Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
di lucmu (del 23/01/2007, in Lavoro, linkato 1112 volte)
Oggi il Consiglio regionale ha approvato a maggioranza il pdl 150, “Strumenti di competitività per le imprese e per il territorio della Lombardia”.
Non c’è alcun dubbio che la situazione economica della nostra regione necessiti di un deciso intervento da parte delle istituzioni, poiché in Lombardia da troppo tempo regna un modello di sviluppo che punta tutto sulla riduzione del costo del lavoro e che non investe sull’innovazione e sulla qualità. Peccato però che la legge approvata sia terribilmente lontana da questa esigenza.
Oggi esce dall’aula consiliare una legge senz’anima e senza progetto, che si limita a distribuire a pioggia un po’ di soldi pubblici a un po’ di imprese, senza scegliere priorità di sviluppo e senza vincolare i beneficiari al rispetto dei contratti nazionali di lavoro.
E, come se non bastasse, una legge che apre un pericoloso baratro per quanto riguarda le aree industriali dismesse, cioè 29 milioni di metri quadrati. Infatti, d’ora in poi sarà più facile edificare senza dover rispettare alcun vincolo di destinazione d’ uso e tanto meno la vocazione industriale. Altro che riqualificazione urbana e rilancio produttivo, siamo piuttosto al via libera bello e buono alle speculazioni edilizie.
Insomma, nulla è cambiato rispetto alla versione uscita dalla Commissione e pertanto non poteva che ripetersi il nostro deciso voto negativo.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Oggi, alle ore 16.00, presso l’auditorium “Giorgio Gaber” del Pirellone, il Ministro Ferrero incontrerà le realtà associative e sindacali impegnate sul terreno dell’immigrazione. L’incontro fa parte di un tour che tocca tutte le regioni italiane ed è finalizzato a raccogliere le proposte provenienti dalla società civile in vista della discussione sulla nuova legislazione sull’immigrazione.
L’incontro che si tiene oggi a Milano è di un’importanza particolare, poiché si svolge nella regione italiana che concentra da sola un quarto dell’immigrazione nazionale, cioè quasi 900mila uomini e donne. Si tratta dunque di un osservatorio privilegiato per misurare gli effetti drammatici di una politica che finora ha puntato tutto sull’approccio repressivo, emarginando le politiche di accoglienza e inclusione e finendo così per favorire la diffusione della condizione di clandestinità e delle dinamiche di ghettizzazione.
Non a caso La Lombardia è anche la regione dove mancano clamorosamente delle politiche attive locali che possano favorire la convivenza e la coesione di una società che si fa sempre più multietnica. E significative sono le responsabilità politiche di chi governa questo territorio, poiché Regione Lombardia non solo non ha mai voluto affrontare il tema, ma ha fatto di peggio, inserendo con triste regolarità elementi discriminatori nei vari provvedimenti di legge, poi spesso bocciati dal Tar o dalla Corte Costituzionale.
Una società che cambia velocemente e una politica che rifiuta di affrontare la realtà, abbandonandosi in alcune sue parti estreme, ma politicamente pesanti, come Lega e An, persino a vere e proprie campagne xenofobe o peggio, sono gli ingredienti che fanno assomigliare la Lombardia a un treno lanciato a folle velocità verso il precipizio. Opera docet.
Ecco perché è estremamente prezioso il contributo delle realtà della società civile che quotidianamente sono attive sul campo e che chiedono all’unisono di cambiare strada, prima che i guasti diventino irreparabili. Rifondazione Comunista condivide e sostiene il documento del cartello di associazioni, dall’Arci a diversi comitati di immigrati, dalla Fillea-Cgil al SdL intecategoriale, che oggi sollecita il Governo a modificare radicalmente politica, a cominciare dall’abolizione urgente della Bossi-Fini, senza tornare alla Turco-Napolitano, e dalla chiusura dei Cpt.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui sotto puoi scaricare il documento che le associazioni presenteranno al Min. Ferrero
di lucmu (del 18/01/2007, in Casa, linkato 1136 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 18 gennaio 2007 (pag. Milano)
“Dobbiamo ripensare se costruire le case popolari perché ai lombardi non servono”. Così parlò l’assessore regionale leghista, Boni, subito sostenuto dal suo collega padano Salvini. A sostegno di questa stupefacente tesi si citano autentiche falsità, come l’affermazione che l’80% delle case popolari lombarde sarebbero occupate da “abusivi o extracomunitari”, per poi finire con il consueto armamentario leghista sui soldi dei lombardi che verrebbero dati ai non lombardi. Beninteso, per essere considerati lombardi non basta vivere, lavorare e pagare le tasse in Lombardia, ma bisogna essere bianchi doc e comunque riuscire a dimostrare una prolungata residenza.
La solita boutade della Lega? In parte sì, perché è assai difficile immaginarsi una Regione Lombardia che blocchi veramente la costruzione di case popolari. Ma in parte no, perché viene enunciato un concetto che fornisce copertura ideologica ad un processo già in atto. Ebbene sì, perché proprio all’inizio di dicembre il Consiglio regionale ha approvato a maggioranza la riduzione del 75% dei fondi per la costruzione e riqualificazione di alloggi popolari per il prossimo quadriennio.
Che stiamo marciando verso una vera e propria emergenza casa lo dicono ormai tutti. Nella sola provincia di Milano si stima un fabbisogno di 100-140mila alloggi per i prossimi dieci anni, il mercato privato è sempre più inaccessibile per i redditi medio-bassi e, come se non bastasse, nel capoluogo la percentuale di abitazioni tenute vuote, spesso per motivi speculativi, raggiunge ormai l’8%. Insomma, al significativo aumento della domanda sociale di alloggi a basso costo, corrisponde una politica di riduzione tendenziale dell’offerta di case popolari, per non parlare della sempre più spinta introduzione di criteri privatistici nella gestione dell’edilizia residenziale pubblica.
In questa contraddizione sta la ragione di provvedimenti regionali come quello dell’obbligo di almeno cinque anni di residenza per poter accedere alle graduatorie, peraltro già bocciato dal Tar. E sta qui la ragione degli odierni proclami leghisti. Si tratta molto più banalmente –e cinicamente- di nascondere la verità e di accreditare la favola nera secondo la quale non ci sarebbero case popolari per i “lombardi”, perché a portargliele via ci sono gli “extracomunitari” e i “delinquenti”, che poi sarebbero quasi sempre la stessa cosa. Insomma, una bella guerra tra i poveri per l’accesso alla casa, libertà di fare affari per le immobiliari e, soprattutto, nessuno che chiami in causa le responsabilità del potere politico.
Non occorre essere dei geni per capire che discorsi e atti istituzionali del genere, oltre ad essere disgustosi di per sé, sono di un’estrema pericolosità politica e sociale, specie se applicati in una regione dove vivono ormai quasi 900mila migranti e dove la mobilità, in ingresso e in uscita, è tradizionalmente elevata. Ecco perché conviene non snobbare le continue uscite leghiste, che saranno pure rozze e minoritarie, ma che in fondo non sono altro che degli apripista per una politica che appartiene a settori ben più ampi e potenti del centrodestra -e a volte anche oltre- e degli affaristi del mattone. Ed ecco perché a sinistra la questione abitativa, o meglio del diritto alla casa per tutti e tutte, andrebbe finalmente collocato tra le priorità.
La richiesta alla Regione da parte del Presidente della Provincia di Milano, Penati, di rifinanziare la legge regionale n. 77 del 1989, relativa alle “popolazioni nomadi e semi-nomadi”, è totalmente condivisibile.
Da tempo la maggioranza di centrodestra in Regione boicotta l’applicazione della legge, negando anno dopo anno anche solo un euro di finanziamento. Rifondazione Comunista e tutta l’Unione hanno chiesto ripetutamente che venisse rifinanziata, l’ultima volta poche settimane fa, in occasione della discussione del bilancio regionale. Ma la maggioranza di centrodestra, trainata dal grido di guerra leghista “neanche un euro ai rom”, ha sempre respinto mozioni e ordini del giorno.
La legge regionale non è sicuramente perfetta, poiché è figlia del suo tempo e pertanto non fuoriesce dalla logica dei “campi”. Tuttavia, qualora applicata, sarebbe un prezioso strumento per liberare risorse economiche per gli enti locali che intendono promuovere politiche di accoglienza e azioni di inserimento.
Invece, la Regione ignora l’esistenza di quella legge e diserta irresponsabilmente la collaborazione interistituzionale, che invece Provincia e Comune di Milano stanno tentando di avviare. Anzi, la maggioranza di centrodestra, sempre su iniziativa della Lega Nord, propone ora persino una modifica della legge sul territorio, che vorrebbe imporre a ogni ente locale il consenso preventivo dei “comuni limitrofi” all’insediamento di popolazioni rom. In altre parole, una vera e propria azione di sabotaggio dell’esile filo di dialogo e collaborazione tra Provincia e Comune.
Rifondazione Comunista ribadisce la sua convinzione che vada costruita una nuova politica, oltre l’emergenza e oltre la logica dei “campi nomadi” per popolazioni che in larga parte non sono nomadi da generazioni. Ma, allo stesso tempo, valuta positivamente il piccolo segnale di cambiamento che oggi rappresenta l’accordo tra Provincia e Comune. Per questo non possiamo che essere preoccupati dal comportamento di Regione Lombardia e rinnoviamo il nostro invito a Formigoni di emanciparsi dal diktat strumentale e xenofobo della Lega, sedendosi invece al tavolo interistituzionale, rifinanziando la legge regionale e rinunciando alla modifica della legge sul territorio.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 9 gennaio 2007 (pag. Milano)
Non se n’era accorto quasi nessuno, ma il 13 dicembre scorso la Giunta regionale ha deliberato l’ennesima proposta di modifica della legge 12, quella sul governo del territorio, che nei suoi interstizi nasconde una vera e propria bomba ad orologeria per quanto riguarda la questione rom e, in particolare, l’esile filo di collaborazione istituzionale tra Comune e Provincia di Milano.
Infatti, la Giunta regionale, su richiesta della Lega, vorrebbe introdurre per legge il principio del consenso dei “comuni limitrofi” all’insediamento di “campi di sosta o di transito dei nomadi”, da acquisire sin dalla stesura del documento di piano. In altre parole, se un comune decide di ospitare, anche solo temporaneamente, un “campo”, allora deve anzitutto prevedere un’apposita area nel documento di piano e, poi, avere il consenso di dei comuni confinanti. Cioè, ogni amministrazione di un comune limitrofo disporrebbe di una sorta di diritto di veto.
Non è la prima volta che il centrodestra regionale abusa dello strumento urbanistico per accontentare la demagogia xenofoba dell’estrema destra, cioè di Lega e An. Accadde già nella primavera scorsa, in occasione di un’altra modifica della legge 12, quando fu surrettiziamente introdotta una norma anti-moschee, peraltro palesemente illegittima sotto il profilo costituzionale. Ma questa volta la strumentalizzazione politica supera ogni limite di decenza.
Non solo si insiste sulla devastante logica dei “campi nomadi” per popolazioni che in larghissima parte non praticano il nomadismo da generazioni, ma si intende persino fornire uno strumento normativo ad hoc a Lega e An, cioè a quelle forze politiche che a Milano gridano al trasferimento dei rom nell’hinterland, salvo poi ispirare e capeggiare i roghi di Opera.
Se nel centrodestra lombardo esistono ancora delle persone dotate di senso di responsabilità, allora è giunto il momento di battere un colpo e di impedire l’approvazione di questo scempio, il cui unico scopo è quello di alimentare il rivoltante spettacolo del tanto peggio, tanto meglio.
In Lombardia si concentra quasi un quarto dell’immigrazione totale del nostro Paese, cioè oltre 800mila uomini e donne. Un fenomeno che non ha nulla di temporaneo, ma che è destinato a cambiare durevolmente la nostra società. Piaccia o non piaccia, questa è la realtà. Eppure, la Lombardia è anche la terra dove manca del tutto una politica organica che favorisca l’inclusione e la convivenza, mentre non mancano mai le strumentalizzazioni o peggio.
Una contraddizione e una miopia politica che, ahinoi, si riproducono anche in questi giorni, in occasione della discussione della Finanziaria regionale. Infatti, i miseri stanziamenti regionali previsti dalla Giunta per gli “interventi per l’immigrazione” sono stati ridotti ulteriormente, di 300mila euro per la precisione, accogliendo in commissione un emendamento della Lega Nord. Ma oltre il danno c’è anche la beffa, poiché l’emendamento leghista ha spostato quelle risorse sul fondo sociale regionale destinato a interventi a favore di “anziani, minori e handicappati”. Un bell’esempio di civiltà politica, davvero, quello di mettere in concorrenza tra di loro le categorie disagiate.
Ma, ovviamente, non finisce qui. Mentre un giorno sì e l’altro pure si grida al “pericolo rom” e si susseguono gli sgomberi delle baraccopoli, chiamati impropriamente “campi”, la Regione Lombardia omette per l’ennesimo anno consecutivo di rifinanziare la legge regionale n. 77 del 1989, che prevede tra l’altro contributi economici a favore degli enti locali. Insomma, si chiacchiera tanto, ma poi la Regione boicotta persino l’applicazione delle sue stesse leggi.
Rifondazione Comunista e altre forze dell’Unione hanno presentato una serie di emendamenti e ordini del giorno. Nulla di estremista beninteso, si chiede semplicemente di fare il minimo indispensabile e di rinunciare alle strumentalizzazioni. Quindi, sollecitiamo in particolare il presidente Formigoni e il partito di maggioranza relativa a battere un colpo e a farci sapere se intendono far prevalere il buon senso, oppure continuare a sottostare ai ricatti demagogici di Lega e An.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 19/12/2006, in Casa, linkato 1060 volte)
Rifondazione Comunista esprime il suo pieno sostegno ai sindacati inquilini che oggi manifestano davanti al Consiglio Regionale, chiedendo che vengano destinati nuovi fondi all’edilizia residenziale pubblica.
Avevamo espresso voto contrario al Prerp 2007-2009 per le medesime ragioni che oggi portano i sindacati inquilini a scendere in piazza. Cioè, il taglio dei fondi per l’edilizia pubblica, che colpisce in maniera particolare e brutale gli investimenti per la realizzazione e la riqualificazione di alloggi popolari, ridotti di oltre il 70% rispetto al triennio precedente.
Tutti i dati disponibili, compresi quelli della stessa Regione ci segnalano che in Lombardia rischiamo un’emergenza abitativa, visto anche il crescente divario tra domanda e offerta di alloggi a canone accessibile. Eppure si taglia lo stesso, dicendo che non ci sono i soldi. E, allora, ci domandiamo come mai la Regione trovi soltanto 233 milioni per le case popolari di tutta la Lombardia, mentre per lo stesso periodo stanzi senza problemi mezzo miliardo di euro per la nuova e superlativa sede amministrativa voluta da Formigoni.
Come se non bastasse, poi a gennaio arriverà in Consiglio un progetto di legge della Giunta regionale che intende favorire la vendita di alloggi Erp attualmente non occupati. Un provvedimento che sembra fatto su misura per casi come quello milanese di piazzale Dateo e che comunque implicherà una riduzione ulteriore del patrimonio pubblico.
Riteniamo irresponsabile procedere sulla strada del ritiro del pubblico dalla questione abitativa. Per questo abbiamo presentato una serie di emendamenti al bilancio in discussione in Consiglio, al fine di aumentare gli stanziamenti per le case popolari. E se proprio non si trovano nuove risorse, allora si può fare anche qualche sacrificio, e rinunciare, per esempio, alla torre di vetro del presidente.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 17 dicembre 2006 (pag. Milano)
In Lombardia vivono ormai oltre 800mila cittadini immigrati, cioè un quarto del totale nazionale. Eppure, proprio nella nostra regione non c’è traccia di una politica di accoglienza e inclusione, mentre non mancano mai parole e atti istituzionali che tendono a additare l’immigrato, sempre e comunque, come un problema, se non come un nemico. In questi giorni stanno a ricordarcelo vicende come il linciaggio mediatico di Azouz, quella specie di guerra del presepe oppure lo sgombero della baraccopoli rom di via Ripamonti a Milano, che ha gettato decine di famiglie in mezzo alla strada.
Ma questi episodi sono semplicemente la punta dell’iceberg e mille altre storie, spesso sconosciute ai più, si consumano nella quotidianità delle nostre città e quartieri. E allora vogliamo raccontarne una, perché paradigmatica di una miseria della politica che non promette nulla di buono.
La nostra storia si svolge a Magenta, comune di 22mila abitanti nell’ovest milanese, e inizia con la decisone di un gruppo di operai immigrati, di diverse nazionalità, di affittare regolarmente un capannone per svolgervi attività culturale e per pregare. Nulla di strano si direbbe, ma poiché quegli operai sono musulmani, la Lega Nord non perde l’occasione e scatena una sorta di crociata dal titolo “No alla moschea”, condita con la solita fraseologia islamofobica e razzista. Sul muro di cinta del capannone appare persino la scritta “Bossi vi ucciderà”.
La Lega non rappresenta granché a Magenta, ma visto che tra qualche mese si vota per le amministrative, il Sindaco (di centrodestra) ha pensato bene di fregarsene di sciocchezzuole come la libertà di culto, tutelata peraltro dalla Costituzione, e si è messo a cavalcare la tigre. Da allora è stato un susseguirsi di visite dei vigili urbani, i quali, regolamenti edilizi alla mano, hanno fatto piovere multa su multa. E non importa che nei dintorni ci siano anche altre associazioni che da tempo e in santa pace occupano spazi simili. Loro sono mica islamici!
Ma per fortuna non tutto tace. Nel magentino c’è anche il Comitato intercomunale per la Pace, che da sempre è sensibile alla questione della convivenza e dell’inclusione, il quale ha dato vita a un comitato di solidarietà con gli operai immigrati. Stanno organizzando anche un’assemblea pubblica per il 18 dicembre, Giornata internazionale del Migrante, sebbene il nostro Sindaco crociato tenti di impedirglielo con ogni mezzo.
A questo punto la nostra proposta è molto semplice: se potete, il 18 andate a Magenta oppure, molto più comodamente, visitate il sito www.comitatopace.it e firmate l’appello. Scegliete voi, ma non lasciamo soli quegli operai e quanti resistono all’idiozia e all’irresponsabilità di amministratori che per un pugno di voti sono disponibili a qualsiasi bassezza.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 7 dicembre 2006 (pag. Milano)
Natale si avvicina e, come tradizione impone, tutti diventiamo più buoni. Tutti, tranne alcuni amministratori milanesi, che da settimane sfoggiano linguaggi guerreschi, adatti più a un campo di battaglia, che alla festa popolare degli Oh Bej! Oh Bej!. Il terribile nemico si chiama “abusivi”, sarebbe sostenuto da immaginarie orde selvagge provenienti dai centri sociali e sarà affrontato da duecento vigili urbani, armati per l’occasione di manganelli nuovi di zecca.
Niente di cui stupirsi, per carità. Il vizio dei nostri amministratori di trasformare ogni problema in un’emergenza di ordine pubblico si era già consolidato ai tempi di Albertini, anche se in cuor nostro speravamo che il nuovo sindaco volesse segnare una diversità almeno su questo punto. E ci potrebbe perfino strappare qualche sorriso, se non fosse per la preoccupazione che il continuo buttare benzina sul fuoco non finisca davvero per provocare un incendio.
La fiera degli Oh Bej! Oh Bej! è sempre stata una ressa e le bancarelle effettivamente allestite sono da sempre più numerose di quelle formalmente autorizzate, poiché rappresenta per molti piccoli commercianti, italiani o immigrati che siano, un’occasione di guadagno alla quale non possono rinunciare. Certo, si potrebbe tentare di organizzare meglio il tutto, magari ricorrendo anche all’arma del dialogo e del confronto previo, ma pensare di poter ingabbiare la fiera in recinti irrealistici, questo no.
Il nostro auspicio è che l’annunciata battaglia rimanga in quel mondo virtuale dove finora è stata combattuta e che non si trasferisca davvero nelle strade. In fondo, come tutti i responsabili sanno, l’applicazione, a partire da stasera, del vecchio buon senso, unito a un po’ di flessibilità, potrebbe permettere di gestire senza troppi danni la situazione.
Invitiamo quindi gli amministratori milanesi a confidare di meno nel manganello e di più nel dialogo. E così facendo, forse riusciremo a goderci il nostro Sant’Ambrogio, nel solito affollamento, ma senza incrociare incomprensibili campi di battaglia.
di lucmu (del 06/12/2006, in Lavoro, linkato 962 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 6 dicembre 2006 (pag. Milano)
Molti lombardi pensano che lo sfruttamento del lavoro nero e irregolare sia un fenomeno che riguardi essenzialmente le regioni meridionali, ma non le nostre latitudini. Una convinzione che sembra resistere persino alla recente moltiplicazione delle denunce pubbliche sui casi di “caporalato” nell’edilizia o nell’ortomercato di Milano.
Eppure, la realtà è ben diversa e lo sfruttamento del lavoro irregolare non solo è presente in Lombardia, ma risulta addirittura in preoccupante espansione, come indicano tutti i dati disponibili. La Direzione regionale del lavoro, ad esempio, segnala che il 75% delle aziende ispezionate mostrano situazioni di irregolarità, specie contributiva, con un aumento del 20% rispetto alla rilevazione precedente.
Le forme di sfruttamento sono varie e vanno da quella più estrema ed infame del “caporalato” fino a quelle più diffuse di non rispetto, totale o parziale, delle norme contrattuali e di legge. In ogni caso, i lavoratori e le lavoratrici colpiti vengono privati dei loro diritti più elementari, costretti a salari indecenti ed esposti più di altri agli infortuni sul lavoro. Il fenomeno è particolarmente esteso nell’edilizia, nei servizi e nell’agricoltura e non è un caso che siano esattamente questi i settori economici a registrare una presenza di lavoratori immigrati superiore alla media. Infatti, sono gli ultimi arrivati, a causa della loro condizione, de facto e de jure, di maggior ricattabilità sociale, ad essere i più esposti all’economia sommersa.
Una situazione grave e inaccettabile di per sé, ma che comporta altresì un’alterazione dell’intero mercato del lavoro, esercitando una pressione al ribasso anche sui lavoratori in regola. Insomma, la presenza in dosi massicce di lavoro nero e irregolare contribuisce, in maniera ancora più brutale del precariato, ad erodere i diritti e i livelli retributivi di tutti e tutte.
Ma allora, da dove arriva quella favola secondo la quale in Lombardia tutto questo non rappresenta un problema o, peggio, che non esiste neppure? In fondo, tutto il mondo è paese e come accadde in Puglia, prima che il solito Gatti facesse esplodere lo scandalo, questa convinzione si alimenta della prolungata ipocrisia e omertà, alla maniera delle tre famose scimmiette, che coinvolge anche parte delle istituzioni.
Pensiamo quindi che sia arrivato il momento di rompere quel silenzio, che poi comporta assenza di iniziative concrete, e per questo motivo è stato presentato, con la firma di tredici consiglieri di tutti i gruppi dell’Unione, il progetto di legge regionale “Contrasto dello sfruttamento del lavoro irregolare in Lombardia”.
Il progetto prevede, anzitutto, l’obbligo di rispetto delle norme contrattuali per tutti i soggetti beneficiari a qualsiasi titolo, in via diretta o indiretta, di contributi, finanziamenti e appalti da parte della Regione, delle Asl e di enti partecipati. Viene inoltre introdotto l’obbligo della comunicazione dell’avvio di ogni rapporto di lavoro il giorno antecedente il suo inizio effettivo -obbligo per ora previsto soltanto nell’edilizia- e il rispetto degli indici di congruità. Ogni violazione di queste prescrizioni porta alla revoca delle erogazioni da parte della Regione.
In secondo luogo, la Regione si dovrà fare promotrice di piani di emersione territoriali e settoriali. A tal fine è previsto anche lo stanziamento di risorse per il rafforzamento dell’azione ispettiva e per gli incentivi, nonché l’avvio di campagne informative rivolte in particolare ai lavoratori immigrati. Infine, verrebbe istituito anche un Osservatorio regionale per monitorare l’evoluzione della situazione.
Siamo consapevoli che non basta una legge regionale per risolvere tutti i problemi e che ci vorrebbe prima di tutto una forte iniziativa nazionale, che tuttora si fa attendere. Ma intanto la Regione ha il dovere di fare la sua parte e di smetterla di ignorare la gravità della situazione. L’approvazione -e l’applicazione- di una legge seria rappresenterebbe sicuramente uno di quei segnali chiari che oggi mancano. Cioè, che il tempo della tolleranza istituzionale nei confronti degli sfruttatori è finito.
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