Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
di lucmu (del 23/03/2006, in Lavoro, linkato 993 volte)
Il gruppo consiliare regionale lombardo di Rifondazione Comunista - fanno oggi sapere i consiglieri regionali Mario Agostinelli, Luciano Muhlbauer e Osvaldo Squassina - sostiene la campagna nazionale Per un nuova scala mobile.
La campagna, che vede impegnate in tutto il Paese forze sindacali, associative e politiche, tra cui il Prc, consiste nella raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare che ripristini la scala mobile.
“La progressiva erosione del potere d’acquisto di questi anni - spiegano i tre consiglieri - ha peggiorato in maniera significativa le condizioni di vita di milioni di lavoratori e lavoratrici e pensionati. Lo dicono le statistiche, ma ancor prima ce lo dice la realtà vissuta di tutti giorni, con le difficoltà di arrivare alla fine del mese oppure con il crescente indebitamento di numerose famiglie.
Nessuno nega più questo dato di fatto, ma pochi sono disposti a riflettere sulle cause di una vera e propria redistribuzione del reddito al rovescio. Eppure, la verità è molto semplice: prezzi e tariffe sono liberi di aumentare, mentre salari e stipendi sono ingabbiati dalle regole della ‘politica dei redditi’ del 1993, che aveva introdotto l’insano principio della ‘inflazione programmata’, sempre e comunque inferiore a quella reale”.
“Si tratta insomma – proseguono i consiglieri - di fare un bilancio della politica che aveva abolito e sostituito la scala mobile. E quel bilancio è francamente disastroso. Ecco perché vi è una necessità impellente di riaprire la discussione e l’iniziativa politica sull’introduzione di un nuovo meccanismo che adegui automaticamente salari, stipendi e pensioni all’inflazione reale.
E per favore non si dica che non è possibile perché il problema dell’economia italiana sarebbe il costo del lavoro troppo alto. Si tratta di una leggenda che trova regolare smentita sul piano internazionale, come ricorda anche la recentissima ricerca della società multinazionale KPMG sulla competitività dei paesi più industrializzati. Infatti, risulta che il costo del lavoro in Italia non solo è più basso rispetto agli Stati Uniti, ma anche più basso di tutti gli altri paesi europei”.
“Coloro che hanno deciso di ridurre i salari per rilanciare l’economia italiana - concludono Agostinelli, Muhlbauer e Squassina - hanno fallito. I lavoratori sono più poveri e le imprese perdono competitività sui mercati internazionali. Per tutte queste ragioni è importante che la campagna Per un nuova scala mobile registri una forte e convinta adesione.”
 
Comunicato stampa del Gruppo regionale del Prc
 
di lucmu (del 01/06/2006, in Lavoro, linkato 811 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberamente di maggio-giugno 2006
 
Per una nuova scala mobile. Si chiama così la campagna nazionale a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare che chiede l’istituzione di un meccanismo di adeguamento automatico dei redditi da lavoro e delle pensioni all’inflazione reale. L’idea di lanciare dal basso una proposta di legge era venuta al Sincobas e aveva rapidamente raccolto il consenso delle altre organizzazioni sindacali di base e della Rete 28 aprile nella Cgil, nonché di diverse forze sociali e politiche, come Rifondazione Comunista, il PdCI e i Verdi. Anche il gruppo consiliare regionale lombardo del Prc ha aderito da subito alla campagna.
Di scala mobile non si parlava più da anni, anzi quando osavi discuterne in pubblico rimediavi al massimo qualche sorriso di sufficienza. Eppure, le notizie provenienti dai banchetti per la raccolta delle firme, iniziata a febbraio, raccontano di una buona e immediata adesione di lavoratori e lavoratrici. E allora forse conviene ricordare cos’è successo in questi anni che ci dividono da quello sciagurato fine di luglio di 14 anni fa.
Fu appunto alla vigilia della pausa agostana del 1992, quando Governo, Confindustria e Cgil-Cisl-Uil firmarono l’accordo interconfederale che abrogò definitivamente gli accordi sindacali e le norme di legge che regolavano la cosiddetta scala mobile, ratificando così la sconfitta politica subita dal movimento dei lavoratori nel referendum del ’85. Da allora in poi non ci sarebbe più stato alcun meccanismo automatico. Il nuovo sistema, tuttora in vigore, si basava invece sull’inflazione “programmata”, stabilita dal Governo, e sul recupero del divario in sede di contrattazione nazionale.
Il bilancio di quattordici anni di applicazione del nuovo modello è assolutamente disastroso. Mentre prezzi e tariffe sono liberi di aumentare senza vincoli sostanziali, l’inflazione “programmata” si colloca sistematicamente al di sotto di quella reale ed i rinnovi contrattuali, peraltro sempre più spesso in ritardo rispetto alla loro scadenza naturale, finiscono con il rincorrere il carovita senza mai raggiungerlo.
In altre parole, il modello post-scala mobile si è tradotto in una redistribuzione del reddito al rovescio, con il risultato che oggi milioni di lavoratori e pensionati sono impoveriti. Lo dicono le statistiche, ma ancor prima ce lo dice la realtà vissuta di tutti giorni, con le difficoltà di arrivare alla fine del mese oppure con il crescente indebitamento di numerose famiglie. Di fronte a questa realtà è certamente più comodo –e più ipocrita- addossare tutte le colpe all’euro, il quale in realtà ha funzionato da semplice acceleratore, piuttosto che mettere in discussione l’insano imperativo della moderazione salariale, ahinoi fatto proprio anche dai sindacati concertativi.
Tuttavia, oggi la situazione sta raggiungendo un livello di guardia e si impone la riapertura della discussione. E per favore non si dica che non è possibile, perché il problema dell’economia italiana sarebbe il costo del lavoro troppo alto. Si tratta di una leggenda che trova regolare smentita sul piano internazionale, come ricorda anche la recente ricerca della società multinazionale KPMG. Infatti, risulta che il costo del lavoro in Italia non solo è più basso rispetto agli Stati Uniti, ma anche rispetto a Francia, Germania e Regno Unito.
Infine, una forte iniziativa per rimettere al centro la questione salariale, insieme a quella della lotta alla precarietà e dell’abrogazione della legge 30, è imprescindibile proprio ora. Vi è una preoccupante propensione, da parte di diversi settori del sindacalismo confederale e della sinistra moderata, di interpretare la nuova situazione determinatasi con l’avvento del governo Prodi, alla sola luce del rilancio di un sistema concertativo, che lungi dal rappresentare la soluzione, costituisce invece una parte importante del problema. Se era rimasto qualche dubbio al riguardo, basti ricordare i troppi applausi ricevuti da Montezemolo, quando chiedeva continuità con le politiche liberiste e invocava la collaborazione sindacale.
Ci pare che la campagna Per una nuova scala mobile, che proseguirà fino a settembre, costituisca in questo senso una salutare novità e uno strumento utile per costruire dal basso la mobilitazione per conquistare delle politiche alternative, capaci di rispondere alle aspettative e alle condizioni reali di lavoratori e pensionati.
 
di lucmu (del 02/06/2006, in Lavoro, linkato 887 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 2 giugno 2006 (pag. Milano)
 
Il progetto di legge regionale sul mercato del lavoro, presentato dal centrodestra lombardo in applicazione della legge 30, si è impantanato. Per la seconda volta in pochi mesi, la sua discussione in Aula, considerata urgente dalla Giunta Formigoni, è stata rinviata. Insomma, se ne riparlerà in autunno.
La storia di questo provvedimento è eloquente. Una primissima versione era già stata deliberata dalla Giunta Formigoni nella scorsa legislatura, ma senza arrivare mai nemmeno nella competente commissione consiliare. Non se n’era saputo più nulla.
Poi, sul finire del 2005, animato da un’improvvisa fretta, il centrodestra ha presentato il progetto in commissione e calendarizzato una prima volta la sua discussione in Aula per il mese di marzo. È come se le incombenti elezioni politiche, con la probabile vittoria del centrosinistra, avessero funzionato da acceleratore.
E il perché di questa fretta, dopo tanto letargo, salta immediatamente agli occhi non appena si analizza il merito del provvedimento. Si tratta infatti di un’applicazione della legge 30 talmente estremistica che mesi fa addirittura Michele Tiraboschi, già collaboratore di Biagi, la definì una “autostrada per la precarietà”. Un progetto di legge che non soltanto elude qualsiasi politica concreta di contrasto all’imperante precarietà del lavoro, ma prevede altresì una liberalizzazione spinta del mercato dell’intermediazione di manodopera, con il conseguente forte ridimensionamento del ruolo svolto dalle Province, a tutto vantaggio di operatori privati che potranno godere di generosi finanziamenti pubblici. In altre parole, un tentativo di anticipare i tempi della discussione nazionale sui destini della legge 30, per imporre in Lombardia una visione affaristica del mercato del lavoro.
La Giunta Formigoni si è mossa con tale arroganza da non attuare nemmeno le canoniche consultazioni preventive con le parti sociali e gli attori istituzionali. Così, l’intenso ciclo di audizioni, organizzate dalla VII Commissione consiliare su pressione dei partiti dell’Unione, ha registrato uno straordinario coro di critiche, dalle organizzazioni sindacali a Confindustria, dall’Anci fino all’Unione delle Province lombarde.
Rifondazione Comunista chiede ancora una volta il ritiro del progetto di legge e la riapertura della discussione. Alla Lombardia non serve ulteriore libertà di precarizzare e di lucrare sulla pelle dei lavoratori. Serve, invece, una politica attiva di contrasto della precarietà e una riqualificazione del ruolo pubblico, mettendo a disposizione delle Province anche le necessarie risorse finanziarie.
 
di lucmu (del 07/09/2006, in Lavoro, linkato 968 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 7 settembre 2006 (pag. Milano)
 
Ci è voluta la solita inchiesta giornalistica del solito Fabrizio Gatti perché finalmente una verità già nota diventasse degna di attenzione pubblica e politica. Infatti, da lunghi anni associazioni e organizzazioni sindacali denunciano, nel silenzio e nell’ipocrisia generali, la situazione di sfruttamento estremo e di brutale caporalato che vige nell’agricoltura foggiana. Ben venga dunque l’intervento annunciato dal Ministro Amato.
Tuttavia, affinché il tutto non si risolva in qualche fuoco fatuo di fine estate ci vuole ora un intervento deciso a 360 gradi. Ebbene sì, perché il supersfruttamento di lavoratori immigrati non è purtroppo una specialità delle campagne foggiane, bensì una realtà in espansione in tutto il paese, che coinvolge non soltanto l’agricoltura, ma anche altri settori economici, in primis l’edilizia.
Così, il caporalato lo troviamo non soltanto nelle campagne di Foggia, ma anche nei cantieri di Milano, dove gli operai immigrati rappresentano ormai la metà degli addetti. E a Milano, così come a Foggia fino a ieri, da tempo le organizzazioni sindacali del settore producono invano denuncia su denuncia. Anzi, il Comune di Milano ha ridotto la vigilanza sulle condizioni di sicurezza e di lavoro nei cantieri, compresi quelli che beneficiano di finanziamenti pubblici, mentre la Regione Lombardia si appresta a far approvare una legge regionale sul mercato del lavoro, totalmente insensibile al contrasto dello sfruttamento del lavoro nero e tesa invece a liberalizzare l’intermediazione di manodopera.
Una situazione frutto della sbornia liberista, che guarda al lavoratore soltanto come ad un costo da comprimere, e di una politica sull’immigrazione basata sulla repressione dei migranti, per poi chiudere tutti e due gli occhi sugli abusi e gli affari di imprenditori senza scrupoli.

Chiediamo quindi al Ministro Amato di non fermarsi a Foggia e di intervenire con la stessa determinazione anche su Milano e su tutto il territorio nazionale. E soprattutto di modificare davvero l’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione, affinché venga garantito il permesso di soggiorno a tutti i lavoratori stranieri che denuncino la propria condizione di lavoro irregolare, come peraltro previsto dal programma dell’Unione.

 
di lucmu (del 15/09/2006, in Lavoro, linkato 1182 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 15 settembre 2006
 
Dopo sette mesi di aspro confronto in Commissione, il progetto di legge lombardo sul mercato del lavoro, voluto fortemente da Formigoni in applicazione della legge 30, approda in aula consiliare il 19 settembre prossimo. Certo, rispetto alla versione originaria alcune tra le misure più estremistiche sono state attenuate, senza tuttavia scalfire l’impianto di fondo.
Il cuore del provvedimento è rappresentato dalla liberalizzazione pura e semplice dell’intermediazione di manodopera. Infatti, il vecchio collocamento pubblico era stato abolito definitivamente dalla legge 30 e le relative competenze erano rimaste alle Province, salva la possibilità -ma non l’obbligo- per le Regioni di legiferare diversamente. Ora il centrodestra lombardo vuole accantonare il residuo ruolo pubblico, introducendo un “sistema regionale dei servizi per il lavoro” composto da operatori pubblici e privati.
In altre parole, vi sarà sostanziale parità tra soggetti privati e pubblici e ambedue dovranno accreditarsi presso la Regione per poter operare e così ricevere un finanziamento regionale. Alle Province rimarranno in esclusiva soltanto alcune funzioni amministrative, come il collocamento mirato delle persone disabili, la gestione delle liste di mobilità o l’avviamento alla selezione per le pubbliche amministrazioni. Tutto il resto, cioè il grosso del business delle braccia, sarà terreno di libera concorrenza tra privati e pubblico.
Insomma, si tratta sostanzialmente del medesimo sistema di accreditamento già vigente in Lombardia nella sanità e nella formazione professionale e che in questi anni ha portato al drenaggio di ingenti risorse pubbliche verso operatori privati, nonché a innumerevoli inchieste di guardia di finanza e magistratura.
Facile prevedere che un siffatto sistema porterà nel giro di poco tempo all’emarginazione degli enti locali dalle politiche occupazionali e all’espansione di quelle aziende che d’ora in poi potranno liberamente integrare i loro servizi, dalla selezione di personale alla fornitura di manodopera, con l’attività di collocamento. Ovvero, le istituzioni saranno sempre meno in grado di incidere sulle dinamiche del mercato del lavoro, mentre le aziende di somministrazione e intermediazione, portatori di interessi particolari, disporranno di un crescente e indebito potere sulla vita di lavoratori e lavoratrici.
Quello che colpisce di più nella determinazione del centrodestra lombardo è la completa indisponibilità a confrontarsi con la situazione reale che vivono oggi i lavoratori, italiani o stranieri, in Lombardia. I salari e gli stipendi hanno subito un calo preoccupante di potere d’acquisto, la precarietà e l’insicurezza sociale si sono trasformati in un autentico fenomeno di massa e persino lo sfruttamento del lavoro irregolare, compreso il caporalato, sta vivendo una sua triste primavera nella ricca e moderna Lombardia. Non a caso, infatti, la legge formigoniana abbina la liberalizzazione dell’intermediazione di manodopera a generiche petizioni di principio, non prevedendo misure concrete e incisive di contrasto della precarietà e dello sfruttamento del lavoro irregolare. Questa legge, qualora approvata, non solo non porrà un argine alla nuova questione sociale che attanaglia la Lombardia, ma finirà per aggravarla.
E allora risulta ancora più stupefacente che Ds e Margherita regionali si siano limitati in commissione ad una timida astensione, prigioniere evidentemente della miope ricerca di soluzioni bipartisan a tutti i costi. Eppure, delle alternative ci sarebbero. Di fronte all’inadeguatezza dei servizi per il lavoro attualmente esistenti si potrebbe investire sulla riqualificazione e sulla costruzione di una rete pubblica, coinvolgendo anche i Comuni. Di fronte alla precarietà dilagante, si potrebbe introdurre un sistema di incentivi e disincentivi per favorire la stabilizzazione dei posti di lavoro, cominciando dalle stesse amministrazioni pubbliche. E, infine, di fronte allo sfruttamento del lavoro irregolare si potrebbe promuovere e coordinare una campagna di vigilanza e controlli, magari a partire da quei cantieri sotto gli occhi di tutti. Tutto ciò è possibile qui e ora ed è esattamente quanto Rifondazione Comunista propone da lunghi mesi.

Ovviamente, porteremo la nostra battaglia fino in fondo nell’aula consiliare, ma ci vorrebbe davvero uno scatto di mobilitazione da parte delle forze sociali per impedire che il caporalato venga elevato al rango di politiche per il lavoro, magari con qualche collaborazione proveniente dalle fila della stessa Unione. Lo stesso scatto necessario a livello nazionale per rilanciare la battaglia per l’abrogazione della legge 30, a partire dalla manifestazione nazionale del 4 novembre.

 
di lucmu (del 19/09/2006, in Lavoro, linkato 1006 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 19 settembre 2006 (pag. Milano)
 
Con la pubblicazione venerdì scorso del documento di indirizzo per “condizioni particolari di autonomia” per la Lombardia, l’offensiva federalista di Formigoni è entrata nel vivo, come dimostra anche il pieno sostegno leghista incassato ieri dal presidente lombardo. Eppure, al dibattito politico subito animatosi non sembra minimamente interessare il quesito più importante: più poteri alla Regione Lombardia per fare che cosa?
In fondo, la risposta è sotto gli occhi di tutti e basterebbe volgere lo sguardo a quello che accadrà domani in Consiglio Regionale. Si discuterà la nuova legge regionale sul mercato del lavoro, fortemente voluta dalla giunta Formigoni, che prevede l’applicazione a dir poco integralista della legge 30.
Il cuore del provvedimento è rappresentato dalla liberalizzazione pura e semplice dell’intermediazione di manodopera. Infatti, il vecchio collocamento pubblico era stato abolito definitivamente dalla legge 30 e le relative competenze erano rimaste alle Province, salva la possibilità -ma non l’obbligo- per le Regioni di legiferare diversamente. Ora il centrodestra lombardo vuole accantonare il residuo ruolo pubblico, introducendo un “sistema regionale dei servizi per il lavoro” composto da operatori pubblici e privati.
In altre parole, vi sarà sostanziale parità tra soggetti privati e pubblici e ambedue dovranno accreditarsi presso la Regione per poter operare e così ricevere un finanziamento regionale. Alle Province rimarranno in esclusiva soltanto alcune funzioni amministrative, come il collocamento mirato delle persone disabili, la gestione delle liste di mobilità o l’avviamento alla selezione per le pubbliche amministrazioni. Tutto il resto, cioè il grosso del business delle braccia, sarà terreno di libera concorrenza tra privati e pubblico.
Facile prevedere che un siffatto sistema porterà nel giro di poco tempo all’emarginazione degli enti locali dalle politiche occupazionali e all’espansione di quelle aziende private che d’ora in poi potranno liberamente integrare la somministrazione di manodopera con l’attività di collocamento.
Ed è probabilmente superfluo aggiungere che il progetto di legge non prevede azioni concrete di contrasto alla precarietà, né interventi effettivi contro la piaga dello sfruttamento del lavoro nero ed irregolare, con tanti saluti alla situazione reale che vivono oggi i lavoratori e le lavoratrici, italiani e stranieri, nella nostra regione. Questa legge, qualora approvata, non solo non porrà un argine alla nuova questione sociale che attanaglia la Lombardia, ma finirà inevitabilmente per aggravarla.
Così, dopo la sanità e la formazione professionale, la furia privatizzatrice –assistita, beninteso, da una pioggia di finanziamenti pubblici- investe anche i servizi all’impiego e, possiamo scommetterci, una bella fetta dell’affare andrà alla Compagnia delle Opere. E, dulcis in fundo, non è un mistero per nessuno che Formigoni custodisce nei suoi cassetti, pronto all’uso, un testo di legge sull’istruzione, ispirato alla riforma Moratti.
E allora, tornando alla nostra domanda iniziale, appare chiaro che i poteri particolari rivendicati da Formigoni non servono tanto a dare più protagonismo ai cittadini lombardi, ma piuttosto a rilanciare il progetto politico e sociale del centrodestra e a sottrarre la Lombardia dalla discontinuità con le politiche del precedente governo. Infatti, mentre a livello nazionale è aperta la discussione sul superamento della legge 30, in Lombardia la si vuole applicare in versione estremistica.

Ci pare evidente che vi è una incompatibilità, anzi un antagonismo, tra il programma dell’Unione e i progetti di Formigoni. E quindi, a maggior ragione, risultano incomprensibili le continue aperture provenienti da esponenti dell’Ulivo lombardo, che fanno il paio con le strizzatine d’occhio tra rappresentanti milanesi del centrosinistra e la neosindaca Moratti. Forse è arrivato davvero il momento di uscire dalle discussioni astratte e politiciste sul federalismo e di rispondere alla domanda vera, cioè per fare che cosa? E il Consiglio Regionale di domani, inutile nascondercelo, sarà un importante banco di prova.

 
Il Consiglio Regionale odierno ha evidenziato una preoccupante distanza tra il palazzo e la società. Disinteresse diffuso, banchi semivuoti durante il dibattito e vistosa assenza di gran parte degli assessori. Eppure, non si discuteva di quisquilie, ma niente di meno che della nuova legge regionale sul mercato del lavoro. Vi era molta più attenzione e passione politica qualche mese fa in occasione della legge per la tutela degli animali d’affetto. Le lavoratrici e i lavoratori lombardi, insomma, hanno ricevuto meno considerazione politica dei pesciolini rossi.
Forse sarebbe il caso che il Consiglio regionale facesse come il parlamento inglese di un secolo e mezzo fa. Cioè, che promuovesse una commissione di indagine per accertarsi delle condizioni reali dei lavoratori in Lombardia. Almeno non ci sarebbero più alibi per non vedere che oggi si affaccia una nuova questione sociale, fatta di salari e stipendi che valgono sempre di meno, di una precarietà e insicurezza sociale sempre più diffuse e di uno sfruttamento del lavoro nero e irregolare, spesso a danno di lavoratori immigrati, in crescita.
E come meravigliarsi dunque che oggi sia stata approvata una legge regionale che non prevede alcuna misura concreta e incisiva di contrasto della precarietà e dello sfruttamento del lavoro irregolare, ma che in cambio avvia il business delle braccia? Una misura che va addirittura oltre a quanto impone la legge 30, poiché non si limita a regolare l’esercizio dell’attività di intermediazione di manodopera da parte di privati, ma prevede cospicui finanziamenti regionali a questi ultimi.
Così, le Province, che fino a oggi esercitavano in esclusiva le funzioni del collocamento, non solo perderanno la maggior parte delle competenze, ma avranno sempre meno finanziamenti, mentre le aziende private potranno da domani in poi integrare liberamente i loro servizi di fornitura di lavoratori in affitto con l’attività di collocamento. E tutto questo con generosi contributi regionali, cioè con le tasse dei cittadini.
Davvero difficile immaginare che una siffatta politica possa rispondere alle esigenze e ai problemi che oggi vivono i lavoratori lombardi. Alla fine, gli unici a trarne profitto saranno alcune aziende di somministrazione e intermediazione di manodopera, mentre le istituzioni perderanno i residui strumenti di indirizzo del mercato del lavoro.
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
Oggi Rifondazione Comunista ha formalmente sollecitato il Presidente della VII Commissione consiliare a mettere urgentemente in discussione il progetto di legge n. 109, “Norme concernenti le modalità di accesso alla previdenza integrativa”, presentato dai consiglieri regionali di Rifondazione Comunista un anno fa, ma mai messo all’ordine del giorno.
Non è certo la prima volta che progetti di legge presentati dalle opposizioni finiscono in una sorta di congelatore. Ma in questo caso sarebbe davvero incomprensibile e inaccettabile. Il pdl intende infatti intervenire sulla delicata questione del trasferimento del Tfr ai fondi pensionistici complementari. E visto che il recente decreto legge del Governo ha di fatto anticipato di un anno l’entrata in vigore della riforma, rimane poco più di un mese per poter intervenire.
Il progetto di legge regionale di Rifondazione prevede una cosa semplice, cioè  l’obbligatorietà della corretta informazione e dell’acquisizione del consenso esplicito del lavoratore da parte delle imprese. Una cosa di buon senso, si direbbe; eppure l’ambigua formula del silenzio-assenso, già prevista dalla riforma Maroni, è stata mantenuta anche nell’attuale normativa. In altre parole, o il lavoratore si attiva di sua volontà per esplicitare il diniego al trasferimento del suo Tfr oppure una bella mattina si sveglia e la sua liquidazione non c’è più.
Il giudizio negativo di Rifondazione sul decreto legge del 13 novembre scorso, già espresso dal Ministro Ferrero è di dominio pubblico. E non pretendiamo certo che il nostro giudizio venga condiviso come d’incanto dalle altre forze politiche lombarde. Ma pretendiamo che almeno si discuta di una proposta la quale semplicemente chiede che ai lavoratori venga riconosciuta e garantita la libertà di scelta sul destino del loro salario.
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui puoi scaricare il testo del progetto di legge del Prc

Scarica Allegato
 
di lucmu (del 05/12/2006, in Lavoro, linkato 1131 volte)
Tredici consiglieri regionali di tutti i gruppi dell’Unione, primo firmatario Luciano Muhlbauer di Rifondazione Comunista, hanno oggi presentato il progetto di legge regionale “Contrasto dello sfruttamento del lavoro irregolare in Lombardia”.
“Si aggira una favola nella nostra regione - afferma il consigliere Muhlbauer – secondo cui lo sfruttamento del lavoro nero e irregolare sarebbe tutto sommato cosa marginale e trascurabile, mentre il vero problema risiederebbe nelle sole regioni meridionali del nostro Paese. E questa convinzione pare non sia venuta meno nemmeno con le ultime denunce pubbliche relative ai casi di caporalato nell’edilizia o nell’ortomercato di Milano.”
“Una sottovalutazione grave - spiega Luciano Muhlbauer - di quello che sta avvenendo e che tutti gli indicatori disponibili segnalano come fenomeno in espansione, specie nei settori costruzioni e servizi. L’infamia del caporalato, di per sé inaccettabile da ogni punto di vista, è purtroppo soltanto la punta dell’iceberg, di un diffuso non rispetto delle norme contrattuali e di legge. Un’illegalità che priva i lavoratori colpiti, spesso immigrati, dei loro diritti fondamentali e che esercita una pressione al ribasso sul livello delle tutele e delle retribuzioni di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici.”
“Nel progetto di legge - aggiunge ancora il consigliere del Prc - non c’è nulla che non si possa fare. Anzi, il Consiglio regionale della Puglia ha votato un provvedimento analogo già un mese fa. Con questa legge vogliamo partire anzitutto da noi stessi, dal sistema regionale. Chi riceve un qualsiasi contributo regionale, diretto o indiretto, sarà tenuto al rispetto delle regole, a partire dai contratti nazionali, pena la revoca del beneficio, e per ogni appalto sarà necessario dimostrare gli indici di congruità. La Regione dovrà altresì definire azioni di contrasto su tutto il suo territorio, con strumenti come i piani di emersione, il rafforzamento dell’azione ispettiva o le campagne informative rivolte ai lavoratori immigrati.”
“Di fronte alla gravità della situazione - conclude Muhlbauer - non è ammissibile che le istituzioni persistano nell’immobilismo. Occorre invece prendere iniziative forti, che facciano capire che il tempo della tolleranza nei confronti degli sfruttatori senza scrupoli è finito. Chiediamo dunque alla maggioranza di centrodestra di aprire immediatamente il confronto, al fine di arrivare nel più breve tempo possibile al varo di una legge regionale seria e incisiva.”
 
comunicato stampa
qui puoi scaricare il testo del progetto di legge contro lo sfruttamento del lavoro nero

Scarica Allegato
 
di lucmu (del 06/12/2006, in Lavoro, linkato 967 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 6 dicembre 2006 (pag. Milano)
 
Molti lombardi pensano che lo sfruttamento del lavoro nero e irregolare sia un fenomeno che riguardi essenzialmente le regioni meridionali, ma non le nostre latitudini. Una convinzione che sembra resistere persino alla recente moltiplicazione delle denunce pubbliche sui casi di “caporalato” nell’edilizia o nell’ortomercato di Milano.
Eppure, la realtà è ben diversa e lo sfruttamento del lavoro irregolare non solo è presente in Lombardia, ma risulta addirittura in preoccupante espansione, come indicano tutti i dati disponibili. La Direzione regionale del lavoro, ad esempio, segnala che il 75% delle aziende ispezionate mostrano situazioni di irregolarità, specie contributiva, con un aumento del 20% rispetto alla rilevazione precedente.
Le forme di sfruttamento sono varie e vanno da quella più estrema ed infame del “caporalato” fino a quelle più diffuse di non rispetto, totale o parziale, delle norme contrattuali e di legge. In ogni caso, i lavoratori e le lavoratrici colpiti vengono privati dei loro diritti più elementari, costretti a salari indecenti ed esposti più di altri agli infortuni sul lavoro. Il fenomeno è particolarmente esteso nell’edilizia, nei servizi e nell’agricoltura e non è un caso che siano esattamente questi i settori economici a registrare una presenza di lavoratori immigrati superiore alla media. Infatti, sono gli ultimi arrivati, a causa della loro condizione, de facto e de jure, di maggior ricattabilità sociale, ad essere i più esposti all’economia sommersa.
Una situazione grave e inaccettabile di per sé, ma che comporta altresì un’alterazione dell’intero mercato del lavoro, esercitando una pressione al ribasso anche sui lavoratori in regola. Insomma, la presenza in dosi massicce di lavoro nero e irregolare contribuisce, in maniera ancora più brutale del precariato, ad erodere i diritti e i livelli retributivi di tutti e tutte.
Ma allora, da dove arriva quella favola secondo la quale in Lombardia tutto questo non rappresenta un problema o, peggio, che non esiste neppure? In fondo, tutto il mondo è paese e come accadde in Puglia, prima che il solito Gatti facesse esplodere lo scandalo, questa convinzione si alimenta della prolungata ipocrisia e omertà, alla maniera delle tre famose scimmiette, che coinvolge anche parte delle istituzioni.
Pensiamo quindi che sia arrivato il momento di rompere quel silenzio, che poi comporta assenza di iniziative concrete, e per questo motivo è stato presentato, con la firma di tredici consiglieri di tutti i gruppi dell’Unione, il progetto di legge regionale “Contrasto dello sfruttamento del lavoro irregolare in Lombardia”.
Il progetto prevede, anzitutto, l’obbligo di rispetto delle norme contrattuali per tutti i soggetti beneficiari a qualsiasi titolo, in via diretta o indiretta, di contributi, finanziamenti e appalti da parte della Regione, delle Asl e di enti partecipati. Viene inoltre introdotto l’obbligo della comunicazione dell’avvio di ogni rapporto di lavoro il giorno antecedente il suo inizio effettivo -obbligo per ora previsto soltanto nell’edilizia- e il rispetto degli indici di congruità. Ogni violazione di queste prescrizioni porta alla revoca delle erogazioni da parte della Regione.
In secondo luogo, la Regione si dovrà fare promotrice di piani di emersione territoriali e settoriali. A tal fine è previsto anche lo stanziamento di risorse per il rafforzamento dell’azione ispettiva e per gli incentivi, nonché l’avvio di campagne informative rivolte in particolare ai lavoratori immigrati. Infine, verrebbe istituito anche un Osservatorio regionale per monitorare l’evoluzione della situazione.

Siamo consapevoli che non basta una legge regionale per risolvere tutti i problemi e che ci vorrebbe prima di tutto una forte iniziativa nazionale, che tuttora si fa attendere. Ma intanto la Regione ha il dovere di fare la sua parte e di smetterla di ignorare la gravità della situazione. L’approvazione -e l’applicazione- di una legge seria rappresenterebbe sicuramente uno di quei segnali chiari che oggi mancano. Cioè, che il tempo della tolleranza istituzionale nei confronti degli sfruttatori è finito.

 
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