Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
In Lombardia l’unica certezza è che Formigoni è finito, ma quanto al formigonismo, vabbè, è tutta un’altra storia. 17 anni sono infatti un tempo lunghissimo, che non solo annebbia la mente degli uomini, ma soprattutto sedimenta un sistema di potere pervasivo e un intreccio di interessi e complicità allargato, dove pubblico e privato, lecito ed illecito si confondono strutturalmente.
Forse a qualcuno questa premessa potrà sembrare superflua o persino banale, ma sono ancora troppi quelli chepensano, magari in virtù di un comprensibilissimo sospiro di sollievo trattenuto per troppi anni, che sia sufficiente togliere Formigoni per togliere anche il dolore. Ahinoi, però, le cose sono più complicate, da ogni punto di vista.
Primo, il fatto che il regno di Formigoni sia stato travolto dagli scandali, dal malaffare e persino dall’infiltrazione mafiosa, non significa affatto che le destre lombarde siano sconfitte. Anzi, gli interessi da salvaguardare sono molti e in Lombardia, che non va confusa con Milano, l’egemonia culturale delle destre non si è ancora spezzata. Ed è per questo che i capi di Pdl e Lega tenteranno di tutto per evitare di correre divisi.
Secondo, tutta la vicenda poco edificante delle primarie regionali, che prima c’erano, poi non c’erano più e, infine, sono tornate in versione civica, in fondo altro non è che la fotografia dello stato delle cose, cioè di un’opposizione, politica e sociale, che si è fatta cogliere impreparata di fronte all’appuntamento più annunciato dell’anno. Già, 17 anni sono un tempo lunghissimo anche per chi sta all’opposizione.
Terzo, se è vero com’è vero che Lega, Pdl e dintorni costituiscono la continuità con il formigonismo, non è assolutamente sufficiente battere le destre nelle urne perché si produca automaticamente una discontinuità. In altre parole, il punto non è semplicemente mandare a casa quanti hanno malgovernato la Regione, bensì rompere con il sistema che quel malgoverno l’ha generato, ripristinando dunque l’indipendenza dell’istituzione rispetto ai gruppi politico-affaristici e la preminenza dell’interesse pubblico su quello privato.
Quarto, le elezioni si vincono soltanto se ci sono i voti, cioè le persone in carne ed ossa che decidono di scegliere una proposta di cambiamento, piuttosto che optare per l’astensione o il vaffà generalizzato, considerato che il M5S non sembra porsi il problema di un governo regionale alternativo a quello delle destre. Lo so, questa la sapevate già, ma melius abundare visto che ultimamente girano delle storie fantastiche su come erano andate le cose nella primavera milanese e che alcuni pensano che per vincere in Lombardia sia sufficiente occuparsi del mitico centro, già dimentichi di anni di lamenti tipo “ma perché gli operai Fiom votano la Lega?”.
Insomma, oggi in Lombardia non è soltanto necessario, ma anche possibile voltare pagina ed impedire un revival delle destre, a patto però di fare sul serio, di costruire una coalizione plurale, che includa le aspirazioni e anche le incazzature di quanti e quante in questi anni hanno resistito, lottato e praticato alternative. E che metta al primo posto quello che per Formigoni e la Lega arrivava sempre dopo, cioè il lavoro, inteso come occupazione e come persone dotate di dignità e diritti, i beni comuni, la scuola pubblica, il diritto alla salute, lo stop al consumo di suolo, la mobilità alternativa all’automobile eccetera.
Tutto questo non c’è ancora, ovviamente, ma ci sono appunto le primarie lombarde, che si terranno il 15 dicembre e che servono non soltanto e tanto per scegliere un uomo o una donna, ma soprattutto per costruire in forma pubblica, trasparente e possibilmente partecipata il programma. E c’è anche un candidato presidente, Andrea Di Stefano, che rappresenta più che bene i contenuti che abbiamo ricordato.
Io ho deciso di sostenere Andrea Di Stefano e penso che la sua candidatura alle primarie sia un’opportunità per tutta la sinistra lombarda, non solo politica, ma anche sociale e di movimento.
Luciano Muhlbauer
17 anni di potere sono troppi per chiunque. Si finisce inevitabilmente per confondere le cose, il mio e il tuo, il privato e il pubblico, e per sentirsi un po’ il Re Sole della situazione. È capitato anche a Roberto Formigoni e, quel che è peggio, continua a capitargli. Già, perché voi mica crederete che la fine del suo ventennio e le inchieste per corruzione e persino per ‘ndrangheta che hanno decimato il suo entourage -e che vedono lui stesso indagato- abbiano cambiato qualcosa? Ma figuriamoci, anzi, come prima e più di prima.
E così, in questi giorni i lavoratori e le lavoratrici di Regione Lombardia, quasi tremila in tutto, sono stati convocati in quattro gruppi in una delle sale conferenze più capienti del nuovo Palazzo Lombardia, ufficialmente per “fornire una tempestiva e chiara comunicazione sull'evoluzione del quadro istituzionale ed amministrativo regionale”. In realtà, al di là di banalità ed ovvietà, tipo la Regione non chiude e si continua a lavorare, il senso era ascoltare un Roberto Formigoni su di giri, comiziante e autoincensatorio.
Non è la prima volta che Formigoni tratta gli impiegati e funzionari regionali come se fossero dipendenti personali suoi, con l’aggiunta di quel peloso e paternalistico “noi” che comprende non solo il plurale maiestatis, ma anche chi gli sta di fronte. Vi ricordate delle scene fantozziane, quando a luglio il Segretario Generale della Regione, Sanese, convocava gruppi di dipendenti a un caffè per Formigoni? Ebbene, ora siamo oltre, perché dal caffè del megadirettoregalattico siamo passati al catechismo, elargito direttamente dal celestiale presidente.
Certo, cerchiamo di riderci sopra, perché mai come nelle situazioni serie bisogna evitare di perdere il senso del humour, ma in realtà siamo di fronte a una fedele e triste fotografia di un potere che si sta sgretolando sotto il peso del suo marciume, ma che non ha perso un briciolo della sua protervia di fronte alla debolezza di avversari ed alleati.
Se un marziano appena sbarcato sulla terra fosse capitato in una di queste “conferenze”, non avrebbe capito perché in Lombardia si vada ad elezioni anticipate e dove stia il problema. Insomma, a giudicare dalle parole di Sanese e di Formigoni, in Regione Lombardia non è successo nulla di eclatante e si va ad elezioni ravvicinate perché “i consiglieri regionali si sono dimessi” e “la maggioranza è venuta meno”. Neanche mezza parola è stata dedicata a quisquilie come l’immoralità pubblica, la corruzione dilagante o le infiltrazioni della ‘ndrangheta fin dentro la Giunta regionale. Gli Zambetti, i Ponzoni eccetera, gli amici, gli assessori e gli ex assessori di Formigoni, tutti quanti spariti, anzi mai esistiti. E così, miracolosamente, rimane solo il “buon governo”, le “eccellenze” e “le mie buone idee”.
Orbene, nessuno è tanto ingenuo da pensare che Formigoni, improvvisamente folgorato sulla via di Damasco, si possa esibire in una pubblica autocritica. Ma da un politico, come lui, che si ritiene uno statista e l’incarnazione del buon governo, è il minimo pretendere che abbia qualcosa da dire sullo stato desolante della moralità, per usare un eufemismo, nella Regione da lui governata da 17 anni! E a maggior ragione questo vale quando si prende parola formalmente dentro l’istituzione e davanti al personale regionale.
Formigoni ha scelto l’arroganza del potere, la mistificazione e l’omissione. E, strizzando l’occhio alla campagna elettorale, ha voluto dare la linea al personale regionale. Ma gli autunni dei patriarchi sono implacabili e alla fine gli applausi che ha raccolto erano pochi e tiepidi, anzi, più ti allontanavi dalle prime fila, cioè dal tavolo della presidenza, più si facevano rari. Peraltro, anche i caffè pro Formigoni organizzati da Sanese qualche mese fa si erano risolti in un insuccesso di pubblico.
Insomma, possiamo chiudere con una nota di ottimismo. In tutti questi anni di strapotere formigoniano e ciellino, di occupazione di posti e gerarchie, gli impiegati, i tecnici e i funzionari regionali sono riusciti a preservare in grandissima parte non solo le significative professionalità presenti nell’ente, ma anche l’indipendenza di giudizio. Sarà anche per questo che, nonostante il malaffare e a volte anche le incompetenze ai piani alti, la macchina amministrativa è andata avanti lo stesso. In altre parole, se cercate delle eccellenze, non cercatele nelle chiacchiere di ciellini e leghisti, ma tra i lavoratori e le lavoratrici.
Luciano Muhlbauer
Intervento di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul sito MilanoInMovimento il 10 ottobre 2012
La misura è colma, decisamente e definitivamente. Con l’arresto dell’Assessore regionale alla Casa la ‘ndrangheta si è manifestata dalle parti del Palazzo della Regione non più come ombra o ipotesi, ma come dato di fatto e certezza giudiziaria.
Mancano ormai quasi le forze per commentare i continui scandali in Regione Lombardia, poiché non solo la lista si sta allungando all’inverosimile, ma soprattutto Formigoni non accenna a fare l’unica cosa ragionevole rimasta da fare, cioè dimettersi, mentre la Lega, quella che nei comizi esibisce le ramazze, continua a blaterare di cose incomprensibili e tenere in vita l’agonizzante governo Formigoni.
Ma la vicenda Zambetti deve essere commentata, assolutamente, perché nel suo immenso squallore evidenzia meglio di mille parole il grado di depravazione raggiunto dal sistema di potere formigoniano che domina la Lombardia da quasi un ventennio. Infatti, in essa si rispecchia la frontiera più avanzata ed estrema della corruzione morale e politica: l’incontro con il crimine organizzato, cioè con la ‘ndrangheta.
Domenico Zambetti, nella Giunta Formigoni sin dal 2005 e fino a stamattina Assessore regionale alla Casa, è stato arrestato con un accusa gravissima: compravendita di voti con la ‘ndrangheta e concorso esterno in associazione mafiosa. Oltre Zambetti, ci sono anche molti altri indagati ed arrestati, ma il dato di fondo che emerge dall’operazione è il medesimo: l’intreccio di rapporti tra criminalità organizzata, politica ed istituzioni.
Per quanto riguarda Regione Lombardia, scossa da innumerevoli inchieste giudiziarie, tra cui anche quella che riguarda il Presidente Formigoni, per la vicenda Maugeri-Daccò-Simone, non si tratta della prima volta che si palesa l’ombra della ‘ndrangheta. Già nel 2010, in occasione dell’operazione Infinito, saltò fuori il nome di un ex-assessore di Formigoni, cioè Massimo Ponzoni, definito negli atti dell’inchiesta come “capitale sociale” dell’organizzazione criminale.
Ponzoni era poi finito poi in carcere, ma per corruzione e non per i rapporti con la ‘ndrangheta, e anche in altre inchieste che riguardavano uomini di Formigoni sono poi emersi possibili rapporti con il crimine organizzato, ma mai questo tipo di relazione aveva trovato un’esplicitazione come ora. Ecco perché la vicenda Zambetti è di una gravità inaudita, anche per il marcio regno di Formigoni.
Su Zambetti non ci sono molte altre parole da spendere, perché quanto avvenuto stamattina contiene già di per sé un giudizio morale e politico. Soltanto una piccola cosa andrebbe però aggiunta, non perché sia particolarmente importante di fronte all’enormità della vicenda, ma perché forse meglio di tante cose più eclatanti riesce a darci la misura dell’immiserimento e dello squallore di una certa politica. E mi riferisco alla vicenda del Lambretta, cioè le villette Aler abbandonate di piazza Ferravilla a Milano, che un gruppo di studenti delle scuole della zona Lambrate aveva occupato a primavera.
Ebbene, l’Assessore Zambetti, insieme al presidente dell’Aler di Milano, nominato dalla Regione, era tra i più attivi ad esercitare pressioni su Prefetto e Questore per ottenere lo sgombero coatto del Lambretta, sebbene non esistessero progetti edilizi o abitativi esecutivi su quell’area. E, al di là delle tante piccole bugie, la base della richiesta di sgombero era la seguente: occupare è illegale. Già, ergersi a supremi difensori della legalità di fronte a un gruppo di giovani che aveva peraltro ripulito dal degrado e dallo spaccio delle case abbandonate, salvo poi far assumere la figlia di un boss della ‘ndrangheta dall’Aler, promettere case popolari ai clan e farsi eleggere in Consiglio regionale con i voti comprati dai boss… Insomma, che dire?
A questo punto le parole sono davvero finite, anche perché le parole non servono più. Servono i fatti e per avere dei fatti, occorre che ci sia una presa di coscienza ampia tra i lombardi e le lombarde, ben oltre a quelli e quelle che già oggi pensano e dicono che Formigoni si debba dimettere. Già, perché se non si chiude rapidamente con l’era Formigoni e con quel marcio sistema di potere che gravita attorno al governo regionale, rischiamo che invece di discutere di alternative valide, radicali e democratiche, finiamo tutti e tutte sommersi dalle macerie e dal fango.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sui giornali on line MilanoX e Paneacqua.info il 26 settembre 2012
Renata Polverini si è dimessa e la Regione Lazio va al voto. Roberto Formigoni, invece, non ci pensa nemmeno e così la Regione Lombardia continua a navigare a vista, senza più idee e progetti, se non quello di tentare di salvare i destini e gli interessi del Presidente e della sua cerchia.
Dicono che è giusto così, perché la Lombardia non è mica il Lazio e di fronte a certe desolanti scene da fine impero a spese del contribuente verrebbe quasi da dargli ragione. Già, Er Batman e Ulisse, le ancelle e i maiali, sono difficili da superare. E anche la trovata della Polverini di estendere il vitalizio ai suoi assessori non eletti (sic) non è facile da battere. Eppure, a guardare bene, al netto dei toga party la situazione in Lombardia è forse anche più grave.
E poi, non è nemmeno vero che in terra lombarda certe cose non succedono. In fondo, il bunga bunga è stato inventato in Brianza ed ha prodotto persino una consigliera regionale, tale Nicole Minetti, eletta nel listino del Presidente Formigoni (quello delle firme false, per intenderci). O vi ricordate di un certo trota oppure di tal Pier Gianni Prosperini, stella fascistoide e xenofoba delle tv locali e soprattutto assessore di Formigoni, condannato per corruzione e turbativa d’asta, nonché tuttora indagato per traffico d’armi? Ma stile e sobrietà si cercano inutilmente anche nelle vicende di altri due ex assessori di Formigoni, Nicoli Cristiani e Ponzoni, finiti in carcere l’inverno scorso per corruzione. Il primo accumulava a casa sua banconote da 500 euro, mentre il secondo aveva persino ricevuto un boss della ‘ndrangheta all’assessorato.
Ovviamente, il Presidente Formigoni dice di non c’entrare nulla, esattamente come sostiene l’ex Presidente Polverini. Ma se la seconda è poco credibile, il primo dovrebbe addirittura far sobbalzare dalla sedia, visto che buona parte dei consiglieri regionali inguaiati sono suoi ex assessori, accusati peraltro di reati commessi quando facevano gli assessori. Un esempio? L’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale nominato all’inizio della legislatura è per quattro quinti inquisito per corruzione. Ebbene, a parte il contributo poco edificante del Pd con Penati, gli altri tre, cioè i già citati Nicoli Cristiani (Pdl) e Ponzoni (Pdl), nonché l’ex Presidente, Boni (Lega), erano tutti assessori di Formigoni fino alla primavera del 2010.
Ma la vera differenza con il Lazio sta da un’altra parte. In Lombardia Formigoni e Comunione e Liberazione governano in maniera ininterrotta da ormai 17 anni e in questo tempo si è formato, radicato e ramificato un sistema di potere, dove pubblico e privato si sovrappongono e si confondono. La conseguenza è un diffuso malaffare che trova il suo core business nella sanità, il settore che assorbe la maggior parte del bilancio regionale.
Infatti, in quello che Formigoni chiama “modello Lombardia” vi è una contraddizione intrinseca. Cioè, prima si mettono su un piano di totale parità soggetti pubblici e soggetti privati, ma poi questi ultimi non camminano sulle proprie gambe, ma campano integralmente sui contributi e rimborsi pubblici. In altre parole, i buoni rapporti con chi comanda in Regione è determinante per poter fare affari nella sanità. Lo sapevano bene Don Verzé e il San Raffaele e lo sapeva bene la Fondazione Maugeri, il cui incaricato del lobbying presso l’assessorato alla Sanità, cioè Pierangelo Daccò, era lo stesso che pagava le lussuose vacanze a Roberto Formigoni.
Sarà il processo a decidere se Formigoni è colpevole di corruzione, come sostiene la Procura, oppure no, ma da un punto di vista morale e politico una cosa è chiara ed cristallina da tempo: il sistema di potere costruito da Formigoni e Cl e sostenuto dalla Lega Nord, è marcio, irriformabile e un danno per la Lombardia.
No, la differenza tra Regione Lazio e Regione Lombardia non sta nel livello di degrado morale ed istituzionale, ma unicamente nella quantità di potere controllato dai protagonisti. Renata Polverini non aveva più una maggioranza e sarebbe stata mandata a casa dai consiglieri dimissionari. Ha semplicemente anticipato i tempi, cercando di salvare la faccia con una furbata. Formigoni, invece, può contare su un sistema di potere e di complicità che non si ferma ai confini del suo campo politico e finché la Lega lo sosterrà non ci sarà una maggioranza di consiglieri in grado di sciogliere il Consiglio con le sue dimissioni.
Eppure, dopo la vicenda Lazio qualcosa è cambiato. Oggi, Roberto Formigoni è un po’ meno legittimato nella sua arroganza e nel suo arroccamento. Certo, sarà düra, come dicono da un’altra parte, ma questo è il momento di agire, non per sostituire un presidente, beninteso, bensì per cambiare il modello. Oggi in Lombardia, questo è il tema per la sinistra.
E infine l’avviso di garanzia a Roberto Formigoni è arrivato, per corruzione con l’aggravante internazionale. Ieri, 25 luglio, la Procura di Milano ha dunque formalizzato quello che tutti già sapevano e invitato il Presidente della Regione Lombardia a presentarsi davanti i magistrati. Ma il problema non è solo giudiziario, anzi, è soprattutto politico.
Di seguito il testo dell’intervista sull’argomento, fattami dal quotidiano “il Manifesto” e pubblicata sul giornale in edicola oggi.
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Intervista / LUCIANO MUHLBAUER, ESPONENTE DEL PRC MILANO
«Il centrosinistra deve agire subito, come se si votasse domani mattina»
A cura di Luca Fazio – Milano
Le opposizioni chiedono elezioni subito. Non l'abbiamo già sentito troppe volte?
In realtà è persino noioso ripetere oggi la richiesta di dimissioni di Roberto Formigoni. Si tratta della stessa richiesta reiterata tutte le volte che diverse indagini lo [il suo entourage, NdA] hanno coinvolto con accuse molto pesanti, per fatti di corruzione e anche per presunta contiguità con la criminalità organizzata. Per non parlare dei suoi ex assessori indagati per fatti accaduti nella legislatura 2005-2010.
L'avviso di garanzia cambia le carte in tavola?
L'avviso di per sé non rappresenta certo una sorpresa, lo sapevano tutti che era indagato, il Corriere della Sera lo aveva anche sbattuto in prima pagina. L'unico a negare con forza era lui, Formigoni, ma lo faceva solo per portarsi avanti con l'autodifesa e togliere forza all'effetto sorpresa. Da settimane si discute di questa indagine e lui si è sempre difeso alzando il tiro, è arrivato a dire che si tratta di un tentato golpe giudiziario. Tutto è già stato detto e non credo che Formigoni cambi idea e strategia in proposito. Direi che oggi l'unica curiosità sta nel capire come si muoverà la Lega, visto che sono dieci anni che i leghisti governano insieme a lui al Pirellone.
Difficile che la Lega decida di sfidare le urne correndo il rischio di perdere la regione più importante.
La Lega è sempre stata attaccatissima alle sue poltrone e oggi lo è ancora di più a causa della gravissima crisi di consenso che sta vivendo, ma è anche vero che noi abbiamo il dovere di incalzarla su un argomento così delicato visto che proprio blaterando di legalità e scope per fare pulizia Roberto Maroni sta cercando di ribaltare la situazione. Ma il vero problema, lo sappiamo, è un altro: sono le opposizioni.
Appunto. Al di là dell'atto giudiziario, il sistema di malaffare è sotto gli occhi di tutti eppure non sembra che ci sia una alternativa politica qui in Lombardia.
Questa è la stessa domanda inevasa di sempre. Cosa fa la sinistra, cosa fa il centrosinistra? In questi ultimi mesi è apparso evidente che l'unica vera opposizione a Formigoni è la Procura della Repubblica di Milano, la quale, intendiamoci, fa solo il suo dovere. Ma dobbiamo avere ben chiaro che anche la migliore procura non potrà certo risolvere il nodo del collasso del sistema politico formigoniano. Questa impasse è un dramma per la Lombardia in un periodo di forte crisi come questo.
Formigoni non di dimette. Allora come se ne esce?
Il centrosinistra deve avviare immediatamente un percorso che porti alla definizione di un'alternativa di governo, con primarie vere e inclusive che allarghino la partecipazione ai tutti i movimenti e alle associazioni lombarde. Solo con un dibattito aperto possiamo arrivare ad un candidato credibile.
Siamo all'anno zero o ci sono già rumors su chi potrebbe sfidare la destra in Lombardia?
Nomi ne circolano anche troppi, ma non è il caso di dargli credito, il punto è che fino ad oggi le opposizioni non hanno voluto giocare fino in fondo questa partita che è tutta politica. Non è solo una questione di nomi.
Deboli o incapaci?
Diciamo che diciassette anni di formigonismo hanno fatto breccia anche nel campo delle opposizioni. Non mi riferisco solo al caso di Filippo Penati, il potente uomo che del Pd del nord a sua volta indagato con l'accusa di corruzione, parlo di una sudditanza di tipo culturale che riguarda anche il modo di gestire il potere. Il nodo irrisolto è cosa dovrebbe esserci dopo Formigoni. Cambiamo solo la guida del Pirellone o cerchiamo un'alternativa al cosiddetto modello lombardo? E come lo ridefiniamo il rapporto tra pubblico e privato? Questo nodo non è stato sciolto dalla forza politica più consistente, il Pd. L'unico modo per poterlo fare è consegnare ai cittadini un processo aperto e partecipato per costruire un'alternativa.
Un conto è dirlo...
Non c'è tempo da perdere, bisognerebbe cominciare questo processo di definizione di un'alternativa a partire da settembre, il centrosinistra dovrebbe lavorare come se le elezioni fossero domani mattina. Sfido chiunque a sostenere che in questa situazione sia possibile trascinarsi fino al 2015. Siamo già nell'era dopo Formigoni, ma più lenta sarà l'agonia più gravi saranno i danni per una regione già colpita dai tagli del welfare, dalla disoccupazione e della crisi delle attività produttive.
E l'idea che il Celeste se ne vada in parlamento approfittando delle prossime elezioni del 2013?
In questo momento Formigoni, come quasi tutto il ceto politico del Pdl, è ostaggio della crisi del centrodestra, e in assenza di sbocchi alternativi farà di tutto per aggrapparsi alla poltrona. Proprio per questo il suo inarrestabile declino rischia di essere tutt'altro che breve. Ma mettiamoci in testa che la magistratura non può bastare.
da il Manifesto del 26 luglio 2012
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale on line MilanoX il 24 luglio 2012
Il regno di Formigoni traballa, nel suo entourage è ormai uno stillicidio di guai giudiziari e l’immagine del Presidente al diciassettesimo anno consecutivo di governo regionale è decisamente ammaccata. Ma egli non è uomo dalla facile resa, anche perché gli interessi in gioco sono tanti, tantissimi, e così è passato al contrattacco, gridando persino al tentato golpe.
Tutto questo, però, è ampiamente noto e di dominio pubblico. Quello che invece si ignora, a meno di non essere dipendenti regionali, è che la controffensiva formigoniana ha anche un risvolto tutto interno alla macchina amministrativa. Già, perché i lavoratori e funzionari regionali, amministrativi e tecnici, sono un po’ stufi di essere associati con quell’allegra compagnia che ha guadagnato in tempo record le vette della cronaca giudiziaria. In altre parole, negli uffici il malumore serpeggia e non solo tra quanti e quante da tempo auspicano un cambio. E così, ai piani alti di Palazzo Lombardia avranno pensato che bisognava fare qualcosa per rendersi più simpatici.
Il risultato, tuttavia, non ci pare per nulla ottimo e si colloca da qualche parte tra il paternalistico, il ridicolo e il degradante, a riprova del fatto che i regimi in declino smarriscono anche la fantasia. Insomma, non hanno trovato nulla di meglio che rievocare scene che sembrano ispirate direttamente al mitico Fantozzi, con tanto di Mega Direttore Galattico che incontra i dipendenti, previa prenotazione e in gruppi non troppo numerosi, in un “momento informale” davanti a un aperitivo o un caffè, a seconda della posizione occupata nella gerarchia. Ebbene sì, perché c’è anche la prima e la seconda classe: se sei un dipendente sprovvisto di “posizione organizzativa”, allora ti tocca solo il caffè, altrimenti ti verrà concesso un aperitivo.
L’iniziativa si chiama “A tu per tu con il Segretario Generale” e viene ampiamente pubblicizzata sulla home page del portale intranet –su quella internet, accessibile a tutti i cittadini, non se ne trova ovviamente traccia- e l’adesione è volontaria, sebbene fortemente consigliata. L’obiettivo dichiarato di questi incontri informali, ma formalmente sponsorizzati, è il seguente: “Sarà l'occasione per valorizzare l'esperienza di ciascuno all'interno di Regione Lombardia e raccogliere spunti e riflessioni utili ad impostare al meglio il nostro lavoro e superare le criticità”. Appunto, le “criticità”…
Ma per capire fino in fondo il senso dell’iniziativa –e le evidenti “criticità” vissute dal formigonismo- bisogna ricordare chi è il Segretario Generale dell’Amministrazione regionale. Già, perché si tratta di Nicolamaria Sanese, figura chiave del potere formigoniano sin dal 1995 e più influente della maggior parte degli assessori. Sanese, Deputato DC vicino a Giulio Andreotti dal 1976 al 1994 e quattro volte Sottosegretario di Stato tra il 1983 e il 1989, controlla da sempre per conto di Roberto Formigoni la macchina regionale e in particolare i dirigenti, che rispondono prima a lui e solo dopo agli assessori di riferimento. Un uomo potentissimo, che non ama apparire e il cui nome viene pronunciato con cautela negli uffici regionali, ma che, considerate le circostanze, ha deciso di scendere in campo.
Ma com’è stata presa dai lavoratori e dalle lavoratrici della Regione la discesa dai piani alti del Mega Direttore Galattico? I numeri esatti delle prenotazioni per il caffè o l’aperitivo non si conoscono, ma quello che si sa è che un primo incontro si è già svolto, mentre il secondo (“Ancora a tu per tu con il Segretario Generale”) è in programma per il 2 agosto prossimo. Allo stato, stando alle informazioni su intranet, ci sono ancora posti liberi. Infatti, sui 40 posti per l’aperitivo sono disponibili ancora 25 e la stessa cosa vale per i caffè.
Non abbiamo ovviamente dubbi che alla fine i posti si riempiranno, perché su 2.800 dipendenti regionali ci sarà pure chi la pensa come Cl –e dopo 17 anni di governo consecutivo sarebbe alquanto strano il contrario-, il conformismo è sempre in agguato e, poi, in tempi di spending review è meglio non rischiare, ma certamente non si può parlare di un successo di pubblico.
Ma forse più dei numeri parla l’iniziativa in sé, che meglio di tante parole evidenzia lo stato delle cose, la confusione tra pubblico e privato e l’assoluta irriformabilità del formigonismo. Non posso dunque che augurarmi che i lavoratori e le lavoratrici di Regione Lombardia continuino a tenere duro, nonostante ci sia chi, Celesti e Mega Direttori Galattici, pensano che l’anima valga soltanto un caffè o al massimo un aperitivo.
Articolo di Luciano Muhlbauer pubblicato su il Manifesto il 9 giugno 2012 con il titolo “L’era di Formigoni è finita? Sì, se il Pd battesse un colpo”
Al Pirellone non è successo niente. La mozione di sfiducia contro Roberto Formigoni è stata respinta. Nessuna emozione, nessuna sorpresa, beninteso. L’esito era talmente scontato che mercoledì il capogruppo regionale del Pd, in vacanza su un’isola greca, non si è nemmeno presentato in aula. Già, la logica del potere è implacabile e la Lega, al di là delle sceneggiate padane, non ha alcuna intenzione di mollare il Presidente ciellino e, soprattutto, di segare il ramo sul quale sta comodamente seduta da oltre un decennio.
Formigoni ovviamente gongola, ma la sfiducia mancata non toglie nulla alla profondità della crisi che lo attanaglia. Al massimo dimostra che la paura di perdere poltrone e privilegi è un potente collante e che dopo 17 anni di governo ininterrotto della stessa persona e dello stesso gruppo politico, di sovrapposizione tra pubblico e privato, di complicità e di clientele, cambiare le cose in Lombardia è faccenda che non può essere affidata all’improvvisazione.
La crisi del formigonismo è definitiva, terminale. Quel modello aveva perso la sua spinta propulsiva anni fa ed ora siamo al tirare a campare in un clima da basso impero, popolato da corrotti, trote, minetti, faccendieri, vacanze di lusso e pure un pizzico di ‘ndrangheta. Insomma, un ciclo politico è finito e il dopo Formigoni è già iniziato, anche se questa constatazione, di per sé, non ci fornisce alcuna certezza sui tempi, sulle modalità e sugli esiti.
Si, perché le cose da sole non cambiano in meglio, anzi rischiano di imputridirsi rapidamente, soprattutto oggi, con l’intero sistema politico esposto al discredito di massae con una crisi economica ed occupazionale sempre più devastante. In altre parole, la fuoriuscita celere dall’epoca formigoniana e la definizione di un’alternativa netta, chiara e trasparente rappresentano oggi la principale urgenza politica in Lombardia.
Eppure, sembra che l’opposizione a Formigoni venga fatta seriamente soltanto dalla Procura della Repubblica e questo è un guaio. Sia chiaro, il problema non sono i magistrati, che fanno (e faranno) semplicemente il loro mestiere, bensì la politica, che non lo fa a sufficienza, determinando così un pericoloso vuoto.
In questo senso, dissento profondamente da chi è intervenuto ultimamente, anche da posizioni contigue al centrosinistra, come Piero Bassetti (ex Presidente della Regione e sostenitore di Pisapia l’anno scorso), affermando che Formigoni non si debba dimettere nemmeno in caso riceva un avviso di garanzia. Certo, un ragionamento ineccepibile in punto di diritto, ma politicamente perlomeno sospetto. Infatti, come negare rilevanza politica alla quantità e alla qualità di indagati nell’entourage del Presidente e al fatto che un terzo della sua Giunta degli anni 2005-2010 risulti oggi inquisita per fatti di corruzione? O al piccolo particolare delle firme false per la presentazione della sua lista elettorale? Oppure al quadro desolante che emerge con sempre maggior forza dalle vicende San Raffaele, Fondazione Maugeri e vacanze pagate?
Insomma, la rilevanza politica è evidente, per i fatti in sé e per quello che raccontano sulla vera essenza di un sistema di potere, ormai irreversibilmente marcio. Se a questo aggiungiamo il fatto che Regione Lombardia è ormai letteralmente immobile, se non addirittura disinteressata, rispetto all’incalzante questione sociale e alla galoppante desertificazione produttiva, abbiamo completato il quadro dell’insostenibilità della situazione.
Appunto, il dopo Formigoni è già iniziato. Per questo, se non si vuole delegare la politica alla magistratura o consegnare il futuro della Lombardia a un grande accordo con Cl, a una sorta di formigonismo senza Formigoni, occorre che dal campo dell’opposizione emerga un’iniziativa urgente e un percorso unitario che porti alla definizione di un’alternativa politica per la Lombardia. Un percorso, sia chiaro, il più pubblico ed aperto possibile, a partire dallo svolgimento delle primarie, perché solo così si potrà seriamente tentare di recuperare un rapporto di fiducia con i ceti popolari ed evitare in partenza tragici errori, come quello che aveva portato due anni fa alla candidatura di Filippo Penati.
Formigoni dovrebbe semplicemente dimettersi, visto il carattere sempre più eclatante della questione morale a Palazzo Lombardia, e consentire così ai lombardi e alle lombarde di poter scegliere liberamente, mediante il voto, chi e come deve governare la Regione. Ma Formigoni, ormai al 17° anno consecutivo di mandato presidenziale, non ci pensa nemmeno. Anzi, fa finta di niente e rilancia con un provvedimento da lui pomposamente chiamato “Cresci Lombardia”, che verrà discusso e sottoposto ad approvazione martedì prossimo, 3 aprile, in un Consiglio regionale presieduto dal leghista Davide Boni, indagato per corruzione.
In realtà, il progetto di legge regionale n. 146 (“Misura per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione”), di iniziativa del Presidente ed approvato in Commissione il 28 marzo scorso, è il solito provvedimento omnibus, cioè un testo tutti frutti dove si interviene un po’ su tutto, che non produrrà alcun effetto benefico sulla crescita economica ed occupazionale in Lombardia. Anzi, qualora venisse approvato così com’è, comporterà alcuni cambiamenti fortemente negativi, specie per quanto riguarda il lavoro, la scuola e l’ambiente.
Ma andiamo con ordine. Anzitutto vi è l’articolo 6 del progetto di legge, che aveva suscita rumorose e giuste polemiche nella sua formulazione iniziale, poiché interveniva a gambe tese proprio sull’articolo 18, ipotizzando, per mezzo del famigerato art. 8 del decreto-legge n. 138/2011 di sacconiana memoria, la sostituzione del reintegro con una “indennità di terminazione” (non stiamo scherzando, l’avevano chiamata proprio così!). Ma era evidentemente un po’ troppo provocatorio e così, sebbene Cisl e Uil fossero disponibili a tenersi anche la versione iniziale, la norma fu riscritta.
Da allora non se n’è più sentito parlare, un po’ perché la nuova formulazione aveva ridotto notevolmente le critiche della Cgil regionale e un po’ perché l’intervento del Governo Monti sul mercato del lavoro e sull’art. 18 ha, ovviamente, monopolizzato l’attenzione e lo scontro. Tuttavia, quell’articolo 6 è ancora lì e anche nella sua versione attenuata è una brutta cosa, perché continua a prevedere lo stanziamento di importanti risorse regionali, cioè denaro del contribuente, per favorire la stipulazione di contratti aziendali ai sensi dell’art. 8 del decreto n. 138, cioè in deroga ai contratti nazionali e allo Statuto dei Lavoratori.
Beninteso, sappiamo anche noi che lo scontro decisivo in materia di lavoro si gioca a livello nazionale, ma questa non ci pare una buona ragione per considerare digeribili le mosse di Formigoni e della Lega per svuotare la vigenza dei contratti nazionali e delle leggi.
In secondo luogo, c’è da segnalare l’articolo 8, che intende introdurre una nuova norma in materia di “Reclutamento del personale docente da parte delle istituzioni scolastiche”. Cioè, le destre lombarde pretendono di intervenire con una legge regionale su una materia di chiara competenza statale, stabilendo che i singoli istituti scolastici statali non debbano più assumere personale docente mediante le graduatorie, bensì che possano passare a una sorta di chiamata diretta, con concorsi fatti ad hoc, istituto per istituto.
Insomma, si tratta di un altro tema caro a Formigoni e a Cl, cioè l’attacco alla scuola pubblica e lo stimolo al processo di privatizzazione. Già, perché prima ancora di rappresentare una bandiera federalista o leghista, questa mossa si colloca in piena continuità e coerenza con la politica formigoniana in materia scolastica dell’ultimo decennio. E non è certo un caso che due mesi fa Formigoni abbia chiamato a ricoprire la carica di Assessore regionale all’Istruzione proprio Valentina Aprea, già sottosegretario al Ministero dell’Istruzione e pasdaran della privatizzazione del sistema scolastico italiano.
Comunque sia, ad oggi l’articolo 8 è forse il più conosciuto, visto che ha suscito molte proteste è mobilitazioni, come l’appello per il suo ritiro, promosso dall’Associazione NonUnodiMeno, o il presidio davanti al Pirellone del 27 marzo, organizzato dal Coordinamento Lavoratori della Scuola e dalla Flc Cgil. Quest’ultima, peraltro, si mobiliterà ancora martedì 3 aprile, in concomitanza con la discussione in Consiglio regionale del Pdl n. 146.
Infine, riteniamo necessario richiamare l’attenzione sull’articolo 36, di cui praticamente nessuno parla, a parte Legambiente Lombardia. Anche in questo caso siamo di fronte a un classico del formigonismo e dell’affarismo che lo circonda, perché parliamo di grandi infrastrutture e, in particolare, di autostrade. Con l’articolo in questione si interviene, infatti, sulla legge regionale n. 15 del 2008, cioè quella legge che ha favorito grandemente le colate di asfalto, facilitando le speculazioni e riducendo le tutele per il territorio, e che a suo tempo avevamo aspramente combattuto in Consiglio.
Ebbene, l’art. 36 prevede una cosa incredibile: riduce le compensazioni ambientali nel caso delle grandi opere autostradali, come la BreBeMi o la Tem! Non solo stabilisce per le compensazioni un tetto massimo del 5% del costo dell’intera opera, collocandosi così nettamente sotto la media europea che si aggira sul 7-8%, ma introduce persino il principio che tale percentuale è “inversamente proporzionale all’intero costo dell’opera”. In altre parole, più l’opera è grossa e devastante per il territorio, meno compensazioni ambientali devo pagare!
Insomma, anche se qui abbiamo affrontato soltanto tre punti critici del Pdl n. 146, pensiamo che sia ampiamente sufficiente per sostenere che questo provvedimento, che martedì 3 aprile andrà in Consiglio regionale per la sua approvazione definitiva, merita il massimo di opposizione possibile, dentro e fuori l’Aula.
di Luciano Muhlbauer
cliccando sull’icona qui sotto, puoi scaricare il testo integrale del Pdl n. 146 (“Misura per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione”), nella versione che andrà in Aula martedì 3 aprile
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 15 marzo 2012 e sui giornali on line MilanoX e Paneacqua
Ormai è uno stillicidio e non ha nemmeno più senso commentare le singole vicende. E questo vale a maggiore ragione per l’ultimo degli inquisiti in ordine di tempo, il consigliere regionale del Pdl, Giammario, ora indagato per corruzione, ma il cui nome si trovava già nell’inchiesta “Infinito” contro la ‘ndrangheta in Lombardia.
No, il punto è un altro, cioè il lungo ciclo formigoniano, che ha dominato in Lombardia per 17 anni consecutivi, segnando, deviando e corrompendo, anzitutto moralmente, il sistema regionale, è arrivato al capolinea. Il potente sistema di potere costruito attorno a Cl, il movimento politico-confessionale che in Lombardia agisce da partito-stato, e all’ultradecennale ed organica alleanza con la Lega Nord, scricchiola come mai era accaduto prima d’ora.
Beninteso, l’esistenza di una questione morale al Pirellone non è certo una novità, anzi era palese già nella scorsa legislatura. Vi ricordate, ad esempio, l’arresto in diretta tv dell’allora assessore regionale Prosperini oppure lo scandalo bonifiche, che aveva portato in carcere Rosanna Gariboldi, moglie di Giancarlo Abelli, assessore e signore delle nomine nella sanità lombarda?
Ma non era che l’inizio, poiché Formigoni trascinò i corrotti direttamente nella sua quarta legislatura. Tutto quello che succede ora era ampiamente annunciato, tant’è vero che lo stesso Formigoni si era adoperato per ricollocare gli ex-assessori più a rischio in posti privilegiati in Consiglio. Ci riferiamo ai due esponenti Pdl Nicoli Cristiani e Ponzoni, ambedue finiti di recente in carcere. A questi due va poi aggiunto il leghista Davide Boni, ex assessore e tuttora Presidente del Consiglio regionale, indagato pure lui per corruzione.
Di recente, poi, Formigoni ha estromesso dalla sua Giunta il Pdl Massimo Buscemi, perché considerato a rischio, ma in cambio ha pagato un vecchio debito, dando un incarico da 150mila euro a Monica Guarischi, sorella di Luca Guarischi, ex consigliere regionale vicino a Formigoni, decaduto nel 2009 causa condanna definitiva per tangenti. Ovviamente, potremmo andare avanti all’infinito, con il caso Minetti, le firme false per il listino o il crac del San Raffaele, ma lasciamo perdere.
Insomma, difficile presentare Roberto Formigoni come un immacolato circondato a sua insaputa da tante mele marce. Qui si tratta di un sistema che è marcio. Il tanto acclamato modello Lombardia è anche questo e, forse, soprattutto questo.
17 anni di governo ininterrotto sono decisamente troppi, portano a confondere la cosa pubblica con la cosa privata. Persino Putin aveva dovuto inventarsi un’interruzione prima del terzo mandato presidenziale. Formigoni invece no, lui è al quarto di fila, senza colpo ferire.
Ora però, finito il ventennio berlusconiano, sta per crollare anche quello formigoniano. Il problema, dunque, non è sapere se finisce, bensì come finisce. Già, perché non è la politica, l’opposizione o la mobilitazione dal basso a scuotere il palazzo, bensì la magistratura.
I magistrati, ovviamente, fanno il loro mestiere, così come lo fecero vent’anni fa, ma è la politica che finora non l’ha fatto. L’opposizione appare troppo debole e timida e nel passato recente c’è stato pure qualche inciucio di troppo.
Occorre, quindi, avviare da subito un percorso unitario per un’alternativa, che parta dal coinvolgimento dei cittadini e preveda le primarie. Insomma, la Lombardia non sarà come Milano, ma la primavera milanese ci offre un esempio concreto e vicino su come far rientrare in campo la partecipazione popolare e democratica e vincere. Altrimenti rischiamo di ripetere la via romana, dove siamo usciti dal berlusconismo non con un’alternativa politica, bensì con una politica commissariato e delegittimata.
Non siamo mai stati forcaioli e, pertanto, ci auguriamo che il Presidente del Consiglio regionale lombardo, il leghista Davide Boni, possa dimostrare la sua totale estraneità rispetto all’accusa di corruzione, contestatagli oggi dalla Procura di Milano.
Tuttavia, da un punto di vista politico non possiamo che sottolineare, con vivissima preoccupazione, che ormai la situazione in Regione Lombardia sia diventata definitivamente insostenibile e che occorra fare l’unica cosa responsabile rimasta da fare, cioè portare la Regione ad elezioni anticipate, da tenersi in autunno oppure in concomitanza con le elezioni politiche dell’anno prossimo. A meno che, ovviamente, non si voglia aspettare il big bang giudiziario, che però spazzerebbe via anche la residua credibilità dell’istituzione regionale.
Come si fa a non vedere che l’odierno avviso di garanzia nei confronti dell’esponente leghista, che fa di quello lombardo l’Ufficio di Presidenza più indagato e meno presentabile d’Italia, e la contestuale pubblicazione, da parte del Corriere della Sera, delle lettere riservate tra Formigoni e Don Verzé, che dimostrano che il Presidente lombardo sapeva da un decennio del buco di bilancio del San Raffaele e che riservava all’ospedale privato un prolungato trattamento di favore, a nostro modo di vedere illecito, rappresentano due ulteriori e pesanti tegole lanciate sulla già malmessa credibilità di Regione Lombardia?
Riteniamo, dunque, irresponsabile, da un punto di visto istituzionale, politico e morale, insistere ulteriormente. Il Presidente Formigoni prenda atto che questa legislatura è politicamente finita, che non può più dare nulla alla Lombardia, se non altri guai e scandali. Si dimetta dunque, perché questo è l’unico modo per arrivare alle elezioni anticipate in maniera politica e non costretti dal big bang giudiziario.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
P.S. nella foto che accompagna questo comunicato, si vede l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale della Lombardia, così come fu eletto all’inizio della legislatura, nel 2010. Ebbene, a questo punto, a parte Carlo Spreafico (Pd), in alto a sinistra, tutti gli altri, cioè 4 su 5, sono indagati e due di loro erano finiti addirittura in carcere (Nicoli Cristiani e Ponzoni).
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