Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il sistema di formazione professionale lombardo, si sa, è notevolmente diverso da quelli delle altre Regioni italiane. Infatti, nel 2001 era stato introdotto quel sistema di accreditamento che ha fatto quintuplicare il numero degli operatori. Un esercito di enti formativi privati, spesso erogatori di un unico corso in tutto l’anno scolastico, che si è accaparrato il miliardo e mezzo di euro stanziato nel periodo 2000-2006, di cui il 45% proveniente dall’Unione Europea.
Tra le vittime illustri dell’eccezione lombarda troviamo non soltanto la trasparenza, l’efficienza e la qualità del sistema, ma anche le condizioni di lavoro dei dipendenti. Ebbene sì, perché il contratto collettivo nazionale della formazione professionale è sempre meno rispettato e imperversano la precarietà e l’insicurezza. Una situazione grave già di per sé, ma che diventa sempre più drammatica con l’avanzare dell’annunciata crisi del settore e con il suo corollario di esuberi di personale.
La Giunta Formigoni non si è limitata a disinteressarsi dell’applicazione del contratto nazionale, ma sta contribuendo attivamente ad ostacolarla, giungendo addirittura a non applicare la legge regionale. Infatti, la 95/80 prevede espressamente la Commissione paritetica regionale, composta da rappresentanti delle parti sociali e dall’assessore competente, la cui funzione è quella di “assicurare la corretta applicazione” del contratto. Ebbene, nonostante il parere legale del Consiglio, richiesto da Rifondazione Comunista, abbia confermato la piena vigenza della normativa, la Giunta regionale insiste nel rifiuto di applicarla. Conclusione: non c’è alcun luogo istituzionale che vigili sull’applicazione del contratto e Regione Lombardia si deresponsabilizza rispetto alla gestione degli esuberi.
Per questi motivi e dopo ripetute sollecitazioni all’assessore Guglielmo, rimaste senza riscontro, oggi il Prc ha chiesto formalmente all’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale di intervenire con urgenza, al fine di garantire il rispetto della legge da parte della Giunta. È semplicemente intollerabile che la Giunta Formigoni arrivi persino a ignorare la legge, pur di boicottare l’applicazione del contratto nazionale.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui puoi scaricare la lettera inviata alla Presidenza del Consiglio Regionale
“Una legge che espropria la legittima autonomia del Comune di Monza sul governo del proprio territorio, che lascia un’ombra inquietante di possibili interessi privati anche su Campione d’Italia, che avalla norme anticostituzionali contro la libertà di culto e di aggregazione sociale.
Una legge di scambio tra Forza Italia e Lega Nord, una legge scandalosa di cui, a quanto pare, si vergognano anche esponenti della maggioranza visto che ben sette di loro, nel segreto dell’urna, hanno votato contro”.
Così i consiglieri del Gruppo di Rifondazione Comunista commentano il voto finale alla modifica della legge urbanistica, approvata questo pomeriggio in Consiglio regionale.
“Un atto in totale sintonia, del resto - proseguono Mario Agostinelli, Luciano Muhlbauer e Osvaldo Squassina - con la modalità scelta dal centrodestra per l’elezione del nuovo Presidente del Consiglio, Ettore Albertoni. Un uomo proposto da Bossi, che già stamattina nel suo discorso d’esordio ha eluso qualsiasi impegno di garanzia e che ha proclamato una fase costituente, senza però assumere alcuna responsabilità concreta in tal senso nei confronti dell’istituzione che presiede”.
“Per queste ragioni - concludono i tre consiglieri del Prc - Rifondazione Comunista ha votato contro la legge urbanistica e ha espresso una critica e una formale censura rispetto all’elezione del Presidente non partecipando al voto”.
Comunicato stampa del Gruppo regionale del Prc
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 6 luglio 2006 (pag. Milano)
Strano posto Milano, direbbe probabilmente un forestiero di passaggio se sfogliasse il Corsera di oggi. Da una parte, l’allarme lanciato dal rapporto Ambrosianeum che ci ricorda per l’ennesima volta che Milano è una città dalla quale scappano i giovani e, dall’altra, appena qualche pagina più in là, il grido di guerra di Vito Dattolico, coordinatore dei giudici di pace milanesi, che annuncia: “i writers, da oggi, non hanno più scampo”. Ci penseranno i giudici di pace, novelli vendicatori dei muri imbrattati, con supermulte e domicilio obbligatorio fino a 45 giorni.
Certo, non tutti i giovani sono writers, cioè graffitari, e il dimezzamento in dieci anni dei milanesi tra 18 e 24 anni si spiega con ben altro, a partire dall’imperante precarizzazione, dal caro casa, dall’abbandono delle periferie e da una scuola pubblica uscita ulteriormente indebolita dalla cura Moratti. Eppure, quelle due notizie rappresentano bene la schizofrenia, o meglio l’ipocrisia, del dibattito politico sulla “questione giovanile”. Anche a destra si fatica ormai a negare l’evidenza di una situazione sempre più insostenibile, ma poi si insiste a produrre atti concreti soltanto sul piano dell’ordine pubblico.
Una miscela esplosiva di negligenza sociale e proibizionismo, che è uno dei frutti più amari del prolungato governo delle destre a Milano e in regione. Anzi, di un’idea di città e territorio dove è importante la tutela degli interessi forti e dove l’intervento pubblico, la pianificazione, la partecipazione e la socialità sono considerati degli alieni. E così succede che facciano mille volte più scandalo un centro sociale o un graffitaro che non la maggioranza dei giovani milanesi costretti a un lavoro e a una vita precari.
Un’idea di città malata e pericolosa che ci porta finanche a fatti folli come quelli accaduti pochi mesi fa a Como, allorquando il giovane Rumesh rischiò la vita a causa del proiettile esploso da un vigile della locale squadra speciale anti-writers. E allora Dattolico e il nuovo sindaco ci risparmino per favore nuove e grottesche campagne di criminalizzazione e si inizi piuttosto, se vi è la volontà politica, ad affrontare i problemi veri.
La richiesta della pubblica accusa di pene di 5 anni e otto mesi per 25 ragazzi e ragazze e di 6 anni per altri due, formulata oggi al processo per i fatti dell’11 marzo, ci lascia francamente sconcertati.
Da quattro mesi ormai 25 dei 29 accusati sono rinchiusi nelle carceri di San Vittore e Bollate in attesa del processo. Una detenzione preventiva che più volte abbiamo definito anomala, poiché basata essenzialmente sull’accusa di “concorso”. In altre parole, a quasi tutti gli imputati viene contestato il fatto di essere stati lì quel giorno, in quel momento e, per questo solo fatto, sarebbero corresponsabili di ogni cosa avvenuta in corso Buenos Aires. Un’impostazione sommaria che oggi il Pm ha evidentemente voluto riconfermare con le sue richieste.
Non ci stanchiamo di ribadire che dovrebbe per chiunque essere motivo di preoccupazione come, in questo procedimento, si stia dimenticando quel principio fondante della nostra civiltà giuridica per il quale la responsabilità penale è personale. Se dovesse affermarsi un tale uso estensivo del concetto di “concorso morale” rischieremmo davvero di scivolare verso la giustizia sommaria e la messa in pericolo della libertà di manifestare.
Perciò ci auguriamo vivamente che la corte respinga questo impianto accusatorio sommario e che giudichi soltanto i fatti. E invitiamo nuovamente tutte le forze politiche a non nascondere la testa sotto la sabbia, poiché qui non parliamo “soltanto” della libertà di 27 ragazzi e ragazze, ma anzitutto della salvaguardia di una giustizia equa e autonoma da condizionamenti politici.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 9 luglio e su il Manifesto (pag. Milano) del 11 luglio 2006
A Milano è iniziato finalmente il processo per i fatti del 11 marzo scorso. 25 ragazzi e ragazze si trovano in carcere da ormai 120 giorni in attesa di questo momento. Un’enormità e un’anomalia senza precedenti in materia di detenzione preventiva, così come enorme e palesemente impropria è l’ipotesi di reato, cioè devastazione e saccheggio, per il quale l’articolo 419 del codice penale, risalente al periodo fascista, prevede la reclusione tra 8 e 15 anni. Anzi, c’è di peggio, poiché i ragazzi e le ragazze sono accusati non tanto di fatti specifici, bensì di “concorso morale”, una variante appena meno creativa della “compartecipazione psichica” teorizzata in alcuni processi per i fatti di Genova 2001.
Alcuni giorni fa, il 6 luglio scorso per la precisione, sono state realizzate alcune perquisizioni a Milano e Padova e consegnati almeno sette avvisi di garanzia per un lungo elenco di reati ipotizzati, tra cui rapina aggravata. Obiettivo della perquisizione: la ricerca, sette mesi dopo i fatti (sic), di una borsa che sarebbe stata sottratta all’esponente leghista Borghezio o ai suoi accompagnatori durante la nota vicenda del treno di ritorno dalla manifestazione anti-TAV di Torino. Destinatari degli avvisi: due esponenti di primo piano del centro sociale Vittoria di Milano e cinque padovani.
Al di là di ogni altra considerazione, come l’interrogativo tuttora aperto sui motivi della presenza di Borghezio tra i manifestanti, colpisce il fatto che anche in questo caso si fa un uso a dir poco allegro del concetto di “concorso”. Ebbene sì, perché i due esponenti del Vittoria, ad esempio, non hanno mai messo piede sulla carrozza dove sono avvenuti i fatti, come anche gli organi di polizia ben sanno. E se la logica è quella del concorso, cioè della corresponsabilità di tutti i passeggeri del treno, perché sono stati “scelti” soltanto sette?
Insomma, cerchiamo di capirci. Per il solo fatto di essere stato presente in un determinato luogo e in un determinato momento, a prescindere da quello che hai effettivamente fatto, puoi essere sbattuto in galera per quattro mesi senza processo, essere perquisito e indagato e, infine, rischiare condanne a lunghi anni di carcere. Se dovessimo accettare l’ingresso nella prassi investigativa e giudiziaria del nostro paese di tale uso estensivo e discrezionale della nozione di concorso, allora metteremmo a serio rischio le fondamenta del nostro ordinamento giuridico, di cui fa parte il principio che afferma che la responsabilità penale è personale, ed esporremmo la magistratura ad ogni sorta di condizionamento politico.
Fa davvero specie, e preoccupa non poco, che finora così poche voci si siano levate a segnalare la gravità di quanto avviene. Sappiamo che può essere scomodo, per carità, ma qui non stiamo mica parlando di quisquilie, bensì dei cardini dello stato di diritto e delle libertà democratiche. E allora, visto il moltiplicarsi di fatti del genere, forse è giunto il momento di prendere l’iniziativa anche a livello istituzionale e di invitare anche forze politiche più moderate ad assumersi la responsabilità di porre un freno alla deriva.
Articolo di Luciano Muhlbauer e Mario Agostinelli, pubblicato su il Manifesto del 20 luglio 2006 (pag. Milano)
Un colpo al cerchio e uno alla botte. È probabilmente questa la definizione giusta per l’odierna sentenza relativa ai fatti dell’11 marzo scorso. In altre parole, una sentenza di compromesso tra i principi dello stato di diritto e quel sommario teorema accusatorio che ha tenuto ingiustamente in carcere per oltre quattro mesi 25 giovani.
Siamo sicuramente felici che oggi tutti i 25 ragazzi e ragazze possano uscire dalle carceri. E ancora più contenti ci rende il fatto che ci siano state nove assoluzioni, anche se queste non riescono a restituire ai giovani il tempo loro rubato da una folle carcerazione preventiva. Tuttavia, anche se è stata svelata la montatura politica alla base del procedimento, quello strano compromesso, con le sue 18 condanne a quattro anni, lascia in piedi un pericoloso precedente. Cioè, in Italia è possibile essere condannati a lunghe pene detentive senza che ci siano prove circa le responsabilità personali, ma soltanto in base al fatto che sei stato presente a una manifestazione, dove sono avvenuti dei fatti penalmente rilevanti.
Ed è questo che ci fa dire che oggi giustizia non è stata fatta e che occorre aprire nel paese e nelle istituzioni una battaglia di civiltà, per impedire l’affermarsi di una visione della giustizia subordinata alla politica. Ebbene sì, perché il ricorso ad accuse gravi e improprie, come quella di devastazione e saccheggio, per giunta in abbinamento a un generico “concorso morale”, viene ormai teorizzato in diversi procedimenti e sempre in casi di manifestazioni politiche. Se permettessimo che questa prassi giuridico-politica si estenda, allora saremmo tutti quanti corresponsabili non soltanto di minare le basi del nostro ordinamento giuridico, ma altresì di mettere a repentaglio quel fondamentale diritto democratico che è la libertà di manifestare.
Il nostro auspicio è che il vertice istituzionale di domani non confonda la Lombardia con i desiderata di Formigoni. Da anni il centrodestra lombardo affronta la questione della mobilità sul terreno della propaganda, mettendo in cantiere progetti autostradali dai costi insostenibili, spesso inutili e il più delle volte contestati dagli enti locali, mentre il sistema ferroviario lombardo continua a deteriorasi.
Il vero problema della mobilità si chiama ferrovia. In Lombardia vi è un preoccupante squilibrio, rappresentato bene dal fatto che il 68,6% dei 15 milioni di spostamenti quotidiani avviene in automobile privata e che oltre il 60% della rete ferroviaria è ancora a binario unico. Eppure, il presidente Formigoni, anche in questi giorni, parla di ferrovia soltanto per invocare fondi per l’alta velocità.
Da lunghi anni ci battiamo in Regione perché venga finalmente avviata la discussione del piano regionale dei trasporti, che permetterebbe di delineare una strategia ambientalmente e socialmente sostenibile e definire le priorità di sviluppo. Invece, ancora una volta, il governo regionale si limita a chiedere ingenti e inesistenti risorse statali per BreBeMi, Tem e Pedemontana. Insomma, chiede a Prodi quello che nemmeno Berlusconi gli aveva concesso.
La Lombardia ha bisogno di due ingredienti per affrontare il problema infrastrutture: una strategia e un consenso sul territorio. Quindi si apra una vera discussione e si coinvolgano le comunità locali, a partire da quelle che hanno ripetutamente contestato BreBeMi e Tem e richiesto modifiche e integrazioni alla Pedemontana. Sarebbe invece un errore madornale pensare di poter risolvere la “questione settentrionale” con un accordo di vertice tra governo di centrosinistra e Formigoni.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
È passato più di un anno dalla rivolta nel Cpt di Via Corelli a Milano. Nel frattempo è cambiato il governo ed è stato messo all’ordine del giorno il “superamento” dei Centri di Permanenza Temporanea, cioè di quei luoghi dove vengono imprigionati fino a 60 giorni i cittadini stranieri non in regola con il permesso di soggiorno. Eppure, il dibattito politico sui Cpt stenta a diventare intelligibile per la grande maggioranza dei cittadini e delle cittadine, principalmente perché quelle strutture continuano ad essere circondate dalla segretezza.
Già un anno fa avevamo aperto un confronto con la Prefettura, sfociato poi in una bozza di intesa che prevedeva l’accesso regolare al Cpt di via Corelli delle associazioni. Tuttavia, una volta inviata al Ministero degli Interni per il nulla osta, non se ne seppe più nulla e tornò a regnare il silenzio più assordante.
Pensiamo che sia inaccettabile e intollerabile che continuino il silenzio e la segretezza. Per questo, a inizio luglio, abbiamo richiesto formalmente al Prefetto di Milano un incontro e la pubblicazione di tutti i dati relativi al Cpt di via Corelli, dai costi di gestione e di quelli delle convenzioni con soggetti privati fino al numero di trattenuti che transitano nella struttura.
La nostra opinione è risaputa, cioè che i Cpt vadano chiusi insieme alla stagione della Bossi-Fini e delle politiche incentrate sulla repressione, la quale assorbe peraltro oltre il 70% delle risorse pubbliche in materia di immigrazione. Vanno chiusi perché inutili, inumani e in palese contrasto con le più elementari norme dello stato di diritto. E il fatto che i Cpt siano oggi in Italia una specie di buco nero dell’informazione pubblica non fa che renderli ancora più preoccupanti.
Non abbiamo mai preteso che la nostra opinione venga condivisa a “scatola chiusa”, ma pretendiamo che i cittadini vengano messi in condizione di sapere, di poter partecipare ad un dibattito pubblico e democratico. Non ci sono motivi di sicurezza che impediscano di poter sapere cosa succede nei Cpt e quali siano le convenzioni economiche che li riguardano. Auspichiamo dunque vivamente che il Prefetto di Milano e il Ministero degli Interni, dopo lunghi anni di oscurità e segretezza, decidano finalmente di consegnare ai cittadini di Milano un po’ di trasparenza.
CittàPerTutti - AceA Onlus - Arci Milano - Arciragazzi Milano – Attac - Bastaguerra - Berretti Bianchi Lombardia - Centro delle Culture - Coordinamento Lombardo Nord/Sud del Mondo - C.S. Leoncavallo -Direttivo del Comitato Intercomunale per la Pace ex magentino - Fillea Lombardia - Fiom Milano – Naga - Newletter Ecumenici – SinCobas - Todo Cambia - UISP Milano - Associazione Sinistra Rossoverde - Rifondazione Comunista Milano - Partito Umanista
Comunicato stampa
cui puoi scaricare la lettera delle associazioni al Prefetto di Milano
“Un fatto grave che implica la necessità immediata di aprire una verifica nell’Unione, non solo in Lombardia ma anche a livello nazionale”.
Così il capogruppo del Prc, Mario Agostinelli, torna a parlare dell’ordine del giorno sul Tavolo Milano approvato ieri in Aula da Margherita e Ds insieme alla Casa delle Libertà.
“Il problema - prosegue Agostinelli – non è tanto quello delle priorità infrastrutturali in sé, ma il fatto che questo documento contraddice in pieno, a partire da un federalismo fiscale spinto all’eccesso, la risoluzione unitaria dell’opposizione sul Dpefr approvata soltanto mercoledì. E contraddice anche il progetto dell’Unione, in cui ha creduto e crede chi ci ha votato”.
“La gravità di quanto è accaduto ieri - incalza il consigliere Luciano Muhlbauer - sta nel fatto che Ds e Margherita hanno sottoscritto una parte del programma della Casa della Libertà e rafforzato la posizione di Formigoni nei confronti del governo nazionale e anche del Comune e della Provincia di Milano.
Un tifo organizzato per il Presidente della Giunta, difficilmente comprensibile se non nell’ottica tutta politicista di voler ridisegnare la geografia politica in Lombardia a prescindere dalla volontà degli elettori. Delle vere e proprie prove tecniche di grande coalizione, andate in scena qui, ma il cui vero obiettivo si trova a Roma”.
“Con l’aggravante - aggiunge il consigliere Osvaldo Squassina - che Ds e Margherita ci hanno tenuti all’oscuro del documento fino al momento della presentazione in Aula. Un’operazione poco limpida, quindi, non solo sul piano dei contenuti, inaccettabili per noi e per le altre forze dell’Unione, ma anche su quello del metodo. Un’operazione che regala un appoggio in più a Formigoni, indebolendo la tenuta del centrosinistra”.
“Occorre evidentemente - conclude il capogruppo Agostinelli - un chiarimento: certo c’è il beneficio dell’errore, ma l’incidente è troppo pesante per potervi soprassedere; la questione è già stata aperta e dovrà essere immediatamente affrontata dal tavolo dell’Unione al rientro dalle vacanze”.
Comunicato stampa del Gruppo regionale del Prc
Bene hanno fatto oggi i consiglieri dell’Unione del Comune di Milano a chiedere che Regione Lombardia modifichi l’assicurazione “a favore delle vittime della criminalità”, al fine di estenderla anche alle vittime di violenza sessuale.
Infatti, l’assicurazione in questione, stipulata dalla Giunta Formigoni con INA Assitalia nel 2004, assicura tutti i cittadini lombardi, ma soltanto nel caso che i delitti comportino la morte o l’invalidità permanente. Inoltre, sono comunque escluse dalla copertura assicurativa tutte le vittime di delitti che avvengono in determinate circostanze, come per esempio nel caso di attentati terroristici oppure quando il reato si consuma nella sfera familiare, tra prossimi congiunti o tra conviventi di fatto.
In altre parole, le vittime di violenza sessuale, che nella grande maggioranza dei casi si consuma nella sfera familiare o tra conoscenti, sono doppiamente escluse. Una esclusione incomprensibile, poiché la violenza sessuale, lungi dall’essere un’emergenza stagionale, è purtroppo tra i reati contro la persona più odiosi e radicati nel tessuto sociale.
Per questo motivo Rifondazione Comunista, non da oggi, chiede la revisione della polizza assicurativa e il 4 settembre ha presentato un’interpellanza alla Giunta Regionale in cui si chiede formalmente l’estensione della copertura anche alle vittime di violenza sessuale, nonché la rimozione dell’esclusione di reati consumati nella sfera familiare.
Sicuramente l’estensione dell’assicurazione non potrà essere la soluzione, così come non lo è la proliferazione delle telecamere, ma sarebbe perlomeno un sostegno concreto alle donne vittime di violenza, nonché un segnale tangibile che le istituzioni non le abbandonano al loro destino, dopo aver riempito periodicamente la stampa con dichiarazioni roboanti e spesso fuori luogo.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui puoi scaricare il testo dell'interpellanza
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