Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
di lucmu (del 27/06/2008, in Pace, linkato 1256 volte)
Quando si dice “scudo stellare” molti pensano a qualche pellicola holywoodiana, altri si ricordano dei velleitari progetti di militarizzazione dello spazio di Ronald Reagan, ma solo pochi sanno che si tratta di un sistema d’armamento statunitense in fase di realizzazione, anche sul suolo europeo.
Infatti, per completare lo scudo anti-missilistico, che intende coprire sia gli Usa che l’Europa, è prevista la costruzione di due nuove basi militari statunitensi al fine di ospitare una stazione radar e una batteria missilistica, rispettivamente nella Repubblica Ceca e in Polonia. Cioè, a ridosso dei confini della Federazione Russa.
Secondo il governo degli Stati Uniti si tratta di un’operazione meramente difensiva, destinata alla protezione dell’Europa da eventuali attacchi missilistici provenienti dal Medio Oriente. Ma la Russia, ovviamente, ci crede poco e ha già annunciato delle contromisure sul piano militare.
Peraltro, ci crede poco anche lo stesso Pentagono, visto che la sua principale agenzia di ricerca, la Rand Corporation, afferma senza mezzi termini che “non si tratta solo di uno scudo, ma di un’abilitazione all’azione”. Insomma, non era poi un caso che il trattato Abm, siglato nel lontano 1972 da Usa e Urss, avesse vietato espressamente tali sistemi anti-missilistici. Ahinoi, su iniziativa del presidente Bush, gli Usa si sono ritirati unilateralmente da tale trattato nel 2002.
A breve il parlamento della Repubblica Ceca sarà chiamato a decidere sulla nuova base radar voluta dagli Usa, ma alla popolazione viene negata la possibilità di esprimersi con un referendum popolare, nonostante fosse stato richiesto da un combattivo movimento popolare. Chissà perché, forse perché è risaputa la diffusa ostilità dei cechi nei confronti del progetto?
Negare alla popolazione di potersi esprimere liberamente e democraticamente su questioni di tali rilevanza è sbagliato comunque, a Vicenza come nella Repubblica Ceca. E ancora più sbagliato sarebbe pensare che si tratti di una questione che non riguarda il resto dell’Europa, poiché non occorre essere dei geni per capire che la realizzazione dello “scudo stellare” sul territorio europeo alimenterebbe una nuova corsa agli armamenti e l’instabilità globale.
Per questi motivi 12 consiglieri regionali della Lombardia (Muhlbauer, Squassina O., Agostinelli, Squassina A., Cipriano, Monguzzi, Civati, Saponaro, Prina, Gaffuri, Fabrizio e Oriani) di Prc, Sd, Verdi e Pd hanno raccolto l’appello lanciato dal movimento anti-base ceco, depositando in Consiglio regionale una mozione con la quale si chiede che Regione Lombardia si attivi nei confronti dell’Unione Europea, affinché ai cittadini della Repubblica Ceca venga garantito il diritto di potersi esprimere mediante referendum popolare.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui sotto puoi scaricare il testo della proposta di mozione depositata
Quante parole erano state spese da Formigoni e dalla sua maggioranza per magnificare il nuovo Statuto “’d’autonomia” della Regione Lombardia. E per celebrarlo a dovere lunedì scorso era stata persino organizzata un’edizione speciale della “festa dello statuto”, con tanto di giochi di luce che illuminavano il Pirellone. Eppure, a soli tre giorni dai festeggiamenti, Formigoni e i suoi hanno già iniziato a violarlo.
Infatti, l’articolo 11 dello Statuto nuovo di zecca, dedicato all’uguaglianza fra uomini e donne, recita testualmente: “La Regione promuove il riequilibrio tra entrambi i generi negli organi di governo della Regione”. Detto, fatto! E con il rimpasto di Giunta, presentato oggi ufficialmente alla stampa, l’unica donna assessore che era presente nel principale organo di governo della Regione è stata sostituita con un maschio.
Ma forse siamo noi a non aver compreso bene il termine “riequilibrio” e l’interpretazione autentica va cercata nelle parole del pretendente alla vicepresidenza della Lombardia, l’assessore Piergianni Prosperini. Non ci riferiamo alle sue esternazioni sulla necessità di “garrotare i gay” che gli avevano regalato la notorietà nazionale, bensì al suo meno noto intervento in Aula consiliare in occasione del dibattito sul nuovo Statuto, dedicato interamente a una requisitoria contro “questa strana cosa che sono le pari opportunità”.
Povera Lombardia! Non rimpiangiamo certo l’ex assessore Viviana Beccalossi, da cui ci divide un abisso politico, ma che ora ci si trovi addirittura con un governo regionale composto da soli maschi ci pare essere un pessimo segnale.
Proprio in Lombardia, i cui governanti pretendono essere l’avanguardia d’Italia, si registra un pesante arretramento culturale. Ce n’è da riflettere per tutti i lombardi e, soprattutto, per tutte le lombarde.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 25/06/2008, in Casa, linkato 998 volte)
Il Consiglio regionale straordinario sulla casa si è concluso con un centrodestra che cerca di salvare capra e cavoli. Da una parte, ha dovuto formalizzare l’impegno a procedere in tempi brevi ad alcune modifiche della legge regionale n. 27 sui canoni, riconoscendo dunque la fondatezza delle numerose critiche e contestazioni. Ma, dall’altra, si è rifiutato di compiere l’unico atto conseguente e responsabile, cioè l’immediata sospensione dell’applicazione della legge, come richiesto da noi e da tutta l’opposizione.
E così continueranno ancora l’iniquità, l’incertezza e il caos determinati da un’attuazione sui generis di una norma sbagliata, dove le Aler applicano gli aumenti, mentre la maggioranza dei Comuni, a partire da quello di Milano, si rifiutano tuttora di farlo.
Riteniamo pertanto ancora più importante mantenere viva e forte la mobilitazione contro questa legge sbagliata, per impedire che l’odierno impegno del centrodestra si trasformi in qualche inutile e ipocrita operazione di maquillage.
Ribadiamo il nostro impegno affinché si giunga nel più breve tempo possibile a discutere nella Commissione consiliare competente le opportune e necessarie modifiche, nonché il nostro totale sostegno a tutte le iniziative di mobilitazione che i sindacati inquilini decideranno di promuovere.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Stamattina all’alba sono iniziate le annunciatissime operazioni di sgombero del degradato ex scalo ferroviario di Porta Romana, utilizzato da tempo come rifugio insalubre da centinaia di immigrati, in larga parte profughi di guerra africani.
C’erano la polizia locale, la polizia di stato e i carabinieri, ma anche la protezione civile, i servizi sociali e personale medico. Insomma, tutto è avvenuto nella massima tranquillità e persino i mezzi dell’Atm mobilitati erano privi delle ormai tristemente famose grate di sicurezza.
Visti i tempi che corrono, sicuramente una notizia positiva. Ma, dall’altra parte, le oltre 150 persone identificate e poi trasportate in centri del Comune sono tutte in possesso di regolare permesso di soggiorno per motivi umanitari, nonché censite già da dieci giorni, e non si sarebbe proprio capito un procedimento diverso.
Tutto bene dunque? Non proprio, perché va ricordato il fatto che a quelle persone lo Stato italiano aveva accordato formalmente la sua protezione, perché riconosciuti come profughi di guerra, salvo poi abbandonarli al loro destino. È così che erano finiti a dover campare in condizioni allucinanti nell’ex scalo ferroviario e tanti altri come loro continuano a sopravvivere in maniera analoga in altri interstizi degradati della metropoli.
E come se non bastasse, tra i profughi oggi identificati non troviamo soltanto dei recenti arrivati, ma anche persone che le istituzioni avevano già incontrato in passato, in viale Forlanini oppure in via Lecco. Cioè, erano già state censite come profughi senza tetto ed erano già state indirizzate in vari centri di accoglienza del Comune. Eppure, oggi ancora una volta li ritroviamo a vivere tra le macerie e i rifiuti.
Insomma, si tratta di un girone infernale che sembra non avere vie d’uscita: i rifugiati passano dalle aree degradate alle sistemazioni temporanee nei centri e nei dormitori comunali, per poi ritornare sempre al punto di partenza.
Oggi il Comune ha elencato le destinazioni dei rifugiati dello Scalo Romana. Si tratta dei soliti noti centri di accoglienza e del dormitorio di viale Ortles, cioè di sistemazioni per definizione temporanee.
La domanda che si impone a questo punto è dunque la seguente: il Comune di Milano intende procedere come ha fatto precedentemente oppure questa volta c’è la ricerca di una soluzione più stabile, dal punto di vista abitativo e dell’inserimento sociale?
Visti i precedenti, ci pare una domanda obbligatoria che richiede una risposta pubblica, perché se alla fine siamo alle solite, allora dobbiamo necessariamente concludere che quella di oggi era soltanto un’operazione di immagine, utile per fare un po’ di comunicati stampa e marketing politico, ma tra qualche mese tutto torna come prima, con i rifugiati per strada, a cercare nuove macerie dove potersi sistemare.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 24/06/2008, in Casa, linkato 1002 volte)
Si avvicina la seduta straordinaria del Consiglio regionale di domani, dedicata all’edilizia pubblica e alla legge regionale sui canoni, e si moltiplicano notizie e indiscrezioni, elargite alla stampa dall’Aler di Milano, che denunciano macroscopici abusi da parte di alcuni inquilini delle case popolari, da chi possiede due appartamenti in Costa Smeralda fino a quel tale che ha 500mila euro depositati in banca.
Il ritornello che segue è sempre lo stesso: protestano per un aumento irrisorio degli affitti, ma in realtà sono solo dei finti poveri. E così, come per magia, la luce dei riflettori puntata su pochi fa sparire tutti gli altri. Cioè, quelle migliaia di cittadini che per condizione economica non erano riusciti ad accedere alla casa sul mercato privato e che ora subiscono un rialzo iniquo e sproporzionato dell’affitto, tale da metterli spesso in gravi difficoltà.
Insomma, è netta la sensazione che qualcuno cerchi di fare il furbo per evitare di affrontare il problema vero, cioè che la legge regionale 27 non soltanto è ingiusta, ma anche fallimentare. Infatti, la legge - e dunque l’aumento dei canoni d’affitto - è entrata in vigore il 1° gennaio scorso, ma allo stato attuale soltanto le Aler la stanno applicando, mentre i Comuni, sia di centrosinistra che di centrodestra, continuano a ignorarla.
A tutto questo va aggiunto che, da allora, la Giunta regionale non è ancora in grado di presentare il quadro degli impatti economici della nuova norma. In altre parole, al di là della propaganda ufficiale che afferma che l’aumento non provoca difficoltà agli inquilini, non esiste uno straccio di dato reale che riesca a sostenere tale tesi.
Così, all’iniquità palese della legge e alle numerose proteste di inquilini, sindacati ed enti locali si aggiunge pure il caos. È tutto questo che si cerca di oscurare con qualche bolla mediatica, che esibisce i risultati di controlli che l’Aler si era evidentemente dimenticata di fare negli anni precedenti.
Ci auguriamo vivamente che il governo regionale non voglia seguire questa strada anche domani e che colga invece l’opportunità del Consiglio straordinario per un atto di responsabilità. Cioè, sospenda immediatamente l’applicazione della legge n. 27 e riapra il confronto in Consiglio, al fine di apportare alla legge le necessarie modifiche.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui sotto puoi scaricare l’Ordine del Giorno, sottoscritto da Muhlbauer (Prc), Cipriano (Sd), Monguzzi (Verdi), squassino O. (Prc), Agostinelli (Prc) e Squassino A. (Sd), per la seduta straordinaria del Consiglio di domani.
Lettera di Luciano Muhlbauer, pubblicata su il Manifesto del 24 giugno 2008
Lo sfratto del Leoncavallo è stato rinviato, per l’ennesima volta, e se ne riparla il 22 settembre prossimo. Bene. Ma inutile cullarsi nelle illusioni, perché questa volta non siamo alle solite. E non occorre nemmeno scomodare le minacce del Ministro Maroni, profuse una settimana fa a Milano, per capire che le destre intendono approfittare del grande consenso elettorale raccolto per cercare l’affondo contro il movimento milanese.
Eliminare il Leoncavallo, infatti, non significherebbe semplicemente aggiungere un ulteriore nome alla lista di spazi sociali cancellati, bensì dichiarare simbolicamente che a Milano non c’è più posto per i centri sociali. Insomma, si tenta di imprimere un salto di qualità alla politica di desertificazione sociale e politica in atto da tempo nel capoluogo lombardo e talmente intensa che sta mettendo sotto terribile pressione non solo i centri sociali, ma persino numerosi circoli Arci, cioè qualsiasi spazio sociale non normalizzato.
E allora la questione vera non è tanto il Leoncavallo in sé, bensì il destino di tutta l’esperienza dei centri sociali milanesi. Un destino, beninteso, che dovrebbe interessare chiunque non voglia arrendersi all’idea di città tanto cara ai vari De Corato, Moratti e Lega, cioè un po’ galera e un po’ parco giochi delle immobiliari.
Ma se siamo d’accordo che il problema si pone in questi termini non possiamo nasconderci dietro un dito, alzando semplicemente i toni della denuncia della cattiveria delle destre. No, dobbiamo fare i conti con noi stessi, con la situazione di debolezza, divisione e crisi del movimento milanese.
D’accordo, il criticatissimo articolo de il Manifesto di sabato scorso ha forse esagerato, oltrepassando quel confine che separa l’impietoso dall’ingeneroso. Ma, dall’altra parte, è da troppo tempo che a Milano manca il confronto e la riflessione e, soprattutto, la reazione. L’11 marzo di due anni fa poteva essere un’occasione per guardarsi in faccia, ma non era stata colta. E così, nel frattempo altri spazi sociali sono stati sgomberati e oggi ognuno tenta di resistere individualmente.
L’annunciato sgombero del Leonka e tutto ciò che implica potrebbe essere un’altra occasione per reagire, forse l’ultima. E si potrebbe fare una proposta a il Manifesto, visto che ha scagliato la pietra: perché non mettere a disposizione le pagine del giornale per un confronto del movimento milanese?
di lucmu (del 18/06/2008, in Lavoro, linkato 948 volte)
Oggi in Commissione VII del Consiglio regionale si sono tenute le audizioni in relazione al progetto di legge n. 204, “Contrasto dello sfruttamento del lavoro irregolare in Lombardia”, presentato da 14 consiglieri regionali dell’opposizione (Muhlbauer, Squassina O., Agostinelli, Squassina A., Civati, Valmaggi, Saponaro, Monguzzi, Storti, Spreafico, Fabrizio, Sarfatti, Zamponi, Prina). Sono state dunque ascoltate le parti sociali - sindacati (Cgil, Cisl, Uil, Sdl intercategoriale, Cub), Ance e Confindustria -, le istituzioni e gli organi di vigilanza.
Tutto ciò sarebbe un’ottima notizia, se non fosse per il fatto che i rappresentanti del centrodestra le hanno disertate, queste audizioni, salvo una presenza part-time della Lega. Un segnale estremamente preoccupante, considerato che il pdl in questione era stato presentato già nel lontano 2006 e che ci sono voluti 17 mesi, un ordine del giorno votato nel 2007 all’unanimità dal Consiglio e innumerevoli richiami in sede di conferenza dei capigruppo, per arrivare finalmente a questo atto iniziale dell’iter legislativo.
Chiunque è consapevole di come la piaga dello sfruttamento del lavoro irregolare sia ampiamente diffusa in Lombardia, a partire dall’edilizia e dai servizi, e di come il numero terrificante di infortuni, spesso mortali, sui luoghi di lavoro sia strettamente connesso al fenomeno. Non ci può essere dunque alcun dubbio circa l’opportunità e l’urgenza di un intervento legislativo e istituzionale finalizzato al contrasto e alla repressione dello sfruttamento del lavoro nero, anche in vista dei numerosi cantieri che si apriranno per l’Expo 2015.
Siamo consapevoli che in democrazia decide la maggioranza e non abbiamo quindi la pretesa che la proposta delle opposizioni debba essere presa così com’è, anche se dobbiamo prendere atto che si tratta dell’unica proposta in materia finora avanzata. Pretendiamo però che se ne discuta e, soprattutto, che si arrivi in tempi certi e brevi all’approvazione di una legge regionale efficace e adeguatamente finanziata.
Chiediamo alle forze politiche di maggioranza e all’assessore regionale al lavoro di rompere il silenzio e dire chiaramente se ritengano o meno che in Lombardia occorra un’azione urgente contro il diffuso sfruttamento del lavoro nero e irregolare. Se la risposta è sì, siamo pronti al confronto di merito, a condizione però che si faccia in fretta e senza ulteriori perdite di tempo.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer (Prc) e Arturo Squassina (Sd)
Oggi il Parlamento Europeo ha approvato la cosiddetta direttiva rimpatri, contenente norme e procedure per il “rimpatrio di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente”, con 369 voti a favore, 106 astensioni e 197 voti contrari. Nessun emendamento è stato accolto e a nulla sono servite le tante critiche avanzate negli ultimi giorni da più parti.
Così, d’ora in poi i governi della democratica Europa potranno imprigionare nei centri di permanenza temporanea gli immigrati irregolari fino ad un massimo di 18 mesi e le espulsioni coatte potranno avvenire anche verso paesi diversi da quello di appartenenza (tipo nei lager libici, tanto per intenderci). E tutto questo non vale soltanto per gli adulti, ma anche per i minori, sia accompagnati che non. (per leggere il testo integrale della direttiva vai sul sito dell’europarlamento: www.europarl.europa.eu))
Con il voto odierno l’Europa archivia un pezzo fondamentale della sua storia recente e della sua civiltà democratica, cedendo pericolosamente al vento xenofobo che spira in tutta il continente. Ed è triste, anche se non sorprendente, dover constatare che gli europarlamentari del Partito Democratico non abbiano trovato nulla di meglio che astenersi…!
La Lega Nord, per bocca dell’assessore regionale Boni, canta vittoria perché a Magenta sarebbe stata chiusa una “moschea abusiva” e pertanto ristabilita la legalità. Peccato però che in via Oberdan a Magenta non c’era alcuna moschea e tanto meno un problema di legalità. Concretamente, oggi è successo semplicemente che i responsabili dell’Associazione Yacuta, che occupava regolarmente il capannone, hanno riconsegnato le chiavi alla proprietà, lasciando lo spazio.
Tuttavia, la Lega ha ragione a cantare la vittoria, poiché è stato grazie al clima islamofobico suscitato dalla sua indecente campagna d’odio che gli operai immigrati, in gran parte di origine pakistana e regolarmente residenti in Italia da lunghi anni, hanno dovuto rinunciare al loro centro culturale. Infatti, altre ragioni non ci sono, come dimostra un breve riepilogo dei fatti.
Nell’estate del 2006 l’Associazione Yacuta e la proprietà del capannone hanno stipulato un regolare contratto d’affitto, nel quale era peraltro specificato che i locali sarebbero stati utilizzati per svolgere “attività di centro culturale e di oratorio”. Va inoltre sottolineato che l’associazione aveva immediatamente depositato presso il Comune di Magenta il suo statuto, chiedendo l’inserimento nell’elenco delle associazioni locali, senza però ricevere mai una risposta di alcun tipo.
Le persone che frequentavano il capannone lavorano tutte nel magentino, come operai o piccoli imprenditori, e utilizzavano lo spazio nel tempo libero per riunirsi, parlare dei problemi della quotidianità e per pregare. Ma non c’è mai stato nessun imam e nessuna moschea. E, aggiungiamo, non ci sono nemmeno mai state segnalazioni da parte delle forze dell’ordine, essendo le uniche contestazioni esistenti quelle della polizia municipale, relative però ad alcune opere edilizie risalenti a vent’anni prima.
Ma a questo punto entravano in scena la Lega, assecondata dal Sindaco di Magenta, e la sua campagna contro la “moschea abusiva”. Il pessimo clima e le pressioni politiche sul proprietario del capannone facevano poi il resto e così, grazie a un’ingenuità e alla non perfetta conoscenza della lingua e delle cose italiane, la proprietà era riuscita a ottenere una firma su una lettera di rescissione dal contratto d’affitto da parte dell’associazione. Ne è nata una questione legale, finita con una sentenza favorevole alla proprietà da parte della Corte di Appello di Milano. Ma la querelle non è mai uscita dagli aspetti contrattuali formali e nessun giudice ha mai contestato la regolarità dell’uso dei locali da parte dell’associazione.
Insomma, la legalità non c’entra proprio nulla. Anzi, semmai a qualche domanda dovrebbe rispondere la Lega, visto che non soltanto la Costituzione italiana afferma la libertà religiosa, ma lo stesso nuovo Statuto della Regione Lombardia, appena approvato con il voto favorevole del Carroccio, dice espressamente che la Regione “promuove le condizioni per rendere effettiva la libertà religiosa”.
In altre parole, a noi pare che il problema a Magenta non si chiami “moschea abusiva”, ma Lega Nord.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
La partecipazione del Ministro degli Interni Maroni al Comitato provinciale per la sicurezza di Milano si è trasformata in una vera e propria orgia di minacce contro i soliti rom, sans-papiers, accattoni e moschee, ormai ridotti a nemici supremi della sicurezza. Nemmeno una parola, invece, sulla sicurezza sui luoghi di lavoro e sui quei tanti signori che costruiscono tranquillamente infrastrutture e palazzi ricorrendo allo sfruttamento del lavoro irregolare. Ma questo ormai non stupisce più. Si sa, le lacrime di coccodrillo asciugano in fretta.
Tuttavia, Maroni oggi è andato oltre, minacciando esplicitamente anche il centro sociale Leoncavallo, che rischia lo sgombero il 23 giugno prossimo. Cosa c’entri la vicenda del centro sociale con la sicurezza non lo sa nessuno, ma chi se ne frega. L’occasione è troppo ghiotta per regolare un po’ di conti anche con gli avversari politici.
Da anni è in corso a Milano una vera e propria campagna, capeggiata dal vicesindaco, per eliminare dal territorio gli spazi sociali autogestiti o comunque indipendenti. Una campagna talmente intensa che inizia a mettere sotto pressione anche numerosi circoli dell’Arci. E da questo punto di vista l’eliminazione coatta del Leoncavallo, con i suoi trent’anni di storia, rappresenta un obiettivo politico di primaria importanza. Sarebbe come chiudere simbolicamente la stagione dei centri sociali nella nostra città.
Ci sarebbe molto da riflettere per quanti, anche semplicemente democratici, sono stati o sono accomodanti con l’onda traboccante del securitarismo. Com’era prevedibile, se gli argini cedono da una parte, alla lunga nessuno da nessuna parte è più al riparo.
Oggi opporsi alla logica della criminalizzazione delle problematiche sociali e dell’opposizione politica e sociale, voluta in primis da Lega e An, è un dovere democratico. E mobilitarsi per impedire che il centro sociale Leoncavallo venga spazzato via dalla pulizia politica delle destre è semplicemente un atto di buon senso.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
|