Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
di lucmu (del 03/10/2012, in Lavoro, linkato 980 volte)
Tutta colpa di quei disgraziati di lavoratori che scioperano? Sembrerebbe proprio di sì, leggendo ed ascoltando editoriali, dichiarazioni e ammonimenti che piovono da tutte le parti dopo la giornata di sciopero del trasporto pubblico locale di ieri, con i momenti di caos a Milano.
Beninteso, se ieri ti trovavi sulla linea rossa dalle parti di Lima poco prima delle 18.00, hai passato un’esperienza difficile e forse oltre l’incazzatura ti sei preso anche uno spavento. Chi scrive era più fortunato, poiché a quell’ora si trovava sì nelle vicinanze, ma sulla gialla e sulla verde. Tuttavia, è bene ricordare che il fatto che ha dato il la al processo pubblico contro gli scioperanti, cioè il blocco del convoglio a Lima, non è affatto ascrivibile ai lavoratori. In fondo, è costretto a riconoscerlo lo stesso Corsera, che in prima pagina nazionale grida “Uno sciopero così non è da Paese civile”, ma poi in fondo al suo articolo di cronaca in pagina milanese scrive: “Ma stavolta i sindacati non c’entrano. La fascia ‘protetta’ è stata rispettata e, anzi, tutti i macchinisti hanno garantito il servizio della Rossa ben oltre le 18”.
Ma appunto, quello che conta, quello che fa tendenza sono le prime pagine ed i titoli. E qui il Corsera ha fatto scuola. Già ieri sera qualche direttore di Tg aveva iniziato a puntare severo il dito contro gli autoferrotranvieri in sciopero, oggi poi sono seguite le dichiarazioni politiche. L’indagato Formigoni e il suo assessore ai trasporti, Cattaneo, hanno immediatamente riscoperto il diritto alla mobilità dei pendolari, cioè di coloro che da anni protestano invano con la Regione a causa dei continui disservizi, sostenendo che bisogna trovare “altre modalità” e “rivedere qualche regola”. Il presidente della Commissione di garanzia sugli scioperi, da parte sua, ha annunciato un’inchiesta sulla regolarità degli scioperi, mentre alla fine della fiera anche qualche assessore comunale milanese, come Chiara Bisconti, si è fatto contagiare dalla febbre, invocando un “ripensamento delle modalità di sciopero”.
Pochi, anzi pochissimi, hanno ritenuto necessario ricordare che i lavoratori non si divertono quando scioperano, anche perché rinunciano al salario per quelle ore. E soprattutto quasi nessuno ha puntato il dito sulla ragione di questo sciopero, cioè il fatto che il loro contratto attende il rinnovo da oltre cinque (5) anni. E, non a caso, le adesioni allo sciopero di ieri sono state altissime in tutto il paese.
Già, è molto più facile e comodo prendersela con i lavoratori in sciopero e additarli come responsabili di tutti i mali, piuttosto che adoperarsi perché venga rinnovato il contratto e per fare una seria battaglia, anche istituzionale, per contrastare i continui tagli sulla voce “trasporto pubblico locale”. Certo, è più facile e comodo, ma è anche tremendamente ipocrita, perché alla fine questi atteggiamenti non risolveranno neanche mezzo problema e finiscono soltanto con mettere in discussione un altro pezzo di diritti in nome dell’emergenza.
E in questo senso la vicenda è paradigmatica di un clima, di un momento. Basti guardare cosa succede ad esempio all’ospedale San Raffaele, quello portato al fallimento dal malaffare di Don Verzé e soci e ciononostante destinatario per lunghissimo tempo di fiumi di denaro pubblico, grazie agli amici Berlusconi e Formigoni. E ora il conto lo dovrebbero pagare i lavoratori, con il licenziamento e/o con una riduzione salariale. E siccome i lavoratori giustamente non ci stanno a pagare il conto altrui e minacciano sciopero, allora vengono accusati di essere irresponsabili eccetera, magari anche da uomini della squadra di Formigoni…
Insomma, purtroppo sempre la solita e insopportabile storia: alla fine è sempre colpa dei lavoratori.
 
Luciano Muhlbauer
 
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Caricati e malmenati dalla polizia su mandato della Regione, perché il Palazzo della Regione Lombardia, pur essendo un edificio e uno spazio pubblico, è stato dichiarato off limits per chiunque volesse criticare Roberto Formigoni. Questo è quanto successo incredibilmente oggi a Milano a centinaia di studenti medi.
Infatti, uno dei due cortei studenteschi che stamattina hanno attraversato la città in occasione della giornata nazionale di mobilitazione a difesa della scuola pubblica, cioè quello proveniente da P.ta Venezia, al quale si era poi aggiunta una parte dei manifestanti di Largo Cairoli, è stato fermato da un ingente schieramento di polizia e carabinieri in assetto antisommossa in via Melchiorre Gioia, angolo via Sassetti.
Quando oltre 500 studenti hanno tentato di proseguire lo stesso, in direzione via Sassetti, anche perché intendevano congiungersi con i lavoratori e le lavoratrici di Jabil e Nokia Siemens Networks in presidio davanti alla Regione, è scattata una violenta carica e diversi ragazzi e ragazze sono rimasti feriti e contusi.
I motivi per cui gli studenti volevano andare davanti alla Regione erano trasparenti e ampiamente pubblicizzati, nonché comunicati da tempo alle forze dell’ordine. Li ricordiamo soltanto per la cronaca, perché in democrazia non ci sarebbe bisogno, essendoci libertà di parola e di manifestazione: primo, la presidenza Formigoni si è sempre contraddistinta per i suoi attacchi alla scuola pubblica e per il finanziamento pubblico a quella privata e, secondo, gli studenti intendevano denunciare le forti pressioni del governo regionale per ottenere dalla Questura lo sgombero del “Lambretta”, cioè le villette Aler abbandonate e rifugio di spacciatori, che a primavera furono occupate e ripulite da un gruppo di studenti medi della zona Lambrate.
Ebbene, tutti sappiamo che il Presidente Formigoni non ama la critica e che si rifiuta persino di farsi fare delle domande dai magistrati che lo indagano per corruzione, ma che a Milano si arrivi addirittura al punto di far manganellare gli studenti medi perché Roberto Formigoni non gradisce vederli sotto i suoi uffici, cioè in quegli stessi spazi pubblici invece concessi allegramente a qualsiasi reality show che lo desideri, ci sembra francamente pazzesco, degradante e al di là di ogni regola democratica.
Esprimiamo tutta la nostra solidarietà agli studenti caricati e riteniamo necessario che a Milano venga ristabilito il diritto di manifestazione davanti alle sedi regionali, anche se ciò dispiace a Roberto Formigoni.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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di lucmu (del 08/10/2012, in Politica, linkato 969 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul n. 14 del settimanale on line Ombre Rosse
 
C’era un tempo in cui Milano veniva chiamata capitale morale e la Lombardia si considerava geneticamente estranea a fenomeni come la mafia o la ‘ndrangheta. E quando si verificavano fatti eclatanti di corruzione politica o di crimine organizzato, allora, così si diceva, si trattava di eccezioni che confermavano la regola o di semplici prodotti di importazione, perché mica siamo a Roma o nel Meridione. La Lega, ai suoi tempi d’oro, ne aveva fatto uno dei suoi principali brand e, senza ombra di dubbio, aveva colto un diffuso sentire comune.
La convinzione che certe cose non potessero accadere da queste parti è sopravvissuta fino ad oggi, sebbene in maniera ormai un po’ traballante. Ancora poco più di due anni fa, il Prefetto di Milano, tuttora in carica, aveva affermato che in Lombardia c’erano sì delle famiglie mafiose, ma che la mafia non esisteva.
Parole inquietanti in sé, visto che richiamano alla mente affermazioni analoghe di un passato non troppo lontano, ma poi smentite totalmente anche dai fatti alcuni mesi più tardi: nel luglio 2010 i magistrati antimafia di Reggio Calabria e Milano fecero scattare l’operazione Infinito, che evidenziò che la ‘ndrangheta era ormai una presenza capillare, radicata e diffusa, che poteva contare su un sistema di complicità che coinvolgeva settori dell’imprenditoria locale, della pubblica amministrazione e della politica. Non a caso, i magistrati milanesi sono stati severi con gli imprenditori coinvolti, poiché consideravano la loro mancanza di collaborazione non come il frutto della paura, bensì  della convenienza.
Dall’operazione Infinto in poi qualcosa ha iniziato a cambiare, anche se tantissima strada rimane ancora da fare. Peraltro, era ormai diventato difficile non vedere una realtà sempre più straripante. E non ci riferiamo tanto al traffico di stupefacenti, di cui Milano è da tempo una delle principali piazze europee, quanto al fatto che ad Infinito sono seguite altre operazioni, che diversi importanti giornali hanno iniziato a fare inchieste e a pubblicare persino mappe della presenza mafiosa o che i primi appalti assegnati per Expo 2015 sono stati bloccati dalla magistratura causa infiltrazioni mafiose.
E poi c’è la questione degli incendi dolosi, che sono diventati troppi anche per un’area metropolitana come quella milanese, che ne ha viste tante. Locali, parchi, centri sportivi e strutture pubbliche hanno iniziato a prendere fuoco con troppa facilità. Una vera e propria inflazione di incendi, che a volte rappresentano degli inequivocabili messaggi pubblici di intimidazione, come nel caso dell’incendio del furgoncino di Loreno Tetti, l’unico ambulante a denunciare il “racket dei paninari” a Milano.
Ma se nel caso del crimine organizzato un certo ritardo nell’aprire gli occhi può essere persino comprensibile –ci riferiamo al singolo cittadino, beninteso, non certo alle istituzioni-, altrettanto non si può dire per quanto riguarda la corruzione politica. Già, perché la capitale morale è morta tanto tempo fa e Tangentopoli ebbe il suo epicentro proprio a Milano. Eppure, l’ondata berlusconiana e leghista, la solidità e la forza di sistemi di potere locali, che poi sono anche sistemi di produzione di consenso e complicità ben oltre i propri confini politici, come quello ciellino di Formigoni, unite alla prolungata debolezza politica e subalternità culturale delle opposizioni, hanno fatto sì che la maggioranza dei cittadini non volesse vedere, capire ed agire.
Ancora oggi, Formigoni e la Lega blaterano di “eccellenze” lombarde e sostengono che la Lombardia non è paragonabile al  Lazio, che è tutta un’altra storia. Certo, Er Batman e certi toga party sono difficili da battere, ma al netto di questi eccessi di squallore, la situazione in Lombardia è forse anche più grave.
Il punto non è quanti siano gli inquisiti in Consiglio regionale, il cui numero è comunque è da primato nazionale, o che 4 componenti su 5 dell’Ufficio di Presidenza originario siano stati sostituiti a causa dei loro guai giudiziari (Penati del Pd, Boni della Lega, Ponzoni e Nicoli Cristiani del Pdl). E non si tratta  nemmeno del trota di turno o della maîtresse diventata consigliera regionale, grazie al listino del presidente Formigoni (peraltro presentato con le firme false).
No, la questione è che il malaffare e la corruzione in Regione Lombardia si sono fatti sistema, sono strutturali. Già, perché c’è ad esempio il piccolo particolare che gran parte dei consiglieri regionali indagati, processati o incarcerati sono tutti ex assessori formigoniani, inquisiti per fatti commessi quando facevano gli assessori. Oppure, c’è la madre di tutte le questioni, cioè la sanità, che è poi il vero e proprio core business delle Regioni.
Ebbene, Formigoni stesso è indagato per corruzione per lo scandalo Maugeri e sarà ovviamente il processo a stabilire eventuali responsabilità. Tuttavia, ci sono dei fatti che parlano da soli. Primo, il trattamento di favore ricevuto nell’assegnazione dei fondi regionali da parte delle fondazioni private del San Raffaele e della Maugeri è innegabile. Secondo, il “faccendiere” che sta al centro di questi scandali, cioè Daccò, non solo faceva il lobbista per questi ospedali ed era definito un “amico” da Formigoni, ma soprattutto pagava ripetutamente le vacanze di lusso al Presidente lombardo. Terzo, il 3 ottobre scorso Daccò è stato condannato a 10 anni di reclusione per il crac del San Raffaele, cioè al doppio della pena chiesta dai Pm.
Infine, quando corruzione politica e crimine organizzato dilagano accade quasi sempre che si incontrino. E sta succedendo anche in Lombardia, come dimostrano alcuni segnali molto preoccupanti. E basti qui ricordare soltanto alcuni esisti dell’operazione Infinito: il Comune di Desio (MB), a guida centrodestra, è caduto due anni fa a causa del coinvolgimento nell’inchiesta sulla ‘ndrangheta di alcuni esponenti del Pdl locale e delle conseguenti dimissioni della maggioranza dei consiglieri comunali; l’ex assessore di Formigoni, il brianzolo Ponzoni, sebbene finito in carcere solo per corruzione, risultava negli atti dell’inchiesta come “capitale sociale” della ‘ndrangheta.
A Milano e in Lombardia non siamo poi tanto diversi ed è bene prenderne atto fino in fondo. Ma soprattutto occorre agire in tempi stretti, perché forse qui siamo ancora in tempo per evitare il peggio, ma soltanto a condizione che si ponga fine al più presto ai vecchi e marci sistemi di poteri e che si costruisca davvero una prospettiva alternativa  sul piano politico, sociale e culturale.
 
(il sito di Ombre Rosse)
 
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di lucmu (del 10/10/2012, in Regione, linkato 1087 volte)
Intervento di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul sito MilanoInMovimento il 10 ottobre 2012
 
La misura è colma, decisamente e definitivamente. Con l’arresto dell’Assessore regionale alla Casa la ‘ndrangheta si è manifestata dalle parti del Palazzo della Regione non più come ombra o ipotesi, ma come dato di fatto e certezza giudiziaria.
Mancano ormai quasi le forze per commentare i continui scandali in Regione Lombardia, poiché non solo la lista si sta allungando all’inverosimile, ma soprattutto Formigoni non accenna a fare l’unica cosa ragionevole rimasta da fare, cioè dimettersi, mentre la Lega, quella che nei comizi esibisce le ramazze, continua a blaterare di cose incomprensibili e tenere in vita l’agonizzante governo Formigoni.
Ma la vicenda Zambetti deve essere commentata, assolutamente, perché nel suo immenso squallore evidenzia meglio di mille parole il grado di depravazione raggiunto dal sistema di potere formigoniano che domina la Lombardia da quasi un ventennio. Infatti, in essa si rispecchia la frontiera più avanzata ed estrema della corruzione morale e politica: l’incontro con il crimine organizzato, cioè con la ‘ndrangheta.
Domenico Zambetti, nella Giunta Formigoni sin dal 2005 e fino a stamattina Assessore regionale alla Casa, è stato arrestato con un accusa gravissima: compravendita di voti con la ‘ndrangheta e concorso esterno in associazione mafiosa. Oltre Zambetti, ci sono anche molti altri indagati ed arrestati, ma il dato di fondo che emerge dall’operazione è il medesimo: l’intreccio di rapporti tra criminalità organizzata, politica ed istituzioni.
Per quanto riguarda Regione Lombardia, scossa da innumerevoli inchieste giudiziarie, tra cui anche quella che riguarda il Presidente Formigoni, per la vicenda Maugeri-Daccò-Simone, non si tratta della prima volta che si palesa l’ombra della ‘ndrangheta. Già nel 2010, in occasione dell’operazione Infinito, saltò fuori il nome di un ex-assessore di Formigoni, cioè Massimo Ponzoni, definito negli atti dell’inchiesta come “capitale sociale” dell’organizzazione criminale.
Ponzoni era poi finito poi in carcere, ma per corruzione e non per i rapporti con la ‘ndrangheta, e anche in altre inchieste che riguardavano uomini di Formigoni sono poi emersi possibili rapporti con il crimine organizzato, ma mai questo tipo di relazione aveva trovato un’esplicitazione come ora. Ecco perché la vicenda Zambetti è di una gravità inaudita, anche per il marcio regno di Formigoni.
Su Zambetti non ci sono molte altre parole da spendere, perché quanto avvenuto stamattina contiene già di per sé un giudizio morale e politico. Soltanto una piccola cosa andrebbe però aggiunta, non perché sia particolarmente importante di fronte all’enormità della vicenda, ma perché forse meglio di tante cose più eclatanti riesce a darci la misura dell’immiserimento e dello squallore di una certa politica. E mi riferisco alla vicenda del Lambretta, cioè le villette Aler abbandonate di piazza Ferravilla a Milano, che un gruppo di studenti delle scuole della zona Lambrate aveva occupato a primavera.
Ebbene, l’Assessore Zambetti, insieme al presidente dell’Aler di Milano, nominato dalla Regione, era tra i più attivi ad esercitare pressioni su Prefetto e Questore per ottenere lo sgombero coatto del Lambretta, sebbene non esistessero progetti edilizi o abitativi esecutivi su quell’area. E, al di là delle tante piccole bugie, la base della richiesta di sgombero era la seguente: occupare è illegale. Già, ergersi a supremi difensori della legalità di fronte a un gruppo di giovani che aveva peraltro ripulito dal degrado e dallo spaccio delle case abbandonate, salvo poi far assumere la figlia di un boss della ‘ndrangheta dall’Aler, promettere case popolari ai clan e farsi eleggere in Consiglio regionale con i voti comprati dai boss… Insomma, che dire?
A questo punto le parole sono davvero finite, anche perché le parole non servono più. Servono i fatti e per avere dei fatti, occorre che ci sia una presa di coscienza ampia tra i lombardi e le lombarde, ben oltre a quelli e quelle che già oggi pensano e dicono che Formigoni si debba dimettere. Già, perché se non si chiude rapidamente con l’era Formigoni e con quel marcio sistema di potere che gravita attorno al governo regionale, rischiamo che invece di discutere di alternative valide, radicali e democratiche, finiamo tutti e tutte sommersi dalle macerie e dal fango.
 
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Articolo di Luciano Muhlbauer pubblicato su il Manifesto del 18 ottobre 2012
 
A Milano c’è un nuovo spazio sociale, il Lambretta. L’hanno chiamato così perché si trova nel quartiere Lambrate, dove sorgevano gli stabilimenti dell’Innocenti, produttore dell’omonimo scooter, ma di cui oggi è rimasta soltanto l’Innse, la fabbrica riportata in vita da un’esemplare lotta operaia. Probabilmente nessuno dei ragazzi, in larga parte studenti delle scuole della zona, che ad aprile occuparono gli immobili avrebbe mai pensato di diventare un caso politico, anzi, una cartina di tornasole del desolante livello di degrado morale raggiunto dal sistema di potere formigoniano.
D’altronde, prescindendo per un attimo da una certa politica, è davvero difficile vederci un caso. Quelle “villette”, infatti, erano abbandonate a se stesse e diventate rifugio di spacciatori, nonostante si trovassero soltanto a poche centinaia di metri dalla sede della proprietà, cioè l’Aler, l’ente regionale che gestisce il patrimonio edilizio residenziale. E non vi erano, né vi sono progetti di riqualificazione alle porte, visto che l’operazione di “valorizzazione”, cioè di vendita, di queste ex case popolari si era arenata, causa mancanza di offerte. E quindi, non sorprende neanche che i residenti della zona guardino al Lambretta con simpatia, piuttosto che con preoccupazione.
Ma purtroppo da una certa politica non possiamo prescindere e così, non appena i ragazzi e le ragazze avevano occupato, ripulito gli immobili e allontanato lo spaccio, Aler e Regione si sono svegliati e hanno iniziato ad inondare Prefetto e Questore di richieste di sgombero. In prima fila ad invocare il “ripristino della legalità” c’era l’Assessore regionale alla Casa, Domenico Zambetti. Sì, proprio lui, quello del voto di scambio con la ‘ndrangheta, dell’assunzione all’Aler della figlia del boss e dell’assegnazione di case popolari su indicazione delle cosche.
Ora Zambetti non c’è più, ma il Presidente dell’Aler Milano, Loris Zaffra, continua imperterrito sulla sua strada, sebbene molte delle sue affermazioni, come quella relativa ad imminenti lavori di ristrutturazione, si siano rilevate palesemente false. L’Aler, peraltro, dovrebbe spiegare tante cose, specie dopo la vicenda Zambetti e l’inquietante permeabilità mostrata dall’ente regionale.
E poi, non è nemmeno la prima volta che si addensano nubi sulla gestione dell’Aler. Ci sarebbero certe consulenze d’oro, come quella data ad Ugliola, l’architetto indagato per corruzione e accusatore dell’ex Presidente del Consiglio regionale, il leghista Davide Boni, o le inchieste sull’Aler che coinvolgono gli ex An Romano La Russa e Marco Osnato oppure potremmo citare la vicenda dell’assegnazione di sedi a gruppi neonazisti.
Ma tutte queste cose non sembrano turbare più di tanto il sonno di Zaffra. Del resto, lui ne ha viste di tutti i colori, essendo un politico che aveva vissuto Tangentopoli da protagonista (nel senso che finì in manette, reo confesso, per tangenti), e comunque deve rispondere a chi lo ha voluto in quel posto, cioè agli uomini di Formigoni.
E rieccoci alla politica, alla cattiva politica beninteso, quella che dorme, o fa finta di dormire, se non è addirittura complice, quando corruzione e ‘ndrangheta dilagano, ma che all’improvviso si mette a sbraitare “legalità!” e “sgombero!” contro un gruppo di giovani e studenti che costruiscono attività e relazioni laddove prima c’era solo vuoto e degrado.
O forse è proprio questo il problema, cioè il fatto che esperienze come il Lambretta risultino insopportabili perché stanno dimostrando che non bisogna per forza scegliere tra la rassegnazione e la complicità, ma che c’è anche un’altra opzione, quella di rendersi autonomamente protagonisti, di farsi cittadinanza attiva, di costruire alternative e voglia di futuro dal basso. Già, esattamente alcune di quelle cose di cui la Lombardia ha urgente bisogno per uscire dalle macerie politiche e morali che 17 anni di formigonismo ci hanno consegnato.
 
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Quando un sistema di potere radicato, ramificato e longevo entra in crisi, travolto dal suo stesso marciume, non è mai un evento tranquillo. Anzi, è sempre un fatto e un moto irrequieto e turbolento, che rischia di trascinare nella propria rovina anche intere parti della società in cui si era insediato. E questo vale anche per il sistema formigoniano-ciellino e, in modo particolare, per il suo indubbio core business, cioè la sanità.
Non è un caso, infatti, che i guai giudiziari più seri che riguardano direttamente Roberto Formigoni abbiano a che fare esattamente con la sanità, nella fattispecie con gli enormi affari che giravano attorno alla Fondazione Maugeri di Pavia e al San Raffaele di Milano. E come sempre accade in Italia –e non solo, beninteso-, che si tratti di malaffare e corruzione oppure di strategie industriali, finanziarie o politiche fallimentari, alla fine della fiera il conto lo dovrebbero pagare quelli e quelle che non hanno alcuna responsabilità nella stato disastroso delle cose, cioè i lavoratori e le lavoratrici.
E così, oggi i dipendenti della Maugeri e del San Raffaele rischiano sia sul piano del salario, che su quello dell’occupazione. Al San Raffele, ad esempio, la proprietà sta prospettando 450 licenziamenti. Che volete farci, dicono dalle direzioni e dalla Regione, perché non ci sono i soldi, ci sono i buchi di bilancio eccetera. Sarà vero, per carità, ma c’è un piccolo particolare: i buchi sono stati creati dal malaffare di qualcuno, che godeva di amicizie e complicità in Regione, la quale peraltro aveva girato in questi anni quantità stratosferiche di denaro pubblico per finanziare queste strutture private. Anzi, sarebbe persino lecito affermare la stessa cosa che di solito –e a ragione- si dice sulla Fiat: cioè, che di fatto il contribuente ha già acquistato quelle aziende più di una volta.
Oggi sicuramente va aperto un nuovo discorso sulla sanità in Lombardia, perché deve finire il drenaggio di denaro pubblico verso interessi privati, e questo riguarda anzitutto chi verrà dopo Formigoni.
Ma nel concreto e nell’immediato occorre schierarsi e mobilitarsi, perché è inaccettabile che a causa del malaffare provocato dagli amici del centrodestra e di Formigoni, debbano essere colpiti i redditi e l’occupazione dei lavoratori, che, anzi, il più delle volte avevano garantito i livelli di assistenza nonostante le ruberie di chi sedeva alla direzione. Già, perché le eccellenze di cui blaterano in continuazione Formigoni e la Lega semmai sono quelle lì, cioè le professionalità e il senso di responsabilità di chi nella sanità ci lavora, e non certo chi ha trasformato il diritto alla salute in un affare per se stesso e i suoi amici.
 
Quindi, invito tutti e tutte a sostenere le iniziative di mobilitazione dei questi lavoratori e delle lavoratrici, segnalando due iniziative dei prossimi giorni:
 
Sabato 20 ottobre, dalle ore 9.30, si terrà a Pavia un convegno/confronto sulla Fondazione Maugeri (“Fond. Maugeri...pubblica o privata? Lombardia...Quale modello di sanita?”), promossa da Usb Lombardia:
Interverranno:
Sen. Daniele Bosone – Presidente Provincia di Pavia
Gianfranco Bignamini - USB Lavoro Privato Lombardia
Giulio Cavalli -Consigliere Regione Lombardia - SEL
Angelo Ciocca - Consigliere Regione Lombardia - Lega Nord
Luciano Muhlbauer - già Consigliere Regione Lombardia -PRC
Margherita Napoletano - RSU/USB Ospedale San Raffaele Milano
Daniela Rotoli - RSU/USB Ospedale San Raffaele Milano
Vittorio Pesato - Consigliere Regione Lombardia – PDL
Giuseppe Villani -Consigliere Regione Lombardia – PD
Nazzareno Festuccia – USB Nazionale
Coordina:
Francesco Signorelli - USB – Federazione di Pavia
 
Mercoledì 24 ottobre ci sarà sciopero nella sanità. A livello regionale è stato proclamato dal sindacato di base Usb lo sciopero di tutto il comparto della sanità pubblica della Lombardia, al quale si aggiunge però lo sciopero del San Raffaele, proclamato dalla Rsu e da tutte le sigle sindacali (Usb, Usi, Cgil, Cisl, Uil), nonché altre proclamazioni di carattere unitario, come all’ASL di Milano e all’ospedale San Paolo di Milano.
Usb ha promosso anche una manifestazione di piazza. Appuntamento: ore 10.00, piazza Duca d’Aosta, a Milano.
 
in allegato puoi scaricare il programma del convegno di Pavia del 20 e i manifesti che pubblicizzano la manifestazione del 24 ottobre:
 

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di lucmu (del 23/10/2012, in Movimenti, linkato 1044 volte)
Lo sgombero del Lambretta è una vittoria della cattiva politica, quella che dorme quando corruzione e ‘ndrangheta si fanno largo, ma che poi non ci pensa un attimo a farsi paladino della legalità di fronte a un gruppo di giovani che occupano alcune villette vuote, se questo è di qualche utilità ai propri interessi di bottega.
Oggi la Regione ha finalmente ottenuto quello che voleva: un intervento di forza e un altro conflitto aperto in città da esibire nel teatrino della politica.
Oggi in piazza Ferravilla non è stata ristabilita la legalità, ma si è aperta formalmente la campagna elettorale del centrodestra in vista delle regionali.
Infatti, a nulla sono serviti gli inviti del Comune di Milano a soprassedere allo sgombero imminente e a cercare altre soluzioni, né ha cambiato le cose il fatto che le argomentazioni a favore dell’urgenza dello sgombero, avanzate negli ultimi mesi dall’ex Assessore regionale alla Casa, Zambetti, e dal Presidente dell’Aler, Zaffra, come la vendita degli immobili (in realtà arenata) o i lavori in vista di Expo (che invece riguardano altri immobili), si fossero rilevate palesemente false. E non ha modificato la situazione nemmeno il piccolo particolare che gli immobili occupati in aprile e poi ripuliti dai ragazzi erano precedentemente in stato di abbandono e rifugio di spacciatori, nonostante si trovassero a poche centinaia di metri dalla sede centrale dell’Aler.
No, troppo forti erano evidentemente le pressioni politiche sulla Questura da parte di Regione e Aler, alle quali di recente si sono aggiunte anche quelle del leghista Bolognini, Assessore provinciale alla Sicurezza, e del solito De Corato. E così, magari pensando di fare brodo con l’irruzione di ieri in Comune, che nulla c’entra con la vicenda del Lambretta, è scattato lo sgombero.
Da parte nostra esprimiamo la nostra solidarietà con i ragazzi e le ragazze del collettivo Lambretta e ci auguriamo fortemente che la loro esperienza di autogestione e partecipazione, che coinvolge molti studenti delle scuole della zona, possa continuare.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
per tenersi aggiornati sulle iniziative del e per il Lambretta vai su MilanoInMovimento
 
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De Corato non fa più il vicesindaco, ma continua a produrre danni lo stesso. E non soltanto per quello che dice o fa oggi, ma anche per quello che aveva detto e fatto ieri. Sentite cos’è successo a Luca Fazio, giornalista della redazione milanese de “il Manifesto”, e poi decidete cosa fare, cioè se voltarvi dall’altra parte o reagire, schierarvi dalla parte di Luca (e della decenza) e contro De Corato (e l’indecenza).
In estrema sintesi, alcuni giorni fa Luca ha ricevuto la visita di un ufficiale giudiziario che gli ha notificato che deve dare 20.320 euro all’on. Riccardo De Corato: o consegna il cash in tempi brevi oppure la prossima volta gli pignoreranno i mobili. E così, Luca ha scoperto di essere stato condannato in contumacia, in primo grado, per una causa di diffamazione promossa da De Corato.
Ma in che cosa consisterebbe la grave colpa di Luca? Semplice, in un articolo da lui scritto per il Manifesto il 25 gennaio del 2009, che raccontava la manifestazione del giorno prima contro lo sgombero del Conchetta. Ricordate, vero? Il clima di quei giorni era incandescente e la città iniziava a reagire contro la guerra agli spazi sociali voluta dal Comune di Milano. Il corteo che quel sabato 24 gennaio attraversò Milano individuò nell’allora vicesindaco De Corato il principale responsabile dello sgombero del Conchetta, gridando in gran quantità l’ormai celebre “De Corato pezzo di merda” (se non ricordate, eccovi un piccolo promemoria).
L’articolo firmato da Luca era semplicemente una cronaca di quella manifestazione, comprensiva dei cori contro De Corato, in virgolettato beninteso, e con l’aggiunta di qualche ovvia valutazione giornalistica. In realtà, il giudice ha respinto la quasi totalità delle tesi di De Corato, ma poi vi è stata una piccola buccia di banana: cioè Luca, che è interista, aveva scritto che il tipo di insulto lanciato contro De Corato di solito si sentiva allo stadio contro Materazzi, ma che quest’ultimo non se lo meritava.  Ergo, secondo il giudice, Luca voleva dire che De Corato se lo meritava… E tutto questo vale la bellezza di 20mila euro!
 
Per quanto riguarda il racconto della vicenda mi fermo qui, rimandando per un maggiore approfondimento a quanto pubblicato oggi (24 ottobre 2012) da il Manifesto, che trovate riprodotto in fondo.
 
A questo punto vorrei però lanciare un pressante appello: non lasciamo solo Luca! Anche perché De Corato sarà mica un problema personale suo, o no?
Anzitutto, facciamo girare questa vicenda, raccontiamola sui blog e sui social network.
Secondo, diamo una mano concreta e materiale a Luca, cioè sottoscriviamo per lui. Già, perché lui quei soldi non ce li ha, anche perché è in cassa integrazione, e quindi rischia che a lui e a sua figlia portino via i mobili…
A proposito, magari vi chiederete se qualcuno ha contattato De Corato, per fargli sapere che non inguaia un giornale che egli non ama, bensì una persona, un giornalista cassintegrato, e per ricordargli che lui di quei soldi non avrebbe minimamente bisogno, visto che fa il parlamentare da ben 18 anni. Ebbene, De Corato è stato effettivamente contattato e informato della situazione, ma la risposta è stata degna di lui: me ne frego!
 
Eccovi quindi i due modi per far arrivare le sottoscrizioni per Luca Fazio:
 
1. portare il denaro, poco o tanto che sia, direttamente alla redazione milanese del Manifesto, in via Ollearo 5 (la stessa palazzina di Radio Popolare);
 
2.  fare un bonifico sul conto corrente appositamente aperto:
intestato a Luca Fazio
IBAN: IT43H0306967684510324096294
Causale: «Un centesimo ciascuno per risarcire De Corato»
 
Queste sono le cose da fare. Facciamole, ognuno secondo le sue possibilità!
 
Luciano Muhlbauer
 
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da il Manifesto:
 
De Corato, Sallusti e il Manifesto
 
Sapessi com'è strano fare il giornalista a Milano, al manifesto è successa una cosa che neanche a Sallusti. Pochi giorni fa questo giornale ha perso una causa civile presentata contro il nostro Luca Fazio dall'ex vicesindaco di Milano e deputato del Pdl on.le Riccardo De Corato. Una causa che riteniamo assurda per un articolo del 2009 (vedi sotto) in cui Luca raccontava un corteo di 10mila persone contro lo sgombero del centro sociale Conchetta (Cox18) disposto dall'ex giunta Moratti.
 
Purtroppo, come sapete, il manifesto è finito in liquidazione e da allora abbiamo dovuto cambiare sede, studio legale e amministratori. In questi infiniti passaggi di consegne, Luca è stato condannato in primo grado per diffamazione a un risarcimento di 20mila euro.
Soldi che non sono a carico del giornale - in liquidazione - ma direttamente del giornalista che è in cassa integrazione come tutti noi.
 
Abbiamo fatto presente all'on. De Corato che la situazione era cambiata: non stava ottenendo il risarcimento da un suo avversario storico e "politico" come il manifesto ma da un singolo cassintegrato che prende, se va bene, 900 euro al mese. L'onorevole ha risposto in malo modo («me ne frego, me ne avete fatte troppe») e pretende il risarcimento immediato, senza aspettare il secondo grado di giudizio. Insieme a Luca e ai nostri legali (lo studio Fiore-de Crescienzo di Roma) continueremo a lottare in tribunale perché la sentenza sia prima sospesa e poi riformata.
 
Purtroppo né noi né l'amministrazione controllata abbiamo 20mila euro. Ma rispettiamo la giustizia, e se la richiesta di sospensione della sentenza non andrà a buon fine, vogliamo dare all'on. De Corato i soldi che vuole immediatamente.
 
Perciò ci serve il vostro aiuto, anche piccolo, affinché sia garantita la libertà del giornale. Alla fine della sottoscrizione trasformeremo il ricavato in moneta sonante, da consegnare all'on De Corato, aiutandolo, insieme ai lettori, a contare il suo risarcimento: centesimo dopo centesimo.
 
Se volete contribuire, abbiamo un salvadanaio per De Corato sia nella redazione di Roma (via Angelo Bargoni 8) che in quella di Milano (via Ollearo 5). Oppure potete sottoscrivere qui, conto corrente Luca Fazio, IBAN - IT43H0306967684510324096294. Causale (scrivetela, è molto importante): «Un centesimo ciascuno, per risarcire De Corato».
 
Per una volta, pagare sarà un piacere. Naturalmente il collettivo del manifesto sta già facendo la sua parte. Vedremo Milano da che parte sta.
 
Qui l'articolo che racconta questa storia (uscito oggi a pagina 2)
 
nota bene:
non possiamo ripubblicare integralmente l'articolo perché è stato ritenuto diffamatorio. Perciò ne citiamo solo i passaggi rilevanti ai fini della sentenza. Sostanzialmente su 5 punti contestati da De Corato il giudice ne ha accolto uno solo, in cui Luca riferiva che nel corteo del 2009 si gridavano contro l'ex vicesindaco gli insulti che i tifosi milanisti "regalano all'avversario meno simpatico Marco Materazzi ... ma lui non se li merita".
 
Ecco il testo della cronaca di oggi:
 
Chi ci aiuta a pagare il conto a De Corato?
 
A proposito di «espressioni diffamatorie» e libertà di stampa, ci teniamo a precisare che il nostro Luca Fazio non è Sallusti. Né ci terrebbe ad esserlo. Intanto nessuno lo vuole mettere in galera, però ci è rimasto male lo stesso quando l'altro giorno un ufficiale giudiziario si è presentato a casa sua per consegnargli una lettera sgradevole. Dice che la prossima volta, se necessario, entreranno con la forza pubblica per smontargli la casa - si chiama pignoramento - e risarcire così l'ex vicesindaco di Milano Riccardo De Corato che si è sentito diffamato per un articolo pubblicato sul manifesto il 25 gennaio 2009. Titolo: Riprendiamo Cox 18.
 
La rabbia di Milano.Il giornale ha perso quella causa in contumacia - non ci siamo presentati in aula per difenderci - per via di una serie di disguidi che riguardano la nostra disastrata situazione finanziaria. Per questo deve dare 20.320 euro a De Corato. Che c'entra Luca? C'entra. Messi male come siamo - cioé in liquidazione coatta e la sentenza si riferisce ad un articolo scritto prima del commissariamento della testata - tutto ricade sulle spalle del redattore. Che vive con circa 900 euro al mese di cassa integrazione.
 
I lettori del manifesto, specialmente quelli milanesi, sanno chi è Riccardo De Corato. Per un decennio ha segnato la vita di Milano a colpi di proclami, campagne securitarie, provocazioni e sgomberi ai danni dei soggetti più deboli, facendo di questa città il laboratorio delle politiche più reazionarie, quelle che ancora oggi dettano legge in tutto il paese perché hanno stravolto il comune sentire. Ma queste, direbbe un giudice, sono solo opinioni.
 
Stiamo ai fatti. Nel gennaio 2009 la giunta di Milano fece di tutto per arrivare allo sgombero manu militari del centro sociale Conchetta, luogo storico della sinistra antagonista milanese. Un'azione inutile, tant'è che il centro sociale venne subito rioccupato, ma che generò una tensione incredibile. Solo per lo sgombero del Leoncavallo la città era stata capace di mobilitarsi in quel modo: diecimila persone in corteo, tra cui molte personalità della politica e della cultura, e Milano militarizzata. Ma veniamo alla cronaca (giudiziaria). A leggere la sentenza, sembra che il giudice ritenga del tutto lecito lo scritto del manifesto. De Corato si è sentito diffamato perché l'articolista lo avrebbe individuato come mandante dello sgombero (invece uno sgombero è di competenza del prefetto), e per alcune affermazioni tipo «uomo socialmente pericoloso» e «il violento non ha il cappuccio, è il vicesindaco».
 
Ecco quello che ha stabilito la sentenza: «In tale prospettiva, indipendentemente dalla condivisibilità della tesi proposta dall'autore, il testo in esame, anche in relazione allo specifico tema in discussione, non pare discostarsi dal requisito della verità, rappresentando non già la normale filiera di comando impartita per lo sgombero in questione, bensì la responsabilità politica dell'amministrazione del territorio ad essa sottesa. In tale ambito devono essere parimenti ricondotte le espressioni uomo socialmente pericoloso e il violento non ha il cappuccio, è il vicesindaco. Un provocatore, pure utilizzate nel testo. Invero, l'espressione socialmente pericoloso non può essere identificata, contrariamente a quanto allegato dall'attore, nella fattispecie penalistica disciplinata dagli art...; la critica politica cui deve essere ascritta la natura dell'articolo comporta che il termine debba essere correttamente inteso in senso politico-sociale, esprimendosi con esso un giudizio fortemente negativo in ordine all'impatto sociale provocato dalle iniziative politiche riconducibili alla figura del vicesindaco».
 
Il giudice dice altro a nostro favore: «Ad analoga determinazione deve giungersi in ordine all'ulteriore definizione di uomo violento e provocatore, risultando la medesima collegata alla censurata, nella prospettiva dell'articolista, iniziativa di sgombero del centro sociale. In definitiva, anche tale espressione costituisce una manifestazione di critica politica che, per quanto corrosiva e stigmatizzabile, rientra nel novero dell'esercizio della libera manifestazione del pensiero politico».
 
Allora, dov'è il problema? In poche righe che accennano allo slogan urlato contro De Corato durante il corteo, una parolaccia riservata al calciatore dell'Inter Materazzi: «... quella che gli ultras regalano all'avversario meno simpatico... ma lui non se la merita...». Per il giudice ne consegue che il cronista avrebbe lasciato intendere «che gli insulti erano invece adeguati e meritati per il personaggio politico...». Questo ci costa 20.320 euro.
 
Senza voler scomodare trombonescamente la libertà di stampa, anche se in fondo di questo si tratta, è chiaro che un giornale come il nostro, se preso di mira, potrebbe perdere una causa al giorno. E chiudere. Noi non possiamo permettercelo.
 
Chi vuole darci una mano può passare a trovarci, sia a Roma che a Milano, oppure imparare a memoria il codice IBAN: IT43H0306967684510324096294 (il conto è intestato a Luca Fazio). Causale: «Un centesimo ciascuno per risarcire De Corato.
 
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Chi la dura la vince, dice la saggezza popolare. E così la Nokia Siemens Networks (NSN) ha dovuto ingranare la retromarcia e riaprire la trattativa a condizioni ben diverse da quelle che il 16 ottobre scorso avevano portato al “mancato accordo”, cioè alla rottura delle trattative. Anzi, parlare di “trattativa” era persino un eufemismo, poiché la proposta aziendale prevedeva soltanto cassa integrazione a zero ore, cioè l’anticamera del licenziamento collettivo.
La posta in gioco nella vertenza NSN è molto alta, poiché la multinazionale vuole liberarsi di 580 lavoratori, di cui la stragrande maggioranza nel principale sito produttivo italiano, quello di Cassina de’ Pecchi. In altre parole, non stiamo parlando “soltanto” di un numero alto di posti di lavoro, ma della possibilità che venga smantellato e deindustrializzato uno dei principali poli delle telecomunicazioni esistenti in Lombardia.
Peraltro, sempre a Cassina c’è il caso Jabil -un ex ramo d’azienda NSN ceduto nel 2007- cioè quella azienda che ha licenziato oltre 300 lavoratori e lavoratrici e i cui stabilimenti sono presidiati dai lavoratori da oltre un anno. Ebbene, le vertenze Jabil e NSN sono in realtà strettamente collegate, poiché la lotta degli operai ex-Jabil per la reindustrializzazione, che ha vissuto anche momenti molto aspri, come il 27 luglio scorso, difficilmente potrà reggere in un quadro di desertificazione occupazionale dell’adiacente NSN. E, aggiungo, anche la lotta alla NSN ha bisogno che il presidio Jabil continui.
Certo, la nuova ipotesi di accordo definita dopo la retromarcia di Nokia Siemens e che ora verrà sottoposta al giudizio dei lavoratori e firmato il 29 ottobre prossimo, non è la soluzione di tutti i mali, ma consente di guadagnare prezioso tempo e, soprattutto, di bloccare le procedure di mobilità (leggi: licenziamento) per centinaia di lavoratori. E questo è molto, nelle condizioni date.
Ma come si è arrivati a questo clamoroso passo indietro dell’azienda? Già, perché leggendo alcuni proclami sindacali, possiamo senz’altro dire che questo è il punto dolente della giornata. La sparata più grossa è sicuramente della Uilm, che sul Sole 24 Ore attribuisce il merito a sé stessa… E fin qui potremmo anche dire che siamo alle solite, ma francamente fa senso che, unica eccezione la Fiom, sia stato completamente rimosso il punto di svolta, cioè quel fatto che ha imposto alla NSN di cambiare idea: cioè, l’assemblea dei lavoratori NSN del 18 ottobre scorso a Cassina, dove di fronte all’imminente arrivo delle lettere di licenziamento, i lavoratori hanno deciso di non chinare la testa e di non firmare la resa, bensì di proseguire la lotta per il ritiro dei licenziamenti.
Appunto, chi la dura la vince, e sarebbe il caso di dirlo forte, dando a Cesare quello che è di Cesare, invece che raccontare frottole. Ma purtroppo sembra che quella antica malattia di avere paura del protagonismo dei lavoratori sia proprio difficile da debellare.
 
Luciano Muhlbauer
 
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Ma cosa succede nella Questura di Milano? Troppi fatti in troppo poco tempo per non porsi qualche serio interrogativo ed esigere qualche risposta, specie dopo l’intervento irresponsabile e pazzesco al rave di Cusago, sabato sera. Beninteso, forse sono solo coincidenze, ma considerato che queste coincidono con le prime settimane di lavoro del nuovo Questore, Luigi Savina, insediatosi all’inizio di ottobre, ci pare doveroso parlarne.
Tralasciamo per un attimo le botte agli studenti per non farli arrivare sotto gli uffici di Roberto Formigoni del 5 ottobre scorso, per concentrarci invece sull’ultima settimana. Lunedì 22 ottobre, nel quartiere San Siro, è andato in scena lo sgombero di un appartamento nella case popolari, occupato da una famiglia, e si è presentato anche il reparto mobile della Questura. Ahinoi, non è la prima volta che accade, ma la violenza dell’intervento contro il presidio solidale, composto da abitanti delle case e da attivisti del Cs Cantiere, è stato senz’altro di un'intesità non consueta. Manganelli che volavano, teste spaccate e, poi, quella scena ripresa in un video, dove una ragazza viene gratuitamente e violentemente picchiata da un uomo in borghese. Su questa mattinata ci vorrebbero molte spiegazioni, ma soprattutto vorremmo sapere chi è quell’uomo che picchia la ragazza? Un agente di polizia, un funzionario Aler, uno che passava da lì per caso, un fantasma?
Dopo lunedì è arrivato martedì e con esso, un po’ a sorpresa, visto che erano passati solo pochi giorni dallo scambio pubblico di lettere tra Comune e Questore sull’argomento, è scattato anche lo sgombero del Lambretta di piazza Ferravilla. Per fortuna, questa volta, di teste spaccate non ce n’erano, forse in ragione del fatto che diversi ragazzi erano minorenni, ma alla fine è stato ristabilito il vuoto ed impedito ogni dialogo.
Ma la settimana non era ancora finita e così arriviamo a sabato, alla vicenda del rave di Cusago, in provincia di Milano. E qui non parliamo “solo” di teste spaccate, ma di una ragazza finita gravissima in ospedale (e le facciamo tutti i nostri auguri) e probabilmente dobbiamo ringraziare il cielo che non sia successo nulla di più grave.
Insomma, la Questura, perfettamente informata sul rave e dopo aver dato sostanzialmente il via libera all’afflusso delle persone, ha cambiato idea in serata, quando nel capannone c’erano già circa 1000/1500 persone, e a questo punto ha fatto intervenire la Celere per sgomberare il rave… Una scelta talmente irresponsabile, pericolosa e incomprensibile, che metteva palesemente a rischio l’incolumità delle persone, da provocare persino l’aspra critica pubblica di due sindacati di polizia, il Siap e il Siulp, oltre che ovviamente quello degli organizzatori del rave. Anche in questo caso, qualcuno deve urgenti spiegazioni.
Il sito MilanoX ieri ha lanciato una provocazione, pubblicando un articolo con il titolo Il Questore Savina Si Deve Dimettere per la Macelleria del Rave di Cusago. Forse non siamo ancora a questo, ma una cosa è certa, se non arrivano parole chiare e identificazione di responsabilità, allora forse tutti quanti dovremmo fare un ragionamento.
 
Luciano Muhlbauer
 
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