Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
L’odierna udienza davanti al giudice civile sul ricorso del Conchetta contro lo sgombero del 22 gennaio scorso non ha portata ad alcuna conclusione, poiché il giudice si è riservato di decidere nei prossimi giorni. Tuttavia, considerando la memoria del Sindaco Moratti, presentata oggi dagli avvocati del Comune, possiamo senz’altra affermare che qualcuno non la racconta giusta.
Infatti, il Sindaco sostiene che il Comune non ha nulla a che fare con la decisione dello sgombero, scaricando ogni responsabilità su Prefettura e Questura. Una posizione comprensibile, per carità, perché una responsabilità accertata da parte del Comune comprometterebbe seriamente la sua posizione processuale, e forse persino sostenibile sul piano puramente formale, ma che da un punto di vista sostanziale fa acqua da tutte le parti.
In fondo, basterebbe ricordare l’intervista rilasciata dal Prefetto Lombardi al quotidiano "il Giornale" il 28 gennaio scorso, in cui affermavamo senza mezzi termini che “il Comune ha chiesto alla Questura di intervenire”, aggiungendo che “la Questura, quando riceve una richiesta del genere, soprattutto da un ente pubblico, deve garantire una tutela immediata”. Ebbene, quelle dichiarazioni non sono state mai smentite.
Ma c’è un altro fatto che dovrebbe far sorgere dei seri dubbi rispetto alla ricostruzione proposta dal Sindaco Moratti. Cioè, il pomeriggio del 21 gennaio, il vicesindaco De Corato, che fa anche il deputato a Roma, quando trova il tempo e l’interesse, aveva rivolta al Ministro Maroni un’interrogazione, in cui chiedeva di accelerare gli sgomberi dei centri sociali. E il Ministro, nel corso della question time alla Camera dei Deputati, gli aveva risposta affermativamente. Detto, fatto: soltanto alcune ore più tardi la polizia avrebbe forzato l’ingresso del Conchetta e avviato lo sgombero.
Certo, è piuttosto probabile che siamo di fronte ad un’azione voluta e costruita dal solito De Corato, con la gentile collaborazione del Ministro Maroni, e possiamo addirittura accettare l’ipotesi che la Moratti non ne sapesse nulla, impegnata com’è a garantire il posto nel consiglio d’amministrazione della società di gestione di Expo 2015 al suo Glisenti. Ma De Corato è pur sempre il suo vice e agisce in nome del Comune e del Sindaco.
Chiediamo pertanto, ancora una volta, che qualcuno si assuma la responsabilità di raccontare ai milanesi la verità.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 12/02/2009, in Lavoro, linkato 950 volte)
Questa mattina alle ore 9 il Vicepresidente regionale e Assessore al Lavoro, Rossoni, ha incontrato gli operai della Rsu dell’Innse. Non si trattava della riapertura di alcun tavolo di confronto, allo stato non all’ordine del giorno, bensì di un incontro sollecitato dai lavoratori, con il tramite del Gruppo regionale di Rifondazione Comunista, sin da venerdì scorso.
Tuttavia, il fatto stesso che tale incontro si sia svolto, a soli due giorni dalle violente cariche di polizia contro gli operai, costituisce un timido segnale positivo. Infatti, lo stesso Assessore ha espresso la sua solidarietà con gli operai dell’Innse e affermato la sua contrarietà all’uso dei manganelli per affrontare le questioni sociali, ribadendo l’impegno di Regione Lombardia per la ricerca di una soluzione positiva della vertenza.
Certo, avremmo preferito che tutto questo venisse detto con sufficiente chiarezza prima di quel martedì mattina di violenza, ma ora si tratta di guardare al futuro.
Salvare l’Innse, la produzione e i posti di lavoro è ancora possibile, ma per fare questo occorre che tutte le istituzioni si impegnino in maniera seria e coordinata, a partire da Provincia e Regione, coinvolgendo anche il finora latitante Comune di Milano.
E la prima cosa da fare è fermare ogni ipotesi di ulteriore intervento violento con gli operai, affinché venga garantito il tempo necessario per lavorare a una soluzione positiva, cioè la ricerca di un imprenditore interessato a continuare la produzione, e perché si definisca la situazione della proprietà dell’area dove sorge la fabbrica, poiché l’Aedes è destinata a uscire di scena a brevissimo.
Genta, l’attuale e poco limpido proprietario dell’Innse, se vorrà, potrà portare via il suo materiale e le sue merci, come gli operai gli avevano già proposto invano tempo fa, ma deve scordarsi di poter iniziare a smantellare i macchinari.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 10/02/2009, in Lavoro, linkato 1030 volte)
I frutti amari della chiusura frettolosa del tavolo di confronto in Regione, voluta dall’Assessore Rossoni, non hanno tardato a manifestarsi. E così, ancora prima dell’alba, un ingente schieramento di polizia e carabinieri, quasi 200 uomini, ha forzato con la violenza il presidio degli operai dell’Innse e fatto entrare nello stabilimento due camion del proprietario e finto imprenditore, Silvano Genta.
La prima e più violenta carica si è verificata poco prima delle ore 6.00, nei pressi dell’ingresso laterale, dove era presente un reparto dei carabinieri. La carica è stata assolutamente indiscriminata e sono stati presi a manganellate sulla testa gli operai, un sindacalista della Fiom e anche il sottoscritto, nonostante la sua qualifica di Consigliere regionale fosse conosciuta dai responsabili di piazza.
Alla fine, grazie alla determinazione dei lavoratori, la Questura e Genta hanno dovuto accettare che un sindacalista della Fiom e un delegato Rsu potessero entrare nel capannone e verificare che i macchinari non venissero manomessi. Quindi, oggi Genta si porta via due camion di semilavorati, cioè esattamente quanto gli avevano proposto gli operai prima di natale, ma che lui aveva rifiutato.
Anche se il presidio dei lavoratori continuerà, così come il nostro appoggio a loro, c’è da aspettarsi che tra non poco tempo Genta e la polizia si ripresenteranno ai cancelli per finire il lavoro, riempiendo nuovamente di botte gli operai. Questa è anzi una certezza, a meno che le istituzioni non facciano quello che finora non hanno fatto, cioè promuovere un tavolo negoziale serio, che non si limiti semplicemente a fotografare le difficoltà della situazione.
E una responsabilità particolare ce l’ha la Regione Lombardia. Pertanto chiediamo ancora una volta all’Assessore Rossoni e al Presidente Formigoni di adoperarsi in quella direzione, fermando la folle corsa verso lo scontro violento con gli operai dell’Innse. Anche perché inaugurare a Milano un anno difficile di crisi con i manganelli sugli operai è inaccettabile e inquietante da ogni punto di vista.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 09/02/2009, in Lavoro, linkato 1233 volte)
È stato convocato un presidio di sostegno agli operai per domani mattina, a partire dalle ore 6.00, davanti ai cancelli dell’Innse, in via Rubattino, 81 (zona Lambrate). Qui di seguito il nostro comunicato.
Chiediamo al Presidente Formigoni di intervenire con la massima urgenza per scongiurare lo smantellamento della fabbrica Innse di Milano-Lambrate e l’intervento delle forze di polizia contro gli operai, ormai quasi certo per domani mattina.
La Commissione IV (Attività produttive) del Consiglio regionale, in seguito all’audizione con le maestranze, aveva inviato il 2 febbraio scorso una nota formale al governo regionale in cui “chiede con forza che la Giunta regionale e gli Assessori Rossoni e La Russa, …, pongano in essere tutte le iniziative necessarie a salvaguardare il sito aziendale e la produzione, a scongiurare che lo stabilimento venga dismesso ed a facilitare, laddove possibile, eventuali proposte di acquisizione dell’azienda da parte di soggetti interessati”.
Eppure, nonostante tutto questo, soltanto due giorni più tardi, cioè il 4 febbraio, il secondo round del tavolo di confronto convocato dall’Assessore Rossoni era finito con un nulla di fatto e il tavolo era stato dichiarato chiuso. Dall’altra parte, era difficile, anzi impossibile, pensare che in sole due settimane la Regione potesse risolvere una vicenda che si trascina da lunghi mesi. In altre parole, il cerino è stato passato alla Questura, che appunto fa la questura e non può certo sostituirsi alla politica.
Tuttavia, al momento di chiudere il tavolo in Regione, l’Assessore Rossoni aveva anche dichiarato che questo non significava che la Regione si disinteressasse dell’Innse e che, anzi, il Presidente sarebbe stato informato tempestivamente. Ebbene, ora i 50 operai che presidiano da lunghi mesi il sito produttivo rischiano di venir presi a manganellate. Ecco perché il Presidente Formigoni deve intervenire subito.
Sarebbe peraltro cosa grottesca e offensiva che le istituzioni milanesi accettassero in piena crisi lo smantellamento di un sito produttivo sano e per il quale esistono possibili acquirenti e, soprattutto, un mercato certo di sbocco per le merci. L’unico problema è che l’attuale proprietario, cioè Silvano Genta, è un imprenditore un po’ particolare ed è assolutamente indisponibile a ogni soluzione positiva. Egli, infatti, non è interessato alla produzione, ma soltanto a realizzare un sovraprofitto, vendendo sul mercato i costosi macchinari che egli aveva acquistato nel 2006 a prezzi stracciati, grazie alla procedura di amministrazione straordinaria, ma anche con l’impegno di rilanciare l’azienda.
Della proprietà del terreno sul quale sorge la fabbrica, cioè la società Aedes, non vale nemmeno la pena discutere. Essa è sostanzialmente in fallimento e, con ogni probabilità, alla fine del mese subentrerà una nuova proprietà.
Non muovere un dito, come ha già deciso di fare il Comune di Milano, di fronte alla concreta prospettiva di un intervento violento contro gli operai, con il solo scopo che Genta si possa portare via i macchinari, significa rendersi complici degli interessi particolari di uno speculatore. Il Presidente Formigoni ha l’autorità, la possibilità e il dovere di impedire che questo scempio di compia. Chiediamo semplicemente che lo faccia.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 05/02/2009, in Lavoro, linkato 979 volte)
È mai possibile che tutte le istituzioni locali che insistono sul territorio milanese dichiarino che l’Innse di Lambrate, in quanto insediamento produttivo sano e con mercato, non debba essere chiusa, ma che poi nessuno sembra essere in grado di fermare un possibile intervento di polizia contro gli operai e il conseguente smantellamento della fabbrica? Pare impossibile eppure, in assenza di elementi di novità, questo sarà il probabile e squallido scenario per l’immediato futuro.
Infatti, ieri in Regione si è esaurito con un nulla di fatto anche l’ultimo tentativo in ordine di tempo per trovare una soluzione negoziata e positiva (vedi anche post su questo blog del 14 e 20 gennaio). E così, il secondo confronto, tenutosi presso la sede dell’Assessorato regionale al Lavoro, tra istituzioni (assente però il Comune), Prefettura, Rsu Innse, Fiom e rappresentanti della proprietà è stato anche l’ultimo, poiché il Vicepresidente della Giunta Regionale, Rossoni, ha dichiarato chiuso il tavolo. In altre parole, il governo regionale, appena resosi conto che qui non si trattava semplicemente di mischiare un po’ le carte sul tavolo, bensì di intervenire d’autorità, ha gettato la spugna.
E che dire delle altre istituzioni, cioè Provincia e Comune di Milano? La prima, una volta tanto, è impegnata da tempo e seriamente, soprattutto il suo Assessorato al Lavoro, ma purtroppo la Provincia è anche l’istituzione più debole e con meno mezzi. Il Comune, invece, dispone di mezzi più efficaci, per esempio sul piano urbanistico, ma è anche l’istituzione che ha tenuto il profilo più basso e defilato.
Insomma, ne viene fuori un quadro allarmante, ma forse sintomatico dello stato delle cose a Milano. Infatti, la Giunta Formigoni è disposta a mobilitare tutta la sua forza e immagine, andando persino oltre la legge e il buon gusto, per condurre una ignobile campagna ideologica sul corpo e sulla dignità di Eluana Englaro, ma nel caso dell’Innse alla prima difficoltà cede a un rottamaio come Genta. Il Comune, da parte sua, non si ferma davanti a nulla, facendo mobilitare ingenti quantità di polizia, carabinieri e “poliziotti locali” quando si tratta di sgomberare qualche centro sociale o rincorrere sui mezzi dell’Atm qualche immigrato, ma poi se ne frega allegramente quando si chiude una fabbrica sana e si cacciano 50 operai.
Infine, c’è il Governo, il grande assente. Eppure, l’Innse finì nelle mani di Genta a prezzi stracciati, cioè poco più di 750mila euro, quando era in amministrazione straordinaria. E chi allora presentò Genta come un ottimo imprenditore era un uomo politico che oggi fa il sottosegretario a Roma, cioè il leghista Castelli.
Ma per favore, che nessuno racconti che tutte le istituzioni messe insieme non sono in grado di prevalere sugli interessi particolari di Aedes, proprietaria del terreno e attualmente sull’orlo del fallimento, e di un finto imprenditore, Genta, il quale, peraltro, aveva preso la fabbrica a prezzo di favore per rilanciarla e non, come poi ha fatto, preoccuparsi soltanto di smantellarla per rivendere sul mercato i costosissimi macchinari.
E i 50 operai? Ebbene, loro sono l’unica parte dignitosa e degna di questa storia. Avevano proseguito in autonomia la produzione quando Genta aveva decisa di fermarla e poi, dopo essere stati cacciati fuori dai cancelli dalla polizia, hanno iniziato a presidiarla, giorno e notte, a prescindere dalle temperature. Sono passati mesi e non si sono fermati un attimo, non per ottenere qualche ammortizzatore sociale, ma per poter lavorare, visto che c’è mercato per la produzione, e salvaguardare uno dei pochi insediamenti produttivi rimasti a Milano. In altre parole, sono gli unici che si fanno carico dell’interesse generale, mentre i potenti del Pirellone, di Palazzo Marino e del Governo si dichiarano impotenti di fronte a qualche interesse particolare, pure un po’ losco.
Pensiamo quindi che questi operai, le loro motivazioni e la loro lotta meritino più di qualche simpatia. Meritano solidarietà concreta e appoggio. Perché la storia non può e non deve finire qui.
Con una nota alla stampa, diffusa oggi dall’agenzia Lombardia Notizie, il Presidente Formigoni definisce una “bufala da scherzi a parte” la notizia della presentazione di una modifica alla legge urbanistica regionale che permetterà ai Sindaci di chiudere le rivendite di kebab, come chiede a gran voce la Lega Nord. Ma purtroppo l’unica bufala esistente è proprio la smentita di Formigoni.
Comprendiamo ovviamente l’imbarazzo del Presidente, visto che lui è il firmatario e il presentatore formale del progetto di legge n. 365, che andrà in Commissione V domani, ma non l’autore materiale, che è invece l’Assessore leghista Davide Boni. Ma a questo punto viene da chiedersi seriamente se il Presidente Formigoni abbia letto il pdl prima di firmarlo.
Comunque sia, carta canta e ancora una volta una modifica della legge regionale n. 12 sul governo del territorio viene utilizzata per fini politici estranei all’urbanistica. Infatti, basta leggere quanto afferma il nuovo comma 8 nonies dell’articolo 25 della l.r. 12 per capire che si tratta di un regalo alla campagna d’odio della Lega.
Anzi, forse un regalo più grande di quello che i nemici del kebab si aspettavano, poiché la formulazione è talmente generica da permettere su tutto il territorio comunale interventi proibizionisti contro tutte le “attività”, che gli amministratori di turno considerino essere “suscettibili di determinare situazioni di disagio a motivo della frequentazione costante e prolungata dei luoghi”. In altre parole, non solo le kebaberie, ma tutto, dal circolo Arci alla pizzeria.
Questa norma, qualora approvata, non farà una fine diversa dalla legge regionale sui phone center, poiché assegna ai Sindaci un potere discrezionale che invade materie e diritti regolati da disposizioni di legge nazionali ed europee. Ma, come già nel caso della legge sui phone center, l’intervento della Corte Costituzionale, se ci sarà, arriverà quando la norma avrà già prodotto i suoi danni e rovinato legittime attività. E questo lo sanno bene tutti gli attori istituzionali.
È ora di finirla di usare la legge urbanistica per fare cose che con l’urbanistica non c’entrano nulla, ma che in cambio hanno molto a vedere con gli interessi di alcuni partiti politici. Se il Presidente Formigoni ha firmato un progetto di legge senza averlo letto, allora tolga di mezzo quella incredibile norma. Se invece se ne assume la paternità politica, allora ci risparmi almeno l’ipocrisia.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui sotto puoi scaricare il testo del pdl n. 365
di lucmu (del 02/02/2009, in Lavoro, linkato 974 volte)
Qui di seguito l’appello della Rsu e degli operai dell’Innse, che si può firmare on-line. Invitiamo tutti e tutte a farlo all’indirizzo che trovate sotto.
Questo è il nono mese di lotta che come operai e impiegati della INNSE stiamo affrontando, il nostro obiettivo è la difesa del posto di lavoro, la continuità produttiva, il rifiuto della chiusura della fabbrica.
Stiamo facendo in modo che il padrone Genta non si impossessi del macchinario, abbiamo dovuto resistere con un presidio continuo davanti alle portinerie al suo tentativo di entrare e di svuotare l’officina e di vendere i macchinari al miglior offerente.
Questa battaglia non riguarda solo noi, ma tutti quelli che credono che questa forma di resistenza operaia possa essere un possibile punto di partenza per lottare contro i licenziamenti, in una crisi che ne produce migliaia al giorno.
Una battaglia che riguarda tutti quelli credono che la città di Milano non possa finire in mano a speculatori di ogni tipo, immobiliaristi sull’orlo del fallimento, speculatori finanziari bancarottieri di ogni ordine e grado che chiudono le fabbriche senza nessuna opposizione sociale.
Non solo vi chiediamo di firmare questo appello di solidarietà, ma anche di partecipare attivamente ai presidi per impedire a Genta di smantellare una fabbrica che fa parte della storia industriale di Milano.
Raccogliamo per questo le firme di chiunque voglia aderire all’appello.
Milano, 27 gennaio 2009
La R.S.U, gli operai e gli impiegati della INNSE
Che la trasparenza non vada molto di moda dalle nostre parti, specie quando parliamo del Cie (ex-Cpt) di via Corelli, lo sapevamo già, ma che ora la Prefettura sia arrivata al punto di mettere sotto tutela i Consiglieri regionali, imponendo pesanti restrizioni per quanto riguarda le visite alla struttura, va al di là della più elementare decenza.
L’incredibile novità è stata peraltro scoperta per caso. Infatti, per oggi pomeriggio era prevista una visita in via Corelli da parte del sottoscritto, insieme a due esponenti dell’Arci, nel quadro della campagna europea di Migreurop intitolata, ironia della sorte, “Per la trasparenza nei luoghi di detenzione per stranieri”. Ebbene, tale visita non si realizzerà, poiché la Prefettura ha comunicato formalmente che d’ora in poi ogni Consigliere Regionale che volesse accedere al Cie-Cpt lo potrà fare soltanto a due condizioni: 1. deve essere in possesso di una apposita delega in tal senso da parte del Presidente della Giunta Regionale o del Presidente del Consiglio Regionale; 2. la visita deve essere autorizzata dal Prefetto.
Tanto per capirci, nessuna delle due condizioni esisteva fino ad oggi, visto che il regolamento del Cpt di via Corelli, emanato dalla stessa Prefettura il 26 ottobre 2000 e a quanto sappiamo mai abrogato formalmente, prevede che i parlamentari, i consiglieri regionali e i magistrati accedano alla struttura senza previa autorizzazione. E, infatti, il sottoscritto, così come altri Consiglieri regionali, visitavano con una certa regolarità via Corelli.
Da oggi, ogni Consigliere regionale lombardo, nell’esercizio delle sue funzioni, continuerà a poter visitare in qualsiasi momento, senza autorizzazione e preavviso, qualsiasi carcere della Lombardia, compreso il nuovo padiglione ad altissima sicurezza di Opera, ma non potrà più farlo con il Cie di via Corelli, dove si trovano rinchiuse persone che non hanno commesso reati e subito alcun processo.
A lasciare stupefatti, però, non è soltanto il merito della questione, ma anche le motivazioni formali esibite, che francamente sfidano il grottesco. Cioè, la Prefettura si richiama alla direttiva del 24 aprile 2007 dell’allora Ministro degli Interni Amato, peraltro ignorata fino a ieri, che aveva come obiettivo la concessione di un po’ più di trasparenza e stabiliva quindi che anche Sindaci, Presidenti di Provincia, di Regione e di Consiglio Regionale potessero accedere ai Cpt presenti sul loro territorio, poiché in molte zone del Paese nemmeno questo era possibile. E ora la Prefettura di Milano, capovolgendone il senso, utilizza incredibilmente tale direttiva per dire che “solo” i Presidenti possono entrare, i consiglieri non più.
Le nuove restrizioni della Prefettura sono di inaudita gravità, perché se d’ora in poi la possibilità di visita e controllo sarà sottoposta a vincoli e autorizzazioni, questo significa che non saranno più possibili visite non preannunciate con un certo anticipo o “sgradite” e che dunque, in caso di fatti poco chiari all’interno del Cpt, che spesso accadono, sarà estremamente difficile avere versioni diverse da quelle ufficiali. Cioè, i potenziali controllati avranno il potere di impedire ogni controllo indipendente.
E che tutto questo avvenga esattamente quando il Governo intende costruire nuovi Cie in tutta Italia e prolungare la detenzione amministrava fino a 18 mesi non fa che rendere ancora più preoccupante questa scelta.
Abbiamo già interpellato il Presidente del Consiglio Regionale, De Capitani, chiedendogli di farsi carico, per quanto gli compete, di tutelare i consiglieri nell’esercizio del loro mandato. Al Prefetto chiediamo invece un urgente chiarimento: cioè, chi ha deciso questa novità, il Prefetto oppure il Ministero degli Interni?
Comunque la si pensi sui Cie-Cpt, far calare un muro di omertà e silenzio, più di quello che già c’è, è una politica inaccettabile e ignobile che legittima d’ora in poi ogni sospetto e pregiudizio. Da parte nostra, fortunatamente non da soli, continueremo la battaglia contro queste strutture di detenzione amministrativa e per la trasparenza.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Sembra la Repubblica delle Banane, invece è Milano. A quasi una settimana dallo sgombero manu militari del Conchetta, non è ancora dato sapere chi l’ha deciso e sulla base di quale atto o motivazione legalmente fondata. Anzi, assistiamo da giorni a un incredibile e inusuale rimpallo di responsabilità tra le istituzioni e a un’assenza completa di trasparenza. E, come se non bastasse, oggi “il Giornale” pubblica un’intervista al Prefetto Lombardi che aggiunge confusione a confusione.
Ma riassumiamo per sommi capi. Poche ore dopo lo sgombero, il vicesindaco De Corato si era congratulato con il Prefetto e il Questore, ringraziandoli per aver accolto il suo suggerimento, salvo specificare alcune ore più tardi che lui non c’entrava niente e che si trattava di una decisione autonoma di Prefettura e Questura. Altri hanno poi aggiunto ulteriori tesi, come l’Assessore comunale Cadeo, che ieri sera a Telenova ha dichiarato che c’erano delle non meglio specificate ragioni da parte della Questura, ribadendo che il Comune e il Vicesindaco non hanno chiesto nulla. E così arriviamo a oggi, con la citata intervista, in cui il Prefetto Lombardi smentisce gli amministratori milanesi e dichiara secco che “il Comune ha chiesto alla Questura di intervenire”, aggiungendo che “la Questura, quando riceve una richiesta del genere, soprattutto da un ente pubblico, deve garantire una tutela immediata”.
Insomma, chi ha deciso, perché e con quale legittimità uno sgombero del tutto atipico, per giunta mentre è in corso un procedimento legale sul contenzioso? Crediamo che a questa domanda qualcuno, tra Comune, Prefettura e Ministero degli Interni, debba dare alla cittadinanza una risposta definitiva e che lo debba fare immediatamente.
Non è possibile che da giorni si assista nella nostra città a un’orgia di insulti e minacce contro quei cittadini che non la pensano come gli amministratori e che poi non si riesca nemmeno a spiegare le cose più elementari.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Oggi è stato pubblicato e presentato alla stampa il rapporto “Razzismi Quotidiani: la voce dei cittadini stranieri e dei media su razzismo e discriminazione”, realizzato dal Naga e dal Cospe di Milano. Una delle pochissime inchieste che parte dal punto di vista dei migranti, dalle loro percezioni e dal loro vissuto. Insomma, un materiale da leggere e da fare circolare.
In allegato a questo post puoi scaricare il rapporto e qui sotto riproduciamo il comunicato stampa di presentazione di Naga e Cospe. Ovviamente, tutto quanto puoi consultarlo anche sui siti web www.naga.it e su www.cospe.it.
“Comunicato stampa:
RAZZISMI QUOTIDIANI. LA VOCE DEI CITTADINI STRANIERI E DEI MEDIA SU RAZZISMO E DISCRIMINAZIONE
Il rapporto di Naga e Cospe in materia di discriminazione e razzismo:
un’indagine sul campo e le notizie dei media.
Naga e Cospe hanno, nell’arco di un mese, intervistato 580 cittadini stranieri e monitorato i mezzi d’informazione nell’intento di mettere a confronto l’informazione in materia di discriminazione e razzismo con l’effettivo vissuto dei cittadini stranieri. Oggi viene presentato il rapporto frutto di tale indagine. I dati raccolti evidenziano il verificarsi diffuso di atti di violenza e discriminazione a danno dei cittadini stranieri : razzismi quotidiani perpetrati dalle forze dell’ordine, da controllori sui mezzi pubblici, da personale della sicurezza privata, da datori di lavoro, da gruppi di persone o da singoli individui.
Il quadro che emerge dai dati e dalle testimonianze è preoccupante: ad almeno 1 persona su 5 è capitato di essere trattata male dalle forze dell’ordine; ad 1 persona su 5 di dormire per strada; a 3 persone su 10 di essere offese sui mezzi pubblici e di essere guardate male per strada; a 3 persone su 10 di non essere pagate per un lavoro; a più della metà del campione di perdere all’improvviso il lavoro. E' la preoccupazione di ammalarsi a prevalere, che si intreccia con quella di perdere il lavoro. Per il 65% del campione, infine, la vita in Italia è cambiata negli ultimi anni e, per la grande maggioranza di questi, in modo negativo.
“Sentivamo la necessità di ascoltare e far ascoltare la voce dei cittadini stranieri, e proprio le loro testimonianze ci hanno permesso di capire quale sia l’incidenza di episodi di razzismo e discriminazione nella vita di chi si rivolge al Naga” dichiara Pietro Massarotto, presidente del Naga. “I dati evidenziano una situazione odiosa, una sorta di "normalizzazione" degli atti di discriminazione e razzismo, che incide negativamente sulla vita di persone che vivono e lavorano in Italia. Inoltre ci ha colpito il fatto che di fronte a un’incidenza media del 30% di episodi di sopraffazione, la percezione critica di ciò che accade sia fortemente sottodimensionata nei racconti dei cittadini stranieri, che, in un contesto di criminalizzazione continua, paiono aver alzato il livello di sopportazione degli abusi”, prosegue il presidente del Naga; “i dati raccolti ci confermano, infine, quanto sia sbagliato e dannoso rappresentare i cittadini stranieri come un gruppo omogeneo, non esistono ‘gli stranieri’, ma singoli individui caratterizzati da speranze, paure, aspettative e biografie completamente differenti. Singoli che vedono quotidianamente violati i loro diritti fondamentali da parte di Istituzioni e cittadini”.
L’analisi su testate locali e nazionali (carta e web), pur inevitabilmente parziale ed estemporaneo ha permesso di fornire una significativa istantanea sulla situazione attuale dei razzismi quotidiani. Secondo i dati raccolti è avvenuta una media di 1,3 episodi di razzismo al giorno. Gli immigrati sono state le vittime principali degli atti di discriminazione e razzismo, soprattutto i cittadini di nazionalità rumena, e sembra che il colore della pelle sia l’elemento che rende le persone di origine straniera, anche se nate in Italia o cittadine italiane, maggiori vittime di violenze, insulti e comportamenti offensivi.
Quello che più colpisce è l’alta percentuale di atti di violenza istituzionale, compiuta da forze dell’ordine e da persone in una posizione di autorità, come i controllori dei mezzi di trasporto. Tra le principali vittime rom e sinti. A conferma dell effetto del razzismo di creare, riprodurre e/o mantenere il potere, l’influenza e il benessere di un gruppo cosiddetto “razziale” a scapito di un altro gruppo definito negli stessi termini.
“Gli studi sul tema - afferma Udo Enwereuzor, esperto di discriminazioni e resposabile COSPE del progetto europeo RAXEN (Rete di informazione europea sul razzismo e la xenofobia) - ci dicono che spesso gli immigrati non sono rappresentati come persone a tutto tondo; come risulta anche dalla nostra analisi – ad esempio - essi sono frequentemente ridotti ad una nazionalità. Inoltre, come abbiamo rilevato, la loro voce nei media e nel dibattito pubblico è del tutto residuale. Così come la voce del mondo associativo, di esperti, di attori che ruotano nel mondo dell’ immigrazione è raramente presa in considerazione come fonte.
Dal nostro monitoraggio emerge infatti la tendenza dei giornalisti a utilizzare quasi esclusivamente voci e fonti istituzionali”. “Una difficoltà persistente che si frappone alla crescita dell’impegno delle istituzioni e dei singoli nel contrasto del razzismo e delle discriminazioni collegate – conclude Udo Enwereuzor - è rappresentata proprio dalla mancanza di dati ed informazioni descrittive raccolte in modo sistematico e che riguardano tutto il territorio nazionale. Ed è in questa direzione che questa ricerca prova a dare una risposta”.”
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