Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
di lucmu (del 09/06/2012, in Regione, linkato 933 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer pubblicato su il Manifesto il 9 giugno 2012 con il titolo “L’era di Formigoni è finita? Sì, se il Pd battesse un colpo”
 
Al Pirellone non è successo niente. La mozione di sfiducia contro Roberto Formigoni è stata respinta. Nessuna emozione, nessuna sorpresa, beninteso. L’esito era talmente scontato che mercoledì il capogruppo regionale del Pd, in vacanza su un’isola greca, non si è nemmeno presentato in aula. Già, la logica del potere è implacabile e la Lega, al di là delle sceneggiate padane, non ha alcuna intenzione di mollare il Presidente ciellino e, soprattutto, di segare il ramo sul quale sta comodamente seduta da oltre un decennio.
Formigoni ovviamente gongola, ma la sfiducia mancata non toglie nulla alla profondità  della crisi che lo attanaglia. Al massimo dimostra che la paura di perdere poltrone e privilegi è un potente collante e che dopo 17 anni di governo ininterrotto della stessa persona e dello stesso gruppo politico, di sovrapposizione tra pubblico e privato, di complicità e di clientele, cambiare le cose in Lombardia è faccenda che non può essere affidata all’improvvisazione.
La crisi del formigonismo è definitiva, terminale. Quel modello aveva perso la sua spinta propulsiva anni fa ed ora siamo al tirare a campare in un clima da basso impero, popolato da corrotti, trote, minetti, faccendieri, vacanze di lusso e pure un pizzico di ‘ndrangheta. Insomma, un ciclo politico è finito e il dopo Formigoni è già iniziato, anche se questa constatazione, di per sé, non ci fornisce alcuna certezza sui tempi, sulle modalità e sugli esiti.
Si, perché le cose da sole non cambiano in meglio, anzi rischiano di imputridirsi rapidamente, soprattutto oggi, con l’intero sistema politico esposto al discredito di massae con una crisi economica ed occupazionale sempre più devastante. In altre parole, la fuoriuscita celere dall’epoca formigoniana e la definizione di un’alternativa netta, chiara e trasparente rappresentano oggi la principale urgenza politica in Lombardia.
Eppure, sembra che l’opposizione a Formigoni venga fatta seriamente soltanto dalla Procura della Repubblica e questo è un guaio. Sia chiaro, il problema non sono i magistrati, che fanno (e faranno) semplicemente il loro mestiere, bensì la politica, che non lo fa a sufficienza, determinando così un pericoloso vuoto.
In questo senso, dissento profondamente da chi è intervenuto ultimamente, anche da posizioni contigue al centrosinistra, come Piero Bassetti (ex Presidente della Regione e sostenitore di Pisapia l’anno scorso), affermando che Formigoni non si debba dimettere nemmeno in caso riceva un avviso di garanzia. Certo, un ragionamento ineccepibile in punto di diritto, ma politicamente perlomeno sospetto. Infatti, come negare rilevanza politica alla quantità e alla qualità di indagati nell’entourage del Presidente e al fatto che un terzo della sua Giunta degli anni 2005-2010 risulti oggi inquisita per fatti di corruzione? O al piccolo particolare delle firme false per la presentazione della sua lista elettorale? Oppure al quadro desolante che emerge con sempre maggior forza dalle vicende San Raffaele, Fondazione Maugeri e vacanze pagate?
Insomma, la rilevanza politica è evidente, per i fatti in sé e per quello che raccontano sulla vera essenza di un sistema di potere, ormai irreversibilmente marcio. Se a questo aggiungiamo il fatto che Regione Lombardia è ormai letteralmente immobile, se non addirittura disinteressata, rispetto all’incalzante questione sociale e alla galoppante desertificazione produttiva, abbiamo completato il quadro dell’insostenibilità della situazione.
Appunto, il dopo Formigoni è già iniziato. Per questo, se non si vuole delegare la politica alla magistratura o consegnare il futuro della Lombardia a un grande accordo con Cl, a una sorta di formigonismo senza Formigoni, occorre che dal campo dell’opposizione emerga un’iniziativa urgente e un percorso unitario che porti alla definizione di un’alternativa politica per la Lombardia. Un percorso, sia chiaro, il più pubblico ed aperto possibile, a partire dallo svolgimento delle primarie, perché solo così si potrà seriamente tentare di recuperare un rapporto di fiducia con i ceti popolari ed evitare in partenza tragici errori, come quello che aveva portato due anni fa alla candidatura di Filippo Penati.
 
 
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale on line MilanoX il 24 luglio 2012
 
Il regno di Formigoni traballa, nel suo entourage è ormai uno stillicidio di guai giudiziari e l’immagine del Presidente al diciassettesimo anno consecutivo di governo regionale è decisamente ammaccata. Ma egli non è uomo dalla facile resa, anche perché gli interessi in gioco sono tanti, tantissimi, e così è passato al contrattacco, gridando persino al tentato golpe.
Tutto questo, però, è ampiamente noto e di dominio pubblico. Quello che invece si ignora, a meno di non essere dipendenti regionali, è che la controffensiva formigoniana ha anche un risvolto tutto interno alla macchina amministrativa. Già, perché i lavoratori e funzionari regionali, amministrativi e tecnici, sono un po’ stufi di essere associati con quell’allegra compagnia che ha guadagnato in tempo record le vette della cronaca giudiziaria. In altre parole, negli uffici il malumore serpeggia e non solo tra quanti e quante da tempo auspicano un cambio. E così, ai piani alti di Palazzo Lombardia avranno pensato che bisognava fare qualcosa per rendersi più simpatici.
Il risultato, tuttavia, non ci pare per nulla ottimo e si colloca da qualche parte tra il paternalistico, il ridicolo e il degradante, a riprova del fatto che i regimi in declino smarriscono anche la fantasia. Insomma, non hanno trovato nulla di meglio che rievocare scene che sembrano ispirate direttamente al mitico Fantozzi, con tanto di Mega Direttore Galattico che incontra i dipendenti, previa prenotazione e in gruppi non troppo numerosi, in un “momento informale” davanti a un aperitivo o un caffè, a seconda della posizione occupata nella gerarchia. Ebbene sì, perché c’è anche la prima e la seconda classe: se sei un dipendente sprovvisto di “posizione organizzativa”, allora ti tocca solo il caffè, altrimenti ti verrà concesso un aperitivo.
L’iniziativa si chiama “A tu per tu con il Segretario Generale” e viene ampiamente pubblicizzata sulla home page del portale intranet –su quella internet, accessibile a tutti i cittadini, non se ne trova ovviamente traccia- e l’adesione è volontaria, sebbene fortemente consigliata. L’obiettivo dichiarato di questi incontri informali, ma formalmente sponsorizzati, è il seguente: “Sarà l'occasione per valorizzare l'esperienza di ciascuno all'interno di Regione Lombardia e raccogliere spunti e riflessioni utili ad impostare al meglio il nostro lavoro e superare le criticità”. Appunto, le “criticità”…
Ma per capire fino in fondo il senso dell’iniziativa –e le evidenti “criticità” vissute dal formigonismo- bisogna ricordare chi è il Segretario Generale dell’Amministrazione regionale. Già, perché si tratta di Nicolamaria Sanese, figura chiave del potere formigoniano sin dal 1995 e più influente della maggior parte degli assessori. Sanese, Deputato DC vicino a Giulio Andreotti dal 1976 al 1994 e quattro volte Sottosegretario di Stato tra il 1983 e il 1989, controlla da sempre per conto di Roberto Formigoni la macchina regionale e in particolare i dirigenti, che rispondono prima a lui e solo dopo agli assessori di riferimento. Un uomo potentissimo, che non ama apparire e il cui nome viene pronunciato con cautela negli uffici regionali, ma che, considerate le circostanze, ha deciso di scendere in campo.
Ma com’è stata presa dai lavoratori e dalle lavoratrici della Regione la discesa dai piani alti del Mega Direttore Galattico? I numeri esatti delle prenotazioni per il caffè o l’aperitivo non si conoscono, ma quello che si sa è che un primo incontro si è già svolto, mentre il secondo (“Ancora a tu per tu con il Segretario Generale”) è in programma per il 2 agosto prossimo. Allo stato, stando alle informazioni su intranet, ci sono ancora posti liberi. Infatti, sui 40 posti per l’aperitivo sono disponibili ancora 25 e la stessa cosa vale per i caffè.
Non abbiamo ovviamente dubbi che alla fine i posti si riempiranno, perché su 2.800 dipendenti regionali ci sarà pure chi la pensa come Cl –e dopo 17 anni di governo consecutivo sarebbe alquanto strano il contrario-, il conformismo è sempre in agguato e, poi, in tempi di spending review è meglio non rischiare, ma certamente non si può parlare di un successo di pubblico.
Ma forse più dei numeri parla l’iniziativa in sé, che meglio di tante parole evidenzia lo stato delle cose, la confusione tra pubblico e privato e l’assoluta irriformabilità del formigonismo. Non posso dunque che augurarmi che i lavoratori e le lavoratrici di Regione Lombardia continuino a tenere duro, nonostante ci sia chi, Celesti e Mega Direttori Galattici, pensano che l’anima valga soltanto un caffè o al massimo un aperitivo.
 
 
E infine l’avviso di garanzia a Roberto Formigoni è arrivato, per corruzione con l’aggravante internazionale. Ieri, 25 luglio, la Procura di Milano ha dunque formalizzato quello che tutti già sapevano e invitato il Presidente della Regione Lombardia a presentarsi davanti i magistrati. Ma il problema non è solo giudiziario, anzi, è soprattutto politico.
Di seguito il testo dell’intervista sull’argomento, fattami dal quotidiano “il Manifesto” e pubblicata sul giornale in edicola oggi.
 
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Intervista / LUCIANO MUHLBAUER, ESPONENTE DEL PRC MILANO
«Il centrosinistra deve agire subito, come se si votasse domani mattina»
A cura di Luca Fazio – Milano
 
Le opposizioni chiedono elezioni subito. Non l'abbiamo già sentito troppe volte?
In realtà è persino noioso ripetere oggi la richiesta di dimissioni di Roberto Formigoni. Si tratta della stessa richiesta reiterata tutte le volte che diverse indagini lo [il suo entourage, NdA] hanno coinvolto con accuse molto pesanti, per fatti di corruzione e anche per presunta contiguità con la criminalità organizzata. Per non parlare dei suoi ex assessori indagati per fatti accaduti nella legislatura 2005-2010.
L'avviso di garanzia cambia le carte in tavola?
L'avviso di per sé non rappresenta certo una sorpresa, lo sapevano tutti che era indagato, il Corriere della Sera lo aveva anche sbattuto in prima pagina. L'unico a negare con forza era lui, Formigoni, ma lo faceva solo per portarsi avanti con l'autodifesa e togliere forza all'effetto sorpresa. Da settimane si discute di questa indagine e lui si è sempre difeso alzando il tiro, è arrivato a dire che si tratta di un tentato golpe giudiziario. Tutto è già stato detto e non credo che Formigoni cambi idea e strategia in proposito. Direi che oggi l'unica curiosità sta nel capire come si muoverà la Lega, visto che sono dieci anni che i leghisti governano insieme a lui al Pirellone.
Difficile che la Lega decida di sfidare le urne correndo il rischio di perdere la regione più importante.
La Lega è sempre stata attaccatissima alle sue poltrone e oggi lo è ancora di più a causa della gravissima crisi di consenso che sta vivendo, ma è anche vero che noi abbiamo il dovere di incalzarla su un argomento così delicato visto che proprio blaterando di legalità e scope per fare pulizia Roberto Maroni sta cercando di ribaltare la situazione. Ma il vero problema, lo sappiamo, è un altro: sono le opposizioni.
Appunto. Al di là dell'atto giudiziario, il sistema di malaffare è sotto gli occhi di tutti eppure non sembra che ci sia una alternativa politica qui in Lombardia.
Questa è la stessa domanda inevasa di sempre. Cosa fa la sinistra, cosa fa il centrosinistra? In questi ultimi mesi è apparso evidente che l'unica vera opposizione a Formigoni è la Procura della Repubblica di Milano, la quale, intendiamoci, fa solo il suo dovere. Ma dobbiamo avere ben chiaro che anche la migliore procura non potrà certo risolvere il nodo del collasso del sistema politico formigoniano. Questa impasse è un dramma per la Lombardia in un periodo di forte crisi come questo.
Formigoni non di dimette. Allora come se ne esce?
Il centrosinistra deve avviare immediatamente un percorso che porti alla definizione di un'alternativa di governo, con primarie vere e inclusive che allarghino la partecipazione ai tutti i movimenti e alle associazioni lombarde. Solo con un dibattito aperto possiamo arrivare ad un candidato credibile.
Siamo all'anno zero o ci sono già rumors su chi potrebbe sfidare la destra in Lombardia?
Nomi ne circolano anche troppi, ma non è il caso di dargli credito, il punto è che fino ad oggi le opposizioni non hanno voluto giocare fino in fondo questa partita che è tutta politica. Non è solo una questione di nomi.
Deboli o incapaci?
Diciamo che diciassette anni di formigonismo hanno fatto breccia anche nel campo delle opposizioni. Non mi riferisco solo al caso di Filippo Penati, il potente uomo che del Pd del nord a sua volta indagato con l'accusa di corruzione, parlo di una sudditanza di tipo culturale che riguarda anche il modo di gestire il potere. Il nodo irrisolto è cosa dovrebbe esserci dopo Formigoni. Cambiamo solo la guida del Pirellone o cerchiamo un'alternativa al cosiddetto modello lombardo? E come lo ridefiniamo il rapporto tra pubblico e privato? Questo nodo non è stato sciolto dalla forza politica più consistente, il Pd. L'unico modo per poterlo fare è consegnare ai cittadini un processo aperto e partecipato per costruire un'alternativa.
Un conto è dirlo...
Non c'è tempo da perdere, bisognerebbe cominciare questo processo di definizione di un'alternativa a partire da settembre, il centrosinistra dovrebbe lavorare come se le elezioni fossero domani mattina. Sfido chiunque a sostenere che in questa situazione sia possibile trascinarsi fino al 2015. Siamo già nell'era dopo Formigoni, ma più lenta sarà l'agonia più gravi saranno i danni per una regione già colpita dai tagli del welfare, dalla disoccupazione e della crisi delle attività produttive.
E l'idea che il Celeste se ne vada in parlamento approfittando delle prossime elezioni del 2013?
In questo momento Formigoni, come quasi tutto il ceto politico del Pdl, è ostaggio della crisi del centrodestra, e in assenza di sbocchi alternativi farà di tutto per aggrapparsi alla poltrona. Proprio per questo il suo inarrestabile declino rischia di essere tutt'altro che breve. Ma mettiamoci in testa che la magistratura non può bastare.
 
da il Manifesto del 26 luglio 2012
 
 
di lucmu (del 26/09/2012, in Regione, linkato 867 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sui giornali on line MilanoX e Paneacqua.info il 26 settembre 2012
 
Renata Polverini si è dimessa e la Regione Lazio va al voto. Roberto Formigoni, invece, non ci pensa nemmeno e così la Regione Lombardia continua a navigare a vista, senza più idee e progetti, se non quello di tentare di salvare i destini e gli interessi del Presidente e della sua cerchia.
Dicono che è giusto così, perché la Lombardia non è mica il Lazio e di fronte a certe desolanti scene da fine impero a spese del contribuente verrebbe quasi da dargli ragione. Già, Er Batman e Ulisse, le ancelle e i maiali, sono difficili da superare. E anche la trovata della Polverini di estendere il vitalizio ai suoi assessori non eletti (sic) non è facile da battere. Eppure, a guardare bene, al netto dei toga party la situazione in Lombardia è forse anche più grave.
E poi, non è nemmeno vero che in terra lombarda certe cose non succedono. In fondo, il bunga bunga è stato inventato in Brianza ed ha prodotto persino una consigliera regionale, tale Nicole Minetti, eletta nel listino del Presidente Formigoni (quello delle firme false, per intenderci). O vi ricordate di un certo trota oppure di tal Pier Gianni Prosperini, stella  fascistoide e xenofoba delle tv locali e soprattutto assessore di Formigoni, condannato per corruzione e turbativa d’asta, nonché tuttora indagato per traffico d’armi? Ma stile e sobrietà si cercano inutilmente anche nelle vicende di altri due ex assessori di Formigoni, Nicoli Cristiani e Ponzoni, finiti in carcere l’inverno scorso per corruzione. Il primo accumulava a casa sua banconote da 500 euro, mentre il secondo aveva persino ricevuto un boss della ‘ndrangheta all’assessorato.
Ovviamente, il Presidente Formigoni dice di non c’entrare nulla, esattamente come sostiene l’ex Presidente Polverini. Ma se la seconda è poco credibile, il primo dovrebbe addirittura far sobbalzare dalla sedia, visto che buona parte dei consiglieri regionali inguaiati sono suoi ex assessori, accusati peraltro di reati commessi quando facevano gli assessori. Un esempio? L’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale nominato all’inizio della legislatura è per quattro quinti inquisito per corruzione. Ebbene, a parte il contributo poco edificante del Pd con Penati, gli altri tre, cioè i già citati Nicoli Cristiani (Pdl) e Ponzoni (Pdl), nonché l’ex Presidente, Boni (Lega), erano tutti assessori di Formigoni fino alla primavera del 2010.
Ma la vera differenza con il Lazio sta da un’altra parte. In Lombardia Formigoni e Comunione e Liberazione governano in maniera ininterrotta da ormai 17 anni e in questo tempo si è formato, radicato e ramificato un sistema di potere, dove pubblico e privato si sovrappongono e si confondono. La conseguenza è un diffuso malaffare che trova il suo core business nella sanità, il settore che assorbe la maggior parte del bilancio regionale.
Infatti, in quello che Formigoni chiama “modello Lombardia” vi è una contraddizione intrinseca. Cioè, prima si mettono su un piano di totale parità soggetti pubblici e soggetti privati, ma poi questi ultimi non camminano sulle proprie gambe, ma campano integralmente sui contributi e rimborsi pubblici. In altre parole, i buoni rapporti con chi comanda in Regione è determinante per poter fare affari nella sanità. Lo sapevano bene Don Verzé e il San Raffaele e lo sapeva bene la Fondazione Maugeri, il cui incaricato del lobbying presso l’assessorato alla Sanità, cioè Pierangelo Daccò, era lo stesso che pagava le lussuose vacanze a Roberto Formigoni.
Sarà il processo a decidere se Formigoni è colpevole di corruzione, come sostiene la Procura, oppure no, ma da un punto di vista morale e politico una cosa è chiara ed cristallina da tempo: il sistema di potere costruito da Formigoni e Cl e sostenuto dalla Lega Nord, è marcio, irriformabile e un danno per la Lombardia.
No, la differenza tra Regione Lazio e Regione Lombardia non sta nel livello di degrado morale ed istituzionale, ma unicamente nella quantità di potere controllato dai protagonisti. Renata Polverini non aveva più una maggioranza e sarebbe stata mandata a casa dai consiglieri dimissionari. Ha semplicemente anticipato i tempi, cercando di salvare la faccia con una furbata. Formigoni, invece, può contare su un sistema di potere e di complicità che non si ferma ai confini del suo campo politico e finché la Lega lo sosterrà non ci sarà una maggioranza di consiglieri in grado di sciogliere il Consiglio con le sue dimissioni.
Eppure, dopo la vicenda Lazio qualcosa è cambiato. Oggi, Roberto Formigoni è un po’ meno legittimato nella sua arroganza e nel suo arroccamento. Certo, sarà düra, come dicono da un’altra parte, ma questo è il momento di agire, non per sostituire un presidente, beninteso, bensì per cambiare il modello. Oggi in Lombardia, questo è il tema per la sinistra.
 
 
di lucmu (del 10/10/2012, in Regione, linkato 1115 volte)
Intervento di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul sito MilanoInMovimento il 10 ottobre 2012
 
La misura è colma, decisamente e definitivamente. Con l’arresto dell’Assessore regionale alla Casa la ‘ndrangheta si è manifestata dalle parti del Palazzo della Regione non più come ombra o ipotesi, ma come dato di fatto e certezza giudiziaria.
Mancano ormai quasi le forze per commentare i continui scandali in Regione Lombardia, poiché non solo la lista si sta allungando all’inverosimile, ma soprattutto Formigoni non accenna a fare l’unica cosa ragionevole rimasta da fare, cioè dimettersi, mentre la Lega, quella che nei comizi esibisce le ramazze, continua a blaterare di cose incomprensibili e tenere in vita l’agonizzante governo Formigoni.
Ma la vicenda Zambetti deve essere commentata, assolutamente, perché nel suo immenso squallore evidenzia meglio di mille parole il grado di depravazione raggiunto dal sistema di potere formigoniano che domina la Lombardia da quasi un ventennio. Infatti, in essa si rispecchia la frontiera più avanzata ed estrema della corruzione morale e politica: l’incontro con il crimine organizzato, cioè con la ‘ndrangheta.
Domenico Zambetti, nella Giunta Formigoni sin dal 2005 e fino a stamattina Assessore regionale alla Casa, è stato arrestato con un accusa gravissima: compravendita di voti con la ‘ndrangheta e concorso esterno in associazione mafiosa. Oltre Zambetti, ci sono anche molti altri indagati ed arrestati, ma il dato di fondo che emerge dall’operazione è il medesimo: l’intreccio di rapporti tra criminalità organizzata, politica ed istituzioni.
Per quanto riguarda Regione Lombardia, scossa da innumerevoli inchieste giudiziarie, tra cui anche quella che riguarda il Presidente Formigoni, per la vicenda Maugeri-Daccò-Simone, non si tratta della prima volta che si palesa l’ombra della ‘ndrangheta. Già nel 2010, in occasione dell’operazione Infinito, saltò fuori il nome di un ex-assessore di Formigoni, cioè Massimo Ponzoni, definito negli atti dell’inchiesta come “capitale sociale” dell’organizzazione criminale.
Ponzoni era poi finito poi in carcere, ma per corruzione e non per i rapporti con la ‘ndrangheta, e anche in altre inchieste che riguardavano uomini di Formigoni sono poi emersi possibili rapporti con il crimine organizzato, ma mai questo tipo di relazione aveva trovato un’esplicitazione come ora. Ecco perché la vicenda Zambetti è di una gravità inaudita, anche per il marcio regno di Formigoni.
Su Zambetti non ci sono molte altre parole da spendere, perché quanto avvenuto stamattina contiene già di per sé un giudizio morale e politico. Soltanto una piccola cosa andrebbe però aggiunta, non perché sia particolarmente importante di fronte all’enormità della vicenda, ma perché forse meglio di tante cose più eclatanti riesce a darci la misura dell’immiserimento e dello squallore di una certa politica. E mi riferisco alla vicenda del Lambretta, cioè le villette Aler abbandonate di piazza Ferravilla a Milano, che un gruppo di studenti delle scuole della zona Lambrate aveva occupato a primavera.
Ebbene, l’Assessore Zambetti, insieme al presidente dell’Aler di Milano, nominato dalla Regione, era tra i più attivi ad esercitare pressioni su Prefetto e Questore per ottenere lo sgombero coatto del Lambretta, sebbene non esistessero progetti edilizi o abitativi esecutivi su quell’area. E, al di là delle tante piccole bugie, la base della richiesta di sgombero era la seguente: occupare è illegale. Già, ergersi a supremi difensori della legalità di fronte a un gruppo di giovani che aveva peraltro ripulito dal degrado e dallo spaccio delle case abbandonate, salvo poi far assumere la figlia di un boss della ‘ndrangheta dall’Aler, promettere case popolari ai clan e farsi eleggere in Consiglio regionale con i voti comprati dai boss… Insomma, che dire?
A questo punto le parole sono davvero finite, anche perché le parole non servono più. Servono i fatti e per avere dei fatti, occorre che ci sia una presa di coscienza ampia tra i lombardi e le lombarde, ben oltre a quelli e quelle che già oggi pensano e dicono che Formigoni si debba dimettere. Già, perché se non si chiude rapidamente con l’era Formigoni e con quel marcio sistema di potere che gravita attorno al governo regionale, rischiamo che invece di discutere di alternative valide, radicali e democratiche, finiamo tutti e tutte sommersi dalle macerie e dal fango.
 
 
di lucmu (del 31/10/2012, in Regione, linkato 1032 volte)
17 anni di potere sono troppi per chiunque. Si finisce inevitabilmente per confondere le cose, il mio e il tuo, il privato e il pubblico, e per sentirsi un po’ il Re Sole della situazione. È capitato anche a Roberto Formigoni e, quel che è peggio, continua a capitargli. Già, perché voi mica crederete che la fine del suo ventennio e le inchieste per corruzione e persino per ‘ndrangheta che hanno decimato il suo entourage -e che vedono lui stesso indagato- abbiano cambiato qualcosa? Ma figuriamoci, anzi, come prima e più di prima.
E così, in questi giorni i lavoratori e le lavoratrici di Regione Lombardia, quasi tremila in tutto, sono stati convocati in quattro gruppi in una delle sale conferenze più capienti del nuovo Palazzo Lombardia, ufficialmente per “fornire una tempestiva e chiara comunicazione sull'evoluzione del quadro istituzionale ed amministrativo regionale”. In realtà, al di là di banalità ed ovvietà, tipo la Regione non chiude e si continua a lavorare, il senso era ascoltare un Roberto Formigoni su di giri, comiziante e autoincensatorio.
Non è la prima volta che Formigoni tratta gli impiegati e funzionari regionali come se fossero dipendenti personali suoi, con l’aggiunta di quel peloso e paternalistico “noi” che comprende non solo il plurale maiestatis, ma anche chi gli sta di fronte. Vi ricordate delle scene fantozziane, quando a luglio il Segretario Generale della Regione, Sanese, convocava gruppi di dipendenti a un caffè per Formigoni? Ebbene, ora siamo oltre, perché dal caffè del megadirettoregalattico siamo passati al catechismo, elargito direttamente dal celestiale presidente.
Certo, cerchiamo di riderci sopra, perché mai come nelle situazioni serie bisogna evitare di perdere il senso del humour, ma in realtà siamo di fronte a una fedele e triste fotografia di un potere che si sta sgretolando sotto il peso del suo marciume, ma che non ha perso un briciolo della sua protervia di fronte alla debolezza di avversari ed alleati.
Se un marziano appena sbarcato sulla terra fosse capitato in una di queste “conferenze”, non avrebbe capito perché in Lombardia si vada ad elezioni anticipate e dove stia il problema. Insomma, a giudicare dalle parole di Sanese e di Formigoni, in Regione Lombardia non è successo nulla di eclatante e si va ad elezioni ravvicinate perché “i consiglieri regionali si sono dimessi” e “la maggioranza è venuta meno”. Neanche mezza parola è stata dedicata a quisquilie come l’immoralità pubblica, la corruzione dilagante o le infiltrazioni della ‘ndrangheta fin dentro la Giunta regionale. Gli Zambetti, i Ponzoni eccetera, gli amici, gli assessori e gli ex assessori di Formigoni, tutti quanti spariti, anzi mai esistiti. E così, miracolosamente, rimane solo il “buon governo”, le “eccellenze” e “le mie buone idee”.
Orbene, nessuno è tanto ingenuo da pensare che Formigoni, improvvisamente folgorato sulla via di Damasco, si possa esibire in una pubblica autocritica. Ma da un politico, come lui, che si ritiene uno statista e l’incarnazione del buon governo, è il minimo pretendere che abbia qualcosa da dire sullo stato desolante della moralità, per usare un eufemismo, nella Regione da lui governata da 17 anni! E a maggior ragione questo vale quando si prende parola formalmente dentro l’istituzione e davanti al personale regionale.
Formigoni ha scelto l’arroganza del potere, la mistificazione e l’omissione. E, strizzando l’occhio alla campagna elettorale, ha voluto dare la linea al personale regionale. Ma gli autunni dei patriarchi sono implacabili e alla fine gli applausi che ha raccolto erano pochi e tiepidi, anzi, più ti allontanavi dalle prime fila, cioè dal tavolo della presidenza, più si facevano rari. Peraltro, anche i caffè pro Formigoni organizzati da Sanese qualche mese fa si erano risolti in un insuccesso di pubblico.
Insomma, possiamo chiudere con una nota di ottimismo. In tutti questi anni di strapotere formigoniano e ciellino, di occupazione di posti e gerarchie, gli impiegati, i tecnici e i funzionari regionali sono riusciti a preservare in grandissima parte non solo le significative professionalità presenti nell’ente, ma anche l’indipendenza di giudizio. Sarà anche per questo che, nonostante il malaffare e a volte anche le incompetenze ai piani alti, la macchina amministrativa è andata avanti lo stesso. In altre parole, se cercate delle eccellenze, non cercatele nelle chiacchiere di ciellini e leghisti, ma tra i lavoratori e le lavoratrici.
 
Luciano Muhlbauer
 
 
In Lombardia l’unica certezza è che Formigoni è finito, ma quanto al formigonismo, vabbè, è tutta un’altra storia. 17 anni sono infatti un tempo lunghissimo, che non solo annebbia la mente degli uomini, ma soprattutto sedimenta un sistema di potere pervasivo e un intreccio di interessi e complicità allargato, dove pubblico e privato, lecito ed illecito si confondono strutturalmente.
Forse a qualcuno questa premessa potrà sembrare superflua o persino banale, ma sono ancora troppi quelli chepensano, magari in virtù di un comprensibilissimo sospiro di sollievo trattenuto per troppi anni, che sia sufficiente togliere Formigoni per togliere anche il dolore. Ahinoi, però, le cose sono più complicate, da ogni punto di vista.
Primo, il fatto che il regno di Formigoni sia stato travolto dagli scandali, dal malaffare e persino dall’infiltrazione mafiosa, non significa affatto che le destre lombarde siano sconfitte. Anzi, gli interessi da salvaguardare sono molti e in Lombardia, che non va confusa con Milano, l’egemonia culturale delle destre non si è ancora spezzata. Ed è per questo che i capi di Pdl e Lega tenteranno di tutto per evitare di correre divisi.
Secondo, tutta la vicenda poco edificante delle primarie regionali, che prima c’erano, poi non c’erano più e, infine, sono tornate in versione civica, in fondo altro non è che la fotografia dello stato delle cose, cioè di un’opposizione, politica e sociale, che si è fatta cogliere impreparata di fronte all’appuntamento più annunciato dell’anno. Già, 17 anni sono un tempo lunghissimo anche per chi sta all’opposizione.
Terzo, se è vero com’è vero che Lega, Pdl e dintorni costituiscono la continuità con il formigonismo, non è assolutamente sufficiente battere le destre nelle urne perché si produca automaticamente una discontinuità. In altre parole, il punto non è semplicemente mandare a casa quanti hanno malgovernato la Regione, bensì rompere con il sistema che quel malgoverno l’ha generato, ripristinando dunque l’indipendenza dell’istituzione rispetto ai gruppi politico-affaristici e la preminenza dell’interesse pubblico su quello privato.
Quarto, le elezioni si vincono soltanto se ci sono i voti, cioè le persone in carne ed ossa che decidono di scegliere una proposta di cambiamento, piuttosto che optare per l’astensione o il vaffà generalizzato, considerato che il M5S non sembra porsi il problema di un governo regionale alternativo a quello delle destre. Lo so, questa la sapevate già, ma melius abundare visto che ultimamente girano delle storie fantastiche su come erano andate le cose nella primavera milanese e che alcuni pensano che per vincere in Lombardia sia sufficiente occuparsi del mitico centro, già dimentichi di anni di lamenti tipo “ma perché gli operai Fiom votano la Lega?”.
Insomma, oggi in Lombardia non è soltanto necessario, ma anche possibile voltare pagina ed impedire un revival delle destre, a patto però di fare sul serio, di costruire una coalizione plurale, che includa le aspirazioni e anche le incazzature di quanti e quante in questi anni hanno resistito, lottato e praticato alternative. E che metta al primo posto quello che per Formigoni e la Lega arrivava sempre dopo, cioè il lavoro, inteso come occupazione e come persone dotate di dignità e diritti, i beni comuni, la scuola pubblica, il diritto alla salute, lo stop al consumo di suolo, la mobilità alternativa all’automobile eccetera.
Tutto questo non c’è ancora, ovviamente, ma ci sono appunto le primarie lombarde, che si terranno il 15 dicembre e che servono non soltanto e tanto per scegliere un uomo o una donna, ma soprattutto per costruire in forma pubblica, trasparente e possibilmente partecipata il programma. E c’è anche un candidato presidente, Andrea Di Stefano, che rappresenta più che bene i contenuti che abbiamo ricordato.
Io ho deciso di sostenere Andrea Di Stefano e penso che la sua candidatura alle primarie sia un’opportunità per tutta la sinistra lombarda, non solo politica, ma anche sociale e di movimento.
 
Luciano Muhlbauer
 
(questo articolo è stato pubblicato anche sui siti MilanoX e Lavorincorsasinistra e sul quotidiano il Manifesto del 23 novembre)
 
Per un’altra Lombardia, sostieni la candidatura di Andrea Di Stefano alle primarie lombarde: www.perunaltralombardia.it
 
 
Sabato 15 dicembre si tengono in Lombardia le primarie civiche per decidere chi sarà il candidato presidente che andrà a sfidare ciellini, leghisti e berlusconiani alle elezioni regionali anticipate e quale sarà il profilo programmatico della coalizione che avrà l’arduo compito di produrre un cambiamento e una discontinuità vera dopo quasi 18 anni di governo ininterrotto da parte di Roberto Formigoni e della sua cricca.
Rispetto alle recenti primarie nazionali di Pd e Sel saranno consultazioni più semplici, perché non ci sono trafile burocratiche e preiscrizioni, e più aperte, poiché possono votare anche i sedicenni e non ci sono appelli e carte d’intenti da firmare preventivamente. Insomma, sono un’occasione di partecipazione da cogliere e vi invito pertanto ad andare a votare –e di far votare- alle primarie lombarde. E vi propongo anche di esprimere la vostra preferenza per Andrea Di Stefano.
Ma andiamo con ordine, anche per tentare di contrastare un po’ la carenza di informazione che c’è su queste primarie.
 
 
Quando? Dove? Come? Chi?
 
Si vota in una sola giornata, cioè sabato 15 dicembre, dalle ore 8.00 alle ore 20.00. Unica eccezione, per quanti e quante sabato lavorano tutto il giorno, sono alcuni seggi speciali (a Brescia, Monza, Milano -via Pergolesi, 15, h. 17-22-, Bergamo, Cremona, Crema, Lecco, Lodi e Varese), aperti già venerdì sera. Ma per poter accedere a questi occorre fare richiesta entro giovedì alle ore 20.00 ai coordinamenti provinciali.
Si vota nel seggio più vicino alla propria residenza. Per sapere dov’è occorre fare riferimento al numero della sezione elettorale (lo trovate sulla vostra tessera elettorale) e andare sulla pagina Trova il tuo seggio del sito del patto civico lombardo. Chi invece è sprovvisto di tessera elettorale, perché minorenne o cittadino straniero, si deve recare semplicemente al seggio più vicino alla propria residenza. Chi fosse impossibilitato a recarsi al proprio seggio e intende votare fuori sede, deve fare apposita richiesta al coordinamento provinciale entro giovedì alle ore 20.00.
Per poter votare è sufficiente presentarsi al proprio seggio di appartenenza, munito di carta d’identità (e permesso di soggiorno, per i cittadini non comunitari) e tessera elettorale (per chi ce l’ha, ovviamente), versare almeno un euro come contributo alle spese organizzative e fornire i propri dati anagrafici.
Hanno diritto di voto in queste primarie tutte le cittadine ed i cittadini italiani e dei paesi comunitari, residenti in Lombardia, nonché le cittadine ed i cittadini di paesi non comunitari, residenti in Lombardia e in possesso del permesso di soggiorno e della carta d’identità. Per poter votare bisogna aver compiuto i 16 anni entro il 15 dicembre 2012.
Comunque, per tutte le informazioni o eventuali interrogativi consultate il sito ufficiale del Patto Civico per la Lombardia: http://www.pattocivicolombardia.it/
 
 
Perché andare a votare alle primarie lombarde?
 
Ovviamente, non tutti gli uomini e le donne che pensano che occorra voltare pagina dopo il ventennio formigoniano sono anche convinti che bisogna andare a votare alle primarie. E ci mancherebbe altro, visti i tempi che corrono e le troppo delusioni e incazzature accumulate. Poi ci sono state le modalità non proprio edificanti con le quali siamo arrivati a queste primarie (do you remember?), il poco tempo a disposizione per farle vivere sul territorio e per far conoscere i candidati e, infine, una certo senso di overdose da primarie dopo quelle nazionali. Poi ci sono anche le diffidenze di sempre rispetto ad uno strumento considerato troppo amerikano e troppo maggioritario e tante altre cose ancora.
In tutti questi dubbi e in tutte queste sensazioni ci sono sicuramente dei pezzi di verità, ma poi c’è anche un altro pezzo e un altro ragionamento, che penso sovrastino tutti gli altri. Per prima volta dopo tanti anni c’è la possibilità concreta, sebbene per nulla facile o scontata, di produrre un cambiamento in Lombardia, di mandare a casa i responsabili del malgoverno, dell’affarismo e delle false eccellenze. In altre parole, non si va ad elezioni per partecipare, ma per cercare di vincere. Sarebbe stato davvero da pazzi, dunque, se le scelte da fare fossero state affidate a qualche stanza chiusa, se di segreteria o di salotto poco importa, invece che a una contesa e a un confronto pubblico e trasparente sulle persone e, soprattutto, sui programmi.
In altre parole, con tutti i suoi difetti e con tutto il poco tempo a disposizione –ma su questo non possiamo farci molto, visto che si voterà probabilmente già a febbraio-, queste primarie sono comunque un fatto positivo e un’occasione da non sprecare per contribuire dal basso alla definizione delle scelte e alla costruzione del percorso che ci porterà alle elezioni vere e proprie.
 
 
Perché votare Andrea Di Stefano?
 
In queste primarie si sono confrontate tre persone certamente dignitose e di indubbia moralità. Queste caratteristiche ovviamente non bastano per fare un programma di governo, ma visto come siamo messi attualmente in Regione, tra ruberie ed ‘ndrangheta, non è nemmeno poco, anzi!
Ma appunto, non basta, né per governare, né per cambiare. E da questo punto di vista Umberto Ambrosoli, Alessandra Kustermann e Andrea Di Stefano presentano profili e priorità diversi. L’esito delle primarie, con il suo vincitore, ma anche con i suoi numeri e le sue proporzioni, ci diranno dunque molto sul programma della coalizione, che io penso debba essere di rottura e discontinuità con il regime formigoniano non solo nelle persone, ma anche nel modello, nel sistema di potere e nelle priorità sociali e politiche. Ed è esattamente per questo che avevo sostenuto da subito la candidatura di Andrea Di Stefano e che ora vi invito a votarlo alle primarie!
Vi risparmio un altro fiume di parole per argomentare perché ritengo Andrea un ottimo  candidato per la presidenza della Lombardia e rinvio a questo proposito, per chi fosse interessato, a quanto avevo scritto il 22 ottobre scorso (vedi Con Andrea Di Stefano per voltare pagina sul serio), aggiungendo soltanto che queste ultime settimane di confronti, assemblee eccetera  mi hanno confermato assolutamente nelle mie convinzioni iniziali.
Quindi, prima di chiudere, mi limito ad un’unica considerazione, che mi pare però necessaria alla vigilia del voto di sabato. In queste settimane in molti si sono accorti che la candidatura di Andrea Di Stefano, inizialmente sottovalutata da molti, non era un gioco, ma una cosa seria. E tanti, che magari prima non lo conoscevano, hanno potuto conoscere ed apprezzare la sua competenza e la sua serietà. E così, è successo che in questi giorni qualcuno abbia pensato bene di riesumare argomenti un po’ vecchi e un po’ tristi, ma che evidentemente pensa efficaci: cioè, dipingere Andrea Di Stefano come rappresentante di una sinistra minoritaria e votata alla sconfitta permanente e, in ultima analisi, come uomo incapace di essere il candidato presidente di una coalizione competitiva.
Comunque, non sono soltanto argomenti tristi, ma soprattutto argomenti espressione di una visione distorta della realtà, che postula, alla faccia dell’esperienza concreta, che per vincere in Lombardia sia sufficiente spostarsi al centro. Già, perché in troppi fanno finta di non sapere che la rincorsa del centro è la cifra della politica dominante del centrosinistra lombardo da un po’ di tempo, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, specie quelli delle regionali del 2010.
No, il problema principale per una coalizione che intende battere le destre in Lombardia è convincere e coinvolgere gli elettori che desiderano un cambiamento in Regione, ma che magari si sono arresi alla delusione o alla rassegnazione, che forse non votano più o che votano per protesta. In altre parole, le destre non si battono al centro, ma in basso e in periferia. In fondo, pur nella consapevolezza che la regione non vada confusa con il suo capoluogo, questo è stato anche l’insegnamento della primavera milanese.
 
Ebbene, qui mi fermo. Mi raccomando, se sabato prossimo non siete proprio dall’altra parte della galassia, andate a votare e votate Andrea Di Stefano!
 
Luciano Muhlbauer
 
 
Alle primarie lombarde ha vinto Umberto Ambrosoli, che sarà dunque il candidato presidente della coalizione che tenterà di chiudere finalmente con i quasi 18 anni di dominio delle destre in Lombardia. Gli faccio i miei complimenti. Ma soprattutto penso che dobbiamo fare i complimenti ad Andrea Di Stefano, cioè colui che in queste primarie si è caricato sulle spalle il difficile compito di dare rappresentanza e consistenza a una proposta di sinistra, di netta rottura con la logica del formigonismo e del leghismo. Penso che Andrea sia riuscito splendidamente in questo compito, come dimostra il suo 23,23% (il 28,81% a Milano città) di consensi, non cadendo mai nel tranello dell’autoreferenzialità o in quello, opposto ma uguale, della troppa disinvoltura tattica. Grazie Andrea!
Alle primarie sono andate a votare 150mila elettori ed elettrici. Sono meno della metà delle recenti primarie nazionali di Pd e Sel, ma questo in fondo non deve sorprendere, considerati i tempi strettissimi e il silenzio mediatico. E poi ci si è messa pure la neve. In ogni modo, sono numeri che ci dicono che molta strada è ancora da fare nel poco tempo che ci separa dalle elezioni, ma anche che forse qualcosa è iniziato a cambiare, visto che questi 150mila sono già una bella differenza con le piazze finora troppo vuote (tranne gli studenti) di fronte al manifestarsi, oltre ogni ragionevole dubbio, del marcio al Palazzo della Regione.
Ritengo, inoltre, che le percentuali che escono dal voto di ieri siano una fedele fotografia dello stato d’animo dell’elettorato di centrosinistra e di sinistra della Lombardia. Ambrosoli ha vinto chiaramente con il 57,66%, ma gli altri due candidati, Di Stefano e Kustermann, che ambedue si sono caratterizzati per posizionarsi più a sinistra, hanno nel loro insieme raccolto il 42% dei consensi in Lombardia, che diventano ben il 49% a Milano città. In altre parole, queste primarie affermano a chiare parole che senza sinistra e senza una parte significativa delle sue proposte non si potrà vincere la partita, cioè sarà molto difficile convincere una parte importante del “proprio” elettorato di andare alle urne e votare per la coalizione.
Infine, il risultato di Andrea Di Stefano è ottimo (23,23% in Lombardia, 27,87% a Milano città e provincia, 28,81% a Milano città) e in questi ultimi giorni qualcuno aveva persino iniziato a credere in un “miracolo”. Ma soprattutto questo risultato rappresenta un segnale preciso per tutta la sinistra, sia quella parte che l’ha sostenuto apertamente, sia quella che si è persa nei tatticismi, sia quella che non è andata al votare. Cioè, la Lombardia sarà pure una Regione ostica per la sinistra, ma non esageriamo, perché quando si fa sul serio, quando mettiamo da parte un attimo i nostri vizi e difetti, che non sono pochi, allora vediamo arrivare anche i risultati. E la concretezza, la trasparenza e la credibilità di Andrea Di Stefano l’hanno dimostrato con i numeri.
Insomma, per concludere questo ragionamento a caldo (ma sarà dura avere prossimamente a disposizione il tempo per fare analisi “a freddo”…),  penso che dobbiamo andare avanti sulla strada intrapresa, insieme ad Andrea ovviamente, per portare alcuni punti cardini del programma di Di Stefano nel programma di coalizione e per tradurre questa esperienza anche in un’opzione politica che gli elettori e le elettrici possono scegliere alle elezioni regionali.
Se e come queste cose accadranno o potranno accadere lo vedremo già in questi giorni. Comunque, importante è lavorare da subito nella giusta direzione e metterci in testa che questa volta dobbiamo fare la ciambella con il buco!
 
Luciano Muhlbauer
 
P.S. per tutti i risultati dettagliati delle primarie civiche regionali del 15 dicembre vai su  www.pattocivicolombardia.it
 
 
Si parte con la campagna elettorale per le elezioni regionali lombarde che si terranno il 24 e il 25 febbraio. Finalmente, direi, perché in realtà siamo noi, cioè quelli e quelle che vogliono voltare pagina dopo quasi 18 anni di formigonismo, che non eravamo ancora partiti, mentre loro, cioè quelli che vogliono che nulla cambi, sono partiti da tempo. Anzi, non solo sono partiti, ma hanno anche già chiuso i battenti del teatrino padano, rifacendo esattamente la medesima alleanza che ha malgovernato la Lombardia fino ad oggi, cioè Lega-Cl-berlusconiani-postfascisti.
Non sarà facile cambiare le cose in Lombardia, perché loro, nonostante scandali, corruzioni e ‘ndrangheta, sono ancora forti e, soprattutto, disposti a qualsiasi cosa pur di non mollare potere, privilegi ed interessi affaristici. Non sarà facile, appunto, ma è possibilissimo questa volta, a patto che ci diamo una mossa, che ci crediamo e che di-mostriamo di fare sul serio.
E non sarà nemmeno sufficiente vincere nelle urne per cambiare le cose, perché 18 anni sono tanti anche per chi ha subito il potere delle destre. Ci vorrà una bella dose di innovazione, ma soprattutto di capacità di far irrompere nel “palazzo” gli interessi, le esigenze e le aspirazioni dei lavoratori e delle lavoratrici, dei precari, di chi il lavoro l’ha perso e di chi lo sta cercando, dei movimenti e della cittadinanza attiva. In altre parole, ci vorrà una sinistra credibile e forte o, detto molto più semplicemente, una sinistra che faccia il suo mestiere. E anche questo è possibile, perché questa volta c’è qualcosa di nuovo, cioè la lista nata dall’esperienza delle primarie lombarde animata da Andrea Di Stefano: si chiama “Etico – Per un’altra Lombardia - A Sinistra” (vedi http://www.perunaltralombardia.it/).
Il simbolo è nuovo, il nome anche. Ma ci abitueremo, anche perché a guardare bene quel simbolo non è male, anzi è pieno di storia e significati. E soprattutto abbiamo finalmente qualcosa di nuovo a sinistra che unisce, invece che dividere, anche se purtroppo non è riuscito ad unire tutto quello che si poteva. Pazienza, non servono le polemiche, serve andare avanti, perché la strada è quella giusta, e così, spero, domani riusciremo a fare quello che non siamo riusciti a fare oggi.
Abbiamo dunque la possibilità di chiudere con questi 18 anni di Formigoni in Lombardia e abbiamo la possibilità che nella coalizione che sostiene la candidatura a presidente di Umberto Ambrosoli ci possa essere una presenza non marginale, ma significativa della sinistra politica e sociale. Io penso che dobbiamo giocarcela, che dobbiamo provarci, seriamente.
Per quanto mi riguarda, ho deciso di fare la mia parte, candidandomi a consigliere regionale per la lista “Etico – Per un’altra Lombardia - A Sinistra” nel collegio di Milano (che coincide con il territorio della provincia).
 
Per ora c’è solo questo mio annuncio, ma a breve arriveranno anche un po’ di materiali per la campagna elettorale. Forse qualcosa già domani. Anche questo blog cambierà un po’, con una parte dedicata proprio alla campagna elettorale. E altre cose ancora.
Comunque, chi volesse dare una mano e ha già deciso di farlo, può sin d’ora segnalarlo a questa mail sostengomuhlbauer@gmail.com
 
Luciano Muhlbauer
 
 
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