Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Vi segnalo un nuovo libro sulla cosiddetta questione rom. Si intitola “I rom e l’azione pubblica”, contiene saggi di diversi autori ed è curato da tre amici che da anni lavorano sul campo: Giorgio Bezzecchi, Maurizio Pagani e Tommaso Vitale. Ve lo consiglio. Di seguito e in allegato potete trovare una breve presentazione del libro e le indicazioni per acquistarlo.
“I rom e l’azione pubblica
a cura di Giorgio Bezzecchi, Maurizio Pagani e Tommaso Vitale
Pagine: 288
Prezzo: Euro 20
ISBN: 978-88-7039-0377
Teti Editore
I gruppi zigani sono molti e differenti. Abitano da secoli il tessuto urbano d’Europa. Sono parte integrante della storia italiana, soggetti in uno stato di diritto. Spesso, tuttavia, le politiche nei loro confronti assumono tratti marcatamente discriminanti e di frequente gli enti locali adottano vere e proprie forme di razzismo istituzionale. Altre volte, politiche e provvedimenti ben intenzionati falliscono per le proteste e le mobilitazioni locali, ma anche per il mancato ascolto e coinvolgimento dei diretti interessati, i rom e i sinti.
Il volume tenta di fornire idee e appigli per uscire da questo senso di impotenza: i diversi contributi che lo compongono mostrano strade concretamente percorribili nell’azione pubblica. Guardando alla sfida di una politica democratica e partecipata, questo libro racconta una pluralità di casi empirici che aiutano a capire come è possibile rispettare i diritti fondamentali delle minoranze, moltiplicando il consenso sulle politiche necessarie per una migliore convivenza.
Il volume contiene saggi di Alberto Giasanti, Amoun Sleem, Antonio Tosi, Carlo Cuomo, Elisabetta Vivaldi, Giorgio Bezzecchi, János Ladányi, Joanna Richardson, Laura Boschetti, Maurizio Pagani, Paola Pessina, Tommaso Vitale, Zoran Lapov.
Giorgio Bezzecchi, presidente della cooperativa Romano Drom, è un Rom Harvato, esperto di processi e politiche di mediazione culturale. Da molti anni è uno dei massimi dirigenti dell’Opera Nomadi. Vive e lavora a Milano.
Maurizio Pagani, dirigente dell’Opera Nomadi, da molti anni è attivamente impegnato in azioni di promozione sociale delle comunità zingare e studio delle politiche pubbliche. Vive e lavora a Milano.
Tommaso Vitale, ricercatore di Sociologia, insegna sia Sviluppo locale che Programmazione sociale all’Università degli Studi di Milano Bicocca ed è membro della redazione di Partecipazione e conflitto - Rivista di studi politici e sociali.
Nicola Teti Editore
Per l’acquisto versare il relativo importo sul c/c postale n° 59861203, intestato a: Nicola Teti Editore srl - Milano. Per pagamento in contrassegno l’importo va maggiorato di € 3 (Tel. 02.55015575).”
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 350, depositata il 24 ottobre, ha dichiarato illegittima la legge regionale n. 6/2006 sui phone center, accogliendo dunque i numerosi ricorsi del TAR della Lombardia e dando ragione a quanti, come noi, avevano sin dall’inizio denunciato la sua palese natura discriminatoria e anticostituzionale.
Quindi, da oggi in poi, quella legge non esiste più. E questa è una buona notizia, poiché riafferma la vigenza dello stato di diritto. Ma purtroppo la legge n. 6/2006 ha già prodotto numerosi e vasti danni, visto che è stata ampiamente applicata sin dal marzo del 2007 da tanti Comuni lombardi, compreso quello di Milano, provocando la massiccia chiusura di legittime attività commerciali e la rovina economica dei loro gestori.
La legge regionale n. 6 e la sua applicazione da parte di molti sindaci nulla c’entrava con la regolamentazione delle attività commerciali, ma intendeva unicamente alimentare, ancora una volta, le campagne d’odio tanto care a Lega e An. Infatti, la grande colpa dei phone center era semplicemente quella di essere gestiti e utilizzati soprattutto da cittadini immigrati. Insomma, una legge speciale, fuori dallo stato di diritto e contraria al principio di uguaglianza davanti alla legge e uno dei tanti casi, forse tra i più gravi in Lombardia, di xenofobia istituzionale.
Ma la cosa più ingiustificabile e disgustosa è che tutti gli attori istituzionali erano perfettamente consapevoli che la legge non avrebbe mai passato l’esame della Corte Costituzionale. Ciononostante, sia il centrodestra in Regione, che moltissimi Sindaci hanno premuto sull’acceleratore della sua applicazione, trattando come delinquenti e gettando sul lastrico centinaia e centinaia di persone e famiglie.
Riteniamo dunque imprescindibile non soltanto delle pubbliche scuse, ma soprattutto dei fatti concreti. In altre parole, Regione Lombardia e quei Sindaci che hanno chiuso legittime attività commerciali sulla base di norme illegittime devono ora farsi di carico di garantire alle vittime un congruo e veloce risarcimento.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui sotto puoi scaricare la sentenza della Corte Costituzionale
Tutta l’opposizione in Consiglio regionale sostiene la richiesta che il Presidente Formigoni debba farsi carico di garantire un risarcimento alle persone danneggiate dall’applicazione della legge regionale n. 6/2006 sui phone center, dichiarata interamente illegittima dalla Corte Costituzionale quattro giorni fa. Questo è quanto è stato comunicato oggi pomeriggio in una conferenza stampa, tenutasi presso la sede del Consiglio Regionale, nella quale sono intervenuti Muhlbauer (Prc), Monguzzi (Verdi), A. Squassina (Sd) e Civati (Pd).
Di seguito riportiamo il lancio sulla conferenza stampa dell’agenzia Omnimilano:
(OMNIMILANO) Milano, 28 ott - Un "accanimento ideologico della maggioranza". Così il consigliere del Partito Democratico in Consiglio regionale, Giuseppe Civati, definisce l'atteggiamento della maggioranza di centro destra in Regione, dopo che la Corte Costituzionale, il 24 ottobre scorso, ha sentenziato come illegittima la legge lombarda sui phone center, obbligati a revisioni strutturali, pena la chiusura. Oggi in una conferenza stampa i gruppi di opposizione al Pirellone hanno annunciato ricorsi per il risarcimento degli operatori di phone center lombardi. Per Luciano Muhlbauer (Prc): "Ad oggi, nonostante il pronunciamento della Corte Costituzionale, ancora nessuno della maggioranza sembra avere niente da dire", e prosegue: "di fatto c'è stata una moria di legittime attività economiche che da 2.500 sono passate a 500, spazzate via da una legge illegittima", e chiede al presidente della Regione Roberto Formigoni: "scusarsi e risarcire le vittime delle attività economiche rovinate dalla legge regionale". Arturo Squassina (Sinistra democratica) aggiunge: "Chi ha perso un lavoro legittimo per la totale insensibilità di una legge ideologica, va rimborsato". Infine il consigliere dei Verdi, Carlo Monguzzi, ritiene: "Roberto Formigoni responsabile in prima persona, cedendo alle pressioni della Lega. Faremo azioni legali affinché sia Formigoni a pagare e non la regione".
Vi ricordate del rogo di Opera? Era la vigilia di Natale del 2006 e un nutrito gruppo di cittadini operesi, guidato e incitato dal leghista Ettore Fusco e da altri esponenti della Lega e di An, aveva dato alle fiamme le tende della protezione civile, destinate ad ospitare fino a primavera le famiglie rom precedentemente sgomberati dalle baracche di via Ripamonti, nel comune di Milano. Le tende sarebbero poi state rimontate, ma l’assedio, con tanto di insulti e minacce quotidiane, continuò fino all’inizio di febbraio, quando i rom e la Casa della Carità gettarono la spugna e se ne andarono.
Opera fu una sconfitta per la democrazia e la decenza e una vittoria politica per le destre e gli xenofobi. Anzi, fu una sorta di fatto costituente, destinato a fare scuola. Da allora in poi si registrò un crescendo di azioni simili, un po’ dappertutto in Lombardia e successivamente anche oltre. E uno dei principali protagonisti della vicenda capitalizzò la vittoria fino in fondo: nell’aprile del 2008 Ettore Fusco è stato eletto Sindaco di Opera.
Aver permesso a Lega e An -con qualche occasionale appoggio operativo di militanti neofascisti- di averla vinta, significò sdoganare e legittimare azioni razziste e violente contro i rom. Lo stesso comportamento delle autorità preposte alla tutela dell’ordine pubblico fu allora arrendevole, per usare un eufemismo. In sostanza rimasero a guardare. E la medesima tolleranza sarebbe poi stata usata anche dal magistrato, che infatti nel febbraio scorso assolse Ettore Fusco dall’accusa di “istigazione a delinquere”.
Sembrava tutto chiuso, finito, nel peggior modo possibile. Cioè, a Opera non era successo nulla, non ci sono responsabilità, né colpevoli. O meglio, gli unici colpevoli sono quelli che la violenza non l’hanno mai usata: le famiglie rom, prima sgomberati dalla baraccopoli milanese, poi assediati, minacciati e cacciati da Opera.
Invece no, la vicenda non è ancora chiusa. Infatti, venerdì 31 ottobre la Corte di Cassazione ha depositato la sentenza con la quale accoglie il ricorso della Procura di Milano, annullando l’assoluzione e disponendo un nuovo processo per “istigazione a delinquere” contro il Sindaco di Opera, Ettore Fusco.
Una buona notizia, comunque vada a finire, perché vuol dire che è rimasto ancora qualcuno che ritiene i roghi razzisti contro persone indifese, con l’unico fine di garantire un tornaconto politico e personale a qualcuno, non compatibili con lo stato di diritto e la democrazia.
“Gli zingari rubano i bambini”. Quante volte abbiamo sentito questa affermazione. Al bar, per strada, magari da parte di amici, sicuramente esclamata da qualche leghista. In tv e sulla stampa le notizie di presunti rapimenti di bambini da parte di rom hanno spesso conquistato la prima pagina. Ma cosa c’è di vero in questa leggenda nera che affonda le sue radici nella notte dei tempi? Nulla, semplicemente nulla!
È questo il risultato di una ricerca commissionata dalla Fondazione Migrantes (della Conferenza Episcopale Italiana) al Dipartimento di psicologia e antropologia culturale dell'Università di Verona sui presunti tentati rapimenti addebitati ai rom dal 1986 al 2007.
La ricerca è stata presentata il 10 novembre scorso e raccolta in un libro intitolato “La zingara rapitrice” (per richiederlo alla Fondazione Migrantes: Tel. 06/6617901 - segreteria@migrantes.it).).
La ricerca prende in esame una quarantina di casi degli ultimi anni, tra cui anche quelli che hanno fanno tanto clamore sulla stampa o sono diventati persino pretesti per atti di violenza razzista, come quello di Ponticelli (Napoli). Ebbene, in nessun caso i responsabili della sparizione dei bimbi sono rom o sinti. Semplicemente non c’entrano niente, ma questa notizia non l’ha mai letta nessuno sulla stampa, se non in ultima pagina della cronaca locale.
In Italia i bimbi vengono sottratti da parenti, pedofili o amici di famiglia. Questa è la realtà dei fatti. Ma fa tanto comodo, specie ai professionisti della politica dell’odio e a coloro che si inchinano davanti all’aria che tira, attribuire la responsabilità a chi non c’entra nulla e non può nemmeno difendersi.
Grazie alla Fondazione Migrantes. Ma ora sta anche a noi far conoscere questa ricerca, costruire iniziative, far circolare le informazioni.
Ha scelto di chiamarsi “Preziosa”, ha la cittadinanza brasiliana e si trova in Italia senza regolare permesso di soggiorno. E così, il 20 giugno 2008 era finita rinchiusa nel Cie (ex Cpt) di via Corelli a Milano, nella camerata riservata ai transessuali. Fu rimessa in libertà all’improvviso l’11 luglio successivo, con in mano un decreto di espulsione e con il corpo segnato da diverse contusioni.
Nulla di straordinario si direbbe, la solita storiaccia da Cpt. Eppure, questa volta qualcosa di diverso c’è, perché Preziosa non si era accontentata di quel rilascio anticipato dopo una notte burrascosa, che l’aveva tra l’altro portata anche al pronto soccorso, ma si recò da un avvocato e sporse denuncia contro alcuni agenti di polizia in servizio quella notte nel Cie di via Corelli.
Quello che accadde la notte tra il 10 e l’11 luglio in via Corelli è attualmente oggetto di indagine da parte della Procura della Repubblica di Milano. Un’indagine complessa, come sempre quando di mezzo ci sono strutture come i Cie-Cpt, dove la trasparenza latita, per usare un eufemismo, e di solito anche la possibilità di poter raccogliere testimonianze terze. Ma c’è di più, perché la vigente legislazione in materia di immigrazione prevede che i provvedimenti di espulsione non vengano sospesi neanche in presenza di un’indagine della magistratura o di un processo, a meno che non venga rilasciato un apposito permesso di soggiorno temporaneo “per motivi di giustizia” da parte del Questore.
In altre parole, sebbene sia in corso l’indagine della Procura, Preziosa continua a vivere de jure e de facto in stato di clandestinità e rischia pertanto di venire espulsa prima ancora che si possa celebrare il processo.
Per questi motivi, il 23 dicembre scorso il sottoscritto e il Consigliere provinciale Piero Maestri abbiamo scritto una lettera urgente al Prefetto e al Questore di Milano, chiedendo il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di giustizia. In fondo, non si chiede molto, ma semplicemente che la magistratura possa completare il suo lavoro senza che sparisca dalla scena la querelante, nonché la principale testimone.
Qui di seguito, puoi leggere il testo della nostra lettera del 23 dicembre e in allegato puoi scaricare due articoli relativi al caso Preziosa, pubblicati in questi ultimi giorni dall’Unità e da il Manifesto.
“Milano, 23 dicembre 2008
Al Prefetto di Milano
Dott. Lombardi
Al Questore di Milano
Dott. Indolfi
Egregi Signori,
vi scriviamo per sottoporre alla vostra attenzione il caso del sig. W.S., detto “Preziosa”, cittadino del Brasile, sollecitando quindi un vostro intervento.
“Preziosa” era stata fermata e tradotta nel Cie (ex Cpt) di via Corelli, sito in Milano, il 20 giugno del corrente anno, poiché priva di regolare permesso di soggiorno. Era dunque trattenuta in suddetta struttura, nella camerata normalmente riservata ai “trans”, quando nella notte tra il 10 e il l’11 luglio accaddero dei fatti, la cui dinamica e le cui responsabilità sono attualmente all’esame della magistratura.
Ci limitiamo qui a segnalare che in tale notte il sig. W.S., detto “Preziosa”, fu accompagnata al pronto soccorso dell’Ospedale San Raffaele, dove venivano riscontrate diverse contusioni. Ella fu poi riaccompagnata al Cie nella medesima notte. Nella mattinata dell’11 luglio fu comunicato a lei, nonché a un altro trattenuto della “camerata trans”, il rilascio dal Cie. Cosa che avvenne poi effettivamente e le fu consegnato l’ordine di abbandonare il territorio nazionale entro cinque giorni.
Nella stessa giornata del rilascio, inoltre, “Preziosa” si recò nuovamente al pronto soccorso del San Raffaele, poiché continuava ad accusare dolori, e le furono riconosciuti dieci giorni di prognosi.
Infine, il 30 luglio scorso, il sig. W.S., detto “Preziosa”, sporse querela contro alcuni agenti della Polizia di Stato in servizio presso il Cie di via Corelli nella notte tra il 10 e l’11 luglio per ingiurie, lesioni personali, abuso d’ufficio, abuso d’autorità contro arrestati o detenuti e omissione di soccorso.
Attualmente sono in corso le indagini della Procura di Milano e nell’ambito delle stesse “Preziosa” è stata sentita più volte. Ciononostante, come prevede la legge, il decreto d’espulsione nei confronti del sig. W.S. non è stata sospeso.
In poche parole, “Preziosa” si trova de jure e de facto in stato di “clandestinità” e rischia pertanto l’espulsione coatta prima che si concludano le indagini o che si celebri il processo.
Riteniamo che un’eventualità del genere non sia nell’interesse dell’accertamento della verità e del rispetto della legalità e che vada dunque scongiurata – e che ci sia un accertamento della verità corretto e nel rispetto di tutte le garanzie siamo convinti sia nell’interesse delle stesse forze dell’ordine. Pertanto, certi della vostra sensibilità, con la presente intendiamo sollecitare una vostra attivazione perché al sig. W.S., detto “Preziosa”, possa essere rilasciato un premesso di soggiorno per motivi di giustizia.
A disposizione per ogni eventuale chiarimenti.
Distinti saluti
Luciano Muhlbauer
(Consigliere Regionale della Lombardia)
Pietro Maestri
(Consigliere Provinciale di Milano)”
Oggi è stato pubblicato e presentato alla stampa il rapporto “Razzismi Quotidiani: la voce dei cittadini stranieri e dei media su razzismo e discriminazione”, realizzato dal Naga e dal Cospe di Milano. Una delle pochissime inchieste che parte dal punto di vista dei migranti, dalle loro percezioni e dal loro vissuto. Insomma, un materiale da leggere e da fare circolare.
In allegato a questo post puoi scaricare il rapporto e qui sotto riproduciamo il comunicato stampa di presentazione di Naga e Cospe. Ovviamente, tutto quanto puoi consultarlo anche sui siti web www.naga.it e su www.cospe.it.
“Comunicato stampa:
RAZZISMI QUOTIDIANI. LA VOCE DEI CITTADINI STRANIERI E DEI MEDIA SU RAZZISMO E DISCRIMINAZIONE
Il rapporto di Naga e Cospe in materia di discriminazione e razzismo:
un’indagine sul campo e le notizie dei media.
Naga e Cospe hanno, nell’arco di un mese, intervistato 580 cittadini stranieri e monitorato i mezzi d’informazione nell’intento di mettere a confronto l’informazione in materia di discriminazione e razzismo con l’effettivo vissuto dei cittadini stranieri. Oggi viene presentato il rapporto frutto di tale indagine. I dati raccolti evidenziano il verificarsi diffuso di atti di violenza e discriminazione a danno dei cittadini stranieri : razzismi quotidiani perpetrati dalle forze dell’ordine, da controllori sui mezzi pubblici, da personale della sicurezza privata, da datori di lavoro, da gruppi di persone o da singoli individui.
Il quadro che emerge dai dati e dalle testimonianze è preoccupante: ad almeno 1 persona su 5 è capitato di essere trattata male dalle forze dell’ordine; ad 1 persona su 5 di dormire per strada; a 3 persone su 10 di essere offese sui mezzi pubblici e di essere guardate male per strada; a 3 persone su 10 di non essere pagate per un lavoro; a più della metà del campione di perdere all’improvviso il lavoro. E' la preoccupazione di ammalarsi a prevalere, che si intreccia con quella di perdere il lavoro. Per il 65% del campione, infine, la vita in Italia è cambiata negli ultimi anni e, per la grande maggioranza di questi, in modo negativo.
“Sentivamo la necessità di ascoltare e far ascoltare la voce dei cittadini stranieri, e proprio le loro testimonianze ci hanno permesso di capire quale sia l’incidenza di episodi di razzismo e discriminazione nella vita di chi si rivolge al Naga” dichiara Pietro Massarotto, presidente del Naga. “I dati evidenziano una situazione odiosa, una sorta di "normalizzazione" degli atti di discriminazione e razzismo, che incide negativamente sulla vita di persone che vivono e lavorano in Italia. Inoltre ci ha colpito il fatto che di fronte a un’incidenza media del 30% di episodi di sopraffazione, la percezione critica di ciò che accade sia fortemente sottodimensionata nei racconti dei cittadini stranieri, che, in un contesto di criminalizzazione continua, paiono aver alzato il livello di sopportazione degli abusi”, prosegue il presidente del Naga; “i dati raccolti ci confermano, infine, quanto sia sbagliato e dannoso rappresentare i cittadini stranieri come un gruppo omogeneo, non esistono ‘gli stranieri’, ma singoli individui caratterizzati da speranze, paure, aspettative e biografie completamente differenti. Singoli che vedono quotidianamente violati i loro diritti fondamentali da parte di Istituzioni e cittadini”.
L’analisi su testate locali e nazionali (carta e web), pur inevitabilmente parziale ed estemporaneo ha permesso di fornire una significativa istantanea sulla situazione attuale dei razzismi quotidiani. Secondo i dati raccolti è avvenuta una media di 1,3 episodi di razzismo al giorno. Gli immigrati sono state le vittime principali degli atti di discriminazione e razzismo, soprattutto i cittadini di nazionalità rumena, e sembra che il colore della pelle sia l’elemento che rende le persone di origine straniera, anche se nate in Italia o cittadine italiane, maggiori vittime di violenze, insulti e comportamenti offensivi.
Quello che più colpisce è l’alta percentuale di atti di violenza istituzionale, compiuta da forze dell’ordine e da persone in una posizione di autorità, come i controllori dei mezzi di trasporto. Tra le principali vittime rom e sinti. A conferma dell effetto del razzismo di creare, riprodurre e/o mantenere il potere, l’influenza e il benessere di un gruppo cosiddetto “razziale” a scapito di un altro gruppo definito negli stessi termini.
“Gli studi sul tema - afferma Udo Enwereuzor, esperto di discriminazioni e resposabile COSPE del progetto europeo RAXEN (Rete di informazione europea sul razzismo e la xenofobia) - ci dicono che spesso gli immigrati non sono rappresentati come persone a tutto tondo; come risulta anche dalla nostra analisi – ad esempio - essi sono frequentemente ridotti ad una nazionalità. Inoltre, come abbiamo rilevato, la loro voce nei media e nel dibattito pubblico è del tutto residuale. Così come la voce del mondo associativo, di esperti, di attori che ruotano nel mondo dell’ immigrazione è raramente presa in considerazione come fonte.
Dal nostro monitoraggio emerge infatti la tendenza dei giornalisti a utilizzare quasi esclusivamente voci e fonti istituzionali”. “Una difficoltà persistente che si frappone alla crescita dell’impegno delle istituzioni e dei singoli nel contrasto del razzismo e delle discriminazioni collegate – conclude Udo Enwereuzor - è rappresentata proprio dalla mancanza di dati ed informazioni descrittive raccolte in modo sistematico e che riguardano tutto il territorio nazionale. Ed è in questa direzione che questa ricerca prova a dare una risposta”.”
Che la trasparenza non vada molto di moda dalle nostre parti, specie quando parliamo del Cie (ex-Cpt) di via Corelli, lo sapevamo già, ma che ora la Prefettura sia arrivata al punto di mettere sotto tutela i Consiglieri regionali, imponendo pesanti restrizioni per quanto riguarda le visite alla struttura, va al di là della più elementare decenza.
L’incredibile novità è stata peraltro scoperta per caso. Infatti, per oggi pomeriggio era prevista una visita in via Corelli da parte del sottoscritto, insieme a due esponenti dell’Arci, nel quadro della campagna europea di Migreurop intitolata, ironia della sorte, “Per la trasparenza nei luoghi di detenzione per stranieri”. Ebbene, tale visita non si realizzerà, poiché la Prefettura ha comunicato formalmente che d’ora in poi ogni Consigliere Regionale che volesse accedere al Cie-Cpt lo potrà fare soltanto a due condizioni: 1. deve essere in possesso di una apposita delega in tal senso da parte del Presidente della Giunta Regionale o del Presidente del Consiglio Regionale; 2. la visita deve essere autorizzata dal Prefetto.
Tanto per capirci, nessuna delle due condizioni esisteva fino ad oggi, visto che il regolamento del Cpt di via Corelli, emanato dalla stessa Prefettura il 26 ottobre 2000 e a quanto sappiamo mai abrogato formalmente, prevede che i parlamentari, i consiglieri regionali e i magistrati accedano alla struttura senza previa autorizzazione. E, infatti, il sottoscritto, così come altri Consiglieri regionali, visitavano con una certa regolarità via Corelli.
Da oggi, ogni Consigliere regionale lombardo, nell’esercizio delle sue funzioni, continuerà a poter visitare in qualsiasi momento, senza autorizzazione e preavviso, qualsiasi carcere della Lombardia, compreso il nuovo padiglione ad altissima sicurezza di Opera, ma non potrà più farlo con il Cie di via Corelli, dove si trovano rinchiuse persone che non hanno commesso reati e subito alcun processo.
A lasciare stupefatti, però, non è soltanto il merito della questione, ma anche le motivazioni formali esibite, che francamente sfidano il grottesco. Cioè, la Prefettura si richiama alla direttiva del 24 aprile 2007 dell’allora Ministro degli Interni Amato, peraltro ignorata fino a ieri, che aveva come obiettivo la concessione di un po’ più di trasparenza e stabiliva quindi che anche Sindaci, Presidenti di Provincia, di Regione e di Consiglio Regionale potessero accedere ai Cpt presenti sul loro territorio, poiché in molte zone del Paese nemmeno questo era possibile. E ora la Prefettura di Milano, capovolgendone il senso, utilizza incredibilmente tale direttiva per dire che “solo” i Presidenti possono entrare, i consiglieri non più.
Le nuove restrizioni della Prefettura sono di inaudita gravità, perché se d’ora in poi la possibilità di visita e controllo sarà sottoposta a vincoli e autorizzazioni, questo significa che non saranno più possibili visite non preannunciate con un certo anticipo o “sgradite” e che dunque, in caso di fatti poco chiari all’interno del Cpt, che spesso accadono, sarà estremamente difficile avere versioni diverse da quelle ufficiali. Cioè, i potenziali controllati avranno il potere di impedire ogni controllo indipendente.
E che tutto questo avvenga esattamente quando il Governo intende costruire nuovi Cie in tutta Italia e prolungare la detenzione amministrava fino a 18 mesi non fa che rendere ancora più preoccupante questa scelta.
Abbiamo già interpellato il Presidente del Consiglio Regionale, De Capitani, chiedendogli di farsi carico, per quanto gli compete, di tutelare i consiglieri nell’esercizio del loro mandato. Al Prefetto chiediamo invece un urgente chiarimento: cioè, chi ha deciso questa novità, il Prefetto oppure il Ministero degli Interni?
Comunque la si pensi sui Cie-Cpt, far calare un muro di omertà e silenzio, più di quello che già c’è, è una politica inaccettabile e ignobile che legittima d’ora in poi ogni sospetto e pregiudizio. Da parte nostra, fortunatamente non da soli, continueremo la battaglia contro queste strutture di detenzione amministrativa e per la trasparenza.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Oggi pomeriggio ho visitato, insieme alla responsabile immigrazione dell’Arci di Milano, Ilaria Scovazzi, il Cie (ex-Cpt) di via Corelli, a Milano. Si è trattato del primo sopralluogo da quando il Ministro Maroni, con una circolare ad hoc del 2008, aveva imposto pesanti restrizioni al diritto/dovere di ispezione dei consiglieri regionali lombardi, mediante l’introduzione di un doppio regime autorizzatorio preventivo, la cui conseguenza immediata è stata l’accentuazione della mancanza di trasparenza della struttura detentiva di via Corelli.
Infatti, poco si era saputo della dinamica e delle conseguenze delle proteste di una decina di giorni fa, precedute nel mese di febbraio da una rivolta del settore C, riservato alle trattenute transessuali e da allora chiuso. Ma oggi una certezza siamo riusciti ad acquisirla, cioè la calma che sembra regnare in via Corelli è molto ingannevole, poiché basta passare poco tempo con i reclusi per cogliere una forte tensione, quasi palpabile nell’aria.
Ai tradizionali focolai di tensione, tipici dei Cie (Centro di identificazione ed espulsione), che rispetto agli ex-Cpt (Centro di permanenza temporanea) hanno cambiato soltanto nome, si è aggiunto l’allungamento fino a sei mesi del periodo di detenzione. E tale misura, voluta fortemente dal Ministro Maroni e dalla Lega, sebbene bocciata dal voto della Camera dei Deputati, è tuttora applicata e sta producendo guai seri.
Attualmente il Cie di via Corelli dispone di 104 posti, di cui praticamente tutti occupati. 17 donne e il resto uomini. Come al solito almeno il 10-15% proviene dal carcere, cioè dovrebbe essere già stato espulso all’uscita dal carcere, poiché identificato da tempo. Ma soprattutto, ben il 40% dei detenuti di via Corelli ha alle spalle un periodo di detenzione superiore a 60 giorni, di cui una parte significativa anche fino a 3 mesi e mezzo. E non si tratta soltanto della ventina di migranti provenienti dal centro bruciato di Lampedusa, ma anche di altre persone.
Chiunque abbia visitato anche una volta soltanto la struttura di via Corelli - e al di là di come la pensi in generale su questi centri detentivi - capisce immediatamente che questa fatichi a malapena ad essere sopportabile per 60 giorni, essendo stata progettata per 30 giorni di permanenza. Figuriamoci per 4 o 6 mesi!
Si potrebbero poi aggiungere anche le solite storie da Cpt, come quella della cittadina peruviana in possesso di regolare permesso di soggiorno rilasciato dalla Spagna, ma trattenuta in via Corelli da più di un mese a causa delle lungaggini burocratiche. Ma tutte queste storie non farebbero che confermare che l’allungamento dei tempi di permanenza è soltanto una grande presa in giro, ad uso e consumo degli interessi di qualche forza politica senza scrupoli.
In via Corelli occorre intervenire con urgenza, senza aspettare che la norma di Maroni decada a fine mese. Altrimenti, altre proteste e rivolte saranno presto all’ordine del giorno. E soprattutto va impedito che lo scempio della detenzione prolungata senza processo possa ripresentarsi sotto nuove vesti.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Qui di seguito invece il racconto della visita in Corelli scritto da Ilaria Scovazzi:
UN GIORNO A CORELLI
Alle 15.30 di un venerdì soleggiato, due camerate del CIE di via Corelli 28 si sono aperte. Quelle camerate il sole non l'hanno mai visto.. viene tenuto fuori dai vestiti appesi alla finestre e l'umidità ha mangiato le pareti e i disegni che segnano i passaggi dei detenuti.
Corelli consuma e mangia 104 persone, 17 donne e il resto uomini, il reparto C dei trans è stato chiuso sia per i danni dei continui incendi sia perché "non serviva più”... Lula non fa ritornare in Brasile i suoi concittadini... Gli uomini sono nord africani... le donne dell'est europeo... Curiosa concentrazione geografica, che parla molto dei "lavori più visibili".
Corelli mastica e digerisce le persone molto lentamente...il 40% delle persone sono in quella gola da più di 2 mesi... i 20 ragazzi di Lampedusa con la convalida di gennaio, ma sbarcati a dicembre sull'isola... la ragazza del Ghana che ormai sta avvicinandosi ai 4 mesi... oppure la mamma tunisina che dopo anni nel carcere di Como da 50 giorni si domanda dove sia sua figlia... oppure il signore kossovaro con una camicia di pile che ironizza sulla sua "sciagurata" storia: 70 giorni passati nel CIE di Modena, poi un volo di qualche ora verso la Macedonia e altrettante ore di ritorno a Milano perché un kossovaro in Macedonia non può starci... e ora 69 giorni a Milano.
Corelli è una camaleontica struttura. Molto carcere, molto terra di nessuno sospesa ed arbitraria, molto reparto psichiatrico… moltissimo contenitore di rabbia. Per la prima volta abbiamo parlato tutti insieme nella camerate… Prima le donne e poi gli uomini. Strano la Tv era sintonizzata su MTV ma le parole che abbiamo ascoltato non erano musica. C'è una ragazza moldava, sposata con un signore italiano di 34 anni, mi dice " Se mi chiudo, dentro di me muoio", è passata dal reparto psichiatrico del Niguarda a Corelli… prende dei farmaci che le fanno dimenticare la sua vita... la mamma in ospedale in Moldavia, il prestito fatto con i Nomadi, si tocca il braccio per parlarmi della mamma che vive con le flebo, si tocca gli occhi quando mi racconta del Niguarda, si mette sull'attenti quando mi racconta del suo lavoro da badante a Torino. Mi ripete, in continuazione, gocce 2 la mattina e la sera... così scandisce il suo tempo.
C'è una ragazza dai capelli neri lucenti ha fatto da poco un aborto, ha male alle ovaie, ha la febbre. E' ossessionata dal suo sangue e dalle ironie sul suo stato di salute che sente in infermeria... parla, parla e poi ancora parla di non voler essere un animale… ma di fare fatica a ricordarselo. Non ti lasciano respirare per prendere ossigeno guarda la Tv in gabbia anche lei… in disparte una giovane donna albanese con occhiali rossi… È da 10 anni in Italia, ha perso il permesso di soggiorno, era a fare una passeggiata vicino a una strada frequentata molto di notte da macchine di italiane... e ora è a Corelli.
Esco e vengo fagocitata dai racconti degli uomini nord africani. Il clima è diverso, c'è molta tensione, rabbia e i racconti sono altri. Parlano di uomini arrotolati in coperta alla mattina presto per essere espulsi, parlano di botte e di continue incursioni della polizia... Non so se sia tutto vero... ma non sono un giudice… quello che so è che la mia pancia sente la loro rabbia. Sono tutti concentrati sull'ipotesi dei 6 mesi. Spiego l'iter legislativo, sanno, loro vedono la TV… ma i giorni si accumulano... la loro storia collettiva di paura è rappresentata dai 15 ragazzi di Lampedusa… dal 29 di gennaio scritto su 15 carte …e dalle dita su cui contano i mesi. La loro rabbia sono le 10 sigarette che non arrivano mai e l'impossibilità di poter acquistare. Per riscuotere soldi, attraverso bonifici postali di parenti e amici, ora da ,un mese, non basta più la delega alla Croce Rossa per il ritiro, ci vuole il codice fiscale e la carta di identità... richieste impossibili per uno che sta in Corelli. Ecco la loro rabbia e vita.
De Corato mente e sa di mentire quando definisce “clandestini” i profughi che hanno occupato uno stabile in stato di abbandono a Bruzzano, a Milano. E De Corato mente e sa di mentire quando spaccia la favola della “regia dei centri sociali”.
La realtà, purtroppo, è molto più banale e più misera. I quasi 200 profughi di Bruzzano provengono dai paesi del Corno d’Africa e dal Sudan, sono scappati da guerre o persecuzioni e in larghissima parte dispongono di documenti. Ebbene sì, perché lo Stato italiano è solito riconoscere la condizione di questi uomini e donne, dandogli un permesso per motivi umanitari o perché richiedenti asilo. Ma poi, subito dopo, il comportamento da nazione civile finisce e questa umanità disperata viene abbandonata sul territorio nazionale, con un semplice pezzo di carta in mano.
Molti di loro si spostano poi da sud a nord, perché hanno saputo che altri come loro si trovano là oppure, molto semplicemente, perché anche loro hanno capito che il nord è più ricco del sud. Ma una volta arrivati a Milano o in altre città scoprono l’inganno. La città sarà pure ricca, ma nemmeno qui le istituzioni hanno previsto qualche accoglienza. E così li troviamo regolarmente nei meandri più degradati della metropoli, nei vari viale Forlanini e Scalo Romana oppure nei dintorni della Stazione Centrale.
E se, infine, prendono qualche iniziativa, perché come tutti gli esseri umani non sono proprio felici di dover vivere come e con i topi, allora apriti cielo! Le istituzioni si svegliano e gridano allo scandalo. Oggi, come ai tempi di via Lecco, le parole degli amministratori milanesi sono sempre le stesse. Non se la prendono con uno Stato che non dispone di una politica coerente per l’accoglienza di profughi e rifugiati, ma rovesciano un mare di insulti sui più deboli e su quanti cercano di non lasciarli da soli del tutto.
Se il Vicesindaco fosse una persona seria e responsabile, allora batterebbe sì i pugni sul tavolo, ma per prendersela con il Governo e con il Parlamento, del quale peraltro fa parte in quanto deputato. Invece no, e così dobbiamo rivedere per l’ennesima volta lo stesso squallido film di potenti amministratori che si scagliano contro alcuni disperati e si inventano qualche capro espiatorio, pur di non doversi assumere le proprie responsabilità politiche ed istituzionali.
Non ci rimane che sperare, ma con sempre minor convinzione, che nelle istituzioni cittadine sia rimasto qualcuno che abbia proposte migliori che non quella che i profughi debbano andare a dormire sotto i ponti, stando possibilmente in silenzio e nascosti.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
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