Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Il Consiglio regionale è ostaggio di un comitato d’affari. Non ci sono altre parole per descrivere quanto avvenuto oggi, durante la sessione di bilancio, con la bocciatura degli ordini del giorno dell’opposizione sul ‘buono scuola’ e sull’edilizia scolastica. Non avevamo chiesto la luna e nemmeno di eliminare il finanziamento pubblico alla scuola privata, ma semplicemente di applicare a quest’ultima le stesse regole valide per quella pubblica, recuperando in questo modo risorse da destinare all’edilizia scolastica. Eppure, niente da fare. Forza Italia, An e Lega hanno compattamente respinto la proposta di eliminare le disparità di trattamento e i privilegi.
E così, mentre in Aula risuona da due giorni il lamento del ‘vorrei, ma non posso’ che parte dagli assessori ogniqualvolta si chiede di aumentare la spesa a sostegno dei redditi bassi, il centrodestra conferma con la massima tranquillità l’erogazione di un sussidio pubblico a chi frequenta la scuola privata e dichiara al fisco 100, 150 e persino 200 mila euro di reddito all’anno.
Pochi cittadini lo sanno, ma il ‘buono scuola’ costa ai contribuenti ogni anno 45 milioni di euro e soltanto il 28% di questa cifra finisce in tasca a famiglie che dispongono di meno di 30 mila euro di reddito annuo. Miracoli di un coefficiente Isee truccato per l’occasione e dello strapotere della lobby di Comunione e Liberazione.
Oggi tutti i consiglieri di centrodestra, compresa la Lega, si sono inchinati in silenzio, senza riuscire ad argomentare il proprio voto, al volere e agli interessi di Cl.
I lombardi sappiano dunque che non c’è un centesimo in più per le scuole che cadono a pezzi perché bisogna continuare a spendere decine di milioni di euro per regalare un privilegio a una clientela politica che non ne avrebbe nemmeno bisogno.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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Un piatto di lenticchie a chi vive nelle case popolari e un ben servito agli aventi diritto che da anni stanno in graduatoria. E’ questa la morale dell’odierno voto in Consiglio regionale, con il quale il centrodestra, con il voto contrario dell’opposizione, ha dato il via libera al pacchetto di modifiche alle leggi regionali sull’edilizia residenziale pubblica.
L’aumento generalizzato dei canoni, provocato dalla contestata legge regionale n° 27 di un anno fa, viene calmierato soltanto in minima parte e per giunta in maniera differenziata tra quanti vivono nelle case Aler e quelle a gestione comunale. Insomma cambia poco per pochi.
E come se non bastasse, l’abusato slogan del “mix sociale” è stato tradotto nella realtà di una futura riduzione dell’offerta pubblica di alloggi a canone sociale. Infatti, è stato persino respinto il nostro emendamento di salvaguardia, che intendeva escludere la destinazione di patrimonio Erp ad altre tipologie di canone (convenzionato o moderato) in presenza di una domanda sociale insoddisfatta in graduatoria.
Ieri sera con il voto della sola maggioranza il Consiglio ha confermato anche per il 2009 l’erogazione di un sussidio regionale a chi guadagna anche 150-200 mila euro. Oggi la stessa maggioranza manda a dire alle fasce deboli delle nostre città che si arrangino. Complimenti, davvero una scelta di classe.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
qui sotto puoi scaricare il testo della legge di modifica approvata
 

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di lucmu (del 02/01/2009, in Migranti&Razzismo, linkato 1081 volte)
Ha scelto di chiamarsi “Preziosa”, ha la cittadinanza brasiliana e si trova in Italia senza regolare permesso di soggiorno. E così, il 20 giugno 2008 era finita rinchiusa nel Cie (ex Cpt) di via Corelli a Milano, nella camerata riservata ai transessuali. Fu rimessa in libertà all’improvviso l’11 luglio successivo, con in mano un decreto di espulsione e con il corpo segnato da diverse contusioni.
Nulla di straordinario si direbbe, la solita storiaccia da Cpt. Eppure, questa volta qualcosa di diverso c’è, perché Preziosa non si era accontentata di quel rilascio anticipato dopo una notte burrascosa, che l’aveva tra l’altro portata anche al pronto soccorso, ma si recò da un avvocato e sporse denuncia contro alcuni agenti di polizia in servizio quella notte nel Cie di via Corelli.
Quello che accadde la notte tra il 10 e l’11 luglio in via Corelli è attualmente oggetto di indagine da parte della Procura della Repubblica di Milano. Un’indagine complessa, come sempre quando di mezzo ci sono strutture come i Cie-Cpt, dove la trasparenza latita, per usare un eufemismo, e di solito anche la possibilità di poter raccogliere testimonianze terze. Ma c’è di più, perché la vigente legislazione in materia di immigrazione prevede che i provvedimenti di espulsione non vengano sospesi neanche in presenza di un’indagine della magistratura o di un processo, a meno che non venga rilasciato un apposito permesso di soggiorno temporaneo “per motivi di giustizia” da parte del Questore.
In altre parole, sebbene sia in corso l’indagine della Procura, Preziosa continua a vivere de jure e de facto in stato di clandestinità e rischia pertanto di venire espulsa prima ancora che si possa celebrare il processo.
Per questi motivi, il 23 dicembre scorso il sottoscritto e il Consigliere provinciale Piero Maestri abbiamo scritto una lettera urgente al Prefetto e al Questore di Milano, chiedendo il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di giustizia. In fondo, non si chiede molto, ma semplicemente che la magistratura possa completare il suo lavoro senza che sparisca dalla scena la querelante, nonché la principale testimone.
 
Qui di seguito, puoi leggere il testo della nostra lettera del 23 dicembre e in allegato puoi scaricare due articoli relativi al caso Preziosa, pubblicati in questi ultimi giorni dall’Unità e da il Manifesto.
 
“Milano, 23 dicembre 2008
 
Al Prefetto di Milano
Dott. Lombardi
 
Al Questore di Milano
Dott. Indolfi
 
Egregi Signori,
vi scriviamo per sottoporre alla vostra attenzione il caso del sig. W.S., detto “Preziosa”, cittadino del Brasile, sollecitando quindi un vostro intervento.
“Preziosa” era stata fermata e tradotta nel Cie (ex Cpt) di via Corelli, sito in Milano, il 20 giugno del corrente anno, poiché priva di regolare permesso di soggiorno. Era dunque trattenuta in suddetta struttura, nella camerata normalmente riservata ai “trans”, quando nella notte tra il 10 e il l’11 luglio accaddero dei fatti, la cui dinamica e le cui responsabilità sono attualmente all’esame della magistratura.
Ci limitiamo qui a segnalare che in tale notte il sig. W.S., detto “Preziosa”, fu accompagnata al pronto soccorso dell’Ospedale San Raffaele, dove venivano riscontrate diverse contusioni. Ella fu poi riaccompagnata al Cie nella medesima notte. Nella mattinata dell’11 luglio fu comunicato a lei, nonché a un altro trattenuto della “camerata trans”, il rilascio dal Cie. Cosa che avvenne poi effettivamente e le fu consegnato l’ordine di abbandonare il territorio nazionale entro cinque giorni.
Nella stessa giornata del rilascio, inoltre, “Preziosa” si recò nuovamente al pronto soccorso del San Raffaele, poiché continuava ad accusare dolori, e le furono riconosciuti dieci giorni di prognosi.
Infine, il 30 luglio scorso, il sig. W.S., detto “Preziosa”, sporse querela contro alcuni agenti della Polizia di Stato in servizio presso il Cie di via Corelli nella notte tra il 10 e l’11 luglio per ingiurie, lesioni personali, abuso d’ufficio, abuso d’autorità contro arrestati o detenuti e omissione di soccorso.
Attualmente sono in corso le indagini della Procura di Milano e nell’ambito delle stesse “Preziosa” è stata sentita più volte. Ciononostante, come prevede la legge, il decreto d’espulsione nei confronti del sig. W.S. non è stata sospeso.
In poche parole, “Preziosa” si trova de jure e de facto in stato di “clandestinità” e rischia pertanto l’espulsione coatta prima che si concludano le indagini o che si celebri il processo.
Riteniamo che un’eventualità del genere non sia nell’interesse dell’accertamento della verità e del rispetto della legalità e che vada dunque scongiurata – e che ci sia un accertamento della verità corretto e nel rispetto di tutte le garanzie siamo convinti sia nell’interesse delle stesse forze dell’ordine. Pertanto, certi della vostra sensibilità, con la presente intendiamo sollecitare una vostra attivazione perché al sig. W.S., detto “Preziosa”, possa essere rilasciato un premesso di soggiorno per motivi di giustizia.
 
A disposizione per ogni eventuale chiarimenti.
 
Distinti saluti
 
Luciano Muhlbauer
(Consigliere Regionale della Lombardia)
 
Pietro Maestri
(Consigliere Provinciale di Milano)”
 

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di lucmu (del 02/01/2009, in Pace, linkato 1273 volte)
A Milano, sabato 3 gennaio, alle ore 15.30, con concentramento in Porta Venezia, si terrà una manifestazione, proposta e organizzata dalla Comunità Palestinese lombarda, per chiedere l’immediata cessazione dei bombardamenti su Gaza. Partecipate numerosi!
Qui di seguito, il testo dell’appello della comunità palestinese:
 
“LA COMUNITÀ PALESTINESE DELLA LOMBARDIA
ORGANIZZA
 
UNA MANIFESTAZIONE CONTRO IL MASSACRO DI GAZA DA PARTE   DELL’ESERCITO ISREALIANO, CHE STA UCCIDENDO CIVILI, BAMBINI, DONNE, DISTRUGGENDO CASE, OSPEDALI E SCUOLE.
UNA MANIFESTAZIONE CONTRO IL SILENZO INTERNAZIONALE E L'EMBARGO TOTALE DELLA STRISCIA DI GAZA IMPOSTO DA OLTRE 2 ANNI.
PER LA FINE DELL'OCCUPAZIONE ISRAELIANA DEI TERRITORI PALESTINESI.
 
INVITA
 
LE/I PALESTINESI DELLA LOMBARDIA, I LORO AMICI, LE FORZE POLITICHE E SOCIALI A PARTECIPARE.
 
SABATO 3 GENNAIO 2009,
DALLE ORE 15.30 A MILANO, IN PORTA VENEZIA”
 
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Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 8 genn. 2009
 
Esprimiamo la nostra completa solidarietà ai lavoratori del settore cargo dell’aeroporto di Malpensa, che ieri hanno manifestato in difesa dell’occupazione.
Il fatto stesso che a Malpensa ci sia una crisi occupazionale è in realtà un controsenso, che si spiega soltanto con le scelte politiche del Governo, tese a garantire alla Cai una situazione di monopolio in vista del suo ingresso, in condizione subordinata, nel gruppo Air France.
Infatti, il mercato del trasporto aereo lombardo, sia per il traffico passeggeri che per quello merci, ha registrato negli ultimi dieci anni una continua crescita e questo trend prevedibilmente continuerà, sebbene forse in maniera più attenuata a causa della crisi economica generale. E si tratta di una domanda di trasporto largamente originata in loco e pertanto difficilmente dirottabile verso aree distanti del paese.
E quindi fuori luogo e fuorviante insistere su una presunta guerra tra Roma e Milano, come fa la Lega, che esiste soltanto nella misura in cui in Italia non si è mai voluto procedere ad una programmazione del trasporto aereo e della sua infrastruttura aeroportuale. Ma questo discorso vale non solo per il piano nazionale, ma altresì per quello specificamente lombardo e limitrofo, dove gli aeroporti sono cresciuti in maniera anarchica.
La realtà è molto più banale e molto meno nobile. Cioè, dopo aver condotto un anno fa una violenta campagna propagandistica contro la “svendita a Air France”, il centrodestra lombardo, che occupa tutti i posti chiave nell’attuale Governo “romano”, ha partorito una strana coalizione di imprenditori italiani, che si tiene soltanto grazie a un costosissimo sistema di favori e contropartite governative, e una compagnia aerea bonsai, la cui unica prospettiva strategica è quella di confluire in uno dei grandi gruppi internazionali, che guarda a caso è sempre Air France.
E, com’è risaputo, Air France non ha alcun interesse, data la sua strategia industriale e commerciale, ad utilizzare Malpensa, ma piuttosto quello di ridimensionare il suo ruolo internazionale. Ma questo lo sanno tutti da tempo e soprattutto lo sanno i partiti del centrodestra, che pubblicamente sparano a zero su Air France, ma nelle stanze di governo hanno compattamente approvato e sostenuto l’operazione Cai.
La si smetta dunque con lo stucchevole teatrino politico, di cui la Lega si mostra maestra. Malpensa si trova al centro di un ricco mercato e se la Cai ridimensiona fortemente la sua attività nello scalo varesino, allora si tratta di garantire temporaneamente gli ammortizzatori sociali ai lavoratori colpiti, compresi i precari, e di liberare i diritti di volo e gli slot per altri vettori interessati a subentrare. Che sia Lufthansa o altri. Cioè, esattamente quello che chiedono i lavoratori e le organizzazioni sindacali che ieri hanno manifestato.
 
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di lucmu (del 08/01/2009, in Politica, linkato 1182 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 8 genn. 2009 (pag. Milano)
 
A Gaza si continua a morire senza sosta, ma a Milano ci si scandalizza per altro. Cioè, per la preghiera islamica in piazza Duomo di sabato scorso, a cui aveva dato vita una parte dei manifestanti al termine del corteo organizzato dalla comunità palestinese lombarda.
La polemica, innescata dal solito De Corato, il verboso e sempre più noioso vicesindaco nazionalalleato, ha velocemente varcato i confini cittadini e occupa ormai da giorni le pagine nazionali del Corsera e di la Repubblica. E quindi, tutti quanti a dire la loro nel frullatore mediatico. Nulla di straordinario, si direbbe, se non fosse che il nocciolo duro della “polemica” ripropone un triste e inquietante scimmiottamento dello scontro di civiltà, dove all’Islam e ai musulmani viene assegnato immancabilmente il ruolo dei cattivi.
E così, quanti in Italia sostengono la tesi che Hamas –e per proprietà transitiva i palestinesi di Gaza tout court- è semplicemente un’organizzazione terroristica da eliminare con la violenza armata, ora gridano alla provocazione e al pericolo islamico se un centinaio di immigrati si raccoglie in preghiera davanti al Duomo, chiedendo persino di trascinarli in tribunale.
Ma per costoro, in fondo, quanto avviene in Palestina è soltanto un utile pretesto per tentare di “nobilitare” e alimentare una politica che essi perseguono da tempo. A Milano e in Lombardia, da parte di An e Lega anzitutto, la propaganda contro le moschee e il “pericolo islamico” è incessante e non risparmia niente e nessuno. Ogni voce, che sia quella di un laico o quella del cardinale Tettamanzi, che cerchi di riportare un po’ di buon senso viene regolarmente aggredita e tacciata di “buonismo” e di voler svendere l’identità occidentale e cristiana.
Per costoro c’è un unico modo per rapportarsi a una città che è cambiata, che è diventata più multiculturale e multireligiosa: il conflitto. E così, quando i fedeli islamici, esattamente come i fedeli di ogni religione, si riuniscono per pregare, allora scatta l’operazione “no alla moschea abusiva”. Quando poi cercano di dotarsi di un luogo di culto regolare, cioè in possesso di tutti i requisiti e permessi previsti dalla normativa, si passa alla fase 2 e si negano le autorizzazioni e si invocano i referendum preventivi. Figuriamoci se qualcuno si mette a pregare in centro città!
Secondo loro, ogni moschea, ogni aggregazione di islamici e ogni imam sono potenzialmente dei terroristi. C’è da dubitare seriamente che ci credano davvero a queste fandonie, ma l’esperienza recente ha insegnato che funziona egregiamente sul piano del consenso elettorale, così come ha funzionato la caccia al rom. E così, la meschinità di una politica ridotta a lotta per le poltrone con ogni mezzo si incontra con l’ipocrisia di quanti vedono soltanto la violenza dei razzi Qassam, ma mai quella di un’occupazione decennale che costringe un’intera popolazione a vivere chiusa in un recinto di cemento e che ora semina la morte all’ingrosso.
Tuttavia, in questa stucchevole polemica sulla preghiera si annida qualcosa di peggio e di più preoccupante, che nessuno in questi giorni sembra voler considerare. Andando avanti di questo passo, i nostri novelli crociati di provincia rischiano di produrre la classica profezia che si autoavvera, cioè di fornire qui e ora ai predicatori del peggior fondamentalismo islamico, allo stato assolutamente minoritari, gli argomenti e la credibilità che non hanno. In fondo, le macerie di questi anni di “guerra al terrorismo” di Bush e soci dovrebbero insegnare qualcosa.
Ecco perché, da laici incalliti, crediamo che il problema vero per Milano non sia qualche preghiera islamica in Duomo, bensì la miseria morale e la miopia dei suoi amministratori.
 
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Che il degrado morale della politica italiana abbia raggiunto livelli di guardia lo sapevamo, ma quanto accaduto oggi in Consiglio regionale, con la bocciatura della mozione contro l’omofobia, riesce a superare anche le più fosche previsioni: è sconcertante e disgustoso, un vero oltraggio ai lombardi e all’istituzione.
Non solo la mozione, presentata da dieci consiglieri dell’opposizione (Muhlbauer, Squassina O., Agostinelli, Civati, Valmaggi, Oriani, Storti, Monguzzi, Concordati, Sarfatti), è rimasta nel cassetto per oltre tre anni prima di giungere in Aula, ma oggi la maggioranza ha accompagnato il suo voto negativo con l’insulto contro i cittadini e le cittadine non eterosessuali.
E così, il capogruppo della Lega ha definito la mozione un “colpo di culo”, dopo aver dichiarato che lui era contrario “a celebrare l’omosessualità come una non-malattia mentale”, mentre il capogruppo del Pdl ha chiarito come la nostra disponibilità a modificare il testo fosse del tutto inutile, poiché comunque avrebbero votato contro.
Eppure la mozione chiedeva soltanto che Regione Lombardia aderisse alla Giornata internazionale contro l’omofobia del 17 maggio e che chiedesse al Parlamento italiano di fare altrettanto, come segno concreto e tangibile dell’impegno istituzionale contro ogni discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale.
Cioè, si chiedeva al Consiglio regionale di fare né più né meno di quanto già fatto dal Parlamento europeo, da decine di Paesi e da diverse Regioni e Comuni italiani.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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Quello che sta accadendo all’Innse di Lambrate da lunghi mesi ha dell’incredibile, ma quanto è andato in scena stamattina ha superato ogni limite di decenza.
Infatti, l’enorme dispiegamento di forze, con tanto di minaccia di intervento violento contro gli operai, impedito soltanto grazie al presidio e alle pressioni istituzionali, era finalizzato unicamente a permettere a un imprenditore di ventura di portarsi via i macchinari, che egli vorrebbe vendere sul mercato, e di procedere sulla via dello smantellamento del sito produttivo, poiché egli è interessato soltanto agli affari immobiliari sull’area. Eppure, quella fabbrica è sana, c’è un imprenditore disposto a rilevarla e continuare la produzione. Insomma, la crisi non c’entra.
Ma ciò che stupisce davvero è che sembra non ci sia nessuna autorità in grado di fermare questo scempio. C’è da chiedersi di quali appoggi politici non confessati goda questo “imprenditore”, visto che è riuscito a ottenere la presenza della forza pubblica persino oggi, cioè a pochi giorni dall’incontro in Regione, convocato per martedì 20 gennaio dal Vicepresidente della Regione Lombardia, Rossoni, dove sono invitate le rappresentanze sindacali, la proprietà e le istituzioni, al fine di ricercare soluzioni positive.
Riteniamo che sia giunto definitivamente il momento che tutte le istituzioni si assumano le loro responsabilità e che non si permetta più che la Questura venga tirata per la giacchetta, soltanto per garantire gli interessi poco limpidi e molto particolari di qualcuno.
Prendiamo positivamente atto che dopo la Provincia di Milano anche Regione Lombardia sta intervenendo, ma constatiamo altresì che il Comune di Milano manca tuttora all’appello. Nell’esprimere il nostro totale appoggio alla lotta degli operai dell’Innse, chiediamo quindi che tutte le istituzioni del territorio si impegnino immediatamente per costruire una soluzione positiva e per impedire qualsiasi azione di forza.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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di lucmu (del 20/01/2009, in Politica, linkato 1139 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Aprileonline.info del 20 gennaio 2008
 
Siamo immersi in un terribile paradosso. Proprio quando i fatti del nostro tempo smentiscono sonoramente i profeti della "fine della storia" e del superamento definitivo di ogni bisogno di cambiamento e alternativa, la sinistra realmente esistente, almeno in Europa, sicuramente in Italia, si trova avviluppata nella più profonda delle sue crisi. Ed è crisi seria, di consenso politico, insediamento sociale, credibilità, progetto e identità.
Un paradosso denso di implicazioni inquietanti, come già ci hanno confermato i primi mesi seguiti alla disfatta politica ed elettorale della primavera scorsa. Cioè, una sinistra sostanzialmente impotente e afona di fronte alla crisi del capitalismo liberista e alla veloce regressione civile e morale che sta investendo la politica e la società, lascia di fatto campo libero al peggio.
Insomma, c’è un grande bisogno di sinistra, ma la sinistra così com’è oggi è fuorigioco, non serve e non evoca nemmeno speranze. In altre parole, è da rifare, da reinventare. Questo è lo stato delle cose e faremmo bene a dircelo in faccia senza troppi giri di parole. Ed è per questo che al Congresso di Rifondazione, quello di Chianciano, anche il sottoscritto avevo sostenuto e votato la mozione n. 2 “vendoliana”. Perché nominava il problema e proponeva di affrontarlo, invece di ritirarsi nel fortino assediato e di rifugiarsi nell’illusione che fosse sufficiente aspettare che la tempesta si calmasse.
Ri-costituire la sinistra in Italia, tuttavia, non è una questione di ingegneria politica o di accordi tra pezzi di gruppi dirigenti esistenti, come aveva peraltro ratificato il fallimento dell’Arcobaleno. È cosa necessariamente più difficile, articolata e ambiziosa e, soprattutto, presuppone una ripartenza dalla società e dai suoi conflitti, cioè dalla rottura della separatezza della politica. E presuppone un’altra cosa: partire dai contenuti, quello che classicamente si chiamava “programma” e “strategia”, e non dai contenitori. Detto altrimenti, occorre partire dalla domanda del “perché” un lavoratore, una giovane, un migrante eccettera dovrebbe impegnarsi nella sinistra o votarla, invece che dalla domanda del “dove” dovrebbe farlo.
In fondo, gli stessi avvenimenti dell’autunno scorso non hanno fatto che riconfermare tutto questo, a partire dal grande movimento di studenti, insegnanti e genitori, che non solo ci teneva alla sua autonomia, come fanno tutti i movimenti veri, ma guardava con enorme diffidenza tutto ciò che sapeva di partiti e di politico. E soprattutto, il dibattito e la discussione sulla sinistra non ha mai nemmeno incrociato quel movimento e gli uomini e le donne che lo componevano.
Sono passati soltanto pochi anni, ma rispetto al movimento nato a Genova nel 2001 sembra passato un secolo. Anche allora la diffidenza verso i soggetti partitici c’era, ma allo stesso tempo vi era anche il pieno riconoscimento dell’internità di Rifondazione al movimento. E quel movimento esprimeva, a modo suo, una grande domanda politica e rappresentava una straordinaria forza centripeta. Oggi, le cose stanno diversamente, allo stato non ci sono luoghi sociali, politici o di movimento che attraggano, che mettano in comunicazione forze diverse, plurali. Oggi a sinistra prevalgono le forze centrifughe, la dispersione e le solitudini, sia a livello politico, che a livello sociale.
In un quadro del genere, ridurre la questione del rifare la sinistra a un’operazione di scissione di Rifondazione in vista delle scadenze elettorali di giugno, appare dunque cosa modesta, ancora prima che sbagliata. È comprensibile certamente la fretta, il voler agire e anche il profondo disagio di fronte al cul de sac in cui l’attuale maggioranza di Rifondazione ha infilato il partito. Ma non è convincente il tipo di risposta offerta, segnata dal metodo politicista, troppo indeterminata politicamente e foriera di nuove dispersioni e divisioni.
Per questo, insieme a molti compagni e compagne di Rifondazione per la Sinistra, non parteciperò alla scissione, continuando dunque la battaglia iniziata a Chianciano, nel partito e nella società.
 
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di lucmu (del 20/01/2009, in Lavoro, linkato 1069 volte)
Oggi nel primo pomeriggio si è tenuto presso la Regione l’incontro sulla vertenza Innse Presse, convocato il 14 gennaio scorso dagli Assessori regionali al lavoro e alle attività produttive, Rossoni e La Russa. Presenti alla riunione erano gli Assessori regionali, la Provincia di Milano (Casati), un rappresentante del Comune di Milano, la Prefettura (dott. Tortora), i lavoratori della Rsu dell’Innse, la Fiom di Milano, la proprietà e il sottoscritto, in rappresentanza del Gruppo consiliare regionale del Prc, che aveva sollecitato un incontro per conto dei lavoratori Innse sin dal 13 gennaio scorso.
Ovviamente, considerato lo stato della vertenza, nessuno si aspettava che quel tavolo potesse essere risolutivo di alcunché, ma l’estrema difficoltà di ottenere anche soltanto una “tregua” da parte di Genta (la proprietà di Innse), è altamente significativo della situazione. La “tregua”, cioè l’impegno da parte della proprietà di non chiedere l’intervento della forza pubblica per un lasso di tempo limitato e dedicato alla ricerca di soluzioni negoziali, è infine arrivata, con la dichiarazione dei legali di Genta di astenersi da iniziative unilaterali fino al 31 gennaio, data entro la quale la Regione convocherà un secondo incontro.
Ma per avere soli 11 giorni di relativa tranquillità c’è voluta tutta la pressione delle istituzioni presenti, poiché fino alla fine la proprietà non intendeva concedere più di tre giorni (sic!). In sostanza, la proprietà si è mostrata per tutta la durata dell’incontro inflessibile e irriducibile, nonostante Regione, Provincia e Comune avessero dichiarato all’unisono che ritengono che il territorio milanese non possa rinunciare a un’attività produttiva che dispone di un mercato per le sue merci.
Ebbene, l’odierno incontro è stato sicuramente positivo, poiché concede una decina di giorni per tentare di aprire canali reali per una soluzione. Ma non bisogna farsi delle illusioni, perché il percorso sarà ancora lungo e soprattutto le difficoltà sono tante, a partire dagli interessi particolari e dagli affari della proprietà della fabbrica e di quella dell’area. La prima aveva acquistato il sito produttivo a prezzo di favore, cioè poco più di 700mila euro, e probabilmente si immagina di fare l’affarone vendendo i macchinari sul mercato, dato il loro valore viene stimato in alcuni milioni di euro. La seconda è interessata soprattutto al business immobiliare che si prospetta e la presenza di attività industriali forse non è nemmeno troppo gradita. Insomma, nessuno sembra interessato al mantenimento della fabbrica, salvo di lavoratori che da lunghi mesi si spendono in una lotta generosa e straordinaria.
Ora si tratta di lavorare per la soluzione e l’impegno reale delle istituzioni andrà valutato in base agli strumenti e alle iniziative concrete messe in campo. Da parte di chi in questa città mantiene ancora un po’ di buonsenso e di voglia di non arrendersi occorre la massima attenzione e disponibilità a mobilitarsi ancora. Ma una cosa non ci pare ammissibile e accettabile: che a Milano si licenzino 50 operai e che si chiuda una fabbrica sana e produttiva soltanto perché due soggetti devono fare i loro personalissimi affari!
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