Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Domenica andrò a votare e voterò L’Altra Europa con Tsipras. Non precisamente uno scoop, direte voi, ma penso sia bene esplicitarlo e motivarlo, non solo perché oggi non c’è più nulla di scontato, ma soprattutto perché voglio proporvi di fare altrettanto.
Tanti uomini e donne che si sentono di sinistra, che praticano cose di sinistra o che semplicemente vorrebbero vedere qualcosa di sinistra sono oggi in dubbio, in forte dubbio, se andare a votare o per chi andare a votare. Non occorrono sondaggi per saperlo, basta guardarsi attorno e ascoltare.
Non c’è niente di strano in tutto questo, anzi, sarebbe probabilmente strano il contrario, e non serve a nulla, come invece alcuni si ostinano a fare, mettersi a elencare le presunte o reali malefatte altrui o demonizzare la scelta dell’astensionismo. E non ha nemmeno senso cercare di vendere una realtà che non c’è, tanto tutti sanno come stanno le cose e soltanto nelle fiabe basta un bacio per trasformare il rospo in principe. Quindi, voglio tentare di fare un’altra cosa, cioè cercare di convincervi che andare a votare la lista Tsipras ha un senso, che è persino utile.
Ha un senso, anzitutto, in prospettiva europea. Sì, lo so, sebbene si tratti di eleggere il Parlamento europeo, di Europa non parla quasi più nessuno qui da noi e quando se ne parla praticamente tutti premettono che sono contro l’austerità, il fiscal compact eccetera, compresi quelli che fino a stamattina hanno detto e fatto l’esatto contrario. Ma al di là delle finizioni e degli abbagli e addirittura al di là di Bruxelles e di Strasburgo, l’Europa c’è e pesa e sarà a quel livello, in quella dimensione che si combatteranno gran parte delle battaglie che contano. Sull’economia, sul welfare, sul lavoro, sui diritti, sulle libertà dei cittadini e delle cittadine.
Oggi tutti i paesi del continente sono attraversati da una crisi micidiale: è la crisi del modello neoliberista che si è fatta crisi complessiva, culturale, sociale, politica e democratica. C’è dunque una terribile urgenza di costruire un’alleanza, un campo di forze politiche e sociali che delineino a livello continentale un’alternativa e una via d’uscita da sinistra. Altrimenti, l’uscita dalla crisi sarà a destra e le ultime tendenze e indicazioni confermano purtroppo che stiamo parlando di cose molto concrete, dai sondaggi che danno in testa i fascisti del Front National in Francia fino alla preoccupante crescita del consenso ai nazisti di Alba Dorata in Grecia.
Ebbene, l’unica lista che domenica troverete sulla scheda elettorale e che vi propone un’alleanza continentale del genere è L’Altra Europa con Tsipras. Se ci saranno eletti italiani e italiane di questa lista siederanno nel gruppo che farà riferimento al candidato alla presidenza della Commissione Ue, Alexis Tsipras, insieme ai deputati greci di Syriza, a quelli tedeschi di Die Linke, a quelli francesi del Front de Gauche, a quelli spagnoli di Izquierda Unida, a quegli irlandesi del Sinn Féin eccetera eccetera. Sarà un gruppo non piccolo e non marginale e sarà la voce di sinistra antiliberista più consistente a livello europeo.
In altre parole, votare la lista Tsipras in Italia significa rafforzare un progetto alternativo all’Europa dell’austerità e ai progetti xenofobi, nazionalisti o peggio delle destre: altro che voto inutile!
Poi c’è anche la dimensione e la crisi italiana, mi direte. Verissimo. Ma a parte il fatto che l’Italia non è un astronave che vaga solitaria nello spazio e che quindi vale sempre il discorso di cui sopra, c’è anche il piccolo problema che oggi in Italia non esiste una sinistra politica di qualche rilevanza. E non si può bypassare il problema, perché anche questa campagna elettorale ha evidenziato che l’assenza di una tale sinistra politica ha di fatto trasformato la più importante delle questioni, cioè quella sociale, in una mera comparsa.
Certo, la lista Tsipras non è la nuova sinistra politica, non è un prodotto finito e pronto all’uso. È molto più modestamente un tentativo di fare le cose diversamente, di mettere insieme invece che di dividere. Se supererà lo sbarramento del 4% e manderà rappresentanti italiani a rafforzare la sinistra europea, allora l’ottimismo della volontà sarà stato premiato e forse le cose in futuro saranno meno difficili. Ovviamente, se non si supererà il 4% continuerà lo stesso il lavoro per rifare una sinistra politica in Italia, ma sarà un pochettino più difficile e ostico.
Insomma, anche da un punto di vista meramente italiano, il voto alla lista L’Altra Europa con Tsipras ha più che senso.
Infine, se siete arrivati fino a qui e avete deciso di votare (o avevate già deciso di farlo), allora c’è la questione delle preferenze.
Già, le preferenze, perché in questo caso possiamo darne fino a un massimo di 3 (per info su come votare andate sulle pagine dedicate del Comune: http://elezioni.comune.milano.it/). Quindi avete ampie possibilità di esprimervi.
Molti mi chiedono che nomi indicherò sulla scheda. Ve ne segnalo solo uno, perché penso sia importante, come scelta politica e di schieramento, specie in questo momento di insano clima repressivo: voterò sicuramente Nicoletta Dosio, valsusina e attivista del Movimento No Tav.
Spero di avervi convinti o, almeno, di avervi proposto un ragionamento utile.
Buon voto.
Luciano Muhlbauer
Ci risiamo, un altro sgombero è in arrivo a Milano. Si tratta del Lambretta, cioè le cosiddette villette del Quartiere Del Sarto, zona piazza Ferravilla, occupate due anni fa da studenti e precari della zona e oggi uno degli spazi sociali più dinamici della città. Ovviamente, non si sa quando accadrà, ma pare che una volta passate le elezioni europee qualsiasi giorno sia buono.
La vera domanda non è dunque il quando, ma piuttosto il perché, considerato anche che fino a poco tempo fa tutto sembrava assai tranquillo. Infatti, il Lambretta non ha portato via la casa a nessuno e non ha neanche impedito progetti di riqualificazione. Ha semplicemente riempito un vuoto, occupando degli immobili abbandonati e tutt’al più utilizzati dagli spacciatori della zona.
L’Aler, proprietaria delle villette, le vuole vendere ai privati. Ci prova da anni. A tal fine erano state prima tolte dal patrimonio Erp (cioè, non sono più case popolari e pertanto non saranno assegnate alle famiglie che affollano le graduatorie) e poi messe in vendita mediante aste pubbliche. Ma tutte le aste erano andate deserte.
Secondo i proclami ufficiali di due anni fa da parte di Aler e Regione (assessore competente era quel Domenico Zambetti oggi sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa), le villette non si vendevano perché erano occupate. Ma era una balla, utile per ottenere dalla Questura lo sgombero forzato, che poi ci fu effettivamente nell’ottobre del 2012, la quale alcuni mesi più tardi, con il Lambretta rioccupato, sarebbe stata di fatto smentita dallo stesso allora Presidente dell’Aler di Milano, Loris Zaffra, con queste parole: “I primi due bandi, promossi da Infrastrutture Lombarde durante il periodo della convenzione, sono andati deserti. Adesso ci proviamo noi direttamente, senza grandi aspettative considerato l'andamento del mercato immobiliare” (vedi Corriere della Sera ed. Milano del 17.01.2013).
Già, il mercato immobiliare in crisi, al quale si aggiungono i molti vincoli architettonici, e non il Lambretta, neanche nominato. E in quell’intervista Zaffra spiegò anche come l’Aler intendeva procedere, cioè “se la gara andrà deserta anche stavolta, rivedremo tutta la procedura e proporremo una nuova vendita frazionata” (ibid.). E così hanno poi fatto, presumibilmente. Ma a questo punto entriamo nel regno delle ipotesi e dei condizionali, perché una volta esauriti i bandi e le gare e le relative procedure, si passa a trattative che non impongono più i medesimi obblighi di pubblicità e trasparenza. E quanto a trasparenza, l’Aler di Milano non ha mai brillato in questi anni…
Insomma, nessun soggetto istituzionale si è degnato di spiegare perché ora, all’improvviso, bisogna mandare polizia e carabinieri e cacciare via i ragazzi e le ragazze del Lambretta. L’Aler è riuscita a vendere qualche villetta? C’è un nuovo progetto immobiliare sull’area? Se sì, che lo dicano, perché nemmeno i residenti e le istituzioni della zona ne sanno alcunché e la prospettiva di riconsegnare quell’area all’abbandono e al vuoto, magari con qualche guardia giurata a presidiare il nulla, non è per nulla edificante.
Oppure ci sono altre ragioni, magari tutte politiche, legate a quella specie di campagna d’ordine, di cui i Ministri Alfano e Lupi sono alfieri e secondo la quale il dissenso e il conflitto sociale sono essenzialmente un problema di polizia?
Comunque sia, forse i silenzi sulle ragioni di questo sgombero sono la cosa meno importante in questo momento. Molto più importante è rompere il resto del silenzio. È mai possibile che l’eliminazione di un altro spazio sociale, con tutto quello che contiene e che ha costruito, sia un problema solo di quello spazio sociale e non di tutta la città o, almeno, di una parte di essa? Io credo di no, penso che il Lambretta ci riguardi tutti e tutte, cittadini e istituzioni. E penso che occorra schierarsi, con il Lambretta.
Luciano Muhlbauer
Le lacrime si asciugano in fretta, specie quando parliamo di migranti. E così, la commozione generale per le stragi nel Mediterraneo e lo scandalo pubblico per le condizioni di detenzione nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) di questi ultimi mesi, tanto per cambiare, non hanno prodotto alcun effetto pratico, né in Italia, né a Milano.
Anzi, i profughi che riescono ad arrivare vivi nel nostro paese sono abbandonati al loro destino esattamente come prima, come ci ricorda proprio in questi giorni l’allucinate situazione in Stazione Centrale, e il Cie (ex Cpt) di via Corelli, di cui in tanti annunciavano la chiusura, riapre invece a breve i suoi battenti, ristrutturato per 140 posti e affidato in gestione alla Gepsa, una società privata francese, attiva nella gestione di molte carceri d’oltralpe e controllata dalla multinazionale Gdf Suez. E non basta, perché entro la fine dell’anno, a fianco del Cie, aprirà anche un Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) nuovo di zecca.
Insomma, tutto come prima, anzi, peggio di prima. Già, perché sebbene l’inutilità e la disumanità dei Cie siano ormai conclamate, si continua e si insiste, perché gli interessi politici in gioco sono evidentemente troppi. E quindi, chissenefrega che delle persone vengano recluse sostanzialmente in via amministrativa, senza processo e senza vedere mai un giudice vero, per un massimo di addirittura 18 mesi continuativi in delle strutture che sono di fatto di natura carceraria.
I Cie sono un buco nero della legalità costituzionale e non servono a nulla, se non a ribadire il concetto tutto politico che le migrazioni sono una questione di ordine pubblico e a vendere l’idea che chi governa faccia qualcosa.
Ma per fortuna non tutti se ne fregano e non tutti piangono lacrime di coccodrillo e quindi ci sarà almeno un tentativo di reagire a questo scempio. L’iniziativa l’ha presa il Naga e molte realtà associative, sociali e politiche hanno aderito. Ci si trova martedì 6 maggio, alle ore 18.30 davanti alla Prefettura di Milano, in c.so Monforte 31, per dire che a Milano non vogliamo la riapertura del Cie e l’apertura del Cara di via Corelli.
Per il resto, condividete, fate girare e cercate di partecipare.
Luciano Muhlbauer
Il corteo antifascista del 29 aprile è stato un bel corteo, colorato, plurale e determinato. C’era chi aveva iniziato a militare parecchi anni fa e c’era chi, studente o precario, si è affacciato all’impegno sociale e politico in questi anni. Era un corteo militante, certo, ma non cupo e tanto meno uniforme, perché tra gli oltre duemila manifestanti c’era l’attivista del centro sociale, ma anche la consigliera di zona del Pd, c’era il militante comunista e l’animatrice dell’Arci, il sindacalista Fiom e il mediattivista.
Sarebbe bastato questo colpo d’occhio, questa minima fatica di guardarsi attorno per capire che questo corteo non camminava con la testa rivolta all’indietro, ma parlava del presente e del futuro. Ma non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere, di chi si ostina ad adattare la realtà ai suoi schemi prestabiliti, e così oggi alcune cronache giornalistiche ci raccontano una storia che c’entra poco con la serata di ieri.
No, questo corteo non combatteva una battaglia del passato, non era prigioniero degli scontri di 40 anni fa, ed è anche per questo che non ha gradito e, soprattutto, non ha capito le parole del Sindaco, pronunciate alla commemorazione di Sergio Ramelli.
Che senso ha parlare di “convivenza tra chi ha idee opposte e diverse” a poche ore di distanza da una parata nazifascista che, secondo la definizione data dallo stesso Sindaco due settimane prima, “da anni deturpa la nostra città”? Mica stiamo parlando di idee diverse, ma del fatto che noi non riconosciamo cittadinanza alle tesi e alle pratiche nazifasciste, negazioniste e razziste. E non solo noi, beninteso, ma soprattutto la storia di questo paese, la storia di Milano città Medaglia d’Oro della Resistenza, la nostra Costituzione.
E che senso ha parlare di “pacificazione”, che è un termine del nostro dibattito politico dalla precisa connotazione? Non significa rispetto e pietà per i morti, non significa non voler vedere tornare i morti ammazzati per motivi politici, ma vuol dire, nell’accezione datogli in questi anni, superare la contrapposizione fascismo-antifascismo, considerare uguali partigiani e nazifascisti.
Infatti, le parole di Pisapia non hanno trovato il minimo riscontro in quelle di De Corato e dei suoi sodali, i quali hanno incassato il risultato, rifiutandosi però di prendere le distanze dalla parata nazifascista o, semplicemente, di criticare l’esibizione di croci celtiche e saluti romani. Peraltro, De Corato, nei lunghi anni in cui era amministratore della nostra città, non aveva nemmeno mostrato rispetto e pietà verso i morti altrui –vi ricordate le sue guerre contro i murales per Dax o contro la lapide a Pinelli in piazza Fontana?- e non mi pare proprio che abbia cambiato idea al riguardo.
Conosco Giuliano Pisapia e l’ho votato, come peraltro la maggior parte dei manifestanti antifascisti di ieri, e non penso certamente che sia passato dall’altra parte. Ma penso che ieri abbia sbagliato e che oggi debba qualche spiegazione. Non a me, per carità, ma a molti dei suoi elettori, rimasti perlomeno un po’ disorientati. E senz’altro è necessario fare un’altra cosa ancora, perché a questo punto non possono esistere morti di serie A e di serie B: cioè, vanno commemorati con la stessa forza e presenza istituzionale anche i tanti ragazzi ammazzati a Milano dalla violenza fascista, come Varalli, Amoroso, Brasili, Fausto, Iaio e Dax.
Ma torniamo a noi, al nostro corteo di ieri. Prima di tutto occorre fare un ringraziamento a tutti quelli e tutte quelle che hanno lavorato per farlo riuscire, prima e durante. Nulla era scontato, né la partecipazione, né la compattezza in piazza. E da questo punto di vista, non possiamo non sottolineare il contributo decisivo, in termini quantitativi e qualitativi, da parte delle varie espressioni del movimento milanese.
In secondo luogo, va ricordato che avevamo ragione a non delegare nulla, a non lasciare la piazza vuota. Le rassicurazioni della Questura, le diffide e i divieti di esibire simboli nazifascisti, infatti, erano soltanto parole. E non poteva essere diversamente, perché nella realtà reale non esistono parate nazifasciste senza simbologia nazifascista. E così, anche ieri, come un anno fa e l’anno prima, i nazi hanno marciato alla maniera loro, salutando romanamente ed esibendo celtiche.
Infine, la cosa più importante da fare ora è guardare avanti. Appunto, non è stato un corteo nostalgico, ma un corteo del tempo presente, preoccupato del futuro, del vento di destra che spira in tutta Europa, del nuovo attivismo dei gruppi nazifascisti e della possibilità, per citare un manifestante di ieri, che a un certo punto “essere nazi diventi figo”.
Il corteo di ieri ha suscitato aspettative e ci carica tutti e tutte di responsabilità. Dobbiamo fare tesoro dell’esperienza fatta insieme ed evitare che sia stata solo una parentesi. L’antifascismo ha bisogno di costanza, di quotidianità, di azione e non solo di reazione. Ne dovremo parlare, insieme, al più presto.
Per ora ci aspetta il Primo Maggio, la MayDay. E in molti già ci rivedremo.
Luciano Muhlbauer
Ci sono manifestazioni in cui è importante esserci e il corteo antifascista del 29 aprile è una di queste. Si tratta infatti di riaffermare un punto fermo, di ribadire un principio, cioè che Milano ripudia le ideologie nazifasciste, negazioniste e razziste e che non ci può essere spazio e legittimità per chi ne ri-propone i discorsi, i simboli e le pratiche.
A Milano da qualche anno abbiamo abbassato un po’ troppo la guardia. E abbiamo sbagliato. C’erano state la grande kermesse antifascista in piazza della Scala del 5 aprile 2009 e le mobilitazioni della primavera del 2010, ma poi era un po’ come se avessimo pensato che fosse sufficiente liberare Palazzo Marino da coloro che garantivano la complicità istituzionale per risolvere il problema. Non era così, ovviamente, e non poteva nemmeno esserlo.
Beninteso, in questi ultimi anni gli antifascisti e le antifasciste milanesi hanno fatto molte cose buone, ma spesso ognuno per i fatti suoi e il più delle volte rincorrendo le iniziative dei gruppi nazifascisti. E così, proprio quando l’Europa è scossa da un nuovo vento di destra, ci troviamo meno preparati di quello che dovremmo essere.
La consapevolezza che non si può andare avanti così, che bisogna dire basta, forse si sta facendo largo. Ancora in maniera insufficiente, certo, ma qualche segnale nuovo c’è, come la crescente e positiva attenzione in aree diverse, per storia, collocazione ed età, rispetto al corteo del 29 aprile.
Già, quel 29 aprile, che per anni abbiamo sottovalutato e che nel frattempo è diventato qualcosa di più e di diverso di una semplice commemorazione –la cui piena legittimità non è in discussione-, per sfociare in una vera e proprio sfilata nazifascista di carattere sempre più nazionale, dov’è permesso più o meno tutto. Siamo arrivati al punto che la stessa Questura, per “consuetudine”, considera ormai de facto quella data monopolio dei gruppi nazifascisti e che è diventato persino un problema poter commemorare Gaetano Amoroso, deceduto nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1976 in seguito a un’aggressione neofascista.
Non ripeto qui tutta la storia di questi mesi e di queste settimane, del come siamo arrivati al 29 aprile (a questo proposito vedi il mio post di settimana scorsa), e mi limito dunque a fare la fotografia della situazione attuale.
Primo, la Questura ha autorizzato il solito corteo nazifascista, che partirà alle h. 20 da p.le Susa, sebbene diffidando gli organizzatori dall’esibizione di simboli e gesti di natura fascista e nazista. Difficile che questo divieto, frutto peraltro della mobilitazione istituzionale, venga rispettato, anche perché da mesi la galassia nera sta lavorando a una prova di forza, portando gente da altre regioni italiane.
Secondo, il corteo antifascista, dopo molte tribolazioni, è stato infine autorizzato dalla Questura con il seguente percorso: Porta Venezia - Viale Majno - Piazza Tricolore - Corso Concordia - Piazza Risorgimento. A riconferma delle strane “consuetudini”, al corteo è allo stato incredibilmente negato l’arrivo in piazzale Dateo, cioè nelle immediate vicinanze di via Goldoni, dove verrà deposta a una corona in memoria di Gaetano Amoroso.
Insomma, il 29 aprile è importante esserci, per evidenti motivi che trascendono la stessa giornata. E dobbiamo e possiamo essere in tanti e tante. L'appuntamento è alle h. 19 in piazza Oberdan.
La pagina facebook del Comitato “Nazisti no grazie!” la trovate qui.
L’evento fb dedicato al corteo del 29 qui.
La locandina del corteo da utilizzare in rete la trovate invece allegata a questo post (cliccare sull’icona in fondo).
Quindi, cliccate, condividete, fate girare e, soprattutto, partecipate al corteo.
Ci vediamo in piazza!
Luciano Muhlbauer
Il 25 aprile è importante sempre, perché ci impone di ricordarci da dove veniamo. Ma più il tempo passa, più diventa decisivo avere cura della memoria, perché sempre meno è scontato che ci si ricordi della fonte della nostra libertà, che non ci era stata regalata, ma che era stata strappata con la lotta e con enormi sacrifici all’oppressore nazifascista. Appunto, con il tempo la memoria si fa labile e oggi nel nostro continente le tesi e le organizzazioni fasciste e fascistoidi stanno trovando nuovi e inquietanti spazi. Anche nella nostra città, anche a Milano, c’è il problema.
Partecipare alle iniziative del 25 aprile è dunque importante. Eccovi quindi un elenco (non esaustivo) delle iniziative che si terranno a Milano nel 69° anniversario della Liberazione dal nazifascismo.
Come sempre, la mattina ci sarà la posa delle corone alle lapidi dei caduti e delle cadute della lotta di liberazione:
Zona 1 – appuntamento h. 9.30 in C.so Garibaldi 75
Zona 2 – appuntamento h. 9.30 in piazza Costantino
Zona 3 – appuntamento h. 9.00 in via Ponzio
Zona 4 – appuntamento h. 9.00 in via Archimede 13
Zona 5 – appuntamenti h. 9.30 in via Bellezza 16a e h. 9.30 Parco Chiesa Rossa, via S. Domenico Savio
Zona 6 – appuntamento h. 10.00 in piazza Tirana
Zona 7 – diversi concentramenti, vedi qui
Zona 8 – giro delle lapidi tra le h. 9.00 e le h. 12.00
Zona 9 - diversi concentramenti, vedi qui
Sempre la mattina, a partire dalle h. 9.00, ci sarà un presidio antifascista in piazza Cimitero Maggiore, cioè dove più tardi si terrà il concerto di Partigiani in Ogni Quartiere. Le ragioni sono piuttosto ovvie, visto che a due passi da lì si trova la nuova sede dei nazi di Lealtà e Azione.
Alle h. 14.00 in P.ta Venezia, c’è il concentramento per il corteo tradizionale del 25 aprile.
Dopo il corteo, cioè alle h. 17.00-18.00, inizia Partigiani in Ogni Quartiere, che dopo 6 anni torna in piazza Cimitero Maggiore per “chiudere le sedi nazifasciste e aprire spazi di libertà”. Ci sarà da bere e da mangiare, ci saranno musica e spettacoli. Insomma, siateci! Per stare insieme e per dire che i fascisti nel quartiere non ci possono stare.
E ricordate, dopo il 25 c’è il 29 aprile, cioè la manifestazione antifascista per dire che Milano non può e non deve più tollerare parate nazifasciste.
Buon 25 aprile!
Luciano Muhlbauer
post scriptum: se avete integrazioni o aggiunte rispetto alle iniziative segnalate oppure se volete segnalare altre iniziative, usate lo spazio “Commenti”
Il 29 aprile gli antifascisti e le antifasciste milanesi saranno in piazza, per ribadire i valori di giustizia sociale e libertà e per dire che Milano non può e non deve più tollerare che questa data venga utilizzata dai gruppi neofascisti e neonazisti per inscenare delle parate pubbliche in pieno stile Alba Dorata. L’appuntamento è alle ore 19.00 in piazza Oberdan (P.ta Venezia) e da lì si muoverà il corteo, che allo stato è autorizzato “con riserva” dalla Questura fino a piazza Risorgimento.
Occorre essere chiari e trasparenti, anche per sfatare alcuni miti che ambienti della destra ripropongono ogni anno, nel tentativo di accreditare sé stessi e di delegittimare ogni critica. Cioè, il problema non è certo la commemorazione, anche in forma pubblica, di Sergio Ramelli e Enrico Pedenovi, i due militanti di estrema destra uccisi rispettivamente il 29 aprile del 1975 e del 1976. I morti vanno rispettati, ci mancherebbe altro.
No, il problema è che con il passare degli anni attorno a quelle commemorazioni è stato costruito ben altro, qualcosa di inaccettabile. Il 29 aprile, man mano, è stato trasformato in una sorta di carnevale nazifascista, in una giornata dove tutto è permesso, dalle marce paramilitari all’esibizione di tutto l’armamentario fascista e nazista lungo le vie di zona Città Studi. E giusto per non lasciare alcun dubbio sul messaggio da lanciare, era stata aggiunta anche un’altra commemorazione, che con gli anni ’70 c’entra un fico secco: quella in piazzale Susa del repubblichino Carlo Borsani, fucilato dai partigiani il 29 aprile del 1945.
Questo crescendo, insieme alle immagini della parata diffuse dai principali quotidiani, spiega perché l’anno scorso le proteste si erano moltiplicate. Lo stesso Sindaco aveva detto che cose del genere non dovevano più ripetersi a Milano. Ed è così che arriviamo al 2014, quando finalmente la reazione è scattata prima e non dopo il fattaccio.
Si è costituito il comitato “Milano 29 aprile: nazisti no grazie!”, di cui il sottoscritto è uno dei promotori, l’Anpi, la Camera del Lavoro e il Presidente del Consiglio di Zona 3 hanno presentato un esposto a Questore e Prefetto, praticamente tutti i Consigli di Zona della città hanno approvato mozioni, a volte a larghissima maggioranza, per chiedere di impedire la parata nazifascista e, infine, lo stesso Sindaco Pisapia ha preso posizione contro “la parata nazi-fascista che da anni deturpa la nostra città”, chiedendo “che le autorità competenti facciano tutto quanto possibile per evitare questa grave offesa alla Milano Medaglia d'oro della Resistenza”.
Insomma, qualcosa si è mosso, ma evidentemente non abbastanza, considerato che il corteo nazifascista è stato autorizzato dalla Questura con lo stesso percorso degli anni precedenti, cioè con partenza da piazzale Susa. Certo, è vero che alla fine il Questore, diversamente dagli altri anni, ha diffidato formalmente gli organizzatori dall’ostentazione di simboli nazifascisti, ma è altrettanto vero che è difficile immaginarsi che loro si attengano a queste prescrizioni. Infatti, già il 15 aprile scorso hanno comunicato pubblicamente che se ne sarebbero fregati della diffida.
Gli antifascisti, invece, hanno dovuto tribolare non poco per farsi riconoscere il proprio diritto a manifestare il 29 aprile. Un primo preavviso era stato mandato già nel mese di gennaio, ma il 9 aprile scorso il Questore ha emesso una diffida formale e vietato il presidio antifascista di piazzale Susa con una motivazione lunga quattro pagine.
Un nuovo preavviso di manifestazione è stato poi inoltrato alla Questura il 16 aprile e ci sono volute quasi tre ore di discussioni in via Fatebenefratelli per arrivare a una conclusione, soltanto parzialmente soddisfacente. Infatti, c’è l’ok, “con riserva”, a un corteo da piazza Oberdan fino a piazza Risorgimento, ma in maniera incomprensibile è stato negato l’arrivo in piazzale Dateo. Incomprensibile, perché non cambia nulla dal punto di vista dell’ordine pubblica, ma in cambio impedisce al corteo di terminare nelle immediate vicinanze di via Goldoni, dove verrà deposta una corona in memoria di Gaetano Amoroso, deceduto nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1976 in seguito a un’aggressione neofascista.
Certezze non ci sono mai e in questi giorni possono ancora succedere delle cose, ma in linea di massima lo scenario è questo. È dunque fondamentale impegnarsi per far riuscire il corteo del 29, perché c’è bisogno che gli antifascisti e le antifasciste milanesi facciano sentire direttamente la loro voce. E questo significa attivarsi con le proprie realtà e reti, ma anche attraversare il 25 aprile, dalla mattina, con la deposizione delle corone nei quartieri, passando per il corteo del pomeriggio e finendo con il concerto di Partigiani in Ogni Quartiere in piazza Cimitero Maggiore.
Abbiamo sottovalutato per troppo tempo alcune cose e ora ci ritroviamo con una mezza mobilitazione nazionale della galassia nera il 29 e con una nuova sede dei nazi di Lealtà e Azione a due passi dal Torchiera. Per non finire come in Ungheria o in Francia oppure avere nelle strade una Alba Dorata nostrana, ovviamente non basta qualche manifestazione ogni tanto. Anzi, l’antifascismo sta nella quotidianità, nelle lotte per il reddito, il lavoro e la casa, nella presenza costante sul territorio, nella costruzione di un’uscita dalla crisi da sinistra. E sarebbe bene se ci ricordassimo di questo anche dopo il 29 aprile. Ma ora e qui si tratta di ribadire un punto fermo, cioè che di parate nazifasciste a Milano non ne vogliamo più vedere.
Luciano Muhlbauer
Aggiornamento del 24 aprile: la Questura ha sciolto la "riserva" e ha autorizzato il corteo con il percorso sopra indicato.
di lucmu (del 15/04/2014, in Lavoro, linkato 2607 volte)
Emma Marcegaglia festeggia la sua nomina a presidente dell’Eni chiudendo una fabbrica a Milano e togliendo il lavoro a 169 operai. Sembra incredibile, ma a meno di 24 ore dalla nomina, il gruppo dell’ex presidente di Confindustria ha annunciato ai sindacati la chiusura della Marcegaglia Buildtech di viale Sarca 336, sul confine tra Milano e Sesto San Giovanni.
Il tutto è successo questa mattina e le ragioni vere di questa chiusura non sono chiare, poiché in viale Sarca nessuno era in cassa e, anzi, si facevano persino i turni di notte. Insomma, il lavoro c’è, si produce. Tuttavia, sebbene l’azienda non abbia chiarito alcunché, non è difficile fare delle ipotesi, considerato che l’area dove si trova lo stabilimento, cioè la zona Bicocca, è ad altissimo valore immobiliare.
E non è nemmeno chiaro cosa succederà agli operai. Il gruppo Marcegaglia parla di un trasferimento verso il suo stabilimento di Pozzolo Formigaro, in provincia di Alessandria, ma a parte la fumosità della “proposta” e i circa 100 chilometri di distanza, c’è il piccolo particolare che lo stabilimento di Pozzolo F. ha recentemente annunciato 40 esuberi…
Mentre scriviamo gli operai della Marcegaglia stanno scioperando e bloccando viale Sarca. La rabbia, giustamente, è tanta. Nelle prossime ore decideranno come proseguire la mobilitazione.
Se siete in zona, magari passateci e portate un po’ di sacrosanta solidarietà.
Luciano Muhlbauer
Aggiornamento delle h. 16.30: l’assemblea dei lavoratori ha deciso di tenere il presidio permanente davanti alla Marcegaglia in viale Sarca 336. Fanno sapere che “la solidarietà è ben accetta”. Domani decideranno come andare avanti.
Aggiornamento del 16 aprile – comunicazione di Massimiliano Murgo, delegato Rsu Fiom della Marcegaglia Buildtech di v.le Sarca, a proposito delle decisioni dei lavoratori: “L’assemblea di oggi e i lavoratori della Marcegaglia hanno deciso che domani e dopodomani rientriamo a lavorare. La battaglia contro la Marcegaglia durerà almeno tre-quattro mesi e comunque probabilmente fino a dicembre. Restiamo in stato di agitazione permanente e articoleremo iniziative improvvise di blocco e sciopero. Attualmente il presidio ai cancelli è stato sospeso. Nei giorni in cui lavoreremo è stata comunque indetta una drastica autoriduzione dei ritmi di lavoro. Grazie a tutti dei messaggi di solidarietà. La lotta continua.”
C’è una sentenza del Tar che dice che Regione Lombardia discrimina gli studenti della scuola pubblica e c’è una dichiarazione dell’assessore regionale che afferma che nulla cambia, poiché la sentenza “non ha alcun effetto sul buono scuola”. E così, l’ultima puntata dell’annosa e scandalosa storia del finanziamento pubblico alla scuola privata in Lombardia sembra tingersi di giallo.
Ma il giallo non c’è, perché in realtà è soltanto una questione di punti di vista. Tecnicamente ha senz’altro ragione l’assessore Aprea (vedi suo comunicato del 5 aprile), perché la sentenza del Tar, depositata il 2 aprile scorso, accoglie soltanto in parte il ricorso dei genitori di due ragazze della scuola pubblica e, soprattutto, riguarda la delibera regionale precedente, in vigore fino all’anno scorso e sostituita all’inizio del 2014 da una nuova deliberazione.
Politicamente, invece, l’assessore ha torto marcio, perché si tratta della prima volta che un organo della magistratura riconosce quanto denunciamo da anni, cioè che il sistema del buono scuola è discriminatorio. O per dirla con le parole del Tar: “L’amministrazione ha previsto, senza alcuna giustificazione ragionevole e con palese disparità di trattamento, delle erogazioni economiche diverse e più favorevoli per coloro che frequentano una scuola paritaria... pur a fronte della medesima necessità e della medesima situazione di bisogno economico”.
Detto questo, ovviamente, rimane il fatto che quella sentenza non incide direttamente sul presente e che il Tar non ha sollevato la questione dell’incostituzionalità del buono scuola, limitandosi a considerare illegittima la parte riguardante i contributi per l’acquisto di libri di testo. Inoltre, si tratta soltanto della sentenza di primo grado e quindi non c’è nulla di definitivo.
In altre parole, la sentenza del Tar non è una rivoluzione e nemmeno una riforma. Ma è sicuramente un altro tabù che cade, una nuova crepa nel sistema escogitato nel 2000 da Formigoni e oggi fatto proprio anche da Maroni, poiché la discriminazione e la disparità di trattamento sono in ultima analisi le fondamenta sulle quali poggia tutta il meccanismo.
Oggi l’opposizione istituzionale allo scandaloso meccanismo del finanziamento pubblico alla scuola privata in Lombardia può sembrare più flebile rispetto agli anni passati, ma in cambio è cresciuta in maniera sensisbile la consapevolezza nella società. Certo, non ancora in tutta la regione, ma sicuramente a Milano, come ha dimostrato la reazione di insegnati, genitori e studenti al brutale taglio dei contributi regionali per la sola scuola pubblica, operata da Maroni nel dicembre scorso.
La strada da percorrere è dunque ancora lunga, ma la sentenza del Tar e la nuova sensibilità sociale ci confermano che è quella giusta. Quindi, non ci resta che percorrerla con ancora più determinazione.
Luciano Muhlbauer
Si chiama Ring of Fire e vuole fare terra bruciata attorno alla nuova sede che i neonazisti di Lealtà e Azione hanno aperto in via Pareto, nello stesso luogo che fu di Cuore Nero. Concretamente, si tratta di un corteo, anzi di una “parata spettacolare e musicale”, e l’appuntamento è per domenica 6 aprile, alle ore 15.00, in piazza Cimitero Maggiore a Milano.
La mobilitazione del 6 aprile è importante in sé e lo è in prospettiva, poiché ci troviamo di fronte a un susseguirsi di iniziative da parte dei gruppi neofascisti e neonazisti che nel loro insieme disegnano una sorta di primavera nera, tesa a estendere e rafforzare il loro insediamento politico e organizzativo nel milanese. E in questo senso, il corteo di domenica è parte di un percorso che non si esaurisce certo in un giorno o in un luogo.
Per non farla lunga e per concentraci sulle settimane che abbiamo di fronte, la mobilitazione per la chiusura del covo nazifascista di via Pareto proseguirà il 25 aprile, quando l’ormai tradizionale concerto del pomeriggio di Partigiani in ogni Quartiere si terrà davanti al Cimitero Maggiore.
Il 29 aprile, infine, i gruppi nazifascisti hanno in programma la solita manifestazione a base di croci celtiche, saluti romani e marce paramilitari. Anzi, non la solita, perché una volta il 29 aprile era la commemorazione di Sergio Ramelli, il giovane del Msi ucciso a Milano nel 1975, ma negli ultimi anni questa data è stata trasformata in un’occasione per cortei apertamente e dichiaratamente neofascisti. Ebbene, quest’anno vogliono fare un passo in più e pare che il corteo abbia addirittura un carattere nazionale, con tanto di ruolo organizzativo preminente degli hammerskin di Lealtà e Azione.
Contro questa eventualità si è costituito il comitato Milano 29 Aprile: Nazisti No Grazie, la Camera del Lavoro, l’ANPI Provinciale e il Presidente del Consiglio di zona 3 hanno presentato un esposto a Prefetto e Questore e, infine, in diversi Consigli di zona vengono approvate delle mozioni che chiedono al Sindaco di intervenire “in prima persona” perché a Milano non vengano “più tollerate manifestazioni che vanno contro la nostra Costituzione”. Allo stato già quattro Consigli di zona (1, 6, 8 e 9) hanno approvato mozioni di questo tipo e altri se ne aggiungeranno settimana prossima. In ogni caso, gli antifascisti saranno in piazza il 29 aprile.
Insomma, per concludere, se non siete proprio da un’altra parte questo weekend, domenica pomeriggio passate in piazza Cimitero Maggiore. È importante.
Luciano Muhlbauer
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