mai e in questi giorni possono ancora succedere delle cose, ma in linea di massima lo scenario è questo. È dunque fondamentale impegnarsi per far riuscire il corteo del 29, perché c’è bisogno che gli antifascisti e le antifasciste milanesi facciano sentire direttamente la loro voce. E questo significa attivarsi con le proprie realtà e reti, ma anche attraversare il 25 aprile, dalla mattina, con la deposizione delle corone nei quartieri, passando per il corteo del pomeriggio e finendo con il concerto di Partigiani in Ogni Quartiere in piazza Cimitero Maggiore.
Abbiamo sottovalutato per troppo tempo alcune cose e ora ci ritroviamo con una mezza mobilitazione nazionale della galassia nera il 29 e con una nuova sede dei nazi di Lealtà e Azione a due passi dal Torchiera. Per non finire come in Ungheria o in Francia oppure avere nelle strade una Alba Dorata nostrana, ovviamente non basta qualche manifestazione ogni tanto. Anzi, l’antifascismo sta nella quotidianità, nelle lotte per il reddito, il lavoro e la casa, nella presenza costante sul territorio, nella costruzione di un’uscita dalla crisi da sinistra. E sarebbe bene se ci ricordassimo di questo anche dopo il 29 aprile. Ma ora e qui si tratta di ribadire un punto fermo, cioè che di parate nazifasciste a Milano non ne vogliamo più vedere.
Luciano Muhlbauer
Aggiornamento del 24 aprile: la Questura ha sciolto la "riserva" e ha autorizzato il corteo con il percorso sopra indicato.
Il 25 aprile è importante sempre, perché ci impone di ricordarci da dove veniamo. Ma più il tempo passa, più diventa decisivo avere cura della memoria, perché sempre meno è scontato che ci si ricordi della fonte della nostra libertà, che non ci era stata regalata, ma che era stata strappata con la lotta e con enormi sacrifici all’oppressore nazifascista. Appunto, con il tempo la memoria si fa labile e oggi nel nostro continente le tesi e le organizzazioni fasciste e fascistoidi stanno trovando nuovi e inquietanti spazi. Anche nella nostra città, anche a Milano, c’è il problema.
Partecipare alle iniziative del 25 aprile è dunque importante. Eccovi quindi un elenco (non esaustivo) delle iniziative che si terranno a Milano nel 69° anniversario della Liberazione dal nazifascismo.
Come sempre, la mattina ci sarà la posa delle corone alle lapidi dei caduti e delle cadute della lotta di liberazione:
Zona 1 – appuntamento h. 9.30 in C.so Garibaldi 75
Zona 2 – appuntamento h. 9.30 in piazza Costantino
Zona 3 – appuntamento h. 9.00 in via Ponzio
Zona 4 – appuntamento h. 9.00 in via Archimede 13
Zona 5 – appuntamenti h. 9.30 in via Bellezza 16a e h. 9.30 Parco Chiesa Rossa, via S. Domenico Savio
Zona 6 – appuntamento h. 10.00 in piazza Tirana
Zona 7 – diversi concentramenti, vedi qui
Zona 8 – giro delle lapidi tra le h. 9.00 e le h. 12.00
Zona 9 - diversi concentramenti, vedi qui
Sempre la mattina, a partire dalle h. 9.00, ci sarà un presidio antifascista in piazza Cimitero Maggiore, cioè dove più tardi si terrà il concerto di Partigiani in Ogni Quartiere. Le ragioni sono piuttosto ovvie, visto che a due passi da lì si trova la nuova sede dei nazi di Lealtà e Azione.
Alle h. 14.00 in P.ta Venezia, c’è il concentramento per il corteo tradizionale del 25 aprile.
Dopo il corteo, cioè alle h. 17.00-18.00, inizia Partigiani in Ogni Quartiere, che dopo 6 anni torna in piazza Cimitero Maggiore per “chiudere le sedi nazifasciste e aprire spazi di libertà”. Ci sarà da bere e da mangiare, ci saranno musica e spettacoli. Insomma, siateci! Per stare insieme e per dire che i fascisti nel quartiere non ci possono stare.
E ricordate, dopo il 25 c’è il 29 aprile, cioè la manifestazione antifascista per dire che Milano non può e non deve più tollerare parate nazifasciste.
Buon 25 aprile!
Luciano Muhlbauer
post scriptum: se avete integrazioni o aggiunte rispetto alle iniziative segnalate oppure se volete segnalare altre iniziative, usate lo spazio “Commenti”
Ci sono manifestazioni in cui è importante esserci e il corteo antifascista del 29 aprile è una di queste. Si tratta infatti di riaffermare un punto fermo, di ribadire un principio, cioè che Milano ripudia le ideologie nazifasciste, negazioniste e razziste e che non ci può essere spazio e legittimità per chi ne ri-propone i discorsi, i simboli e le pratiche.
A Milano da qualche anno abbiamo abbassato un po’ troppo la guardia. E abbiamo sbagliato. C’erano state la grande kermesse antifascista in piazza della Scala del 5 aprile 2009 e le mobilitazioni della primavera del 2010, ma poi era un po’ come se avessimo pensato che fosse sufficiente liberare Palazzo Marino da coloro che garantivano la complicità istituzionale per risolvere il problema. Non era così, ovviamente, e non poteva nemmeno esserlo.
Beninteso, in questi ultimi anni gli antifascisti e le antifasciste milanesi hanno fatto molte cose buone, ma spesso ognuno per i fatti suoi e il più delle volte rincorrendo le iniziative dei gruppi nazifascisti. E così, proprio quando l’Europa è scossa da un nuovo vento di destra, ci troviamo meno preparati di quello che dovremmo essere.
La consapevolezza che non si può andare avanti così, che bisogna dire basta, forse si sta facendo largo. Ancora in maniera insufficiente, certo, ma qualche segnale nuovo c’è, come la crescente e positiva attenzione in aree diverse, per storia, collocazione ed età, rispetto al corteo del 29 aprile.
Già, quel 29 aprile, che per anni abbiamo sottovalutato e che nel frattempo è diventato qualcosa di più e di diverso di una semplice commemorazione –la cui piena legittimità non è in discussione-, per sfociare in una vera e proprio sfilata nazifascista di carattere sempre più nazionale, dov’è permesso più o meno tutto. Siamo arrivati al punto che la stessa Questura, per “consuetudine”, considera ormai de facto quella data monopolio dei gruppi nazifascisti e che è diventato persino un problema poter commemorare Gaetano Amoroso, deceduto nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1976 in seguito a un’aggressione neofascista.
Non ripeto qui tutta la storia di questi mesi e di queste settimane, del come siamo arrivati al 29 aprile (a questo proposito vedi il mio post di settimana scorsa), e mi limito dunque a fare la fotografia della situazione attuale.
Primo, la Questura ha autorizzato il solito corteo nazifascista, che partirà alle h. 20 da p.le Susa, sebbene diffidando gli organizzatori dall’esibizione di simboli e gesti di natura fascista e nazista. Difficile che questo divieto, frutto peraltro della mobilitazione istituzionale, venga rispettato, anche perché da mesi la galassia nera sta lavorando a una prova di forza, portando gente da altre regioni italiane.
Secondo, il corteo antifascista, dopo molte tribolazioni, è stato infine autorizzato dalla Questura con il seguente percorso: Porta Venezia - Viale Majno - Piazza Tricolore - Corso Concordia - Piazza Risorgimento. A riconferma delle strane “consuetudini”, al corteo è allo stato incredibilmente negato l’arrivo in piazzale Dateo, cioè nelle immediate vicinanze di via Goldoni, dove verrà deposta a una corona in memoria di Gaetano Amoroso.
Insomma, il 29 aprile è importante esserci, per evidenti motivi che trascendono la stessa giornata. E dobbiamo e possiamo essere in tanti e tante. L'appuntamento è alle h. 19 in piazza Oberdan.
La pagina facebook del Comitato “Nazisti no grazie!” la trovate qui.
L’evento fb dedicato al corteo del 29 qui.
La locandina del corteo da utilizzare in rete la trovate invece allegata a questo post (cliccare sull’icona in fondo).
Quindi, cliccate, condividete, fate girare e, soprattutto, partecipate al corteo.
Ci vediamo in piazza!
Luciano Muhlbauer
Il corteo antifascista del 29 aprile è stato un bel corteo, colorato, plurale e determinato. C’era chi aveva iniziato a militare parecchi anni fa e c’era chi, studente o precario, si è affacciato all’impegno sociale e politico in questi anni. Era un corteo militante, certo, ma non cupo e tanto meno uniforme, perché tra gli oltre duemila manifestanti c’era l’attivista del centro sociale, ma anche la consigliera di zona del Pd, c’era il militante comunista e l’animatrice dell’Arci, il sindacalista Fiom e il mediattivista.
Sarebbe bastato questo colpo d’occhio, questa minima fatica di guardarsi attorno per capire che questo corteo non camminava con la testa rivolta all’indietro, ma parlava del presente e del futuro. Ma non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere, di chi si ostina ad adattare la realtà ai suoi schemi prestabiliti, e così oggi alcune cronache giornalistiche ci raccontano una storia che c’entra poco con la serata di ieri.
No, questo corteo non combatteva una battaglia del passato, non era prigioniero degli scontri di 40 anni fa, ed è anche per questo che non ha gradito e, soprattutto, non ha capito le parole del Sindaco, pronunciate alla commemorazione di Sergio Ramelli.
Che senso ha parlare di “convivenza tra chi ha idee opposte e diverse” a poche ore di distanza da una parata nazifascista che, secondo la definizione data dallo stesso Sindaco due settimane prima, “da anni deturpa la nostra città”? Mica stiamo parlando di idee diverse, ma del fatto che noi non riconosciamo cittadinanza alle tesi e alle pratiche nazifasciste, negazioniste e razziste. E non solo noi, beninteso, ma soprattutto la storia di questo paese, la storia di Milano città Medaglia d’Oro della Resistenza, la nostra Costituzione.
E che senso ha parlare di “pacificazione”, che è un termine del nostro dibattito politico dalla precisa connotazione? Non significa rispetto e pietà per i morti, non significa non voler vedere tornare i morti ammazzati per motivi politici, ma vuol dire, nell’accezione datogli in questi anni, superare la contrapposizione fascismo-antifascismo, considerare uguali partigiani e nazifascisti.
Infatti, le parole di Pisapia non hanno trovato il minimo riscontro in quelle di De Corato e dei suoi sodali, i quali hanno incassato il risultato, rifiutandosi però di prendere le distanze dalla parata nazifascista o, semplicemente, di criticare l’esibizione di croci celtiche e saluti romani. Peraltro, De Corato, nei lunghi anni in cui era amministratore della nostra città, non aveva nemmeno mostrato rispetto e pietà verso i morti altrui –vi ricordate le sue guerre contro i murales per Dax o contro la lapide a Pinelli in piazza Fontana?- e non mi pare proprio che abbia cambiato idea al riguardo.
Conosco Giuliano Pisapia e l’ho votato, come peraltro la maggior parte dei manifestanti antifascisti di ieri, e non penso certamente che sia passato dall’altra parte. Ma penso che ieri abbia sbagliato e che oggi debba qualche spiegazione. Non a me, per carità, ma a molti dei suoi elettori, rimasti perlomeno un po’ disorientati. E senz’altro è necessario fare un’altra cosa ancora, perché a questo punto non possono esistere morti di serie A e di serie B: cioè, vanno commemorati con la stessa forza e presenza istituzionale anche i tanti ragazzi ammazzati a Milano dalla violenza fascista, come Varalli, Amoroso, Brasili, Fausto, Iaio e Dax.
Ma torniamo a noi, al nostro corteo di ieri. Prima di tutto occorre fare un ringraziamento a tutti quelli e tutte quelle che hanno lavorato per farlo riuscire, prima e durante. Nulla era scontato, né la partecipazione, né la compattezza in piazza. E da questo punto di vista, non possiamo non sottolineare il contributo decisivo, in termini quantitativi e qualitativi, da parte delle varie espressioni del movimento milanese.
In secondo luogo, va ricordato che avevamo ragione a non delegare nulla, a non lasciare la piazza vuota. Le rassicurazioni della Questura, le diffide e i divieti di esibire simboli nazifascisti, infatti, erano soltanto parole. E non poteva essere diversamente, perché nella realtà reale non esistono parate nazifasciste senza simbologia nazifascista. E così, anche ieri, come un anno fa e l’anno prima, i nazi hanno marciato alla maniera loro, salutando romanamente ed esibendo celtiche.
Infine, la cosa più importante da fare ora è guardare avanti. Appunto, non è stato un corteo nostalgico, ma un corteo del tempo presente, preoccupato del futuro, del vento di destra che spira in tutta Europa, del nuovo attivismo dei gruppi nazifascisti e della possibilità, per citare un manifestante di ieri, che a un certo punto “essere nazi diventi figo”.
Il corteo di ieri ha suscitato aspettative e ci carica tutti e tutte di responsabilità. Dobbiamo fare tesoro dell’esperienza fatta insieme ed evitare che sia stata solo una parentesi. L’antifascismo ha bisogno di costanza, di quotidianità, di azione e non solo di reazione. Ne dovremo parlare, insieme, al più presto.
Per ora ci aspetta il Primo Maggio, la MayDay. E in molti già ci rivedremo.
Luciano Muhlbauer
Le lacrime si asciugano in fretta, specie quando parliamo di migranti. E così, la commozione generale per le stragi nel Mediterraneo e lo scandalo pubblico per le condizioni di detenzione nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) di questi ultimi mesi, tanto per cambiare, non hanno prodotto alcun effetto pratico, né in Italia, né a Milano.
Anzi, i profughi che riescono ad arrivare vivi nel nostro paese sono abbandonati al loro destino esattamente come prima, come ci ricorda proprio in questi giorni l’allucinate situazione in Stazione Centrale, e il Cie (ex Cpt) di via Corelli, di cui in tanti annunciavano la chiusura, riapre invece a breve i suoi battenti, ristrutturato per 140 posti e affidato in gestione alla Gepsa, una società privata francese, attiva nella gestione di molte carceri d’oltralpe e controllata dalla multinazionale Gdf Suez. E non basta, perché entro la fine dell’anno, a fianco del Cie, aprirà anche un Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) nuovo di zecca.
Insomma, tutto come prima, anzi, peggio di prima. Già, perché sebbene l’inutilità e la disumanità dei Cie siano ormai conclamate, si continua e si insiste, perché gli interessi politici in gioco sono evidentemente troppi. E quindi, chissenefrega che delle persone vengano recluse sostanzialmente in via amministrativa, senza processo e senza vedere mai un giudice vero, per un massimo di addirittura 18 mesi continuativi in delle strutture che sono di fatto di natura carceraria.
I Cie sono un buco nero della legalità costituzionale e non servono a nulla, se non a ribadire il concetto tutto politico che le migrazioni sono una questione di ordine pubblico e a vendere l’idea che chi governa faccia qualcosa.
Ma per fortuna non tutti se ne fregano e non tutti piangono lacrime di coccodrillo e quindi ci sarà almeno un tentativo di reagire a questo scempio. L’iniziativa l’ha presa il Naga e molte realtà associative, sociali e politiche hanno aderito. Ci si trova martedì 6 maggio, alle ore 18.30 davanti alla Prefettura di Milano, in c.so Monforte 31, per dire che a Milano non vogliamo la riapertura del Cie e l’apertura del Cara di via Corelli.
Per il resto, condividete, fate girare e cercate di partecipare.
Luciano Muhlbauer
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