Blog di Luciano Muhlbauer
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
di lucmu (del 15/05/2007, in Migranti&Razzismo, linkato 886 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su “SinistraCritica” di maggio 2007
 
Quando il 12 aprile scorso iniziava a diffondersi la notizia sulla rivolta cinese in via Paolo Sarpi, in città lo stupore fu piuttosto generale. Non tanto perché era la prima volta che a Milano dei cittadini stranieri si ribellavano in maniera collettiva, ma perché a farlo era proprio una comunità, quella cinese, tradizionalmente poco incline alla protesta pubblica.
Molto si è detto e scritto sulla vicenda, ma il più delle volte delle interessate sciocchezze, a partire dalla minestra riscaldata del non vogliono integrarsi e del non vogliono rispettare le nostre regole. E allora ci pare necessario riepilogare prima di tutto gli antefatti, poiché in realtà ha poca importanza come sono andate le cose in mattinata tra la signora cinese e la pattuglia della polizia locale che hanno dato fuoco alle polveri (anche se la misteriosa sparizione delle registrazioni delle telecamere comunali dovrebbe far sorgere qualche sospetto).
Il quartiere in questione ospita un insediamento cinese risalente a un secolo fa, ma è da un decennio circa che vive una forte espansione del commercio all’ingrosso gestito da cittadini cinesi. Così, oggi, in poche vie si concentrano centinaia di esercizi, mentre la popolazione residente continua ad essere prevalentemente italiana. Trattandosi di una zona storica, va da sé che le movimentazioni delle merci avvengano sul marciapiede e al di fuori dei regolamenti comunali. Ma -e qui casca l’asino- tutto questo non ha mai rappresentato un problema, considerato che l’amministrazione cittadina, gestita da quindici anni dal centrodestra, ha sempre rilasciato le licenze e i vigili non hanno mai distribuito multe. Insomma, i commercianti cinesi hanno agito in piena legalità. Anzi, i rapporti tra gli assessori comunali e i commercianti cinesi sono stati sempre buoni e vi sono stati persino cospicui finanziamenti comunali ad un’associazione italo-cinese, l’Alkeos, strettamente legata ad alcuni settori di Alleanza nazionale.
E così arriviamo a qualche mese fa, quando all’improvviso è cambiato tutto. Ovvero, il Comune ha deciso di riscoprire antichi regolamenti comunali e di applicarli inflessibilmente mediante quotidiane e massicce multe contro i carrelli sui marciapiedi, facendo diventare illegale ciò che era perfettamente legale fino al giorno prima. Obiettivo dichiarato della guerra dei carrelli era costringere i commercianti cinesi a “delocalizzare” le loro attività.
Ovvio che nel quartiere stesse crescendo la tensione e, soprattutto, che si diffondesse la percezione di essere presi di mira in quanto cinesi. Infatti, quel 12 aprile a scendere in strada e a scontarsi con le forze dell’ordine non erano i vecchi commercianti, bensì centinaia di giovani di origine cinese, in larga parte cresciuti a Milano e con piena padronanza della lingua italiana.
La storia della rivolta di via Sarpi, come ogni storia, va raccontata tenendo conto delle sue specificità. Eppure, non può sfuggire a nessuno che a Milano stiamo assistendo ad una preoccupante moltiplicazione di momenti di conflitto tra istituzioni e settori di popolazioni immigrate. A dimostrarlo ci sono le ronde anti-rom e le campagne anti-moschee, per non parlare della razzista legge regionale contro i phone-center. Tutte storie diverse, certo, ma che nel loro insieme disegnano un unico quadro generale, fatto da istituzioni che si rapportano con i migranti unicamente attraverso gli strumenti dell’ordine pubblico e da forze di governo locale -in primis Lega e An- che della xenofobia militante fanno una bandiera.
La Lombardia e il suo capoluogo vivono oggi un paradosso esplosivo. È la regione che concentra da sola un quarto dell’immigrazione nazionale, ma anche quella che si ostina esplicitamente a non dotarsi di una politica tesa all’inclusione e alla convivenza. In questo senso, la rivolta di via Sarpi rappresenta un campanello d’allarme, che andrebbe colto anzitutto a sinistra, per non lasciare definitivamente il terreno alla demagogia xenofoba e securitaria delle destre.
 
di lucmu (del 30/05/2007, in Migranti&Razzismo, linkato 942 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 30 maggio 2007 (pag. Milano)
 
Sono passati due mesi dall’entrata in vigore della legge regionale n. 6/2006 contro i phone center e quasi nessuno ne parla più. Eppure, il carattere strumentale, discriminatorio e irragionevole del provvedimento sta emergendo proprio ora in tutta la sua drammaticità.
Risulta persino impossibile tracciare un quadro preciso dell’applicazione della legge su scala regionale, poiché i singoli Comuni si muovono in maniera difforme e in una situazione normativa caotica. E così ci sono Comuni, come ad esempio Bresso, San Giuliano Milanese e Pavia, che contestano la legittimità della legge, mentre altri che hanno preso la palla al balzo per delle vere e proprie spedizioni punitive.
Ma il caso più eloquente è senz’altro rappresentato dal Comune di Milano, che da solo ospita sul proprio territorio oltre 700 esercizi: di questi, risultano in regola con le nuove norme soltanto 10. Tutti gli altri sono dunque a rischio di blocco dell’attività e, infatti, sono state emesse circa 650 salatissime multe, mentre 150 provvedimenti di chiusura sono già pronti per la consegna, anche se in gran parte ancora fermi negli uffici a causa, supponiamo, di un elementare senso di prudenza, visto che è già stato presentato il primo ricorso alla sezione milanese del Tar.
Che la normativa regionale faccia acqua da tutte le parti, lo dimostrano peraltro le motivazioni dell’ordinanza del Tar della Lombardia, sezione di Brescia, trasmesse alla Corte Costituzionale pochi giorni fa, ordinanza che solleva la questione di legittimità costituzionale di tre articoli fondamentali della legge regionale. Vengono contestate la retroattività della normativa, la violazione dei principi di ragionevolezza, di parità di trattamento e di proporzionalità e persino l’invasione di ambiti di competenza non propri.
Ma ancora più illuminanti sono le reazioni del centrodestra regionale ai rilievi del Tar. Mentre le dichiarazioni ufficiali propongono il ritornello dei giudici che fanno politica, a livello amministrativo vengono emessi degli atti a dir poco ambigui. Non ci riferiamo soltanto alla ormai famosa “circolare esplicativa” della D.G. Commercio, Fiere e Mercati del 21 marzo scorso, con la quale la Regione cerca furbescamente di scaricare la responsabilità delle chiusure sui Comuni, ma altresì a una serie di note che interpretano creativamente la legge. Citiamo, a mo’ di esempio, quella inviata dalla D.G. Sanità il 20 aprile scorso al Comune di Pavia, dove si “chiarisce” che l’obbligo della larghezza minima di 1,20 metri per le cabine telefoniche vale solo per quelle “aperte” e non per quelle “chiuse”, una distinzione di cui non si trova traccia nella legge. E, guarda caso, è proprio la prescrizione di misure del genere, per phone center già esistenti, ad essere considerata dal Tar un “inutile gravosità”.
Insomma, ci pare che il livello di caos applicativo e di incertezza normativa abbia superato definitivamente il limite dell’accettabile, considerato che stiamo parlando di migliaia di legittime attività commerciali e delle esistenze di quanti e quante vi lavorano, messe a rischio da un provvedimento xenofobo e insensato e rispetto al quale la Corte Costituzionale si esprimerà a breve. Forse è davvero giunto il momento di far tornare almeno il buon senso. Per questo chiediamo con forza, alla Giunta regionale e ai Comuni, una moratoria dei provvedimenti sanzionatori fino al pronunciamento della Consulta nonché l’apertura di un tavolo di confronto con le associazioni dei gestori.
 
di lucmu (del 13/07/2007, in Migranti&Razzismo, linkato 1016 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 13 luglio 2007 (pag. Milano)
 
Quattro mesi dopo l’ordinanza della sezione bresciana del Tar della Lombardia, ora anche la sezione di Milano ha accolto il ricorso di alcuni gestori di phone center, sospendendo i provvedimenti di chiusura e sollevando il dubbio di legittimità costituzionale della legge regionale 6/2006. In altre parole, il Tribunale amministrativo della Lombardia ritiene nella sua totalità, essendo composto da due sezioni, non legittima la legge regionale sui  phone center.
Questa seconda sentenza conferma pienamente quanto affermato e denunciato da Rifondazione Comunista sin dal primo momento. Cioè, la legge regionale speciale per i phone center, entrata in vigore a fine marzo, non serviva a regolamentare un settore commerciale relativamente recente, bensì a provocare la chiusura massiccia e forzata di molte centinaia di legittime attività commerciali, colpevoli unicamente di essere gestite e utilizzate prevalentemente da cittadine e cittadini immigrati.
Infatti, la necessità di quella legge era stata motivata dai suoi più ferventi sostenitori, cioè Lega e An, con la tesi che i phone center fossero un “luogo di aggregazione di immigrati” e, quindi, in sé un pericolo per la sicurezza. Insomma, il commercio, le regole e la legalità non c’entravano nulla, ma si trattava semplicemente di mettere a disposizione di alcune forze politiche della Destra lombarda uno strumento legislativo per continuare le loro odiose e nocive campagne xenofobe e razziste, in spregio a ogni principio di ragionevolezza, equità e uguaglianza di trattamento.
La stucchevole prassi delle leggi ad hoc, a fini propagandistici o affaristici, è purtroppo una triste abitudine in Regione Lombardia. Non ci illudiamo, quindi, di convincere il centrodestra a cambiare strada con qualche richiamo al ragionamento. Tuttavia, che i giudici amministrativi lombardi dicano ormai all’unisono che ci sono serissimi dubbi di legittimità, è un fatto nuovo che non può e non deve essere ignorato.
Chiediamo dunque ai Comuni lombardi, a partire da quello di Milano, un atto di buon governo e di sospendere immediatamente i provvedimenti di chiusura dei phone center, disposti in base alla legge regionale 6/2006, in attesa della decisione definitiva della Corte Costituzionale.
 
di lucmu (del 20/09/2007, in Migranti&Razzismo, linkato 942 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 20 sett. 2007 (pag. Milano)
 
L’inverno scorso, nella città di Opera, alle porte di Milano, si consumò qualcosa di inquietante. Un gruppo di cittadini inferociti per la presenza temporanea di alcune famiglie rom e abilmente strumentalizzati da esponenti leghisti e di estrema destra, prima diede fuoco alle tende della protezione civile, poi sostenne un prolungato assedio al campo e, infine, riuscì ad averla vinta. In altre parole, le istituzioni e la civiltà si arresero e i professionisti dell’odio e della xenofobia incassarono in piena impunità una vittoria politica senza precedenti.
Quanti segnalarono che quella vicenda non rappresentava una parentesi, ma rischiava di trasformarsi concretamente in un modello da emulare, furono accusati di allarmismo, se non apertamente derisi. Eppure, a distanza di soli sei mesi, il seme nefasto del rogo di Opera sta dando i suoi frutti avvelenati, a partire da quanto sta accadendo nella provincia pavese, in particolare a Pieve Porto Morone. E se qualcuno avesse ancora dei dubbi, ecco arrivare il suggello formale: oggi  il Comitato “Opera Sicura”, creatura dei settori più retrivi della Lega, annuncia che venerdì prossimo scenderà a Pieve, portandosi il solito razzista a tempo pieno, cioè Borghezio, evidentemente ansioso di recuperare visibilità dopo il lancio del maiale-day ad opera di Calderoli.  
Ormai i pochi rom rimasti a Pieve, tra cui molti bambini, sono diventati carne da cannone nella feroce competizione tra i neofascisti e gli xenofobi della Lega Nord. E così alcuni giorni dopo la parata delle teste rasate di Forza Nuova, la Lega rilancia nel modo peggiore. La sindaca-sceriffo di Pavia può essere propria fiera del suo operato!
Noi crediamo fermamente che la misura sia definitivamente colma e che non possa essere tollerata una seconda Opera. E non è una questione che riguarda soltanto la sinistra o qualche “sociologo d’accatto”. No, riguarda in primis le istituzioni e la tenuta del tessuto democratico.
Ecco perché chiediamo ai responsabili istituzionali, a tutti i livelli, di mettere finalmente un freno e porre fine alla tolleranza. Un discorso è l’incazzatura di cittadini, anche se sfociata in un’isteria reazionaria, altro è quello della crescente attività organizzata di neofascisti e razzisti.
Ai cittadini democratici e antifascisti lombardi chiediamo di fare la loro parte e di partecipare alla mobilitazione che le associazioni di Pavia stanno preparando per il 29 settembre.
 
di lucmu (del 06/12/2007, in Migranti&Razzismo, linkato 984 volte)
La legge regionale n. 6/2006 sui phone center, fortemente voluta da Lega e An, ha già provocato la chiusura di numerosissime attività. Infatti, lungi dall’essere una semplice regolamentazione di un settore commerciale, essa si configura piuttosto come un atto deliberato e xenofobo contro un settore economico dove molto forte è la presenza della piccola imprenditoria immigrata.
Non a caso, tutte le sezioni del Tar della Lombardia hanno già emesso delle sentenze che danno ragione ai ricorrenti e sollevato la questione dell’illegittimità presso la Corte Costituzionale. Ma non basta, quattro mesi fa era intervenuta persino l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, chiedendo formalmente a Regione Lombardia di modificare la legge in almeno due punti fondamentali.
Ciononostante, il centrodestra lombardo continua allegramente a fare orecchie da mercante, accusando il Tar di ingerenza e non sentendo nemmeno il bisogno di rispondere all’Autorità garante. Non c’è male per un Presidente e una coalizione che del libero mercato hanno fatto la loro bandiera. Ma si sa, qualcuno è sempre più libero degli altri e se poi sei immigrato, allora bisogna accontentare anzitutto la demagogia di Lega e An.
Per questo oggi abbiamo presentato un’interpellanza al Presidente Formigoni, chiedendogli di rispondere alle osservazioni e agli inviti dell’Autorità garante.
 
qui puoi scaricare il testo dell’interpellanza e la segnalazione dell’Agcm

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di lucmu (del 11/12/2007, in Migranti&Razzismo, linkato 1826 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto dell’11 dic. 2007 (pag. Milano)
 
L’iniziativa congiunta di associazioni e sindacati sulla questione rom a Milano, presentata ieri alla Camera del Lavoro, è una preziosa boccata d’ossigeno, specie in questo momento, in cui stanno per sbarcare anche a Milano le ordinanze xenofobe provenienti dai comuni di Cittadella e Caravaggio.
Finalmente una parte importante della società civile milanese ha deciso di rompere quell’assordante silenzio, che ha consegnato la città alla peggior demagogia e alimentato pericolosamente la “percezione di insicurezza” dei cittadini.
Pensiamo che sia giunto il momento che qualcuno chieda conto agli amministratori milanesi del loro operato nei confronti dei rom presenti sul nostro territorio. Il bilancio di oltre un anno di interventi repressivi e demolizioni è, infatti, pesantemente negativo e l’unico risultato concreto sta nell’aver introdotto a Milano il nomadismo coatto degli sgomberi.
Ma forse tutto questo fa comodo al centrodestra, più interessato a coccolare e coltivare le percezioni di insicurezza, piuttosto che a occuparsi dei problemi e delle macerie di 15 anni di abbandono delle periferie popolari. Dall’altra parte, ora che anche buona parte del Piddì veltroniano ha sposato la linea del “dagli addosso allo sfigato”, perché dovrebbero cambiare strada?
Ieri a Milano sono successe due cose: da una parte, un cartello di associazioni ha formulato delle proposte concrete e alternative alla psicosi securitaria e, dall’altra, la giunta Moratti sta pensando di riprodurre le misure anti-stranieri di Cittadella e Caravaggio. Due strade diverse e opposte, che rappresentano bene le scelte possibili da fare nella nostra città per il futuro.
Invitiamo pertanto tutte le forze di sinistra e democratiche della nostra città a sostenere l’iniziativa delle associazioni e a contrastare, senza ambiguità, la deriva xenofoba che le destre tentano di imporci.
 
qui puoi scaricare il documento delle associazioni
 

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di lucmu (del 14/12/2007, in Migranti&Razzismo, linkato 1171 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 14 dic. 2007 (pag. Milano)
 
Quanto è lontana la Svizzera da Milano! Proprio ieri il parlamento elvetico, con il voto determinante di una parte del centrodestra, ha deciso l’esclusione dal governo dello xenofobo Cristoph Blocher, nonostante la sua affermazione elettorale. Qui invece, nella città che si pretende europea, anzi cosmopolita, e sede dell’Expo 2015, il Sindaco Moratti ha annunciato che domenica marcerà insieme alla Lega e ai suoi sindaci, protagonisti della campagna xenofoba a suon di ordinanze.
Non siamo ingenui e siamo quindi consapevoli che la resa dei conti all’interno della ex-Casa delle libertà contempli l’utilizzo di ogni mezzo disponibile. E non ci sorprende nemmeno che una An in evidenti difficoltà, i neofascisti del duo Storcace-Santanché e certi politici buoni per tutte le stagioni, come Tiziana Maiolo, corrano dietro alla manifestazione leghista di domenica. Ma che lo intenda fare persino il Sindaco è un fatto grave e senza precedenti.
Il Sindaco non è un politico qualsiasi. E’ certamente espressione di una parte politica ed è vincolato al suo programma elettorale, ma una volta entrato in carica assume anche una rappresentanza più ampia, cioè, nel nostro caso, di tutta la città di Milano. E tanto più grande e importante è la metropoli, quanto più significativa è la sua responsabilità politica e istituzionale.
Eppure, come se fosse la cosa più normale del mondo, Lady Moratti abbraccia la piazza e la causa degli epigoni padani di Blocher, che appunto si mobilitano per imporre anche a Milano le ordinanze dei sindaci-sceriffi di Cittadella e Caravaggio. Ordinanze, tanto per ricordarcelo, che con la sicurezza non c’entrano un fico secco, ma che in cambio alimentano ulteriormente quel fiorente mercato della politica poltiglia, chiamato “percezione di insicurezza”, fornendogli nuovi e facili nemici.
Siamo turbati e stupefatti di fronte al comportamento del Sindaco Moratti, che a quanto pare non riesce più a cogliere la differenza tra governare una metropoli come Milano, con le sue tradizioni di civiltà e democrazia, e una cittadina della profonda provincia del Mississippi.
Ma siamo altrettanto preoccupati di fronte all’inconsistenza politica delle reazioni finora manifestatesi. E non ci riferiamo soltanto alla timidezza delle opposizioni, ma anche all’assenza di fatti concreti da parte di quei moderati del centrodestra che a parole si dicono contrari all’ennesimo salto di qualità nella caccia alle streghe.
Chiediamo pertanto, a chi di dovere, di impegnarsi affinché domenica non si compia lo scempio di un Sindaco di Milano che marcia dietro i nuovi vessilli della xenofobia militante.
Insomma, se non riusciamo proprio più ad essere milanesi, almeno cerchiamo di assomigliare un po’ più alla Svizzera e un po’ meno al Mississippi.
 
 
di lucmu (del 15/12/2007, in Migranti&Razzismo, linkato 1119 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 15 dic. 2007 (pag. Lombardia)
 
Cittadella e Caravaggio sono due piccoli comuni delle province di Padova e Bergamo, che probabilmente non si erano mai sognati di diventare famosi. Eppure, ora sono assurti a indiscussi alfieri della carica dei sindaci del lombardo-veneto, orchestrata e capitanata dalla Lega Nord.
Il grande merito –si fa per dire- dei loro sindaci-sceriffi è quello di aver emanato due ordinanze simbolo contro gli immigrati. La prima stabilisce che uno straniero, per ottenere la residenza, deve dimostrare di disporre di un reddito annuo superiore a 5mila euro e di vivere in un alloggio che risponda a determinati criteri di carattere edilizio e igienico-sanitari. Inoltre, istituisce una commissione comunale che valuta la “pericolosità sociale” dell’immigrato. La seconda, invece, decreta che uno straniero sprovvisto di permesso di soggiorno valido non possa contrarre matrimonio con un cittadino italiano.
Loro dicono che non si tratta di iniziative xenofobe, bensì di provvedimenti “per la legalità”. Ma, in fondo, è sufficiente buttare l’occhio sul manifesto della Lega che accompagna la campagna pro-ordinanze, che ha già raccolto l’adesione di molti piccoli comuni, per capire l’antifona. Infatti, si tratta della copia esatta del manifesto elettorale del razzista elvetico, Christoph Blocher. Quello delle pecore bianche che scacciano quella nera, tanto per intenderci.
Ora, potremmo liquidare ogni ulteriore discussione su tutto questo can can leghista, inquadrandolo nella ferocia resa dei conti in corso a destra. Infatti, dopo aver attraversato Bergamo a suon di insulti contro il Prefetto, la campagna è sbarcata a Milano, in vista della manifestazione della Lega di domani, incassando l’adesione del sindaco Moratti e mettendo in subbuglio tutto il centrodestra meneghino.
Tuttavia, ciò che importa in questa vicenda non è tanto la lotta intestina a destra, che al limite potrebbe anche farci piacere, quanto il fatto che l’arma impugnata per combatterla è il securitarismo xenofobo, ormai diventato uno dei principali canali di produzione di consenso, nonché terreno privilegiato dello scontro politico.
Insomma, siamo di fronte all’indegno epilogo –provvisorio- di un anno di incessante crescendo xenofobo, dove pesanti sono le responsabilità del Piddì veltroniano e di molti suoi sindaci che pensano di poter neutralizzare le destre, imitandole. L’unico risultato concreto di questa folle politica è sotto gli occhi di tutti, cioè quello di aver sdoganato definitivamente il gioco del “dagli addosso allo sfigato”. E così, se tu te la prendi con i lavavetri, io rilancio impedendo i matrimoni, e se tu gridi all’emergenza criminalità dei romeni, io mi metto ad accertare la “pericolosità sociale” di tutti gli immigrati.
Ma, diciamoci la verità, anche dalle nostre parti, cioè a sinistra, le cose non vanno benissimo. Troppo spesso prevale la voglia di volgere lo sguardo dall’altra parte, nella vana speranza che le cose si aggiustino da sole, e può succedere persino che qualcuno ceda. Comunque sia, alla fine l’unica conseguenza è che rimaniamo chiusi in un angolo, mentre le destre accumulano consensi e le tesi razziste acquisiscono legittimità.
Beninteso, siamo tutti consapevoli che non è facile ricostruire un orizzonte e una pratica politica e sociale che possano contrastare l’onda che sale, offrendo delle prospettive alternative e credibili. Ma continuare a rimuovere il problema e, dunque, non affrontarlo di petto non aiuta di sicuro, anzi rischia di diventare una gravosa ipoteca sul futuro delle sinistre nelle regioni del Nord.
 
 
È stato pubblicato il rapporto di Fortress Europe sulle vittime della frontiera europea. Nel solo mese di dicembre sono morti 243 tra migranti e rifugiati nel tentativo di raggiungere l’Europa. Così, l’anno 2007 si chiude con un bilancio di almeno 1.861 vittime. Erano stati 2.088 nel 2006. Difficile confrontare i dati, sottolinea il sito di Fortress, visto che si basano esclusivamente sulle notizie riportate dalla stampa e quindi non costituiscono cifre esaustive. Ma esaminando solo il numero delle vittime in mare, l’ultima tappa dei viaggi, i morti del 2007 sono 1.684, contro i 1.625 dello scorso anno.
Per saperne di più, visita il sito di Fortress Europe, curato da Gabriele Del Grande: http://fortresseurope.blogspot.com/
Sul sito potrai trovare informazioni numerose e sempre aggiornate sulle vittime della frontiera. Insomma, un sito da visitare spesso, per non dimenticare mai la realtà e non farsi travolgere dalle troppe menzogne e strumentalizzazioni in circolazione.
 
 
di lucmu (del 25/01/2008, in Migranti&Razzismo, linkato 993 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 25 genn. 2008 (pag. Milano)
 
Nel dicembre scorso, il sindaco di Milano, nonché ex-Ministro della Pubblica Istruzione, Letizia Moratti, salutò il vicino natale, inventandosi un nuovo e incredibile nemico della “sicurezza”: i bambini clandestini.
Molti pensavano a una boutade, ma stava terminando un anno segnato da un agghiacciante crescendo dell’isteria securitaria e xenofoba ed erano i giorni in cui la Lega sventolava le ordinanze anti-stranieri dei comuni di Cittadella e Caravaggio, mentre l’azione amministrativa della giunta comunale faceva acqua da tutte le parti. E così, la Moratti decise che le leggi, i principi e il buon gusto potevano andare a quel paese, si schierò con i xenofobi di professione e decretò l’esclusione dalle scuole materne comunali dei bambini irregolari. In altre parole, le famiglie prive di regolare permesso di soggiorno potevano iscrivere provvisoriamente i figli, a patto che presentassero il permesso entro il 29 febbraio. Dopo quella data, o c’è il permesso oppure si cancella l’iscrizione.
Per carità, non che prima i bimbi degli immigrati irregolari accedessero tranquillamente alle materne milanesi, anzi, ma scriverlo nero su bianco e trasformarlo in una martellante campagna propagandistica è un’altra cosa.
Chiunque conosca un po’ la realtà sa bene che una regola del genere colpisce ad ampio raggio. Cioè, non soltanto i bambini di genitori irregolari a tutti gli effetti, ma anche di quelli che lo sono temporaneamente, causa perdita del lavoro, oppure i tantissimi migranti costretti ad attendere per un tempo indefinito la consegna del “pezzo di carta”. Ma, in fondo, queste considerazioni non fanno altro che evidenziare ulteriormente l’ipocrisia e il cinismo dell’amministrazione comunale, poiché dovrebbe essere sufficiente l’idea stessa che un bambino possa essere punito a causa della condizione amministrativa dei genitori, per provocare un’indignazione collettiva.
Tuttavia, come ben sappiamo, quella indignazione non c’è stata o, almeno, non si è trasformata in mobilitazione. Anzi, a prendere l’iniziativa di contrasto più seria e incisiva è stato alla fine un uomo molto moderato, cioè il Ministro Fioroni, che il 21 gennaio ha avviato la procedura di revoca della parità alle scuole materne milanesi. Un atto dovuto, in realtà, visto che la circolare del comune sta violando una quantità impressionante di norme, dalla Costituzione alle norme comunitarie e internazionali, dal testo unico sull’immigrazione fino alla stessa riforma Moratti del 2003.
Ma se tutto ciò fa onore a Fioroni, di per sé non risolve il problema. E non soltanto perché la situazione a livello governativo è quella che è, ma soprattutto perché gli atti ministeriali non possono sostituire la politica. Infatti, la Moratti potrebbe giocarsi fino in fondo il conflitto, specie ora, considerato altresì che qualche sostegno esterno lo trova sempre, come indicherebbe la desolante critica al “diktat” di Fioroni da parte del solito Penati.
La voce che finora è mancata è quella dei milanesi, o meglio, di quelli che si indignano ancora di fronte al razzismo istituzionale. Ma ora una possibilità per manifestarsi c’è, con il “girotondo impertinente” in piazza della Scala di sabato prossimo, convocato nel quadro della giornata d’azione globale del Forum sociale mondiale. E non è il caso di fare gli schizzinosi, com’è nostra abitudine, sulle forme di mobilitazione. È un’occasione, la prima, per rompere il silenzio e quindi andrebbe semplicemente colta.
 
GIROTONDO IMPERTINENTE
contro il razzismo e per i diritti dell’infanzia
sabato 26 gennaio
ore 15.30
Piazza della Scala – Milano
 
qui puoi scaricare il volantino dei promotori
 

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