Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Arriva la nuova Bmw per il presidente Formigoni, modello 760 high security, immatricolata nel 2004. Passata l’epoca delle mitiche e ministeriali auto blu, si ricorre ovviamente al più moderno leasing finanziario. Costo per il contribuente lombardo, escluso l’autista e per il solo biennio 2006-2007, la bazzecola di 272.238 euro. Ovvero, 527milioni di vecchie lire!
Questo è quanto si evince dal decreto numero 16457 dell’11 novembre scorso, a firma del dirigente di ‘funzione specialistica datore di lavoro’ della Giunta regionale. Ci scappa persino qualche involontaria nota umoristica, laddove il decreto afferma che tale esborso di denaro pubblico sarebbe motivato dalla necessità di “garantire la sicurezza del personale addetto alla guida dell’autovettura”.
Non passa giorno che un ministro o un assessore non ricordi al cittadino che di soldi non ce ne sono più, che bisogna tagliare, che bisogna sacrificare. Gli stessi 3000 dipendenti dell’amministrazione regionale lombarda, molti dei quali faticano non poco per arrivare alla fine del mese, si sentono ripetere a ogni tornata contrattuale che non ci sono soldi. Insomma, tutto è sacrificabile e tutto si può tagliare, tranne le spese di rappresentanza del presidente Formigoni, le quali infatti sono cresciute in maniera esponenziale in questi anni.
Ci sono meno soldi, è vero, ma soprattutto si spendono male. Per taluni, infatti, ci sono sempre, succeda quel che succeda; per altri invece, come i lavoratori o i cittadini meno abbienti, quasi mai. Il presidente Formigoni potrebbe fare oggi un gesto di buon governo, tagliando le sue spese di rappresentanza, magari a partire dai quei 527milioni di vecchie lire per la Bmw presidenziale.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Stamattina la commissione consiliare “Affari Istituzionali” ha deliberato all’unanimità la richiesta di referendum popolare, ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione, nei confronti delle modifiche della Parte II della Costituzione, più note con il nome di “devolution”. La richiesta di referendum popolare verrà inserita d’urgenza nell’ordine del giorno del Consiglio Regionale di giovedì 1 dicembre.
La migliore difesa è l’attacco. Sembra questa la filosofia del centrodestra lombardo che stamattina, cioè in tempi ultrarapidi, ha presentato in commissione Affari Istituzionali un dispositivo di richiesta di referendum popolare nei confronti della cosiddetta ‘devolution’. La motivazione ufficiale da parte del centrodestra è quella di voler “far conoscere ai lombardi i contenuti” delle modifiche costituzionali, ma è evidente il tentativo di giocare d’anticipo, visto che in tutto il Paese è in atto la mobilitazione da parte delle opposizioni per promuovere il referendum.
Insomma, Formigoni tenta il gioco delle tre carte, nell’estremo tentativo di cambiare segno a un referendum che chiede, e non potrebbe essere altrimenti, l’abrogazione di quella insana controriforma costituzionale. Una furbizia per nascondere le difficoltà del centrodestra nel giustificare una ‘devolution’ che romperebbe l’equilibrio dei poteri del nostro sistema istituzionale e devasterebbe ulteriormente lo stato sociale, a partire dalla Sanità.
Rifondazione Comunista ha ovviamente votato a favore della richiesta del referendum, che ci vede e ci vedrà impegnati in prima linea per smascherare la truffa di Formigoni e del centrodestra e per abrogare, senza se e senza ma, la devolution.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 01/12/2005, in Lavoro, linkato 1093 volte)
Un intervento urgente sui Ministeri del Lavoro e delle Attivita' produttive e sui commissari dell'amministrazione straordinaria per determinare il ritiro immediato dei licenziamenti decisi per il 31 dicembre 2005 e la prosecuzione della cassa integrazione straordinaria, peraltro possibile a costo zero per l'azienda.
E' questo l'impegno assunto dalle Commissioni IV e VII che hanno affrontato oggi in una seduta congiunta il caso della Postalmarket.
Il provvedimento in questione riguarda 330 lavoratori la cui età media è di 45 anni, con l’80% di donne. Un provvedimento che i commissari hanno preso nonostante nel mese di giugno sia stato raggiunto un accordo sindacale, in cui erano state coinvolte la Provincia di Milano e la Regione Lombardia, la quale si era impegnata a finanziare con 350 mila Euro un progetto finalizzato alla ricollocazione del personale. Perché allora non viene neanche concesso il tempo necessario alla realizzazione di questo progetto?
Le due commissioni consiliari si sono oggi impegnate a sollecitarne la conclusione entro il 2006, ad attivare la Regione nei confronti dei nuovi centri commerciali per il riassorbimento del personale formato e a risolvere il problema drammatico del sostegno economico alle lavoratrici e ai lavoratori della Postalmarket.
Il Gruppo del Prc sarà impegnato, al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori, affinché gli impegni assunti vengano effettivamente mantenuti".
Comunicato stampa di Osvaldo Squassina e Luciano Muhlbauer
Diminuire gli stipendi ai lavoratori e aumentarli ai dirigenti. Pare essere questa la filosofia che ispira l’emendamento alla manovra finanziaria presentato oggi in commissione dall’assessore Colozzi.
Infatti, all’articolo 1 l’emendamento prevede la riduzione delle spese di personale dell’1% rispetto al 2004, mentre l’articolo 6 prevede una modifica della legge regionale n. 16/96, per permettere ulteriori aumenti, nella misura del 20%, del trattamento economico di “un quarto del numero complessivo dei direttori generali e dei direttori centrali”.
Chiaro? Gli oltre 3000 dipendenti della Giunta e del Consiglio regionale, molti dei quali non superano 1000-1200 euro di stipendio mensile, dovranno fare i conti con i tagli imposti dalla pessima Finanziaria nazionale, mentre i dirigenti non solo non subiranno riduzioni dei loro lauti stipendi –equivalenti attualmente a quelli dei direttori generali delle Asl , ma se li vedranno addirittura aumentati!
Un gravissimo segnale. Verrebbe voglia di disquisire sulla moralità nella pubblica amministrazione oppure di ricordarsi delle parole roboanti della Lega di qualche mese fa che accusavano Formigoni di favoritismi di ogni tipo. Oggi in commissione, invece, il centrodestra ha votato compatto e senza esitazioni questo incredibile emendamento. Sarà che qualche dirigente da premiare con il superbonus è targato Lega Nord?
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Giorno Milano del 2 dic. 2005
I 250 rifugiati africani di via Lecco, dopo essere stati al centro di tante polemiche dal sapore pre-elettorale, rischiano ora di ripiombare nel dimenticatoio. E questo sarebbe davvero l’epilogo più tragico e inaccettabile dell’intera vicenda.
Ricordiamo ancora una volta chi sono i 250 cittadini stranieri di via Lecco. Sono tutti regolari in Italia, sono scappati dalle guerre che infestano i paesi del corno d’Africa. Alcuni provengono da quel Darfur sudanese, che tanto aveva commosso l’opinione pubblica italiana un po’ di tempo fa. Arrivati in Italia hanno fatto la fine di molti altri come loro, cioè accolti perché profughi, ma poi abbandonati a loro stessi. Nel caso in questione erano finiti a sopravvivere in una ex-caserma in zona Forlanini, tra immondizia, freddo e topi. Sono in realtà la punta di un iceberg, perché i rifugiati a Milano sono circa tremila. Non a caso, quella ex-caserma ha già iniziato a ripopolarsi con altri uomini e donne, disperati quanto loro.
Insomma, non siamo di fronte a un’emergenza passeggera che si possa affrontare con qualche mese di ospitalità notturna in dormitori sovraffollati e nemmeno sufficienti per tutti. Si tratta invece di una faccenda annosa, mai affrontato nella sua dimensione e nella sua drammaticità reali. E non basta tirare in ballo le gravi responsabilità della politica nazionale, cioè l’assenza di una legge organica sul diritto d’asilo e la conseguente confusione legislativa. Vi è una indubbia responsabilità locale, anzitutto nell’aver chiuso gli occhi per troppo tempo.
Ora serve un piano straordinario di intervento. E per fare questo bisogna sedersi attorno a un tavolo, con tutte le istituzioni e le associazioni, ed essere disponibili al confronto senza veti preventivi. Cioè, esattamente quello che finora è mancato, poiché il Comune si è arroccato in una sorta di autismo politico. Insomma, smettiamola di ripetere, come un disco rotto, il ritornello della legalità. Non c’entra proprio nulla. Affrontare finalmente il problema per quello che è sarebbe un ottimo servizio non soltanto alla solidarietà, ma anche alla città, poiché l’abbandono e il degrado sono maledettamente contagiosi.
Non dimentichiamoli dunque. La situazione in via Lecco si fa difficile. Non c’è acqua, né riscaldamento e la situazione sanitaria è preoccupante. Diverse associazioni si stanno muovendo, ma manca all’appello la politica. Occorre sbloccare urgentemente il confronto con il Comune e costruire una soluzione vera e duratura, ma nel frattempo si garantisca a questi profughi almeno l’assistenza primaria. Non si tratta di una gentile concessione, ma di un preciso dovere di civiltà.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 3 dic. 2005
Quanto è lontana Bari da Milano. Lì un sindaco si batte contro l’apertura del Cpt, invitando persino alla disobbedienza istituzionale. A Milano invece, città di fatto multietnica, dove il 14% della popolazione residente è immigrata e oltre un alunno su dieci nelle scuole cittadine è figlio di migranti, la giunta di centrodestra pratica una sorta di scontro di civiltà in salsa meneghina. E che dire dell’opposizione, cioè dello stesso schieramento politico del sindaco di Bari? Se escludiamo Rifondazione e qualche volta i Verdi e Comunisti italiani, sembrano prevalere perlopiù gli imbarazzi e i balbettii, per non parlare della vera e proprio sindrome bolognese che cova in casa DS.
Il risultato è che a Milano si è disegnata una sorta di geografia dei diritti negati, fatta di un lungo elenco di vie cittadine a simboleggiare il disastro della politica della “tolleranza zero”. Via Corelli, dove si trova il Cpt che a primavera ha visto la sacrosanta rivolta dei migranti reclusi. Via Capo Rizzuto, dove si trovava la baraccopoli abitata da rom e rasa al suolo senza troppi complimenti dalle ruspe del sindaco Albertini. Via Quaranta, sede di una scuola araba chiusa a settembre dal comune, in seguito alle parole scagliate dal signor Magdi Allam, che accusava i suoi oltre 300 studenti di essere niente di meno che dei futuri kamikaze.
E ora si è aggiunta all’elenco via Lecco, dove si trova lo stabile occupato da 250 rifugiati politici. Uomini e donne scappati dalle guerre che infestano i paesi del corno d’Africa e una volta arrivati in Italia hanno fatto la fine di molti altri come loro, cioè accolti perché profughi, ma poi abbandonati a loro stessi. Nel caso in questione erano finiti a sopravvivere in una ex-caserma sulla strada per l’aeroporto, tra immondizia, freddo e topi. Sono in realtà la punta di un iceberg, perché i rifugiati a Milano sono circa tremila. Non a caso, quella ex-caserma ha già iniziato a ripopolarsi con altri uomini e donne, disperati quanto loro.
La loro occupazione è un sorta di grido d’allarme, che ha sbattuto in faccia alla città la cruda realtà. E allora, apriti cielo! Politici di centrodestra e assessori a gridare allo scandalo e invocare lo sgombero. Ad esprimere subito solidarietà con i profughi e chiedere una soluzione, oltre ad Action che li accompagna nell’occupazione, soltanto Rifondazione, Verdi, Naga, Emergency e Arci, ai quali si sono aggiunti dopo una settimana Cgil e Casa della Carità. Per il resto è stato sufficiente che Dario Fo si recasse in via Lecco per scatenare l’ira dei dirigenti milanesi dei DS, fino a quel momento silenti, e far ripartire lo stucchevole ritornello della legalità.
E i profughi? Ebbene, continuano a stare in via Lecco, perché il comune si rifiuta di affrontare la situazione, ma nel frattempo il tempo passa e non c’è acqua, né riscaldamento e la situazione sanitaria si fa critica. I 250 di via Lecco non sono tuttavia una caso isolato in Italia. Anzi, come loro ci sono migliaia, vittime di una legge sul diritto d’asilo che non c’è.
In fondo Milano non è poi così diversa dal resto del paese. È semplicemente uno degli specchi possibili in cui leggere un presente pieno di nubi e un futuro tutto da costruire. Le aree metropolitane italiane stanno correndo velocemente verso un bivio. O si prosegue con una politica che esclude, clandestinizza e criminalizza, mentre contemporaneamente mette a disposizione delle imprese dei lavoratori ricattabili e sottopagati, per infilarsi così direttamente in un vicolo cieco per tutti e tutte, migranti o nativi che siano. Oppure si cambia strada, radicalmente.
A questo serve la manifestazione nazionale di oggi, a spingere dal basso, dai movimenti e dalla società civile verso un cambiamento radicale, le cui coordinate sono riassunte nella piattaforma del corteo. Serve a Milano e a Bologna, ma serve anche a Bari per rimanere meno sola. Serve a tutti noi, perché non vi può essere un progetto di società alternativo, laddove esiste un diritto speciale e non c’è uguaglianza di diritti di cittadinanza e sociali.
Il gruppo consiliare regionale di Rifondazione Comunista aderisce e invita a partecipare al presidio che si terrà oggi alle ore 18.00, alla Prefettura di Milano, in solidarietà con i manifestanti della Val di Susa.
Quanto avvenuto questa notte in Val di Susa è inaccettabile e preoccupante. Il Ministro Pisanu ha scelto deliberatamente di far precipitare la situazione, facendo intervenire con violenza le forze di polizia contro i manifestanti pacifici.
Di fronte alla protesta massiccia e unitaria di un’intera valle, di un’intera comunità locale un governo sempre più incapace di costruire dialogo e confronto democratico, punta dunque sulla violenza nel tentativo di dividere la popolazione e di aumentare a dismisura la tensione.
La militarizzazione e la repressione vanno fermati immediatamente e occorre, oggi stesso, costruire in tutto il paese una mobilitazione democratica che si stringa attorno ai cittadini e alle cittadine della Val di Susa e che chieda l’immediato ritiro delle forze dell’ordine dalla Valle, la fine della militarizzazione e la riapertura del dialogo.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Evidentemente a qualcuno non è andato giù che la grande manifestazione no-tav di ieri ha smentito sonoramente tutti gli interessati allarmismi. E allora bisognava inventarsi qualcosa per riaccreditare il teorema delle infiltrazioni dei “violenti”, “autonomi” e “anarcoinsurrezionalisti”. Ci ha pensato l’immancabile Borghezio, esponente dell’ala più estremista e xenofoba della Lega Nord.
Ma partiamo dai fatti. Circa 500 manifestanti di Milano e di diverse città del nord-est hanno preso il treno delle 19.00 a Torino, stazione di P.ta Susa, diretti a Milano. Ai manifestanti erano riservate cinque carrozze, che infatti erano vuote, salvo l’incredibile presenza di Borghezio e due suoi accompagnatori, una donna e un uomo. Qualcuno lo ha riconosciuto, si è sparsa rapidamente la voce e dalle carrozze adiacenti sono accorse decine di persone. Si è creata immediatamente una grande calca nei corridoi. Dopo pochi minuti sono giunto sul posto e insieme ad altri manifestanti milanesi di Rifondazione e dei centri sociali abbiamo creato un cordone attorno Borghezio e ai suoi due accompagnatori. Borghezio aveva qualche traccia di sangue sul viso, mentre i suoi due accompagnatori apparivano del tutto illesi. Ho consigliato loro di scendere dal treno a Chivasso e l’accompagnatrice si è dichiarata d’accordo. Quindi, giunti a Chivasso, attorno alle 19.20, abbiamo fatto scendere lui e i due accompagnatori. Ad attenderli vi erano degli agenti dell’arma dei Carabinieri che lo hanno preso in consegna.
Arrivati a Milano, uno schieramento di polizia in tenuta antisommossa ha preteso di identificare tutto il treno, su ordine diretto del Ministro Pisanu. Cioè, non qualcuno e nemmeno i soli manifestanti, ma semplicemente tutto il treno! Ovviamente questo non era possibile e dopo una breve trattativa -presenti oltre il sottoscritto, anche il consigliere comunale Farina, il segretario provinciale di Rifondazione, Rocchi, e l’on. Pisapia- i manifestanti e i passeggeri hanno potuto lasciare la stazione oppure salire sui treni che li portavano a casa.
Questa la cronaca. Oggi abbiamo saputo che i due accompagnatori di Borghezio erano agenti di polizia e che dei manifestanti sono stati identificati a Padova, additandoli come i responsabili dell’accaduto. A questo punto si impongono però due osservazioni:
Primo, è inquietante che le forze dell’ordine abbiano deciso di assecondare la palese provocazione di Borgehzio, mettendogli persino a disposizione due agenti. E chi di dovere spieghi chi ha preso quella decisione. Secondo, i manifestanti padovani non c’entrano proprio nulla, visto che si trovavano due o tre carrozze più avanti rispetto al luogo dei fatti.
Insomma, l’unica cosa intollerabile e vergognosa è che in questo paese, ogniqualvolta vi è un conflitto o una forte e pacifica mobilitazione popolare, qualcuno cerchi di inquinare il clima con ogni mezzo. E sarebbe bene che qualche parlamentare presentasse un’interrogazione per chiarire eventuali responsabilità istituzionali.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 4 genn. 2006 (pag. Milano)
Il Comune di Milano aveva motivato lo sgombero di natale degli oltre 200 rifugiati di via Lecco con il fatto di aver trovato delle soluzioni alternative. Secondo l’assessore Maiolo, queste sono da considerarsi addirittura “definitive” per i prossimi sei mesi. Insomma, tutto risolto e quanti continuano a criticare il comportamento degli amministratori milanesi, compreso il presidente della Provincia, Penati, sarebbero semplicemente dei sobillatori.
Oggi, su invito delle associazioni che sono sempre state vicine al dramma umano dei profughi, ho visitato tali “soluzioni definitive”, situate in via Pucci, via di Breme, via Ortles e via Anfossi. Da sottolineare che, su indicazione diretta dell’assessore Maiolo, come lei stessa mi ha confermato, mi è stato impedito fisicamente di accedere a tre luoghi su quattro, nonostante si trattasse di spazi di proprietà pubblica e gli stessi rifugiati ospiti mi invitassero ad entrare. Insomma, un consigliere regionale può visitare un carcere o un Cpt, ma non le strutture di accoglienza del Comune di Milano. La ragione di tale ostinata e apparentemente incomprensibile segregazione, denunciata già da giornalisti di diverse testate, si sarebbe presto scoperta.
In via Pucci, unico luogo che ho potuto visitare a fondo, una sessantina circa di rifugiati, uomini e donne, sono sistemati in una serie di container, in ognuno dei quali dormono tre o quattro persone. Ma la cosa più impressionante –anche dal punto di vista della sicurezza- è che questi container sono stati montati nello scantinato delle docce pubbliche!
In via de Breme, i 22 container che ospitano una settantina di rifugiati sono stati invece montati in un desolato spazio all’aperto, delimitato da un muretto e da un portone chiuso a chiave. Secondo quanto raccontato da alcuni ospiti, nel container adibito a mensa c’è anche un televisore, ma a loro viene permesso di vederlo soltanto durante di pasti.
Un po’ meglio va ai 67 rifugiati di via Ortles, poiché si tratta di un dormitorio comunale e dunque di uno spazio pensato e organizzato per ospitare essere umani.
Ma ora arriviamo a via Anfossi, dove la situazione riesce ad essere persino peggiore di quella di via Pucci. Si tratta di uno spazio comunale utilizzato nei mesi invernali per l’emergenza freddo, ma la cinquantina di rifugiati che vi si trovano sono stati stipati su una fila di brande nel corridoio davanti ai bagni e alle docce!
Definire questa situazione una “soluzione definitiva” non è soltanto cinismo, ma sfida il più elementare buon senso. Come si pensa che degli esseri umani possano vivere in queste condizioni per almeno sei mesi? E, soprattutto, che fine a ha fatto il milione di euro stanziato dal governo per l’accoglienza dei profughi? E’ servito per montare container negli scantinati e per sistemare brande nei corridoi?
Il Comune di Milano si sta comportando come un affittacamere abusivo e ogni giorno che passa alzo un po’ di più il livello della polemica politica. E questo lascia francamente sconcertati e pone degli interrogativi seri fino a dove vuole spingere questo scontro sulla pelle di uomini e donne che altro non hanno fatto che scappare dalla guerra.
Invece, soluzioni umane e possibili ci sarebbero. La Provincia, che non ha mai ricevuto fondi dal governo, ha avanzato delle proposte concrete e il Prefetto si è detto disponibile a convocare un tavolo interistituzionale, ma mancano all’appello gli amministratori milanesi, evidentemente accecati da una campagna elettorale senza quartiere.
Articolo di Luciano Muhlbauer e Piero Maestri (cons. prov. Prc), pubblicato su il Manifesto del 12 genn. 2006 (pag. Milano)
Sulla vicenda dei profughi di via Lecco l’ultima settimana è stata costellata di polemiche, dai toni francamente eccessivi da parte di Albertini, mentre il prefetto Lombardi sembra aver rinunciato al suo ruolo istituzionale, praticando una sorta di sottrazione.
Una situazione tutt’altro che rassicurante in vista del 10 gennaio. Eppure, dietro le apparenze, qualcosa si muove. Infatti, se inizialmente il Comune aveva considerato le quattro sistemazioni di via Pucci, via Anfossi, via Di Breme e viale Ortles come definitive e incontestabili, dopo le denunce di Prc e associazioni e degli stessi profughi, dopo la pubblicazione delle fotografie dei luoghi della vergogna e dopo la visita dei rappresentanti dell’Acnur, l’assessore Maiolo ha messo progressivamente in discussione ben tre luoghi su quattro, indicando possibili alternative. Per i rifugiati di via Pucci si prospetta una ex-scuola di via Fulvio Testi, per quelli stipati in via Anfossi si parla di appartamenti a Gallarate e, infine, per quelli di viale Ortles viene indicato il convitto di viale Piceno, messo a disposizione dalla Provincia.
Vi sono dunque dei timidi segnali positivi, ma rimangono aperti problemi enormi che rischiano di far precipitare la situazione. In questi giorni, a dimostrazione del clima avvelenato, non c’è mai stata trattativa, né un luogo istituzionale di discussione. Tutto è avvenuto sulla stampa, trasformatasi per l’occasione in un sostituto del tavolo che non c’è. Conclusione? I rifugiati, che non padroneggiano l’italiano e che nel corso della loro odissea hanno imparato a diffidare, semplicemente non sanno quasi nulla di tutto ciò e aspettano ancora una risposta alla loro lettera del 4 gennaio scorso, in cui chiedevano un incontro a Comune, Prefetto, Provincia e Questura.
Insomma, dopo i segnali di fumo da parte del Comune e la messa a disposizione di due spazi da parte della Provincia, sembrano esserci gli ingredienti per una soluzione dignitosa e possibile. Quello che ancora manca è la volontà politica di mettere da parte la campagna elettorale.
Chiediamo dunque al Prefetto di convocare immediatamente il tavolo interistituzionale e all’assessore Maiolo di incontrare urgentemente i rifugiati. Gli interlocutori ci sono, poiché i profughi hanno da tempo dimostrato di poter esprimere propri delegati rappresentativi, e anche una soluzione alternativa ai poco decorosi container di via Di Breme, suggerita peraltro dalla stessa Acnur, si troverebbe senza troppe difficoltà.
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