Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Esprimiamo la nostra viva preoccupazione per come il governo regionale lombardo sta affrontando la vicenda di Malpensa e, soprattutto, per la progressiva espulsione dal dibattito del destino dei lavoratori e del futuro dell’occupazione nello scalo varesino e negli altri aeroporti della nostra regione in generale, che rappresenta il problema principale.
Il centrodestra lombardo sembra, infatti, persistere nella contrapposizione tra il Nord e Roma, considerata responsabile tout court della situazione attuale, e incentrare tutta l’iniziativa sulla gestione degli slot di Malpensa. Certo, questo approccio è senz’altro produttivo sul piano politico-propagandistico, ma rischia di avere effetti concreti soltanto nel gioco delle cordate e degli interessi che vogliono spartirsi le spoglie di Alitalia e il ricco mercato del Nord Italia.
Sintomo di tutto questo è che oggi si parla poco di occupazione, a differenza dell’autunno scorso, quando gli scioperi dei lavoratori di Malpensa raccolsero persino il plauso della Giunta regionale. Eppure, sono a rischio migliaia di posti di lavoro, proprio in un territorio già duramente provato da una serie di crisi industriali e occupazionali negli anni passati.
Sintomatico è altresì il silenzio sulle responsabilità regionali e locali. Non solo non è stato mai risolto il problema dell’accessibilità, per le persone e per le merci, che fa sì che Malpensa, da questo punto di vista, sia un fanalino di coda in Europa, ma non è stata nemmeno mai definita una strategia complessiva per le infrastrutture aeroportuali della regione. Anzi, in questi anni, gli aeroporti lombardi sono cresciuti in totale assenza di programmazione e soltanto in base agli interessi particolari. Il ruolo e la funzione di Linate sono stati oggetto di continue bagarre politiche e istituzionali, mentre, ancora poco tempo fa, importanti assessori regionali fantasticavano pubblicamente su un “secondo hub lombardo” a Montichiari (Bs).
Tuttavia, oggi non è tempo per rivangare vecchie polemiche, bensì per lavorare su soluzioni possibili ed efficaci. Ecco perché ribadiamo, come già affermato in autunno in Consiglio, la nostra disponibilità, purché si faccia sul serio e si scenda dal treno della propaganda. QMa questo significa che la Giunta regionale si sieda al Tavolo Milano, mettendo in campo degli impegni concreti, sul piano della programmazione e delle prospettive di sviluppo, e soprattutto assumendo la questione occupazionale, in termini quantitativi e qualitativi, come prioritaria.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 09/01/2008, in Lavoro, linkato 1034 volte)
Da settembre dell’anno scorso, migliaia di precari lombardi si vedono rifiutare dai Centri per l’impiego provinciali le loro domande per i posti di lavoro temporanei presso le pubbliche amministrazioni della regione.
Si tratta delle cosiddette “chiamate art. 16”, cioè di assunzioni a tempo determinato nelle pubbliche amministrazioni per qualifiche che richiedono l’unico requisito dell’assolvimento della scuola d’obbligo (bidelli, cantonieri, videoterminalisti, giardinieri ecc.). Certo, si tratta di posti di lavoro a tempo determinato e sicuramente non ben pagati, ma era pur sempre una possibilità di reddito in più.
Ebbene, con le nuove modalità e procedure, definite dalla Giunta regionale nel giugno 2007 e, poi, applicate dalle Province lombarde, i precari fino allora considerati “privi di occupazione”, perché con reddito annuo lordo inferiore a 8.000 euro, non possono più accedere alle domande.
Si tratta di una situazione inaccettabile in sé, perché colpisce un settore di lavoratori già svantaggiato, e inoltre in contrasto con la normativa nazionale, nonché con la prassi seguita dalle regioni limitrofe (Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte).
Pertanto, oggi abbiamo depositato un’interpellanza al competente assessore regionale, chiedendo di ristabilire il regime precedente e di rimuovere l’esclusione dei precari.
qui puoi scaricare il testo dell’interpellanza
C’è del marcio sui colli bergamaschi, o meglio, nel Consorzio del Corpo di Polizia Intercomunale dei Colli, costituito nel 2000, che riunisce i vigili urbani di sette comuni alle porte di Bergamo. La denuncia viene da un’organizzazione sindacale che sicuramente non può essere accusata di estremismo, la Uil, ed è stata promossa anche una vertenza sindacale.
Oggi, abbiamo depositato in Regione un’interpellanza all’assessore alla polizia locale, chiedendogli di promuovere con urgenza gli opportuni accertamenti, relativi anche all’uso dei finanziamenti regionali, e di intervenire per porre fine allo scandalo dei vigili-squillo.
Alle magnificenze proclamate sul sito internet del Consorzio, corrisponderebbe infatti una realtà molto diversa, fatta di sprechi di risorse e, soprattutto, di un’estesa precarizzazione dei rapporti di lavoro dei vigili urbani. Ovvero, un turn-over di personale pazzesco, riguardante in questi anni 30 persone sulle 35 in organico, vigili mandati in servizio senza aver nemmeno svolto la formazione obbligatoria di base e costose apparecchiature inutilizzate perché nessuno ha mai imparato a maneggiarle. Ci sarebbero poi tanti altri fatti, come la violazione della privacy, l’uso prolungato della nuova caserma senza avere l’agibilità e un ampio parco auto chissà perché non impiegato a dovere.
Il Consorzio si presenta come uno specchio fedele di quanto sta avvenendo da un po’ di tempo nelle polizie municipali della Lombardia. Cioè, una progressiva trasformazione in una sorta di polizie dei sindaci, emarginando le funzioni proprie e tipiche del corpo, che intanto nessun altro svolge più. E così, se da una parte imperversa la precarietà del lavoro e i consigli comunali sono esclusi da qualsiasi possibilità di controllo reale, dall’altra il Consorzio si mostra più che zelante nell’elevare multe a tappeto e in controlli asfissianti di giovani e immigrati. Infatti, l’illegittima legge regionale sui phone center, contestata non solo da tutte le sezioni del Tar della regione, ma anche dall’Autorità nazionale garante della concorrenza, qui è stata applicata in maniera talmente integralista da provocare la chiusura forzata di praticamente tutte le attività.
Un fulgido esempio di come l’ideologia securitaria provochi di tutto, tranne che sicurezza, sia per gli agenti, che per la cittadinanza.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui puoi scaricare l’interpellanza
È stato pubblicato il rapporto di Fortress Europe sulle vittime della frontiera europea. Nel solo mese di dicembre sono morti 243 tra migranti e rifugiati nel tentativo di raggiungere l’Europa. Così, l’anno 2007 si chiude con un bilancio di almeno 1.861 vittime. Erano stati 2.088 nel 2006. Difficile confrontare i dati, sottolinea il sito di Fortress, visto che si basano esclusivamente sulle notizie riportate dalla stampa e quindi non costituiscono cifre esaustive. Ma esaminando solo il numero delle vittime in mare, l’ultima tappa dei viaggi, i morti del 2007 sono 1.684, contro i 1.625 dello scorso anno.
Sul sito potrai trovare informazioni numerose e sempre aggiornate sulle vittime della frontiera. Insomma, un sito da visitare spesso, per non dimenticare mai la realtà e non farsi travolgere dalle troppe menzogne e strumentalizzazioni in circolazione.
di lucmu (del 21/12/2007, in Casa, linkato 1360 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 20 (pag. Milano) e su Liberazione del 21 dic. 2007
Un anziano prete si inerpica, candela in mano, sulle scale buie di un palazzo privo di elettricità e riscaldamento per accompagnare a casa i bambini che frequentano il suo oratorio. Succede da un po’ di tempo, non in qualche megalopoli del sud del mondo, ma nella moderna e europea Milano, capitale della moda eccetera, eccetera.
Il sacerdote si chiama don Piero e lo stabile in questione è una vecchia conoscenza delle cronache meneghine, cioè l’ex residence di via Cavezzali 11. Vi ricordate? Una lunga storia di abbandono, degrado e speculazioni immobiliari, con tutto il suo corollario delinquenziale. Nel febbraio del 2006 un vigilante privato vi uccise un cittadino marocchino, Abdel Khalek Nakab. Una morte liquidata in seguito come “accidentale”, anche se sarebbe più appropriato il termine “annunciata”, poiché era ormai prassi comune per le proprietà riscuotere gli affitti arretrati con le minacce e le violenze. Più avanti sono arrivati gli sgomberi e le operazioni di polizia, con l’obiettivo dichiarato di riportare la legalità eccetera. Ma, mentre la mano della legge è stata forte e visibile con l’ultimo anello della catena, le immobiliari e gli speculatori, veri responsabili della situazione, se la sono cavata con poco.
E così arriviamo al presente. Altri annunci di “ora cambia tutto”. Una nuova amministrazione che si insedia e i lavori di ristrutturazione che partono. Tuttavia, per quella vecchia vicenda del debito accumulato con l’Aem, oltre 100mila euro, perché gli amministratori di allora intascavano i soldi, alla fine di ottobre l’azienda energetica taglia luce e riscaldamento ai residenti.
Una situazione insostenibile, perché lì vivono intere famiglie, non solo estranee al problema del debito pregresso, ma assolutamente in regola con il pagamento dell’affitto e delle spese. E, quindi, il Prefetto e le autorità annunciano pubblicamente interventi per risolvere la questione, considerato altresì l’inverno alle porte.
Eppure, sono passati quasi due mesi da quel giorno e oggi le famiglie continuano a stare al buio e devono riscaldarsi con mezzi di fortuna.
Dove sono finite le promesse e gli impegni? Il Comune e il suo Sindaco, così pronti a riempire i loro comunicati stampa di parole come “sicurezza” e “attenzione ai quartieri popolari”, cosa fanno? Insomma, siamo alle solite, passate le bufere mediatiche e fatte le dichiarazioni incendiarie, tutto torna come prima, cioè all’abbandono, anticamera del degrado.
Chiediamo quindi alle istituzioni di intervenire con urgenza per ripristinare le condizioni minime di vivibilità nello stabile di via Cavezzali 11. Si faccia subito, prima delle feste, consentendo a quelle famiglie di passare almeno il Natale in santa pace.
Oggi il Consiglio regionale ha approvato a maggioranza un ordine del giorno, firmato da tutti i gruppi dell’opposizione e dalla Lega, che impegna la Giunta regionale a sostenere la richiesta del Comune di Corsico e della Provincia di Milano di convocare la conferenza dei servizi per discutere la proposta di interramento del raddoppio della linea ferroviaria Milano-Mortara, nel tratto che interessa Corsico. A questo proposito, Luciano Muhlbauer, consigliere regionale del Prc e primo firmatario dell’ordine del giorno, dichiara:
“Con l’odierno voto il Consiglio regionale si riappropria del suo ruolo, che è anche quello di dare ascolto alle richieste dei cittadini. Infatti, da molto tempo ormai, i cittadini e le cittadine di Corsico si sono organizzati in un comitato, che chiede che il raddoppio della ferrovia venga interrato.
Per capire le ragioni della protesta, basta conoscere un po’ Corsico, territorio densamente urbanizzato, e dunque rendersi conto che l’attuale progetto di Italferr è insostenibile, poiché provocherebbe la costruzione di una sorta di muro di Berlino, mediante barriere antirumore alte fino a sei metri, che taglierebbero in due la città.
Il Comune di Corsico aveva persino commissionato al Politecnico uno studio di prefattibilità tecnica, economica e finanziaria, per dimostrare che delle alternative c’erano e il suo consiglio comunale ha votato all’unanimità il sostegno alla richieste del comitato. Eppure, sembrava quasi impossibile trovare un luogo istituzionale dove poter semplicemente discutere la questione.
Ma il comitato cittadino ha insistito, tenacemente. E così, il 13 dicembre scorso, la Provincia di Milano, insieme al Comune di Corsico, ha firmato la richiesta al Ministro Di Pietro di convocare la conferenza dei servizi. Tuttavia, mancavano all’appello il Comune di Milano e, soprattutto, Regione Lombardia, dove l’assessore competente, Cattaneo, ha per troppo tempo ignorato la voce dei corsichesi.
Ora il Consiglio regionale ha rimediato e auspichiamo che anche il Comune di Milano possa presto aggiungersi alla richiesta di convocare la conferenza dei servizi.
In fondo, si tratta di una questione di democrazia e di rispetto per i cittadini”.
Comunicato stampa del Gruppo consiliare regionale del Prc
qui puoi scaricare l’ordine del giorno approvato
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 15 dic. 2007 (pag. Lombardia)
Cittadella e Caravaggio sono due piccoli comuni delle province di Padova e Bergamo, che probabilmente non si erano mai sognati di diventare famosi. Eppure, ora sono assurti a indiscussi alfieri della carica dei sindaci del lombardo-veneto, orchestrata e capitanata dalla Lega Nord.
Il grande merito –si fa per dire- dei loro sindaci-sceriffi è quello di aver emanato due ordinanze simbolo contro gli immigrati. La prima stabilisce che uno straniero, per ottenere la residenza, deve dimostrare di disporre di un reddito annuo superiore a 5mila euro e di vivere in un alloggio che risponda a determinati criteri di carattere edilizio e igienico-sanitari. Inoltre, istituisce una commissione comunale che valuta la “pericolosità sociale” dell’immigrato. La seconda, invece, decreta che uno straniero sprovvisto di permesso di soggiorno valido non possa contrarre matrimonio con un cittadino italiano.
Loro dicono che non si tratta di iniziative xenofobe, bensì di provvedimenti “per la legalità”. Ma, in fondo, è sufficiente buttare l’occhio sul manifesto della Lega che accompagna la campagna pro-ordinanze, che ha già raccolto l’adesione di molti piccoli comuni, per capire l’antifona. Infatti, si tratta della copia esatta del manifesto elettorale del razzista elvetico, Christoph Blocher. Quello delle pecore bianche che scacciano quella nera, tanto per intenderci.
Ora, potremmo liquidare ogni ulteriore discussione su tutto questo can can leghista, inquadrandolo nella ferocia resa dei conti in corso a destra. Infatti, dopo aver attraversato Bergamo a suon di insulti contro il Prefetto, la campagna è sbarcata a Milano, in vista della manifestazione della Lega di domani, incassando l’adesione del sindaco Moratti e mettendo in subbuglio tutto il centrodestra meneghino.
Tuttavia, ciò che importa in questa vicenda non è tanto la lotta intestina a destra, che al limite potrebbe anche farci piacere, quanto il fatto che l’arma impugnata per combatterla è il securitarismo xenofobo, ormai diventato uno dei principali canali di produzione di consenso, nonché terreno privilegiato dello scontro politico.
Insomma, siamo di fronte all’indegno epilogo –provvisorio- di un anno di incessante crescendo xenofobo, dove pesanti sono le responsabilità del Piddì veltroniano e di molti suoi sindaci che pensano di poter neutralizzare le destre, imitandole. L’unico risultato concreto di questa folle politica è sotto gli occhi di tutti, cioè quello di aver sdoganato definitivamente il gioco del “dagli addosso allo sfigato”. E così, se tu te la prendi con i lavavetri, io rilancio impedendo i matrimoni, e se tu gridi all’emergenza criminalità dei romeni, io mi metto ad accertare la “pericolosità sociale” di tutti gli immigrati.
Ma, diciamoci la verità, anche dalle nostre parti, cioè a sinistra, le cose non vanno benissimo. Troppo spesso prevale la voglia di volgere lo sguardo dall’altra parte, nella vana speranza che le cose si aggiustino da sole, e può succedere persino che qualcuno ceda. Comunque sia, alla fine l’unica conseguenza è che rimaniamo chiusi in un angolo, mentre le destre accumulano consensi e le tesi razziste acquisiscono legittimità.
Beninteso, siamo tutti consapevoli che non è facile ricostruire un orizzonte e una pratica politica e sociale che possano contrastare l’onda che sale, offrendo delle prospettive alternative e credibili. Ma continuare a rimuovere il problema e, dunque, non affrontarlo di petto non aiuta di sicuro, anzi rischia di diventare una gravosa ipoteca sul futuro delle sinistre nelle regioni del Nord.
Nel nostro Paese assistiamo continuamente a campagne d’allarme che creano “emergenze” e additano capri espiatori. La violenza e l’uccisione di una donna a Roma, da parte di un uomo, ha dato il via ad una criminalizzazione di massa. Essendo l’uomo rumeno, colpevole uno, colpevoli tutti. Odio e sospetto alimentano generalizzazioni: tutti i rom vengono così trasformati in ladri e assassini, tutti i rumeni vengono trasformati in rom e quindi… espelliamo dall’Italia tutti i rumeni!! Politici vecchi e nuovi, di centro-destra e di centro-sinistra fanno la gara a chi urla più forte, denunciando l’emergenza. Emergenza che, scorrendo i dati del Rapporto sulla Criminalità (1993-2006), non esiste: omicidi e reati gravi sono, oggi, ai livelli più bassi degli ultimi 20 anni. Un omicidio su quattro viene commesso in casa: nel 70% dei casi la vittima è una donna; più di un terzo delle donne fra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale durante la propria vita e il responsabile di aggressione fisica o stupro è sette volte su dieci il marito o il compagno.
Ma cosa si grida in tv e in Parlamento? Si crea il mostro (oggi i rumeni, ieri i musulmani, prima ancora gli albanesi) invece di impegnarsi ad eliminare le vere cause del panico e dell’insicurezza sociali: l’aumento di povertà e precarietà. Da una parte si fanno leggi speciali per favorire le espulsioni, si dà la colpa a popoli interi per i crimini di singole persone, in nome di una politica che promette sicurezza ma che chiede in cambio la rinuncia ai principi di libertà, dignità e civiltà; dall’altra, si lasciano in vigore leggi, come la Bossi-Fini, che usano tutto questo per fornire manodopera immigrata e ricattabile a italianissimi imprenditori.
Non abbiamo bisogno di leggi speciali: la nostra Costituzione è la base su cui si costruì il patto di convivenza civile che ha cercato di far crescere in Italia una democrazia ricca di partecipazione popolare, pluralismo, cultura del bene comune. Quel patto deve essere rafforzato e rinnovato di fronte alle modificazioni della società, all’emergere di nuovi soggetti sociali, bisogni e diritti. Proprio nello spirito con cui è stata scritta la Costituzione possiamo trovare anche oggi le risposte ai problemi che nascono.
Bisogna rileggere questa nostra Carta nella nuova situazione sociale attuale e cioè quella di una società multietnica che prova a trasformarsi in multiculturale, con la sicurezza più che la speranza di ritrovare ancora una volta nei valori della Resistenza, e nella tutela dei diritti la forza per fare chiarezza, anche contro quelle derive razziste che un cattivo governo di questo processo sociale naturalmente possono favorire.
Tutto questo ci riguarda: non staremo in silenzio. Sentiamo il dovere di denunciare e lottare contro ogni forma di discriminazione, manifesta o nascosta, perché crediamo che ognuno abbia il diritto alla libera circolazione e a scegliere il luogo in cui vivere, per migliorare il presente e contribuire alla costruzione del futuro di tutti.
Noi non condividiamo la sicurezza declinata, com’è oggi, in una irragionevole repressione, ma l’intendiamo come impegno ad assicurare le condizioni per una serena convivenza con tutti, senza distinzione di genere e provenienza; come risoluzione delle ingiustizie che contraddistinguono l’attuale mondo del lavoro, campo di battaglia sul quale cresce la contrapposizione tra italiani ed immigrati.
Crediamo che l’immigrazione non sia semplicemente un problema di sicurezza, ma un’esigenza legata alla ricerca di una vita migliore per sé e la propria famiglia. Un percorso che Cinisello come molte altre città del Nord Italia ha affrontato in passato, crescendo proprio grazie all’accoglienza di nuovi cittadini.
Ci impegniamo a promuovere il dialogo tra le diverse culture mediante la creazione di incontri e ambiti di interscambio, dove i valori, le idee e le credenze delle persone si possano incontrare per costruire un dialogo tra la grande varietà e ricchezza di modi di vivere e trovare così i punti in comune che, al di sopra di ogni differenza, noi crediamo si trovino nel cuore dei diversi popoli e individui.
Chiediamo a singoli, associazioni, movimenti, parrocchie di Cinisello Balsamo di condividere con noi questo percorso studiando insieme le modalità.
Primi Firmatari:
Arci Anomaliae; Associazione Soleluna; Associazione United Cultures Milano; Giovani Comunisti Provincia di Milano; Rifondazione Comunista - Cinisello Balsamo; Sinistra Democratica - Cinisello Balsamo; Verdi - Cinisello Balsamo; Partito dei Comunisti Italiani - Cinisello Balsamo; A.D.E. Artisti Dell’Errore - ARCI “La Quercia”; Arci Milano; Coordinamento Pace; Ass. Sesto Continente; Caritas - Cinisello Balsamo; Fabio Raisi; Davide Meroni; Cooperativa sociale Puntoeacapo; Luciano Muhlbauer - Consigliere Regionale Prc-Se.
Qui sotto puoi scaricare la sentenza contro i 25 manifestanti, accusati di fatti avvenuti nel corso delle contestazioni del G8 del 2001, emessa oggi dal tribunale di Genova:
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 14 dic. 2007 (pag. Milano)
Quanto è lontana la Svizzera da Milano! Proprio ieri il parlamento elvetico, con il voto determinante di una parte del centrodestra, ha deciso l’esclusione dal governo dello xenofobo Cristoph Blocher, nonostante la sua affermazione elettorale. Qui invece, nella città che si pretende europea, anzi cosmopolita, e sede dell’Expo 2015, il Sindaco Moratti ha annunciato che domenica marcerà insieme alla Lega e ai suoi sindaci, protagonisti della campagna xenofoba a suon di ordinanze.
Non siamo ingenui e siamo quindi consapevoli che la resa dei conti all’interno della ex-Casa delle libertà contempli l’utilizzo di ogni mezzo disponibile. E non ci sorprende nemmeno che una An in evidenti difficoltà, i neofascisti del duo Storcace-Santanché e certi politici buoni per tutte le stagioni, come Tiziana Maiolo, corrano dietro alla manifestazione leghista di domenica. Ma che lo intenda fare persino il Sindaco è un fatto grave e senza precedenti.
Il Sindaco non è un politico qualsiasi. E’ certamente espressione di una parte politica ed è vincolato al suo programma elettorale, ma una volta entrato in carica assume anche una rappresentanza più ampia, cioè, nel nostro caso, di tutta la città di Milano. E tanto più grande e importante è la metropoli, quanto più significativa è la sua responsabilità politica e istituzionale.
Eppure, come se fosse la cosa più normale del mondo, Lady Moratti abbraccia la piazza e la causa degli epigoni padani di Blocher, che appunto si mobilitano per imporre anche a Milano le ordinanze dei sindaci-sceriffi di Cittadella e Caravaggio. Ordinanze, tanto per ricordarcelo, che con la sicurezza non c’entrano un fico secco, ma che in cambio alimentano ulteriormente quel fiorente mercato della politica poltiglia, chiamato “percezione di insicurezza”, fornendogli nuovi e facili nemici.
Siamo turbati e stupefatti di fronte al comportamento del Sindaco Moratti, che a quanto pare non riesce più a cogliere la differenza tra governare una metropoli come Milano, con le sue tradizioni di civiltà e democrazia, e una cittadina della profonda provincia del Mississippi.
Ma siamo altrettanto preoccupati di fronte all’inconsistenza politica delle reazioni finora manifestatesi. E non ci riferiamo soltanto alla timidezza delle opposizioni, ma anche all’assenza di fatti concreti da parte di quei moderati del centrodestra che a parole si dicono contrari all’ennesimo salto di qualità nella caccia alle streghe.
Chiediamo pertanto, a chi di dovere, di impegnarsi affinché domenica non si compia lo scempio di un Sindaco di Milano che marcia dietro i nuovi vessilli della xenofobia militante.
Insomma, se non riusciamo proprio più ad essere milanesi, almeno cerchiamo di assomigliare un po’ più alla Svizzera e un po’ meno al Mississippi.
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