Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
di lucmu (del 15/03/2012, in Regione, linkato 3000 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 15 marzo 2012 e sui giornali on line MilanoX e Paneacqua
 
Ormai è uno stillicidio e non ha nemmeno più senso commentare le singole vicende. E questo vale a maggiore ragione per l’ultimo degli inquisiti in ordine di tempo, il consigliere regionale del Pdl, Giammario, ora indagato per corruzione, ma il cui nome si trovava già nell’inchiesta “Infinito” contro la ‘ndrangheta in Lombardia.
No, il punto è un altro, cioè il lungo ciclo formigoniano, che ha dominato in Lombardia per 17 anni consecutivi, segnando, deviando e corrompendo, anzitutto moralmente, il sistema regionale, è arrivato al capolinea. Il potente sistema di potere costruito attorno a Cl, il movimento politico-confessionale che in Lombardia agisce da partito-stato, e all’ultradecennale ed organica alleanza con la Lega Nord, scricchiola come mai era accaduto prima d’ora.
Beninteso, l’esistenza di una questione morale al Pirellone non è certo una novità, anzi era palese già nella scorsa legislatura. Vi ricordate, ad esempio, l’arresto in diretta tv dell’allora assessore regionale Prosperini oppure lo scandalo bonifiche, che aveva portato in carcere Rosanna Gariboldi, moglie di Giancarlo Abelli, assessore e signore delle nomine nella sanità lombarda?
Ma non era che l’inizio, poiché Formigoni trascinò i corrotti direttamente nella sua quarta legislatura. Tutto quello che succede ora era ampiamente annunciato, tant’è vero che lo stesso Formigoni si era adoperato per ricollocare gli ex-assessori più a rischio in posti privilegiati in Consiglio. Ci riferiamo ai due esponenti Pdl Nicoli Cristiani e Ponzoni, ambedue finiti di recente in carcere. A questi due va poi aggiunto il leghista Davide Boni, ex assessore e tuttora Presidente del Consiglio regionale, indagato pure lui per corruzione.
Di recente, poi, Formigoni ha estromesso dalla sua Giunta il Pdl Massimo Buscemi, perché considerato a rischio, ma in cambio ha pagato un vecchio debito, dando un incarico da 150mila euro a Monica Guarischi, sorella di Luca Guarischi, ex consigliere regionale vicino a Formigoni, decaduto nel 2009 causa condanna definitiva per tangenti. Ovviamente, potremmo andare avanti all’infinito, con il caso Minetti, le firme false per il listino o il crac del San Raffaele, ma lasciamo perdere.
Insomma, difficile presentare Roberto Formigoni come un immacolato circondato a sua insaputa da tante mele marce. Qui si tratta di un sistema che è marcio. Il tanto acclamato modello Lombardia è anche questo e, forse, soprattutto questo.
17 anni di governo ininterrotto sono decisamente troppi, portano a confondere la cosa pubblica con la cosa privata. Persino Putin aveva dovuto inventarsi un’interruzione prima del terzo mandato presidenziale. Formigoni invece no, lui è al quarto di fila, senza colpo ferire.
Ora però, finito il ventennio berlusconiano, sta per crollare anche quello formigoniano. Il problema, dunque, non è sapere se finisce, bensì come finisce. Già, perché non è la politica, l’opposizione o la mobilitazione dal basso a scuotere il palazzo, bensì la magistratura.
I magistrati, ovviamente, fanno il loro mestiere, così come lo fecero vent’anni fa, ma è la politica che finora non l’ha fatto. L’opposizione appare troppo debole e timida e nel passato recente c’è stato pure qualche inciucio di troppo.
Occorre, quindi, avviare da subito un percorso unitario per un’alternativa, che parta dal coinvolgimento dei cittadini e preveda le primarie. Insomma, la Lombardia non sarà come Milano, ma la primavera milanese ci offre un esempio concreto e vicino su come far rientrare in campo la partecipazione popolare e democratica e vincere. Altrimenti rischiamo di ripetere la via romana, dove siamo usciti dal berlusconismo non con un’alternativa politica, bensì con una politica commissariato e delegittimata.
 
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di lucmu (del 07/03/2012, in Lavoro, linkato 2698 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale on line Paneacqua.eu il 7 marzo 2012
 
Lo sciopero generale proclamato dalla Fiom il 9 marzo prossimo non riguarda soltanto la Fiom. E nemmeno i soli metalmeccanici o gli operai in generale. No, riguarda l’insieme del mondo del lavoro, così come oggi concretamente esiste, e riguarda la condizione presente e futura della nostra democrazia.
Da alcuni anni, ormai, la Fiom si trova nell’occhio del ciclone. Sulla sua pelle e su quella dei lavoratori metalmeccanici si gioca una partita dura e pesante, che va ben al di là delle sorti di qualche transnazionale dell’automobile o della stessa industria manifatturiera italiana. È una partita che individua nei metalmeccanici e nella Fiom l’anello forte da spezzare, anche simbolicamente. Insomma, un po’ come ai tempi fece la Thatcher con i minatori, la cui sconfitta spalancò le porte al dilagare delle politiche neoliberiste.
Pomigliano, giugno 2010. Vi ricordate? Dicevano che era un’eccezione, perché la fabbrica era proprio vecchia e perché gli operai campani erano un po’ strani e molto assenteisti, e che dunque occorrevano misure eccezionali, che furono poi scritte in un contratto eccezionale. In seguito, dopo aver ottenuto il via libera con un referendum, dove gli operai potevano democraticamente scegliere se accettare le regole eccezionali o finire disoccupati in una terra dove il lavoro è merce rara, l’eccezione si generalizzò fino a far diventare eccezionale il contratto nazionale.
Infatti, dopo Pomigliano arrivò Mirafiori, poi tutto il gruppo Fiat e il settore automotive eccetera. Ovviamente, dopo Mirafiori, di referendum, seppure con la pistola puntata alla tempia, non se ne sono più visti. In cambio, il governo Berlusconi-Lega si è inventato il famigerato articolo 8 della legge n. 148/2011, che non si limitava a legittimare ex post le eccezioni di Marchionne, ma operava un nuovo salto di qualità, di carattere generale: cioè, i contratti aziendali avrebbero potuto derogare non soltanto ai contratti nazionali, ma anche alle norme di legge, compreso l’articolo 18 e altri dello Statuto dei Lavoratori.
Berlusconi non c’è più, ma l’articolo 8 non solo è vivo e vegeto, ma il governo Monti sembra ormai puntare dritto al cuore delle vicenda, con la “riforma del mercato del lavoro”. Peraltro “ce lo chiede anche l’Europa” di togliere di mezzo l’articolo 18 e di valorizzare i contratti aziendali e/o individuali a scapito del contratto nazionale.
Ma perché ce l’hanno tanto con questo articolo 18? In fondo, vieta semplicemente i licenziamenti discriminatori, ma per tutto il resto, come purtroppo ci ricordano i tragici numeri della crisi e della recessione, i licenziamenti vengono fatti a getto continuo. E poi, l’articolo 18, che ha valenza effettiva e dissuasiva soltanto in presenza di un contratto a tempo indeterminato e di un’azienda con più di 15 dipendenti, è già di fatto disapplicato per una fetta molto ampia del mondo del lavoro. Cioè, per tutte le tipologie di lavoro precario e per tutte le piccole aziende, per non parlare del sommerso, ovviamente.
La risposta alla domanda non la troviamo di certo in quell’irritante ritornello che dice che l’art. 18 impedirebbe l’assunzione dei giovani, perché se dovessimo prenderlo sul serio, dovremmo concludere che si pensa di licenziare gli over 40 e 50, per assumere al loro posto dei ventenni. No, la risposta giusta la troviamo nelle dichiarazioni rese di continuo da coloro che appartengono al mondo che conta davvero, nel senso che decide le politiche che vengono effettivamente attuate.
Ne scegliamo alcune a caso. La prima appartiene a Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea, che in una recente intervista ha affermato a chiare lettere di ritenere finito e superato il modello sociale europeo. La seconda è del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che in uno dei suoi interventi più programmatici ha motivato la centralità della riforma del mercato del lavoro con la necessità di reggere la competizione internazionale con le economie emergenti. L’ultima, invece, è del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, che proprio oggi ha dichiarato che in Italia bisogna “lavorare di più, in più e più a lungo”.
Insomma, il futuro modello sociale che si immagina per l’Italia e per l’Europa è molto cinese o serbo o tunisino o quello che volete voi. Comunque sia, la posta in gioco è la riduzione della massa salariale, diretta e indiretta e differita. Cioè, si aumenta l’età pensionabile (allungando la vita lavorativa), si allunga l’orario di lavoro medio e si intensificano i ritmi di lavoro. E tutto questo, ovviamente, a parità di salario o addirittura diminuendo gli stipendi.
Questi obiettivi hanno un presupposto necessario, cioè la disarticolazione del potere negoziale dei lavoratori, che altrimenti difficilmente accetterebbero senza colpo ferire un forte peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita. A questo serve lo smantellamento dei diritti e delle tutele, così come la manomissione dell’articolo 18, che in realtà non può far altro che arginare, laddove può, l’assoluto arbitrio padronale.
Ma, per essere più concreti, torniamo a Pomigliano, 20 mesi dopo quel referendum. Nel frattempo la fabbrica è stata ristrutturata e anche la proprietà è nominalmente cambiata. Cioè, è sempre roba della Fiat e di Marchionne, ma gli operai erano stati messi tutti in cassa e ora, che riprende la produzione, devono essere riassunti dalla newco per poter rientrare nella fabbrica dove già lavoravano. Ebbene, dei 5mila operai per ora ne sono stati riassunti 2mila e nessuno di loro è un tesserato Fiom! Cioè, se sei della Fiom non puoi lavorare.
Peraltro, a partire dal 1° gennaio, in tutto il gruppo Fiat è stata tolta l’agibilità sindacale alla Fiom. Le Rsu, elette dai lavoratori, sono state abolite ed esistono soltanto “delegati” nominati dalle sigle che sono d’accordo con Marchionne. In altre parole, nel gruppo Fiat la Fiom è stata messa in clandestinità e gli operai sono stati privati dei più elementari diritti e libertà sindacali, peraltro costituzionalmente tutelati.
E qui la questione del modello sociale e quella della democrazia si incontrano di nuovo. Infatti è impossibile che un modello sociale regressivo, dove le differenziazioni sociali si estremizzano, una parte crescente della società viene esclusa e il welfare si scioglie come neve al sole, possa reggere un tasso significativo di democrazia e partecipazione. Anzi, Pomigliano docet.
Ecco perché non dare il giusto peso alla battaglia della Fiom e magari girare la testa da un’altra parte, perché non si è della Fiom o non si è metalmeccanici, è un grave errore. Ed ecco perché è un pessimo e preoccupante segnale politico che alcuni esponenti di primo piano del Pd abbiano rinunciato alla loro presenza al corteo del 9 marzo, con il pretesto, davvero inconsistente, che dal palco interverrà il Presidente della Comunità Montana della Valle Susa, Sandro Plano, peraltro iscritto al Pd.
Oggi la Fiom, lottando per i diritti dei metalmeccanici e per quelli, più che legittimi, della propria organizzazione, sta conducendo una battaglia dalla valenza generale per un modello sociale equo e giusto e per la democrazia, in un paese che tende ad oscillare pericolosamente tra gli scatti d’ira e il consenso rassegnato ai governi cosiddetti tecnici.
Insomma, la Fiom, piaccia o non piaccia, siamo tutti e tutte noi. Ne dovremmo prendere semplicemente atto ed agire di conseguenza, a partire dal 9 marzo.
 
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Non siamo mai stati forcaioli e, pertanto, ci auguriamo che il Presidente del Consiglio regionale lombardo, il leghista Davide Boni, possa dimostrare la sua totale estraneità rispetto all’accusa di corruzione, contestatagli oggi dalla Procura di Milano.
Tuttavia, da un punto di vista politico non possiamo che sottolineare, con vivissima preoccupazione, che ormai la situazione in Regione Lombardia sia diventata definitivamente insostenibile e che occorra fare l’unica cosa responsabile rimasta da fare, cioè portare la Regione ad elezioni anticipate, da tenersi in autunno oppure in concomitanza con le elezioni politiche dell’anno prossimo. A meno che, ovviamente, non si voglia aspettare il big bang giudiziario, che però spazzerebbe via anche la residua credibilità dell’istituzione regionale.
Come si fa a non vedere che l’odierno avviso di garanzia nei confronti dell’esponente leghista, che fa di quello lombardo l’Ufficio di Presidenza più indagato e meno presentabile d’Italia, e la contestuale pubblicazione, da parte del Corriere della Sera, delle lettere riservate tra Formigoni e Don Verzé, che dimostrano che il Presidente lombardo sapeva da un decennio del buco di bilancio del San Raffaele e che riservava all’ospedale privato un prolungato trattamento di favore, a nostro modo di vedere illecito, rappresentano due ulteriori  e pesanti tegole lanciate sulla già malmessa credibilità di Regione Lombardia?
Riteniamo, dunque, irresponsabile, da un punto di visto istituzionale, politico e morale, insistere ulteriormente. Il Presidente Formigoni prenda atto che questa legislatura è politicamente finita, che non può più dare nulla alla Lombardia, se non altri guai e scandali. Si dimetta dunque, perché questo è l’unico modo per arrivare alle elezioni anticipate in maniera politica e non costretti dal big bang giudiziario.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
P.S. nella foto che accompagna questo comunicato, si vede l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale della Lombardia, così come fu eletto all’inizio della legislatura, nel 2010. Ebbene, a questo punto, a parte Carlo Spreafico (Pd), in alto a sinistra, tutti gli altri, cioè 4 su 5, sono indagati e due di loro erano finiti addirittura in carcere (Nicoli Cristiani e Ponzoni).
 
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A Milano, venerdì 2 marzo, è nato un nuovo spazio sociale. Si chiama “Laboratorio Piano Terra” e si trova nel quartiere Isola, in via Confalonieri n. 3. Lo spazio, di proprietà comunale, era vuoto ed inutilizzato da tempo. A promuovere l’occupazione è stata una rete di diverse realtà dell’area metropolitana: San Precario, il Coordinamento lavoratori in lotta, il Comitato No Expo e il collettivo OffTopic.
A me pare che si tratti di una buona notizia. Certo, piccola, di fronte alla forza brutale della crisi, della recessione e, soprattutto, delle politiche dell’austerity, che ridisegna il presente e il futuro delle nostre vite. Ma, d’altronde, anche le grandi cose sono sempre nate dalla semina di tante cose piccole. O no?
Ed è una buona notizia che sia nato proprio lì, nel quartiere Isola, uno degli epicentri delle trasformazioni urbanistiche del nostro tempo e della nostra città e, dunque, un punto di osservazione privilegiato.
Con il Laboratorio Piano Terra torna finalmente nel quartiere Isola uno spazio sociale. Già, perché le tante trasformazioni e un’amministrazione comunale ostile avevano in parte desertificato il quartiere, da quel punto di vista. Vi ricordate Reload, la Stecca degli Artigiani, il circolo di Rifondazione di via Confalonieri e il Pergola? In pochi anni sono stati fatti chiudere. Ora, il quartiere ha di nuovo uno spazio sociale.
Infine, un’impressione molto personale. Ieri sabato c’è stata la presentazione “ufficiale” alla città del nuovo spazio, compreso un aperitivo. È stato un momento molto bello, dal punto di vista dell’aria che si respirava. C’era tanta gente, un clima buono e, soprattutto, in un modo o nell’altro sono passate quasi tutte le realtà di movimento della città. Chi non conosce Milano penserà “e allora?”, chi la conosce sa che non sono cose scontate dalle nostre parti.
Insomma, se lo spazio resiste all’avanzare del tempo e delle cose, come auspico fortemente, potrà rappresentare indubbiamente un significativo contributo e un’occasione in più per i movimenti milanesi.
Ma passateci direttamente a dare un’occhiata, è facilissimo da trovare e le porte sono sempre aperte.
 
Luciano Muhlbauer
 
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Qui di seguito, il testo del volantino distribuito in quartiere il giorno dell’occupazione:
 
VENERDÌ 2 MARZO NASCE NEL QUARTIERE ISOLA
Via Confalonieri 3
PIANO TERRA
UN NUOVO SPAZIO LIBERATO, APERTO, VIVO
 
Queste due parole sono per presentarci a voi che il quartiere lo vivete, lo abitate, lo attraversate per iniziare a conoscerci.
Piano Terra lo animeremo così:
Aprendo un altro Punto San Precario, sportello legale e agenzia di conflitto per sostenere e diffondere il punto di vista precario. Un luogo in cui la precarietà di lavoro e di vita sia centrale. Avete mai sentito parlare di San Precario? Bene, è ritornato nel quartiere dove è nato il 29 febbraio 2004.
Aprendo un luogo di incontro delle diverse realtà di lavoratrici e lavoratori che si uniscono e si organizzano indipendentemente dalle appartenenze politiche e sindacali. Per la costruzione dal basso delle mobilitazioni. Per il sostegno a tutte le lotte con l'intento di unificarle, intrecciandosi con i diversi soggetti, le diverse realtà ed i diversi momenti che
attraversano la metropoli e il panorama nazionale.
Aprendo un luogo di raccolta per il quartiere; per i ragazzi che tra uno stage e un'università consumata troppo in fretta, vogliono scambiare idee davanti ad un caffè oppure trovarsi in un’accogliente sala studio wi-fi; dove i precari, dopo una giornata di lavoro intermittente, e i pendolari, che aspettano sempre meno treni, possano ascoltare buona musica o guardare un film. Uno spazio per tutti quelli che vogliono mettersi in gioco per riappropriarsi e riscrivere la geografia della città.
Aprendo un luogo di partecipazione, elaborazione critica e di conflitto nel cuore della città vetrina, in un quartiere vittima della trasformazione urbana e della valorizzazione immobiliare. Un luogo dove opporsi alle dinamiche di Expo, rispondere alla precarizzazione dei territori, appropriarsi dei beni comuni e dei diritti dell’abitare. Punto di ritrovo per discutere, conoscere, resistere nella Milano dei grattacieli e della crisi.
Aprendo un luogo dove poter offrire a costi quasi zero una palestra dove tenere in allenamento anche i muscoli oltre al cervello di tutti e tutte. Una palestra popolare quindi, una palestra dove tirare di boxe, divertirsi e prepararsi per un nuovo round di vita precaria.
 
Scriveteci, contattateci, suggeriteci …. pianoterra@inventati.org
 
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di lucmu (del 29/02/2012, in Sicurezza, linkato 3176 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 29 febbraio 2012 (ripreso anche da Paneacqua.eu)
 
Milano sa essere strana. E anche la sinistra milanese, da quella istituzionale a quella di movimento, sa esserlo. Proviamo ad immaginarci cosa sarebbe accaduto un anno fa, ai tempi dell’amministrazione Moratti e De Corato, se un vigile urbano, appartenente ad un nucleo speciale, avesse ucciso con un colpo di pistola alla schiena un giovane straniero disarmato. Non c’è alcun dubbio che si sarebbe levato un moto di indignazione e, forse, avremmo pure organizzato una manifestazione di piazza.
Quindi, non è solo lecito, ma persino doveroso domandarci come mai non sia successo nulla di tutto ciò oggi, quando purtroppo il 29enne cileno Marcelo Valentino Gomez Cortes è stato davvero ucciso dal vigile, Alessandro Amigoni. Già, perché è scattata una sorta di rimozione collettiva in tempo reale, che ha impedito persino che si manifestasse un po’ di pietà e solidarietà umana. E così, nulla di sorprendente, ahinoi, che l’altro giorno la messa funebre per Marcelo, prima del rimpatrio del suo corpo in Cile, si sia svolta nella disattenzione generale e alla presenza di sole trenta persone, compresi la compagna e i due figli piccoli.
Una freddezza che non si deve certo all’incertezza circa la dinamica dei fatti, visto che quello che si sapeva sin dai primi giorni era ampiamente sufficiente per indignarsi. Insomma, quel 13 febbraio al Parco Lambro l’agente Amigoni, indagato per “omicidio volontario”, ha sparato da distanza ravvicinata, uccidendo con un colpo alla schiena Gomez Cortes. Non solo il giovane era disarmato, ma i tre colleghi di Amigoni hanno dichiarato che loro non avevano avvertito alcuna situazione di pericolo. In altre parole, sarà ovviamente l’azione giudiziaria ad accertare le responsabilità penali, ma una cosa è chiara oltre ogni ragionevole dubbio: quanto accaduto non può trovare giustificazioni.
Inoltre, la rimozione non si spiega nemmeno con quella reticenza politica che spesso e volentieri scatta quando a governare siamo “noi” e non “loro”. Già, perché il Sindaco Pisapia in questa vicenda non ha proprio alcuna responsabilità. Anzi, sta partendo proprio in questi giorni la riforma che valorizza la figura del vigile di quartiere, che è poi l’esatto contrario di quei nuclei centralizzati e militarizzati dei quali Amigoni faceva parte.
Infine, che nessuno tiri in ballo l’omicidio di Nicolò Savarino, il vigile milanese ucciso il 12 gennaio scorso, perché non c’entra proprio nulla. Può spiegare lo stato d’animo dei vigili milanesi, ma non può certamente giustificare lo sparo che ha ammazzato Marcelo.
C’è rabbia nella comunità cilena di Milano, per quello che è successo, ma anche per com’è stato trattato l’omicidio. E qui il problema è tutto nostro, cioè di noi della sinistra milanese, di quelli che si erano indignati ai tempi dell’amministrazione delle destre, quando i nuclei speciali facevano rastrellamenti anti-immigrati sui mezzi pubblici o sgomberavano campi rom vestiti da celerini.
So bene che a Milano non vogliamo più sentir parlare di quel passato che abbiamo archiviato nella primavera scorsa, ma che l’omicidio di Marcelo ci ricorda con brutalità. Ma non è girando la testa dall’altra parte che costruiamo il futuro, anzi, semmai rischiamo di riaprire le porte al passato.
Riformare la Polizia Locale di Milano e chiudere con le squadre di decoratiana memoria è possibile, anche perché lo vuole molta parte del vigili urbani. Ma il silenzio e la disattenzione non aiutano per nulla. E poi, diciamocelo, quella mancanza di umanità ci dovrebbe far vergognare un po’.
 
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In questi ultimi anni a Milano ho visto molta gente salire su carroponti, tetti, gru o torri per difendere il posto di lavoro, chiedere il rispetto di un diritto o denunciare un’ingiustizia. Ma mai ho visto poliziotti o altre forze dell’ordine arrampicarsi per tirarli giù con la forza, rischiando così di rendere ancora più insicura una condizione che è già di insicurezza.
Stamattina in Val di Susa sembra che le forze dell’ordine abbiano, invece, pensato di farlo. Ho ascoltato la registrazione della telefonata tra Radio Blackout e Luca Abbà, valsusino e attivista no tav, arrampicatosi su un traliccio in segno di protesta contro le operazioni di sgombero per allargare l’area del cantiere. Poi ho letto il comunicato della Questura di Torino, che conferma, sebbene con molti giri di parole, l’intervento di rocciatori della polizia di Stato.
Mentre scriviamo Luca, precipitato dal traliccio, si trova in coma farmacologico in ospedale a Torino. Le sue condizioni sono gravissime, ma le ultime notizie ci consentono qualche spiraglio di ottimismo. Nel frattempo, in valle, le operazioni di allargamento del cantiere non si sono interrotte nemmeno per un attimo, nonostante la gravità dell’accaduto. Tutto ciò è semplicemente allucinante e si spiega soltanto con le condizioni di militarizzazione della valle e con quella sorta di extra territorialità garantita dall’istituzione dell’area di interesse strategico nazionale.
Per chiedere la fine della militarizzazione della valle, per fermare quell’inutile e costosa opera chiamata Tav e in solidarietà con Luca, sono indetti presidi e mobilitazioni in tutte le città.
A Milano, appuntamento alle ore 18.00 in piazza San Babila.
 
di Luciano Muhlbauer
 
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Una grande, straordinaria e bellissima manifestazione, riuscita anche oltre le aspettative. Un serpentone lungo più di cinque chilometri, che ha riempito quasi per intero la strada che va da Bussoleno a Susa. Eravamo in tanti e tante, decine di migliaia, forse meno dei 75mila dichiarati dagli organizzatori, ma immensamente più numerosi rispetto ai 12mila riconosciuti dalla Questura di Torino. Ed eravamo uniti nelle nostre diversità in un unico movimento.
Alla testa la Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone, i gonfaloni dei Comuni e i Sindaci, compresi gli amministratori del Pd minacciati di espulsione dal partito alla vigilia della marcia, e quasi subito dopo i parenti e gli amici degli attivisti arrestati nella maxi retata del 26 gennaio scorso, a simboleggiare che la richiesta di liberazione appartiene a tutto il movimento. E poi, appunto, una marea di persone, tantissimi della valle, di ogni età, e poi gli uomini e le donne venuti da molte città. Moltissimi giovani e questo è importante.
Insomma, una manifestazione riuscita in pieno, senz’ombra di dubbio, e un fatto politico da non sottovalutare. Già, perché significa che la campagna di criminalizzazione di questi mesi ed i recenti arresti di attivisti non hanno raggiunto l’obiettivo di spezzare e disarticolare il movimento, né ad attenuare il dissenso e l’opposizione rispetto ad un’opera inutile e dai costi faraonici.
Una giornata quasi troppo perfetta per i no tav, quindi. E così, forse, non dovremmo stupirci troppo di fronte a quanto avvenuto alla stazione di Torino in serata, quando alcune centinaia di manifestanti che stavano per prendere il treno per Milano, hanno subito violente e ingiustificate cariche di polizia, causa qualche biglietto mancante.
E non dovrebbe sorprendere nemmeno che oggi la grande stampa ha sostanzialmente ignorato il corteo del 25 febbraio, relegando la notizia nelle pagine di cronaca, cioè a pagina 24 il Corriere e a pagina 19 La Repubblica. Forse il racconto di quel corteo avrebbe stonato troppo con quella linea editoriale tutta “violenti infiltrati” e “vogliono il morto”.
In altre parole, ieri i valsusini e il movimento No Tav hanno segnato un punto a proprio favore, dando una risposta politica significativa agli arresti degli attivisti. Per il governo Monti, che sulla questione Tav si muove in piena continuità con quello precedente, potrebbe essere persino un’occasione per rivedere l’approccio militaresco alla valle. Ma, ahinoi, questa prospettiva appare oggi poco probabile, poiché sono in gioco non solo i tanti interessi affaristici che girano attorno a quei 20 miliardi che costerebbe il Tav, ma anche il quadro generale disegnato dalle politiche dell’austerity e dello smantellamento dello stato sociale.
Infatti, non è un caso che gli allarmi lanciati alcuni giorni fa dal Capo della Polizia più pagato del mondo, Antonio Manganelli, circa aree “anarco-insurrezionaliste” che “vogliono il morto” mischiassero cose diverse, dalle proteste no tav fino alla cosiddetta riforma del mercato del lavoro, segnalando, peraltro, che forse il Ministro Fornero potrebbe entrare nel mirino dei terroristi. E buttare lì queste cose proprio nel momento in cui lo scontro sull’articolo 18 e sugli ammortizzatori sociali si intensifica e quando mancano soltanto due settimane allo sciopero generale della Fiom, ebbè, non è mica molto simpatico, anche se sa tanto di déjà vu.
E poi ci sono anche altri segnali preoccupanti, come quella pazzesca condanna a 4 e 5 anni di galera per due ragazzi ventenni, senza precedenti e sulla base di sole prove indiziarie,  per gli scontri a Roma del 15 ottobre scorso.
Insomma, ieri 25 febbraio è stata una buona giornata, ma questo non fa che aumentare le nostre responsabilità per il futuro. La lotta in Val di Susa, come non si stancano di ripetere i valsusini, sarà ancora lunga e già tra qualche giorno inizieranno gli espropri per fare posto al cantiere. E poi, continuano a stare in carcere molti degli attivisti arrestati e noi pensiamo che debbano uscire, per stare almeno ai domiciliari in attesa del processo.
In altre parole, la straordinaria manifestazione di ieri è anche un’occasione per andare oltre, per allargare il movimento no tav e per costruire relazioni e connessioni più strette con altri movimenti e altre lotte, come quella degli operai della Fiom e quella delle reti per il bene comune, ma anche con quelle dei tanti comitati cittadini che un po’ ovunque nascono contro il consumo e la devastazione del territorio.
 
di Luciano Muhlbauer
 
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Non è abitudine di questo blog pubblicare interventi di altri, ma questa volta faccio un’eccezione e riproduco così come mi è arrivata la lettera di Danilo Tosarelli, agente della Polizia Locale di Milano e delegato sindacale dell’Usb. Parla dei nuclei speciali, creati e incentivati durante l’amministrazione Pdl-Lega della città, e parla dell’uccisione di Marcelo. Mi pare importante farla conoscere, proprio perché viene dall’interno del corpo, da qualcuno che quel mestiere lo fa tutti i giorni. È magari può funzionare anche come antidoto contro alcuni discorsi stucchevoli che si sentono in giro in questo periodo. Buona lettura.
 
Luciano Muhlbauer
 
P.S. la foto che accompagna questo post l’avevo scattata io nel corso dello sgombero del campo rom di Chiaravalle, a Milano, nel febbraio 2009. La tenuta antisommossa dei nuclei speciali della Polizia Locale di Milano non si vede più, ovviamente, ma è bene ricordare qual’è la filosofia che aveva portato alla loro costituzione e che forse spiega molto.
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UNA SCELTA NECESSARIA
 
Sono tra coloro che chiedono lo scioglimento del Nucleo Operativo della Polizia Locale di Milano. Questa scelta giunge dopo una riflessione che dura da tempo.
Basta girare tra i vari Comandi di zona e raccogliere le impressioni dei colleghi, per scoprire che questo Nucleo è sempre stato poco amato. Questione centrale la sua effettiva utilità ed il discutibile agio operativo che gli è sempre stato concesso.
Da sempre il sottoscritto e la sua organizzazione sindacale, rivendica la necessità di non sovrapporre i compiti e le funzioni della Polizia Locale a quelli di Polizia di Stato e Carabinieri, ma evidentemente non è opinione condivisa. Alcuni settori del Comando ed alcune Organizzazioni Sindacali si ostinano a difendere le prerogative operative di questo Nucleo.
Un nucleo di circa 60 colleghi che vede al suo interno scarsa esperienza professionale ed un alto tasso di sopravalutazione del proprio ruolo. Ne fanno gran parte colleghi che hanno poca anzianità di servizio e che sino ad oggi si sono sentiti più poliziotti che vigili. Una devianza inaccettabile.
Credo di poter affermare, che gli ultimi avvenimenti giungono a conferma che l'era DeCoratiana dei super poliziotti della Polizia Locale è davvero finita. Purtroppo il tragico episodio del Parco Lambro getta un'ombra inquietante sull'intero corpo della Polizia Locale di Milano ed io non voglio sentirmi complice di una morte che grida vendetta.
Sarà compito della Magistratura ricostruire i fatti, ma quello che è certo è che un uomo è stato colpito alle spalle e chi ha sparato è un vigile di Milano. Tutto ciò mi addolora. Lungi da me sputar sentenze, ma quello che mi sta a cuore e possiamo fare, è di recuperare i grandi valori e lo spirito democratico che ha sempre caratterizzato i Vigili di Milano.
Per me la colleganza è un valore importante, perché significa innanzitutto solidarietà. Ma la solidarietà non può essere cieca. Si deve scegliere a chi offrire la propria solidarietà. Personalmente non sono disponibile a difendere qualunque collega, sempre e comunque, solo perché indossa la mia stessa divisa. Ho sentito dichiarazioni interne al Corpo, ma anche di alcuni politici della Lega e del PDL, che mi hanno fatto rabbrividire.
Il rispetto della legge non può avere più binari. Tutti noi continuiamo ad essere cittadini dello stesso Paese e quindi assoggettati alle stesse leggi.
Dopodiché deve essere chiaro, mi rivolgo a chi come me da anni svolge lo stesso lavoro, che noi uomini e donne in divisa abbiamo più responsabilità di qualunque altro cittadino. Sono consapevole che tutto ciò sia impegno difficile e gravoso (spesso purtroppo non riconosciuto), ma credo sia questa la prerogativa essenziale per chiunque voglia rappresentare degnamente le nostre istituzioni.
Sono convinto che forte di questi valori, il vecchio Ghisa potrà ritrovare e consolidare l'affetto e la solidarietà di tutti i milanesi. Nel frattempo Milano piange un altro lutto.
 
DANILO TOSARELLI - Delegato USB Polizia Locale Milano Zona 2
 
22 febbraio 2012
 
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di lucmu (del 21/02/2012, in Movimenti, linkato 2802 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale on line MilanoX il 21 febbraio 2012
 
Non mi piace particolarmente polemizzare con dei magistrati, anche se può capitare, e non mi ricordo di avere mai scritto frasi ingiuriose contro singoli magistrati. E riterrei profondamente sbagliato se la mobilitazione per la scarcerazione degli attivisti No Tav, arrestati il 26 gennaio scorso, finisse per tramutarsi in una sorta di questione personale con il Procuratore Capo di Torino, Gian Carlo Caselli.
Sarebbe imperdonabile, poiché non solo condurrebbe su strade senza vie d’uscita, ma soprattutto assolverebbe i responsabili del costosissimo, inutile e dannoso progetto Tav e della pazzesca militarizzazione della Val di Susa.
Se in Valle la situazione è quella che è e se c’è una campagna, giudiziaria e politica, per tentare di spezzare il movimento ed eliminare il dissenso, questo non è certo il prodotto delle decisioni di una qualche procura, bensì di un insieme di attori economici e politici, a partire dal livello governativo.
Detto e ribadito tutto questo, non possiamo però esimerci da alcune considerazioni su quanto dichiarato da Gian Carlo Caselli nella sua intervista, pubblicata oggi dal Corriere della Sera, in seguito all’annullamento della presentazione pubblica del suo libro a Milano, causa timori per eventuali ed attese contestazioni.
Sarebbe certamente più comodo tacere e fare finta di niente, come fanno molti, ma sarebbe anche irresponsabile, perché il procuratore capo ha scelto di formulare alcuni giudizi, di carattere extragiudiziale, che francamente fanno sobbalzare sulla sedia e che inquietano.
Come si fa a paragonare chi contesta la retata del 26 gennaio ai "familiari dei camorristi che circondano le auto delle forze dell'ordine per impedire gli arresti dei loro congiunti”? Oppure, liquidare le critiche di un suo stimato ex collega, il giudice Livio Pepino, con un infastidito “ai tempi del terrorismo, a sinistra mi chiamavano ‘servo sciocco’ del generale Dalla Chiesa. Non mi sono impressionato allora né mi impressiono oggi”?
È grave che proprio il magistrato che conduce l’inchiesta contro un gran numero di attivisti del movimento No Tav paragoni con disinvoltura gli inquisiti a camorristi e quanti lo criticano a dei collusi con il terrorismo.
Auspico vivamente che si torni presto a maggior realismo e correttezza e, soprattutto, che tutta la questione No Tav torni ad essere considerata per quella che è: non una questione di ordine pubblico, bensì politica, nel senso più nobile del termine. Poi, qualche camorrista o simile salterà sicuramente fuori, ma certamente non dalla parte dei No Tav.
Il 25 febbraio ci sarà la manifestazione nazionale in Val di Susa, che ribadirà ancora una volta la richiesta di scarcerazione degli attivisti detenuti e la continuazione della lotta contro l’insensato progetto Tav. Sarà una voce plurale, unita e determinata. Ne sono certo. Andrebbe ascoltata.
 
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Manca poco più di una settimana alla manifestazione nazionale No Tav del 25 febbraio e le iniziative sui territori si moltiplicano. A Milano, segnaliamo in particolare i due appuntamenti “centrali” di questo fine settimana, il concerto No Tav di venerdì 17 e il corteo di sabato 18 febbraio, che si aggiungono alle diverse iniziative già realizzate nell’area metropolitana.
Per quanto riguarda i quattro attivisti no tav milanesi finiti in custodia cautelare a San Vittore nel quadro della maxi retata del 26 gennaio scorso, la situazione è la seguente: lunedì 13 febbraio si è tenuto il riesame per tre di loro, che ha confermato la carcerazione preventiva per Marcelo e Maurizio, concedendo gli arresti domiciliari soltanto per Lollo; oggi giovedì 16 febbraio si è tenuto il riesame per Niccolò: pure per lui sono stati respinti i domiciliari e quindi deve rimanere in carcere.
Ricordo, inoltre, l’appello pubblico per la scarcerazione degli attivisti milanesi arrestati, pubblicato anche su questo blog, che continua ad essere valido.
Per quanto riguarda gli appuntamenti sopra ricordati, eccovi le coordinate:
 
CONCERTO NO TAV
venerdì 17 febbraioore19.00-24.00 piazza XXIV Maggio - Milano
Per la liberazione di tutti gli arrestati No Tav. Contro un’opera dannosa e inutile. Per la difesa dei territori e dei beni comuni. Per la libertà di conflitto.
con: ESA, NIGHTSKINNY, JUNIOR SPREA, MICKY e JOXEMI (NO RELAX y SKA-P), PUNKREAS, CASINO ROYALE
Intervengono: compagni e parenti dei ragazzi arrestati e Comitati No Tav della Val di Susa
Live painting by: Art Kitchen, VolksWriter
per info e aggiornamenti vedi sito di Milano in Movimento
 
CORTEO CITTADINO NO TAV
sabato 18 febbraioore 14.00 - Stazione Centrale (sotto il presidio-torre dei lavoratori ex wagon lits, cioè v. Ferrante Aporti, ang. v.le Brianza)– Milano
Il corteo terminerà davanti a San Vittore.
La manifestazione è stata convocata dall’assemblea cittadina e non c’è un unico appello di convocazione, bensì soltanto delle parole d’ordine unitarie: “Le lotte non si arrestano! No Tav liberi!”.
Da parte di una serie di comitati territoriali (no tem, no expo ecc.) è stato, invece, lanciato un Appello per uno spezzone unitario territori lombardi in lotta, che si tradurrà appunto in uno spezzone all’interno del corteo. Per quanto ci riguarda, lo condividiamo.
 
MANIFESTAZIONE NAZIONALE NO TAV IN VAL DI SUSA
sabato 25 febbraioore 13.00 – piazzale della Stazione - Bussoleno (termina a Susa)
Per quanto riguarda i mezzi di trasporto collettivi da Milano, la situazione è ancora in evoluzione. Pertanto segnaliamo gli unici mezzi già certi, cioè i pullman organizzati da Zam, che partiranno alle ore 9.00.
Info e prenotazioni: pullman-mi@hotmail.com – tel. 389.5445079
 
Luciano Muhlbauer
 
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