Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Il governo regionale della Lombardia non se la può cavare con il suo scarno comunicato in cui annuncia la sospensione dalla sua carica di Carlo Antonio Chiriaco, il direttore sanitario dell’Asl di Pavia, arrestato stamattina nel quadro della maxi retata contro la ‘ndrangheta.
Anzi, il Presidente Formigoni e i vertici della Sanità lombarda devono parecchie spiegazioni e le devono immediatamente.
In primo luogo, negli ultimi anni Chiriaco, di area Pdl, era stato accusato più volte da esponenti politici locali di Pavia di intrattenere rapporti poco limpidi con ambienti riconducibili al crimine organizzato.
Certo, siamo garantisti anche noi e concordiamo quindi che non basta un’accusa generica per determinare i destini di una persona. Tuttavia, visto l’incarico delicato di Chiriaco, c’è da chiedersi perché non sia stata mai avviata alcuna inchiesta interna da parte dell’Assessorato regionale della Sanità.
In secondo luogo, gli inquirenti accusano Chiriaco, tra le altre cose, di aver procacciato voti a favore di Giancarlo Abelli in occasione delle ultime elezioni regionali, per mezzo dei boss della ‘ndrangheta.
Abelli non risulta tra gli indagati e non sappiamo se quanto ricordiamo di seguito avrà mai importanza da un punto di vista penale, ma di sicuro ha una sua forte rilevanza politica e morale.
Abelli, fino alla sua elezione a deputato per il Pdl nel 2008, era uno degli assessori di fiducia di Formigoni. E sebbene occupasse la poltrona di Assessore alla Famiglia e Solidarietà sociale, in realtà controllava tutte le nomine nella Sanità lombardo per conto di Comunione e Liberazione.
E questo è vero in modo particolare per quanto riguarda Pavia, il suo luogo di origine, dov’è considerato una sorta di ras della politica locale.
Inoltre, dobbiamo ricordare ancora una volta che i rapporti tra Formigoni e Abelli e tra quest’ultimo e l’amministrazione regionale non si erano affatto interrotti nel 2008. Anzi, il deputato Abelli continuava ad avere a sua disposizione un ufficio al Pirellone, nonché l’autoblu e l’autista del Presidente Formigoni, come avevamo scoperto nell’estate del 2008, grazie a una nostra interrogazione.
Avevamo poi fatto una seconda interrogazione per sapere quali erano le sue attività, visto che utilizzava strumenti e risorse della Regione, ma la risposta a questa domanda non sarebbe mai arrivata. Nemmeno il formale sollecito dell’anno scorso, ai tempi dello scandalo bonifiche, quando la moglie di Abelli finì in carcere e si scoprì che l’ex-assessore aveva a disposizione anche la Porsche di Grossi, produsse risultati.
E allora, eccoci di nuovo qui a chiedere spiegazioni sul ruolo dell’ormai sempre più ingombrante uomo di fiducia di Formigoni. Talmente ingombrante da averlo spinto a rinunciare al suo posto in Consiglio regionale e rimanere a Roma, beninteso.
Invece, è sempre al suo posto in Consiglio regionale l’esponente Pdl Massimo Ponzoni, ex-assessore di Formigoni, già coinvolto nelle indagini sullo scandalo bonifiche e soprattutto indagato anche lui nel quadro nella maxi-retata di oggi.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
La strategia del silenzio di Formigoni non è ulteriormente accettabile. Non bastano più i telegrafici “non c’entro nulla” o le generiche difese d’ufficio, come quella di Boni.
O Formigoni fornisce delle spiegazioni plausibili oppure diventa lecito, anzi doveroso, esigere le sue dimissioni da Presidente della Regione, di fronte a un Pirellone letteralmente invaso dalla questione morale.
Va ricordato che l’attuale legislatura regionale è praticamente un neonato, cioè ha poco più di due mesi di vita, ma  che è già colpita da una serie di inchieste giudiziarie che fanno impallidire le vicende del quinquennio precedente (i casi Guarischi e Rinaldin, i doppi incarichi/stipendi di Borghini e Bonetti Baroggi, lo scandalo bonifiche e quello Prosperini ecc.).
Infatti, prima era esploso lo scandalo annunciato dell’ex-assessore Ponzoni, che siede tuttora e indisturbato nell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale.
Poi è arrivata la maxi-retata contro la ‘ndrangheta, con l’arresto del direttore sanitario dell’Asl di Pavia e con il coinvolgimento nell’inchiesta, sebbene allo stato non indagati, dell’uomo di fiducia di Formigoni, Giancarlo Abelli, dell’ormai habitué Ponzoni e del vicepresidente della Commissione IV del Consiglio, Angelo Giammario (tutti Pdl).
E infine, è arrivato il coinvolgimento diretto del Presidente Formigoni nell’inchiesta sulla cosiddetta P3. Certo, ha ragione il leghista Boni, attuale Presidente del Consiglio regionale lombardo, cioè si tratta soltanto di “una semplice telefonata”. Peccato però che la telefonata in questione fu fatta a un personaggio ora in carcere, cioè Martino, per sollecitare l’indebita attivazione del Presidente della Corte d’Appello di Milano, Alfonso Marra, in questo momento sotto inchiesta da parte del Csm, nella vicenda della lista elettorale collegata al candidato Presidente per le ultime regionali.
Insomma, un quadro inquietante, anche se non imprevedibile, che può giustificare diversi comportamenti, salvo quello del silenzio. Quindi, Formigoni parli, spieghi, cerchi di convincere i lombardi e soprattutto dica che atti intende promuovere affinché sia garantita la trasparenza, la moralità e il rispetto della legge al Pirellone. Altrimenti, si dimetta, insieme a quelli che l’avrebbero già dovuto fare.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 

 
Invece di scatenare le istituzioni regionali e comunali contro la persona di Saviano, gli esponenti della Lega e Pdl lombardi farebbero meglio a lanciare segnali chiari e netti contro le infiltrazioni della ‘ndrangheta, a partire dall’allontanamento dagli incarichi istituzionali di quegli esponenti definiti dalla magistratura inquirente come “capitale sociale” della ‘ndrangheta.
Ci riferiamo in particolare a un necessario chiarimento relativo alla vicenda del coinvolgimento nelle inchieste di uomini dell’entourage dell’ex-assessore e uomo di fiducia di Formigoni, Giancarlo Abelli, e soprattutto al persistere della presenza nell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale della Lombardia del consigliere Massimo Ponzoni.
Beninteso, non è nostra intenzione anticipare l’esito delle indagini e dei processi, ma ci pare perlomeno inopportuno e pregiudizievole per la onorabilità delle istituzioni che quanti vengono definiti dagli inquirenti “capitale sociale” del crimine organizzato continuino a svolgere tranquillamente alti incarichi istituzionali.
Insomma, se la Lega o il Pdl ritengono che le parole di Saviano, pronunciate durante la trasmissione “Vieni via con me”, siano diffamatorie nei loro confronti, fanno bene a ricorrere agli strumenti legali previsti dallo stato di diritto, ma finché non si produrranno atti concreti e forti contro le infiltrazioni mafiose e non si farà un po’ di pulizia in casa propria, il tutto suona francamente poco credibile.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
Criticare Cl non è reato ed è dunque illegittimo che l’amministrazione regionale lombarda, governata da quasi 16 anni dal capo di Cl, Roberto Formigoni, abbia sanzionato un suo funzionario soltanto perché ha osato criticare pubblicamente il gruppo politico. Questa è la morale e il succo della sentenza del Tribunale di Milano del 20 gennaio scorso che ha dato pienamente ragione a Enrico De Alessandri e condannato Regione Lombardia.
Enrico De Alessandri, funzionario di Regione Lombardia, era stato sanzionato e temporaneamente sospeso dal lavoro nell’ottobre del 2009, perché ritenuto colpevole di aver violato le norme disciplinari contenute nel contratto collettivo, nel codice di comportamento e in quello etico, nonché diversi articoli del codice civile. Insomma, in sostanza avrebbe “denigrato” il suo datore di lavoro, cioè Regione Lombardia.
Ma cosa aveva fatto di tanto grave il dott. De Alessandri? Semplice, aveva scritto un libro, dal titolo “Comunione e Liberazione: assalto al potere in Lombardia” (scaricabile da www.teopol.it). Beninteso, non aveva pubblicato materiale riservato dell’amministrazione regionale, ma si era basato su materiali pubblici, tra cui anche atti istituzionali e politici di Consiglieri regionali, compresa anche la mia denuncia del 2008 circa il finanziamento pubblico per la costruzione ex novo una scuola privata a Crema.
Ma si sa, dopo 16 anni di potere ininterrotto la differenza tra cosa pubblica e cosa di Cl diventa sempre più labile. Tant’è vero che l’amministrazione regionale aveva fatto ricorso al codice disciplinare, equiparando una critica a Cl a una “denigrazione” della Regione Lombardia.
Ebbene, a questo uso illegittimo e privatistico dell’istituzione da parte di Comunione e Liberazione erano seguite, prima, delle denunce ed interrogazioni in sede istituzionale e, poi, un ricorso in sede giudiziaria da parte del funzionario offeso. Il 20 gennaio scorso, infine, il Tribunale di Milano, sezione Lavoro, ha dichiarato l’illegittimità della sanzione disciplinare ed ha condannato Regione Lombardia.
È illuminante, peraltro, leggere le motivazioni del giudice, che dicono sostanzialmente che le contestazioni di Regione Lombardia erano soltanto generiche e non indicavano mai le frasi che avrebbero violato le norme e “denigrato” l’istituzione. In altre parole, aggiungiamo noi, la sanzione era priva di fondamento ed ispirata unicamente a motivi di carattere politico.
Da parte nostra esprimiamo la nostra piena soddisfazione, perché ristabilendo il rispetto della legge, il tribunale ha chiarito che un funzionario regionale non è un dipendente di Comunione e Liberazione, bensì un cittadino che può esprimere liberamente le sue opinioni.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
di lucmu (del 31/07/2011, in Regione, linkato 1176 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 31 luglio 2011
 
Chissà se ha ragione Bersani quando grida alla macchina del fango. A noi, francamente, sembra un po’ poco, anche perché il coinvolgimento di Filippo Penati, comunque vada a finire la vicenda giudiziaria, tira in ballo un intero ciclo politico dei Ds e del Pd del Nord e, pertanto, di tutto il centrosinistra.
Già, perché Penati ha incarnato più di altri quel pensiero politico e culturale che individuava nell’assomigliare il più possibile all’avversario la chiave per recuperare consensi e battere le destre. Per questo bisognava disconoscere il passato ed iniziare a parlare come i leghisti, con l’effetto tutt’altro che collaterale della riduzione del governo della cosa pubblica a mera amministrazione dell’esistente.
La “diversità”, di cui in questi giorni tanto si disquisisce, è stata seppellita da quel pensiero, in nome del quale un po’ tutto divenne lecito e possibile e che produsse una politica fallimentare, peraltro sconfitta sul campo: prima, la perdita della Provincia, poi la pessima performance alle regionali e, infine, la vittoria di Pisapia a Milano, che di fatto ha capovolto il paradigma penatiano.
Eppure, Bersani non ha tutti i torti. Anzi, c’è da rimanere basiti di fronte al contrasto tra la soddisfazione unanime per le dimissioni di Penati e il buonismo che regna nei confronti degli uomini di Roberto Formigoni. E non ci riferiamo tanto ai randelli mediatici della destra, come il Giornale, Libero o la Padania, che fanno quello che sanno fare, ma a tutti gli altri.
Ma è mai possibile che alle giustissime richieste di dimissioni di Penati non siano seguite anche quelle di un altro componente del medesimo ufficio di presidenza, cioè l’ex-assessore formigoniano, Massimo Ponzoni (Pdl)? Ebbene sì, perché Ponzoni è indagato pure lui e non solo per corruzione, ma anche per i rapporti con il crimine organizzato. Secondo i magistrati, Ponzoni avrebbe persino ricevuto nei suoi uffici alcuni boss e sarebbe da considerarsi parte del “capitale sociale” della ‘ndrangheta.
Nel settembre dell’anno scorso, infatti, le opposizioni in Consiglio regionale chiesero le sue dimissioni, ma la mozione fu respinta, con voto compatto di Pdl e Lega, e da allora regna un irreale silenzio, senza troppo scandalo pubblico.
Ma la tolleranza nei confronti del mondo di Roberto Formigoni è più generale e radicata. Tanto per stare nell’attualità, potremmo ricordare lo scandalo del San Raffaele, dov’era sufficiente che Formigoni dicesse “ma che c’entra la Regione?”, perché più o meno tutti lasciassero perdere. Eppure, i rapporti privilegiati tra Cl e Don Verzé sono cosa nota e, soprattutto, c’è il fatto che il San Raffaele ha goduto, mediante i rimborsi, di un finanziamento pubblico regionale di 400 milioni di euro nel solo 2010.
E se non bastasse ancora, potremmo ricordare l’operetta padana che vede protagonista l’assessore leghista Monica Rizzi, indagata per uso illecito di dati protetti per favorire l’elezione di Renzo Bossi e per aver millantato istituzionalmente un’inesistente laurea in psicologia. Oppure, la nota vicenda di Nicole Minetti, “laureata” al San Raffaele ed “eletta” in Consiglio regionale nel listino bloccato di Formigoni, con tutto il suo corollario delle firme falsificate. Qualcuno si è dimesso? Ma figuriamoci!
Beninteso, tutto questo scenario non ci stupisce affatto e, se l’autocitazione non fosse peccato capitale, potremmo qui ripetere le nostre considerazioni di un anno fa sulla questione morale al Pirellone. Ma quello che continua a stupirci, nonostante tutto, è la diffusa acquiescenza nei confronti di Formigoni.
Certo, chi conosce la Lombardia sa bene quanto sia solido e capillare il sistema di potere ciellino costruito in 16 anni di governo ininterrotto della Regione. E tutti sappiamo che molti sono anche i legami con pezzi del centrosinistra, tra i quali, ironia della sorte, soprattutto quello penatiano.
Ma questa è una ragione in più e non in meno per cambiare registro, a partire da una po’ di pulizia in casa proprio e con l’apertura formale della questione morale in casa Formigoni.
 
 
di lucmu (del 01/12/2011, in Regione, linkato 3172 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sui giornali on line Paneacqua.eu e MilanoX il 1° dicembre 2011
 
No, in Lombardia non è questione di qualche mela marcia che si aggira nei sottoscala della Regione, bensì di un sistema di potere politico-affaristico, tanto radicato quanto ormai avariato e irriformabile, il quale occupa il governo lombardo sin dal lontano 1995. E se non fosse per la sua straordinaria capacità di condizionamento, anche ben oltre i propri confini politici, questa lampante verità sarebbe da tempo manifesta consapevolezza pubblica e non assisteremmo alla recita infinita della favola dell’eccellenza lombarda.
Già, perché in fondo basterebbe mettere in fila i fatti e guardare bene le fotografie del potere per rendersene conto. Franco Nicoli Cristiani (Pdl), arrestato ieri dai Carabinieri, insieme ad un alto dirigente dell’Arpa (l’ente regionale che si occupa di ambiente), è vicepresidente del Consiglio regionale e fino al 2010 era assessore nella terza giunta Formigoni. Cioè, la medesima Giunta che vantava tra i suoi componenti anche lo xenofobo militante Pier Gianni Prosperini (Pdl), arrestato in diretta tv nel 2009 per corruzione, nonché indagato per una miriade di altri reati, compreso un traffico d’armi con il dittatore eritreo.
In quella Giunta faceva l’assessore anche Massimo Ponzoni, sempre Pdl, allo stato indagato per bancarotta fraudolenta, ma diventato famoso perché aveva ricevuto nei suoi uffici alcuni boss della ‘ndrangheta, che lo consideravano, secondo la Direzione distrettuale antimafia, un loro “capitale sociale”. Ovviamente, Formigoni si è guardato bene dal riconfermarlo nella sua Giunta numero 4 e così Ponzoni è stato piazzato nell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale. Cioè, lo stesso ufficio, presieduto dal leghista Boni, dove siede anche Nicoli Cristiani e dove sedeva fino a poco fa Filippo Penati. Tuttavia, a differenza di quest’ultimo, Ponzoni non ha mai sentito il bisogno di dimettersi e la sua maggioranza, peraltro, non gliel’aveva mai chiesto.
Infine, in quella Giunta c’era anche Gian Carlo Abelli, conosciuto  nella sua Pavia come “il faraone”. Lui si occupa di sanità ed era già rimasto coinvolto nelle inchieste su Poggi Longostrevi. Ma soprattutto era poi diventato l’uomo di fiducia di Formigoni nella sanità lombarda, dove gestiva le nomine, sebbene fosse assessore alla solidarietà sociale. Anche lui non lo vediamo più accanto a Formigoni nelle occasioni pubbliche, perché era stato toccato dallo scandalo delle bonifiche sull’area Montecity-Santa Giulia a Milano, esploso nel 2009. Non è stato mai formalmente indagato, beninteso, ma sua moglie, Rosanna Gariboldi, ex-assessore provinciale a Pavia, è stata condannata e lui, comunque, non si faceva troppi problemi a girare con la Porsche messagli a disposizione dal “re delle bonifiche”, Giuseppe Grossi, nel frattempo deceduto.
Rifiuti, bonifiche, sanità, infrastrutture autostradali. Ecco che tornano sempre gli stessi settori, cioè quelli dove oggi si riescono a fare soldi, truffando la collettività e fregandosene altamente di dettagli come la salute dei cittadini. Eppure, sarebbe sempre e soltanto colpa di qualche singolo. Formigoni, politico navigato e autocandidato a leader nazionale del Pdl, è sempre pronto a dire che la responsabilità è esclusivamente personale e che lui e la sua maggioranza non c’entrano nulla. Chissà se gli riesce anche questa volta, ma finora il gioco ha funzionato egregiamente.
Chi si ricorda più di Prosperini? Anzi, sembra quasi che non sia mai esistito. Abelli? Idem. E poi, ci sarebbero anche i casi come quello del San Raffaele, dove lo stretto rapporto tra Cl-Formigoni e la cricca di Don Verzé è di dominio pubblico, senza contare che Regione Lombardia ha girato all’ospedale privato 400 milioni di euro di denaro pubblico nel solo 2010. Eppure, è stato sufficiente che Formigoni dicesse “ma che c’entra la Regione?” perché più o meno tutti si adeguassero e facessero calare il silenzio su eventuali responsabilità del governo regionale, finanche sul mancato rispetto di quell’elementare obbligo di controllo, che sussiste sempre di fronte a un finanziamento pubblico.
Un’efficienza straordinaria nel cancellare le tracce, insomma, che ricorda quasi i tempi di Stalin, quando si ritoccavano addirittura le foto del passato per far sparire la memoria delle persone. Ma anche un’efficienza che non può essere opera di un solo uomo, né di un solo movimento politico, ma che necessita di complicità, collaborazione.
Da questo punto di vista, anzitutto, ci sarebbe la Lega, sempre pronta ad urlare la sua diversità, ma poi parte organica del governo lombardo, in alleanza con Comunione e Liberazione. Insomma, mai visto niente in questi 10 anni di governo? Mai sentito nulla? Anzi, l’unico tentativo di dimostrare la famosa “diversità” che ci risulti era costato carissimo al suo protagonista. Infatti, nel 2005 la Lega impose un suo uomo all’assessorato della sanità, Alessandro Cè, il quale avviò immediatamente uno scontro frontale con Abelli sulle nomine, denunciando lo strapotere di Cl. Ebbene, la cosa finì come doveva finire e nel 2007 Cè venne prima cacciato dalla Giunta e subito dopo espulso dalla Lega.
E che dire dell’opposizione, a partire dal suo azionista di maggioranza, il Pd? Già, perché da quelle parti e da molti anni va per la maggiore la tesi del “dialogo” con Cl e Formigoni, con tutto il suo corollario di “opposizione responsabile” eccetera. Nell’era penatiana del Pd questa era praticamente la linea ufficiale e, comunque, ampiamente praticata in Regione. Ora l’era penatiana non c’è più, ma la tesi del dialogo con Cl continua a resistere in ampi settori del partito, anche in virtù dei molteplici ed insani intrecci d’interesse, compresi quelli tra le Coop e la Compagni delle Opere. E chissà, forse l’operazione governo Monti, nella misura in cui dura, può persino portare nuova linfa vitale a questo “dialogo”.
Di fronte all’attuale bufera giudiziaria, Formigoni tenterà ovviamente di riproporre la solita tattica, contando sulla buona stampa e sulle troppe omertà politiche. Da parte nostra, però, riteniamo che non gli vada permesso di cavarsela ancora una volta, che bisogna iniziare seriamente a metterlo di fronte alle sue responsabilità e che vada avviato subito un percorso che porti alle sue dimissioni, senza aspettare eventuali sue ricollocazioni nazionali nel 2013 e certamente senza attendere la scadenza naturale di questa legislatura regionale. E questo significa tagliare ogni complicità e ogni omertà e chiedere, da parte di tutta l’opposizione, le sue immediate dimissioni.
E, beninteso, questo non è il solito discorso della sinistra che cerca di approfittare di fatti di cronaca per danneggiare l’avversario politico. No, si tratta di prendere atto che il sistema di potere formigoniano è diventato un peso ormai insostenibile per la Lombardia. Anzi, una palla al piede, un modello irriformabile e una porta aperta per le infiltrazioni criminali. E ogni giorno che passa aumenta un po’ di più la delegittimazione dell’istituzione regionale. Questa è la realtà e continuare a negarlo è colpevole.
 
 
Chiediamo al Presidente Formigoni di dare le sue dimissioni e di porre anticipatamente fine ad una legislatura sempre più ipotecata da una questione morale, che sta trascinando tutta l’istituzione regionale verso la delegittimazione.
L’ordine di arresto del giudice monzese nei confronti di Massimo Ponzoni, ex assessore regionale e attualmente componente dell’ufficio di presidenza del Consiglio, non è semplicemente l’ennesimo scandalo in Regione, ma è la goccia che fa traboccare il vaso.
A differenza degli altri casi, infatti, di Ponzoni tutti sapevano tutto, da sempre. Era di dominio pubblico che era indagato nel quadro della bancarotta fraudolenta della società “Pellicano”, di cui peraltro era socio anche un suo ex collega di Giunta, Buscemi. A questo, inoltre, andrebbe aggiunto che il nome di Ponzoni era finito anche tra le carte della Direzione distrettuale antimafia, a causa delle sue frequentazioni, quando faceva l’assessore regionale, con alcuni boss della ‘ndrangheta.
Eppure, nonostante tutto ciò, non solo Ponzoni nel 2010 era stata nominato dalla maggioranza Pdl-Lega nell’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale, ma era persino riuscito a sopravvivere ad altri due illustri componenti di quell’ufficio, cioè Filippo Penati e Nicoli Cristiani.
Insomma, è netta l’impressione che il Presidente Formigoni, ben conscio del fatto che il marcio del suo sistema di potere stesse ormai per straripare, come infatti sta succedendo, avesse optato per collocare i suoi collaboratori più a rischio fuori dalla Giunta, ma in posti protetti e ben retribuiti, che peraltro gli permettevano di continuare ad agire.
In altre parole, il Presidente Formigoni e la sua maggioranza hanno trasformato consapevolmente luoghi come l’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale nella loro discarica politica. Già, perché se in un ufficio composto da cinque consiglieri, ben tre finiscono in seri guai giudiziari nel giro di meno di due anni, allora c’è un problema. E, a parte il caso Penati, che non è responsabilità di Formigoni, gli altri due rappresentano per intero la quota Pdl in seno all’ufficio.
È nostro convincimento che Formigoni sia il primo ad essere conscio che questa legislatura regionale, peraltro nata sulla base della famose firme false, non ce la farà ad arrivare alla sua fine naturale. Semplicemente, egli cerca di tirare fino al 2013, quando tenterà per l’ultima volta il suo salto nazionale.
Ebbene, noi pensiamo invece che questa legislatura debba finire subito, prima che sia troppo tardi e con un Presidente e un sistema di potere finalmente costretti ad assumersi le loro responsabilità di fronte agli elettori e alle elettrici della Lombardia.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
Non siamo mai stati forcaioli e, pertanto, ci auguriamo che il Presidente del Consiglio regionale lombardo, il leghista Davide Boni, possa dimostrare la sua totale estraneità rispetto all’accusa di corruzione, contestatagli oggi dalla Procura di Milano.
Tuttavia, da un punto di vista politico non possiamo che sottolineare, con vivissima preoccupazione, che ormai la situazione in Regione Lombardia sia diventata definitivamente insostenibile e che occorra fare l’unica cosa responsabile rimasta da fare, cioè portare la Regione ad elezioni anticipate, da tenersi in autunno oppure in concomitanza con le elezioni politiche dell’anno prossimo. A meno che, ovviamente, non si voglia aspettare il big bang giudiziario, che però spazzerebbe via anche la residua credibilità dell’istituzione regionale.
Come si fa a non vedere che l’odierno avviso di garanzia nei confronti dell’esponente leghista, che fa di quello lombardo l’Ufficio di Presidenza più indagato e meno presentabile d’Italia, e la contestuale pubblicazione, da parte del Corriere della Sera, delle lettere riservate tra Formigoni e Don Verzé, che dimostrano che il Presidente lombardo sapeva da un decennio del buco di bilancio del San Raffaele e che riservava all’ospedale privato un prolungato trattamento di favore, a nostro modo di vedere illecito, rappresentano due ulteriori  e pesanti tegole lanciate sulla già malmessa credibilità di Regione Lombardia?
Riteniamo, dunque, irresponsabile, da un punto di visto istituzionale, politico e morale, insistere ulteriormente. Il Presidente Formigoni prenda atto che questa legislatura è politicamente finita, che non può più dare nulla alla Lombardia, se non altri guai e scandali. Si dimetta dunque, perché questo è l’unico modo per arrivare alle elezioni anticipate in maniera politica e non costretti dal big bang giudiziario.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
P.S. nella foto che accompagna questo comunicato, si vede l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale della Lombardia, così come fu eletto all’inizio della legislatura, nel 2010. Ebbene, a questo punto, a parte Carlo Spreafico (Pd), in alto a sinistra, tutti gli altri, cioè 4 su 5, sono indagati e due di loro erano finiti addirittura in carcere (Nicoli Cristiani e Ponzoni).
 
 
di lucmu (del 15/03/2012, in Regione, linkato 3000 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 15 marzo 2012 e sui giornali on line MilanoX e Paneacqua
 
Ormai è uno stillicidio e non ha nemmeno più senso commentare le singole vicende. E questo vale a maggiore ragione per l’ultimo degli inquisiti in ordine di tempo, il consigliere regionale del Pdl, Giammario, ora indagato per corruzione, ma il cui nome si trovava già nell’inchiesta “Infinito” contro la ‘ndrangheta in Lombardia.
No, il punto è un altro, cioè il lungo ciclo formigoniano, che ha dominato in Lombardia per 17 anni consecutivi, segnando, deviando e corrompendo, anzitutto moralmente, il sistema regionale, è arrivato al capolinea. Il potente sistema di potere costruito attorno a Cl, il movimento politico-confessionale che in Lombardia agisce da partito-stato, e all’ultradecennale ed organica alleanza con la Lega Nord, scricchiola come mai era accaduto prima d’ora.
Beninteso, l’esistenza di una questione morale al Pirellone non è certo una novità, anzi era palese già nella scorsa legislatura. Vi ricordate, ad esempio, l’arresto in diretta tv dell’allora assessore regionale Prosperini oppure lo scandalo bonifiche, che aveva portato in carcere Rosanna Gariboldi, moglie di Giancarlo Abelli, assessore e signore delle nomine nella sanità lombarda?
Ma non era che l’inizio, poiché Formigoni trascinò i corrotti direttamente nella sua quarta legislatura. Tutto quello che succede ora era ampiamente annunciato, tant’è vero che lo stesso Formigoni si era adoperato per ricollocare gli ex-assessori più a rischio in posti privilegiati in Consiglio. Ci riferiamo ai due esponenti Pdl Nicoli Cristiani e Ponzoni, ambedue finiti di recente in carcere. A questi due va poi aggiunto il leghista Davide Boni, ex assessore e tuttora Presidente del Consiglio regionale, indagato pure lui per corruzione.
Di recente, poi, Formigoni ha estromesso dalla sua Giunta il Pdl Massimo Buscemi, perché considerato a rischio, ma in cambio ha pagato un vecchio debito, dando un incarico da 150mila euro a Monica Guarischi, sorella di Luca Guarischi, ex consigliere regionale vicino a Formigoni, decaduto nel 2009 causa condanna definitiva per tangenti. Ovviamente, potremmo andare avanti all’infinito, con il caso Minetti, le firme false per il listino o il crac del San Raffaele, ma lasciamo perdere.
Insomma, difficile presentare Roberto Formigoni come un immacolato circondato a sua insaputa da tante mele marce. Qui si tratta di un sistema che è marcio. Il tanto acclamato modello Lombardia è anche questo e, forse, soprattutto questo.
17 anni di governo ininterrotto sono decisamente troppi, portano a confondere la cosa pubblica con la cosa privata. Persino Putin aveva dovuto inventarsi un’interruzione prima del terzo mandato presidenziale. Formigoni invece no, lui è al quarto di fila, senza colpo ferire.
Ora però, finito il ventennio berlusconiano, sta per crollare anche quello formigoniano. Il problema, dunque, non è sapere se finisce, bensì come finisce. Già, perché non è la politica, l’opposizione o la mobilitazione dal basso a scuotere il palazzo, bensì la magistratura.
I magistrati, ovviamente, fanno il loro mestiere, così come lo fecero vent’anni fa, ma è la politica che finora non l’ha fatto. L’opposizione appare troppo debole e timida e nel passato recente c’è stato pure qualche inciucio di troppo.
Occorre, quindi, avviare da subito un percorso unitario per un’alternativa, che parta dal coinvolgimento dei cittadini e preveda le primarie. Insomma, la Lombardia non sarà come Milano, ma la primavera milanese ci offre un esempio concreto e vicino su come far rientrare in campo la partecipazione popolare e democratica e vincere. Altrimenti rischiamo di ripetere la via romana, dove siamo usciti dal berlusconismo non con un’alternativa politica, bensì con una politica commissariato e delegittimata.
 
 
Formigoni dovrebbe semplicemente dimettersi, visto il carattere sempre più eclatante della questione morale a Palazzo Lombardia, e consentire così ai lombardi e alle lombarde di poter scegliere liberamente, mediante il voto, chi e come deve governare la Regione. Ma Formigoni, ormai al 17° anno consecutivo di mandato presidenziale, non ci pensa nemmeno. Anzi, fa finta di niente e rilancia con un provvedimento da lui pomposamente chiamato “Cresci Lombardia”, che verrà discusso e sottoposto ad approvazione martedì prossimo, 3 aprile, in un Consiglio regionale presieduto dal leghista Davide Boni, indagato per corruzione.
In realtà, il progetto di legge regionale n. 146 (“Misura per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione”), di iniziativa del Presidente ed approvato in Commissione il 28 marzo scorso, è il solito provvedimento omnibus, cioè un testo tutti frutti dove si interviene un po’ su tutto, che non produrrà alcun effetto benefico sulla crescita economica ed occupazionale in Lombardia. Anzi, qualora venisse approvato così com’è, comporterà alcuni cambiamenti fortemente negativi, specie per quanto riguarda il lavoro, la scuola e l’ambiente.
Ma andiamo con ordine. Anzitutto vi è l’articolo 6 del progetto di legge, che aveva suscita rumorose e giuste polemiche nella sua formulazione iniziale, poiché interveniva a gambe tese proprio sull’articolo 18, ipotizzando, per mezzo del famigerato art. 8 del decreto-legge n. 138/2011 di sacconiana memoria, la sostituzione del reintegro con una “indennità di terminazione” (non stiamo scherzando, l’avevano chiamata proprio così!). Ma era evidentemente un po’ troppo provocatorio e così, sebbene Cisl e Uil fossero disponibili a tenersi anche la versione iniziale, la norma fu riscritta.
Da allora non se n’è più sentito parlare, un po’ perché la nuova formulazione aveva ridotto notevolmente le critiche della Cgil regionale e un po’ perché l’intervento del Governo Monti sul mercato del lavoro e sull’art. 18 ha, ovviamente, monopolizzato l’attenzione e lo scontro. Tuttavia, quell’articolo 6 è ancora lì e anche nella sua versione attenuata è una brutta cosa, perché continua a prevedere lo stanziamento di importanti risorse regionali, cioè denaro del contribuente, per favorire la stipulazione di contratti aziendali ai sensi dell’art. 8 del decreto n. 138, cioè in deroga ai contratti nazionali e allo Statuto dei Lavoratori.
Beninteso, sappiamo anche noi che lo scontro decisivo in materia di lavoro si gioca a livello nazionale, ma questa non ci pare una buona ragione per considerare digeribili le mosse di Formigoni e della Lega per svuotare la vigenza dei contratti nazionali e delle leggi.
In secondo luogo, c’è da segnalare l’articolo 8, che intende introdurre una nuova norma in materia di Reclutamento del personale docente da parte delle istituzioni scolastiche”. Cioè, le destre lombarde pretendono di intervenire con una legge regionale su una materia di chiara competenza statale, stabilendo che i singoli istituti scolastici statali non debbano più assumere personale docente mediante le graduatorie, bensì che possano passare a una sorta di chiamata diretta, con concorsi fatti ad hoc, istituto per istituto.
Insomma, si tratta di un altro tema caro a Formigoni e a Cl, cioè l’attacco alla scuola pubblica e lo stimolo al processo di privatizzazione. Già, perché prima ancora di rappresentare una bandiera federalista o leghista, questa mossa si colloca in piena continuità e coerenza con la politica formigoniana in materia scolastica dell’ultimo decennio. E non è certo un caso che due mesi fa Formigoni abbia chiamato a ricoprire la carica di Assessore regionale all’Istruzione proprio Valentina Aprea, già sottosegretario al Ministero dell’Istruzione e pasdaran della privatizzazione del sistema scolastico italiano.
Comunque sia, ad oggi l’articolo 8 è forse il più conosciuto, visto che ha suscito molte proteste è mobilitazioni, come l’appello per il suo ritiro, promosso dall’Associazione NonUnodiMeno, o il presidio davanti al Pirellone del 27 marzo, organizzato dal Coordinamento Lavoratori della Scuola e dalla Flc Cgil. Quest’ultima, peraltro, si mobiliterà ancora martedì 3 aprile, in concomitanza con la discussione in Consiglio regionale del Pdl n. 146.
Infine, riteniamo necessario richiamare l’attenzione sull’articolo 36, di cui praticamente nessuno parla, a parte Legambiente Lombardia. Anche in questo caso siamo di fronte a un classico del formigonismo e dell’affarismo che lo circonda, perché parliamo di grandi infrastrutture e, in particolare, di autostrade. Con l’articolo in questione si interviene, infatti, sulla legge regionale n. 15 del 2008, cioè quella legge che ha favorito grandemente le colate di asfalto, facilitando le speculazioni e riducendo le tutele per il territorio, e che a suo tempo avevamo aspramente combattuto in Consiglio.
Ebbene, l’art. 36 prevede una cosa incredibile: riduce le compensazioni ambientali nel caso delle grandi opere autostradali, come la BreBeMi o la Tem! Non solo stabilisce per le compensazioni un tetto massimo del 5% del costo dell’intera opera, collocandosi così nettamente sotto la media europea che si aggira sul 7-8%, ma introduce persino il principio che tale percentuale è “inversamente proporzionale all’intero costo dell’opera”. In altre parole, più l’opera è grossa e devastante per il territorio, meno compensazioni ambientali devo pagare!
 
Insomma, anche se qui abbiamo affrontato soltanto tre punti critici del Pdl n. 146, pensiamo che sia ampiamente sufficiente per sostenere che questo provvedimento, che martedì 3 aprile andrà in Consiglio regionale per la sua approvazione definitiva, merita il massimo di opposizione possibile, dentro e fuori l’Aula.
 
di Luciano Muhlbauer
 
cliccando sull’icona qui sotto, puoi scaricare il testo integrale del Pdl n. 146 (“Misura per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione”), nella versione che andrà in Aula martedì 3 aprile
 

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