Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Oggi, alla Camera dei Deputati, inizia il suo iter uno dei provvedimenti simbolo delle politiche europee in tempi di austerity: l’introduzione nella Costituzione italiana dell’obbligo del pareggio di bilancio.
Si tratta di una norma in discussione in molti paesi europei e negli Usa, ma finora è stata approvata soltanto in Spagna. Ed è una norma pesante in tutti i sensi, anche se spesso sottovalutata dal dibattito pubblico, poiché i suoi effetti devastanti, in termini di smantellamento del welfare, saranno misurabili soltanto nel tempo.
Vi consigliamo pertanto di leggere attentamente la proposta che oggi inizia il suo complesso percorso, trattandosi di una modifica della Costituzione (articoli 81, 100, 117 e 119), e che dovrebbe entrare pienamente in vigore nel 2014. Si tratta della proposta di legge costituzionale Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale”, frutto dell’unificazione delle diverse proposte in materia già presentati, sia dal centrodestra, che dal centrosinistra (il testo unificato lo puoi trovare in allegato).
In estrema sintesi, si prevede l’introduzione del principio del pareggio non soltanto per il bilancio dello Stato, ma anche per quelli delle Regioni e degli enti locali. Inoltre, vi è un richiamo esplicito ai “vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea” e questo significa una sorta di costituzionalizzazione dei trattati europei, a partire da quello di Maastricht, con tutto ciò che questo comporta.
Infine, segnaliamo che, sebbene il testo in discussione preveda che la funzione di controllo venga esercitata dalla Corte dei Conti (vedi art. 2 della proposta di legge costituzionale), il nuovo Presidente del Consiglio, Mario Monti, nel suo intervento al Senato del 17 novembre scorso, ha invece evocato la necessità di affidare tale funzione “ad autorità indipendenti”. In altre parole, non possiamo escludere che nel corso del dibattito venga presentato un emendamento che assegni ad un soggetto non pubblico, ma privato il potere di sindacare le decisioni del Parlamento in materia di bilancio…
Insomma, buona lettura!
 
Luciano Muhlbauer
 
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il Testo unificato della proposta di legge costituzionale sul pareggio di bilancio del 10 novembre 2011
 

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di lucmu (del 17/11/2011, in Politica, linkato 3461 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 17 novembre 2011
 
Il Governo Berlusconi non c’è più. Il caimano si è dimesso, consumato da un inglorioso autunno del patriarca e sempre più isolato. Era nell’aria sin dai tempi della rottura con Fini ed era diventato quasi una certezza con la splendida primavera dei sindaci e dei referendum. Ora finalmente è accaduto e quindi facciamo bene, noi di sinistra, ad esultare e sentirci sollevati.
Eppure, c’è un “ma” che pesa, perché dopo anni di lotte, speranze, delusioni, traversate del deserto ed indignazioni, alla fine non siamo stati noi a dargli la spallata. Nessun 14 dicembre, primavera democratica o 15 ottobre l’hanno mandato a casa. No, l’hanno fatto i “mercati finanziari” o meglio, visto che la mano invisibile esiste solo nelle favole, quei soggetti che dispongono dei mezzi finanziari per agire e per orientare.
E attenzione, non si tratta di una quisquilia, poiché quella dei protagonisti del cambiamento è questione decisiva. Altrimenti, per scomodare altre epoche storiche, perché nell’aprile 1945 il capo delle forze alleate in Italia avrebbe chiesto ai partigiani di stare fermi in attesa che le sue truppe liberassero il nord del paese e perché il CLN avrebbe invece deciso l’esatto contrario, dando l’ordine per l’insurrezione popolare?
In altre parole, il modo in cui si esce dal disastro berlusconiano è dirimente. E da questo punto di vista faremmo molto bene, noi di sinistra, a toglierci dalla testa che la fine di Berlusconi significhi di per sé l’avvento di un’Italia migliore. A maggior ragione nelle condizioni date, cioè nel bel mezzo della più micidiale crisi economica, sociale e politica che l’Europa abbia vissuto dagli anni Trenta del secolo scorso.
Ebbene sì, perché il punto è questo: ci stiamo liberando dall’anomalia italiana, per ritrovarci di colpo nella normalità della crisi europea. C’eravamo anche prima, ovviamente, ma forse il berlusconismo ci aveva un po’ annebbiato la vista. E così, come logica conseguenza dell’incapacità dell’opposizione sociale e politica di buttare giù il sultano e di avanzare una proposta politica alternativa, ci scopriamo ora destinatari di ordini di servizio alla pari di Spagna, Portogallo o Irlanda e commissariati come la Grecia.
In questi giorni Mario Monti gode di grande credito pubblico, un po’ per il legittimo sollievo di non avere più come presidente del consiglioBerlusconi, un po’ perché molti vedono in lui un’ancora di salvezza in mezzo alla tempesta. Tutto questo è comprensibile, ma non ci esime certo dal guardare oltre il momento e l’apparenza.
Mario Monti, come il nuovo primo ministro greco, Lucas Papademos, è espressione diretta dell’establishment finanziario internazionale. Papademos era governatore della banca centrale greca e vicepresidente della Bce fino all’anno scorso. L’ex commissario europeo Monti è advisor della potente banca d’affari “Goldman Sachs” e ricopre ruoli di primo piano nella Commissione Trilaterale e nel Gruppo Bilderberg. Beninteso, qui non è questione di complotti, ma molto più banalmente di prendere atto che oggi i circoli e le istituzioni del finanzcapitalismo (per usare la definizione di Gallino) hanno deciso di intervenire direttamente nella gestione politica degli Stati.
In questa dinamica, ad essere sconfitta e sottomessa non è tanto la politica intesa come ceto o partiti, bensì la democrazia, intesa come possibilità delle classi popolari di poter partecipare alla formazione delle decisioni pubbliche. Infatti, nelle lettere della Bce all’Italia o nello scandalo ufficiale di fronte all’ipotesi di referendum in Grecia ritroviamo la medesima insofferenza nei confronti della democrazia che abbiamo già visto all’opera a Pomigliano, Mirafiori o Grugliasco.
Insomma, delle pessime premesse per il futuro, dove in gioco non è il ricambio dei governanti, bensì la ridefinizione del sistema politico, sociale ed istituzionale. Cioè, la “terza repubblica” e il modello sociale.
Ecco perché non dobbiamo, noi di sinistra, stare nel recinto della Grosse Koalition a sostegno di un governo per nulla tecnico, il cui programma è stato scritto dalle istituzioni finanziarie. Non per ideologia, ma per realismo. E non per sbraitare a bordo campo, bensì per rientrare in gioco e costruire e organizzare un punto di vista alternativo, a partire dal lavoro, possibilmente con spirito unitario e insieme a movimenti e forze degli altri paesi europei. Altrimenti, anche le elezioni, quando finalmente arriveranno, serviranno a ben poco.
 
 
In queste ore tutti parlano del governo che se ne va e di quello che viene. Comprensibile e giustissimo, ma c’è il rischio che poi non si dia il giusto peso alla Legge di Stabilità, comprensiva del famoso “maxiemendamento” dell’ultima ora, approvata ieri dal Senato ed oggi, in via definitiva, dalla Camera dei Deputati.
Ebbene, sarebbe un grave errore non occuparsi con la sufficiente attenzione di questa legge, perché si tratta di quella che una volta si chiamava “Finanziaria” e arriva dopo soli pochi mesi dal varo delle “misure urgenti” economiche e finanziarie di ferragosto (vedi decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011).
 
Non è nostra intenzione e pretesa riassumere o spiegare in dettaglio il contenuto delle “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2012)”, poiché in rete sono sin d’ora reperibili riassunti giornalistici e nei prossimi giorni si troveranno anche i commenti ed approfondimenti. No, molto più semplicemente, poiché carta canta, specie quando parliamo di leggi, mettiamo a disposizione il testo originale, completo e definitivo, comprensivo dunque degli emendamenti.
Per scaricarlo, clicca sull’icona qui sotto.
 

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Ci risiamo. Per la terza volta in 36 mesi, il governo Berlusconi-Lega tenta di mettere il bavaglio alla rete e di limitare pesantemente la libertà di espressione e di critica sui blog e sui social network. E questa volta bisogna stare molto attenti, perché Berlusconi e il suo governo si sentono in un angolo e, quindi, qualche colpo di mano, al fine di garantire impunità e silenzio, è più che possibile. Anche in tempi brevi, visto che un voto in Parlamento potrebbe essere forzato a giorni da parte della maggioranza.
La prima volta ci tentarono nei primi mesi del 2009, ai tempi della discussione sul  cosiddetto “pacchetto sicurezza”, accogliendo l’emendamento ammazza blog del sen. D’Alia dell’Udc… Allora ci fu una mezza rivolta in rete e l’emendamento venne alla fine cestinato.
Il secondo tentativo risale all’estate di un anno fa, quando la destra tentò di far approvare la cosiddetta legge-bavaglio, finalizzata ad impedire che Berlusconi e i suoi amici venissero intercettati. Ma visto che c’erano avevano inserito anche un apposito comma, secondo il quale qualsiasi “sito informatico”, cioè anche un blog come questo o un pagina di un social network, dovesse pubblicare dei contenuti che danno fastidio a qualcuno, è a rischio richieste di rettifiche entro 48 ore, pena pesanti multe o peggio. Anche quella volta l’operazione non andò in porto, perché vi fu una grande mobilitazione nel paese contro quella legge e perché nella destra iniziarono gli scricchiolii finiani.
Ora, appunto, ci riprovano, con lo stesso testo di legge stoppato in parlamento un anno fa. Ovviamente, a Berlusconi e ai suoi interessano soprattutto le intercettazioni, ma non per questo si sono dimenticati del resto e, quindi, è rimasto anche il famigerato comma 29.
Essendo il ddl uguale a quello di un anno fa, rinviamo a quanto da noi scritto allora e ci limitiamo a riportare in calce il testo completo del comma 29, che pensiamo sia abbastanza chiaro.
 
Ma soprattutto, stando così le cose, invitiamo tutti e tutte a non distrarsi e a prestare massima attenzione a quello che succede nei prossimi giorni. E, ovviamente, a sostenere tutte le iniziative, nelle piazze e nelle rete, finalizzate ad impedire che questo insulto alla libertà possa diventare legge.
 
di Luciano Muhlbauer
 
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La norma ammazza blog del ddl intercettazionI:
 
Art. 1, comma 29. All’articolo 8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
 
a) dopo il terzo comma e` inserito il seguente:
«Per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate
ai sensi dell’articolo 32 del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono.»;
 
b) al quarto comma, dopo le parole: «devono essere pubblicate» sono inserite le seguenti: «, senza commento,»;
 
c) dopo il quarto comma e` inserito il seguente:
«Per la stampa non periodica l’autore dello scritto, ovvero i soggetti di cui all’articolo 57-bis del codice penale, provvedono, su richiesta della persona offesa, alla pubblicazione, la proprie cura e spese su non più di due quotidiani a tiratura nazionale indicati dalla stessa, delle dichiarazioni o delle rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro reputazione o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto di rilievo penale. La pubblicazione in rettifica deve essere effettuata, entro sette giorni dalla richiesta, con idonea collocazione e caratteristica grafica e deve inoltre fare chiaro riferimento allo scritto che l’ha determinata.»;
 
d) al quinto comma, le parole: «trascorso il termine di cui al secondo e terzo comma» sono sostituite dalle seguenti: «trascorso il termine di cui al secondo, terzo, quarto, per quanto riguarda i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, e sesto comma» e le parole: «in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo e quarto comma» sono sostituite dalle seguenti: «in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo, quarto, per quanto riguarda i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, quinto e sesto comma»;
 
e) dopo il quinto comma e` inserito il seguente:
«Della stessa procedura può avvalersi l’autore dell’offesa, qualora il direttore responsabile
del giornale o del periodico, il responsabile della trasmissione radiofonica, televisiva, o delle trasmissioni informatiche o telematiche, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, non pubblichino la smentita o la rettifica richiesta».
 
 
 
La manovra è stata riscritta ancora una volta, ma in questo caso si tratta probabilmente della versione definitiva. Infatti, il Governo ha presentato un maxiemendamento sostitutivo del ddl di conversione del decreto legge n. 138 del 13 agosto scorso, ponendovi la questione di fiducia. In altre parole, niente più discussioni e la manovra, così modificata, sarà approvata dal Senato già stasera, per poi passare alla Camera.
Una risposta più che eloquente, nella sua arroganza, al riuscito sciopero generale della Cgil e del sindacalismo di base di ieri, che ha visto un sensibile aumento delle adesioni sui posti di lavoro, privati e pubblici, rispetto alle occasioni precedenti. Cioè, non solo i lavoratori e le lavoratrici vengono mandati brutalmente a quel paese, ma nel frattempo il carattere iniquo e classista della manovra è stato pure accentuato.
Anzitutto, viene confermato il famigerato articolo 8, in una versione persino peggiorata, che permette ai contratti aziendali di derogare sia ai contratti nazionali, che alle leggi in materia di lavoro. Detto altrimenti, si decreta con questa manovra la fine del contratto nazionale, dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (cioè, del divieto di licenziare senza giusto causa) e del divieto di controllare e spiare i lavoratori sul luogo di lavoro.
In secondo luogo, in extremis viene introdotto l’aumento dell’età di pensionamento a 65 anni anche per le donne del settore privato, già a partire dal 2014, e l’aumento dell’Iva dal 20 al 21%. Poi ci sarebbe anche quel ridicolo “contributo di solidarietà” del 3% per i redditi superiori a 300mila euro, ma meglio stendere un velo pietoso…
Ci fermiamo qui, rinviando alla lettura del maxiemendamento, che trovate in allegato. Certo, non è una lettura facile, perché scritto nel linguaggio del legislatore, ma in cambio si possono conoscere le cose così come stanno e senza doversi affidare ai sentiti dire.
Infine, un’ultima considerazione. Se possono fare quello che stanno facendo, nel modo in cui lo stanno facendo, è anche perché l’opposizione è troppo debole e troppo inconsistente, perché non riesce ad indicare un’alternativa e, anzi, balbetta di governi di unità o responsabilità nazionale. E questo nel migliore dei casi, perché poi c’è anche chi collabora attivamente con le politiche del Governo, come la Cisl di Bonanni. Insomma, senza tutte queste debolezze (chiamiamole così…) e collaborazioni difficilmente un governo alla frutta potrebbe fare queste cose.
Ma per noi tutto questo significa semplicemente quello che in fondo già sapevamo. Cioè, il 6 settembre era solo l’inizio e l’autunno sarà ancora lungo!
 
Luciano Muhlbauer
 
Cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il testo originale del maxiemendamento al decreto legge n. 138 del 13.08.2011. Per leggere invece il testo del decreto che viene emendato, puoi cliccare qui.
 

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di lucmu (del 31/08/2011, in Politica, linkato 1311 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 31 agosto 2011
 
“Nessuno aveva nulla da obiettare sui privilegi dei nobili di Francia, fin quando essi assicuravano un governo alla nazione”. Forse quelle parole di Voltaire non dicono tutto, ma indubbiamente illuminano il nocciolo della questione. Cioè, ieri come oggi, questione morale e questione politica sono inscindibili. Anzi, il dilagare dell’immoralità pubblica è direttamente proporzionale all’intensità della crisi politica.
Ecco perché non ha senso discutere della questione morale come se fosse una cosa separata. Sarebbe soltanto un esercizio di ipocrisia e di autoassoluzione. E questo vale in generale e vale anche per il caso Penati, comunque vada a finire la sua vicenda giudiziaria.
Già, perché quei “dimettiti” e “rinuncia a” sparati ormai a raffica all’indirizzo di Penati, dopo la reticenza iniziale, non convincono. In fondo, Filippo Penati non è proprio una meteora. Anzi, è stato Sindaco, Segretario provinciale, Presidente della Provincia, coordinatore della Segreteria nazionale, candidato alla Presidenza regionale e vicepresidente del Consiglio regionale.
Ma soprattutto è stato l’ispiratore, il simbolo e il capofila di quel Pd del Nord, che postulava la risalita della china in terra nemica mediante un’operazione culturale che portasse i democratici ad assomigliare sempre di più all’avversario e ad integrarsi sempre maggiormente nel sistema di potere esistente. Ed ecco, dunque, il Penati che parlava come la Lega e De Corato, coltivava rapporti ravvicinati con Cl ed annessi, emetteva scomuniche contro la cultura del 68 e, ovviamente, definì una politica delle alleanze incentrata sulla rincorsa del centro e sulla rottura a sinistra.
Molto difficile, dunque, sostenere che il caso Penati riguardi soltanto Penati. Beninteso, il punto non è processare il Pd, come vorrebbe la destra. Infatti, anche nel periodo di massima forza del penatismo vi fu chi dentro il Pd dissentì e si oppose, così come fuori dal Pd vi fu chi non si oppose e, anzi, condivise. No, il punto è un altro ed è tutto politico. Cioè, occorre finirla con quella tragica rimozione della politica, perché a disintegrare ogni presunta “diversità” e a costruire il brodo di coltura dell’affarismo fu proprio la concezione penatiana della politica. E, peraltro, senza nemmeno realizzare l’obiettivo che doveva giustificarla, cioè la risalita della china. Anzi, il penatismo è stato foriero di sconfitte ed arretramenti.
L’esempio forse più lampante sono senz’altro le elezioni regionali del 2010. Penati non solo ha rotto il fronte dell’opposizione a Formigoni, estromettendo Rifondazione, senza però riuscire ad arruolare l’Udc, ma soprattutto ha realizzato un risultato assolutamente negativo, collocandosi ben 10 punti sotto quello del compianto Riccardo Sarfatti del 2005.
Soltanto un anno più tardi Giuliano Pisapia avrebbe vinto le elezioni a Milano, con una politica che era l’esatto opposto di quella di Penati. Anche per questo, risultano più che stucchevoli i tentativi di coinvolgere Pisapia, specie se provengono da esponenti dello stesso centrosinistra.
Sarebbe un errore straordinario se il Pd insistesse nella rimozione della questione politica, magari illudendosi di salvare il salvabile. È vero il contrario, semmai, e basta guardarsi attorno. La primavera dei sindaci e dei referendum sembra già lontana, le due manovre finanziarie hanno un segno classista esplicito e il Governo sembra redivivo e capace di sopravvivere a questo autunno, mentre l’opposizione parlamentare si azzuffa addirittura sullo sciopero generale.
Insomma, o il Pd trova la lungimiranza di cogliere l’occasione per un rinnovamento politico serio oppure il prezzo lo pagheremo tutti noi, con altri Penati e nuove sconfitte.
 
 
Non ha sorpreso, in fondo, ma ha fatto impressione lo stesso vedere ieri sera al Tg quella conferenza stampa dei firmatari delle “proposte delle parti sociali”, dove il capo di Confindustria, Emma Marcegaglia,ha parlato a nome di tutti, compresa la Cgil.
Non ha sorpreso il patto tra banche, imprese e sindacati e il “documento comune” (vedi allegato) con le proposte da presentare a Governo e opposizione, perché le premesse c’erano già tutte, dalla firma dell’accordo interconfederale sulla rappresentatività del 28 giugno scorso fino al clima da unità nazionale attorno alla pesantissima manovra economica di qualche settimana fa.
Ma, appunto, fa impressione lo stesso. Un po’ per i tempi, perché colpisce la rapidità con la quale hanno trovato piena conferma le preoccupazioni e le critiche circa la firma della Cgil dell’accordo del 28 giugno, allora da troppi respinte con sufficienza. E un po’ perché quella iniziativa certifica l’inconsistenza –e quindi l’inesistenza- dell’alternativa politica al quadro esistente.
Insomma, basta uno sguardo al documento comune delle parti sociali, al quale il Governo ha risposto con i suoi otto punti (vedi sempre allegato), per capire qual è l’indicazione politica che ne viene fuori. Cioè, allo stato esiste un ampio consenso tra le “parti sociali” (segreterie dei sindacati confederali, vertici degli imprenditori e management delle banche) rispetto alla necessità di liberarsi di Berlusconi, considerato ormai ingombrante e cotto, e di definire un quadro di governo, dello Stato e della crisi, che abbia ampie basi bipartisan e che non si discosti dalle linee strategiche indicate dalla Commissione Europea.
In sintesi, il quadro politico post-berlusconiano prevede larghe intese e non è in discussione chi deve pagare la crisi e i costi della speculazione finanziaria (cioè: redditi da lavoro dipendente, risparmi famiglie, welfare, servizi pubblici). A questo proposito, è altamente significativo che proprio ieri Marchionne sia intervenuto a distanza, essenzialmente per collocarsi in quel nuovo quadro.
Certo, nulla è e nulla sarà lineare e scontato, perché Berlusconi non è uomo da mettersi da parte così facilmente, perché le contraddizioni tra i firmatari del patto e i loro alleati politici sono sempre presenti, perché la crisi non accenna a fermarsi e produce instabilità eccetera eccetera.
Ma, comunque sia, dobbiamo prendere atto che in questo momento la situazione è questa e che, quindi, dobbiamo guardare all’autunno con la consapevolezza che c’è poco da sedersi sugli allori della primavera e molto, invece, da lavorare e costruire.
 
di Luciano Muhlbauer
 
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il documento comune delle parti sociali del 4 agosto (ABI, ALLEANZA COOPERATIVE ITALIANE (CONFCOOPERATIVE, LEGA COOPERATIVE, AGCI), ANIA, CGIL, CIA, CISL, CLAAI, COLDIRETTI, CONFAGRICOLTURA, CONFAPI, CONFINDUSTRIA, RETEIMPRESE ITALIA (CONFCOMMERCIO, CONFARTIGIANATO, CNA, CASARTIGIANI, CONFESERCENTI), UGL, UIL, nonché il documento presentato dal Governo.
 

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di lucmu (del 14/07/2011, in Politica, linkato 1223 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale online Paneacqua il 14 luglio 2011
 
Tutti uniti, tutti responsabili, tutti coesi in nome della nazione strapazzata e delle richieste dei mercati. E così, la mega manovra da oltre 70 miliardi di euro sarà approvata in un lampo, senza inutili discussioni e sterili proteste. Le banche centrali e i commissari europei applaudono, le agenzie di rating annuiscono e gli speculatori, per ora, tornano ad occuparsi dei Pigs (Portogallo-Irlanda-Grecia-Spagna).
Insomma, a sentire la vulgata massmediatica del momento, l’abbiamo scampata bella. Siamo stati bravi. Persino il governo, ormai in avanzato stato di putrefazione politica, ha dato prova di apparente serietà e l’opposizione ha finalmente dimostrato di essere fit to govern, come direbbero gli anglosassoni. Anzi, si ricomincia pure a parlare di governi tecnici, di transizione, di unità nazionale e chi più ne ha più ne metta, tanto la questione è non andare al voto subito e condividere a 360 gradi la responsabilità dei sacrifici.
Già, perché ci sono i sacrifici e quelli toccano ai soliti noti. E questa volta sono proprio una bella botta, che colpisce un tessuto sociale ed economico già indebolito da anni di crisi e misure anticrisi. Evitiamo qui di fare l’elenco dettagliato dei tagli e dei balzelli, perché basta ricordare i titoli per capire chi pagherà il conto.
Tra interventi sulle pensioni, ticket sanitari, tagli alle agevolazioni fiscali e blocchi sempre più lunghi degli stipendi nella pubblica amministrazione, ai quali vanno aggiunti i micidiali effetti differiti dei tagli alle Regioni e agli enti locali, è evidente che la manovra massacra il reddito e le condizioni di vita di chi vive del proprio lavoro, fisso o precario che sia, e di chi il lavoro neanche ce l’ha.
“Ci dispiace, ma non possiamo farci niente, ce lo chiedono i mercati”, è il refrain che ricorda tanto il TINA (There is no alternative) di thatcheriana memoria, ma stranamente tutti si dimenticano poi di spiegare chi sono questi benedetti “mercati”. Infatti, lungi dall’essere posti anonimi dove agiscono mani invisibili, i mercati sono luoghi dominati da concretissimi interessi e poteri, con tanto di nome e cognome. Ne volete uno, tanto per rompere l’omertà? Eccovelo: Raymond Dalio, reddito annuo di 2,5 miliardi di dollari (secondo Fortune), fondatore di “Bridgewater Associates”, il più grande hedge fund al mondo, il quale dispone di una massa attiva di 92 miliardi di dollari.
Sono uomini come Dalio che decidono cosa succede nelle borse, chi vive e chi muore. E con loro ci sono anche quegli archetipi del conflitto di interessi che si chiamano agenzie di rating. Basta un cenno di “Moody’s”, di “Fitch” o di “Standard & Poor’s” e interi Stati sovrani rischiano la rovina. E il punto non è sapere se abbiano sempre ragione o torto nei loro giudizi, bensì che dispongano di quel pazzesco potere che gli permette di autoavverare le loro profezie, a prescindere dal fatto che abbiano ragione o torto.
In altre parole, in quei mercati non risiedono le soluzioni, bensì parte significativa dei problemi. Anzi, proprio la follia e l’insostenibilità di un siffatto governo dell’economia mondiale è la prova dell’urgenza di un radicale cambiamento. Beninteso, non siamo degli ingenui e sappiamo bene che non basta affermare queste cose perché la realtà cambi e che, invece, occorrerà una lotta titanica e una cooperazione sul piano europeo ed internazionale. Ma da qualche parte bisogna pure cominciare. O no?
E insistiamo con questo quesito, perché tutto questo unanimismo nasconde troppe cose non dette. Anzitutto, perché a nessuno sfugge che l’insieme delle misure anticrisi, identiche in tutta Europa, tendono a ridisegnare complessivamente il modello sociale del dopoguerra, in senso classista, liberista ed escludente. E con esso, ovviamente,  anche il modello politico, che assume tratti sempre più autoritari nel rapporto tra governo e popolo, sebbene in un quadro formalmente democratico. Se volessimo trovare un paradigma ispirato all’attualità, allora potremmo trovarlo in Val di Susa.
E non è affatto un caso che il vento del cambiamento che abbiamo respirato in primavera, con le elezioni amministrative ed i referendum, fosse caratterizzato da una massiccia domanda di democrazia e partecipazione e da una volontà manifesta di riappropriazione della sfera pubblica e, in ultima analisi, del proprio futuro. E non è nemmeno un caso che quella caratteristica la troviamo anche nei movimenti in giro per l’Europa, da Atene a Madrid, o per il Maghreb e il Medio Oriente.
Insomma, oggi e qui la questione è cosa vogliamo fare di fronte alla crisi economica e politica, in che direzione vogliamo lavorare. Per semplificare all’estremo, di direzioni di marcia possibili ce ne sono due. Una è quella indicata dai movimenti e sommovimenti che fanno concretamente quel famoso vento che è cambiato, che mettono in discussione le politiche economiche depressive e che esprimono una straordinaria potenzialità democratica, sia in termini di salvaguardia di beni comuni e diritti, che di partecipazione attiva. La seconda, invece, è quella indicata dalla politica dell’union sacrée attorno al governo dell’esistente e al patto con i poteri economici e finanziari dominanti.
Ed è bene essere consapevoli che le due strade non sono compatibili e tendono a confliggere, come stanno dimostrando proprio gli avvenimenti di questi giorni. In primo luogo, è stata proprio la logica dell’unità e coesione nazionale a fare da levatrice all’accordo tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria di due settimane fa, il cui obiettivo è palesemente la normalizzazione della Fiom e il restringimento della democrazia sui luoghi di lavoro.
In secondo luogo, la pesante stretta nella manovra economica sugli enti locali, compresa la norma che inserisce nel patto di stabilità interno il criterio delle “dismissioni di partecipazioni societarie” (leggi: privatizzazioni), inciderà in maniera significativa sulle esperienze di governo locale nate in primavera. Un esempio ante litteram di che cosa questo significhi l’abbiamo avuto proprio ieri a Milano, quando il Sindaco Pisapia ha confermato l’accordo sulle aree per l’Expo, così com’era stato elaborato dalla Moratti e da Formigoni, cioè consentendo la valorizzazione delle aree con la loro trasformazione da agricole in edificabili.
Beninteso, questo esito era nell’aria da settimane, perché dopo i tre anni spesi dalla destra unicamente per farsi la guerra sulla gestione dell’affare immobiliare dietro l’Expo, si era ormai giunti al dunque e l’unica alternativa possibile (a parte un’improbabile decisione di non fare più l’Expo) era trovare in extremis le non poche risorse finanziarie aggiuntive che permettessero di realizzare il progetto dell’orto globale, come chiesto dall’assessore Boeri. Considerato che difficilmente Governo e Regione avrebbero messo mano al portafoglio, avrebbe dovuto pensarci il Comune di Milano, che però deve già fare fronte agli enormi buchi di bilancio lasciati dall’amministrazione precedente, nonché ai tagli dei fondi in arrivo da Roma.
Insomma, con la leva dei soldi e delle compatibilità finanziarie imposte dal centro, che sarebbe poi l’esatto contrario del tanto reclamizzato federalismo, si riesce a mettere la camicia di forza agli enti locali, espropriando i cittadini-elettori della loro sovranità. Ma ricatto o no, chi a primavera ha votato per il cambiamento, ora si aspetta dei fatti in coerenza con il suo voto e non si accontenta della spiegazione razionale delle difficoltà del momento. Un bel problema in prospettiva, con questa manovra, perché se uccidi la speranza non rimane che la smobilitazione oppure il rifugio in forme di contestazione difficilmente riconducibili a un progetto capace di esprimere un’alternativa al potere esistente.
Insomma, tra le vittime programmate di questo tutti uniti sulla manovra non troviamo solo le condizioni di vita delle fasce sociali che vivono del proprio lavoro, ma anche la stessa speranza di cambiamento, che a quanto pare suscita preoccupazione non soltanto a destra. E quindi vi è una ragione in più per non farsi incantare dall’union sacrée.
 
 
Il quorum c’è ed i “sì” sono praticamente un plebiscito. In altre parole, nel nostro paese l’acqua deve rimanere pubblica, il nucleare non tornerà e il “legittimo impedimento” di Berlusconi non sarà più legittimo.
Un risultato straordinario, ottenuto nonostante lo spudorato boicottaggio informativo e comunicativo da parte del Governo. E anche una continuazione ideale dell’ondata di partecipazione dal basso che due settimane fa aveva mandato a casa i governi cittadini della destra di Milano, Napoli, Cagliari e altre città.
La vittoria dei “sì” è un’indubbia e pesante sconfitta politica per il Governo e le destre, checché ne dicano ora, poiché vengono abrogate delle leggi volute, scritte ed approvate da loro.
Ma la vittoria dei “sì” è anche molto di più, perché l’approvazione dei quesiti sull’acqua e sul nucleare rappresenta una scelta di merito politico che va ben oltre gli schieramenti. Cioè, vengono bocciate delle opzioni politiche che spesso hanno trovato –e tuttora trovano- consenso anche in settori del centrosinistra. Anzi, per dirla tutta, le principali privatizzazioni dell’acqua nel nostro paese erano state avviate proprio da amministrazioni di centrosinistra.
E questo significa, se vogliamo leggere quanto avvenuto tra le elezioni amministrative e il referendum con un minimo di sano ottimismo, che il movimento di opinione e di partecipazione che sta crescendo in Italia non chiede soltanto di cacciare Berlusconi, ma anche di costruire delle politiche chiaramente alternative a quelle liberiste ed oligarchiche imperanti.
Beninteso, con questo non vogliamo dire che sta per sorgere il sol dell’avvenire -figuriamoci-, né che ora il baricentro del centrosinistra si sia spostato magicamente a sinistra, ma molto più semplicemente che la cosa si fa seria, che ora abbiamo una possibilità.
Vi sembra poco? A me sembra moltissimo. Il resto, come sempre quando si è di fronte a una possibilità, dipende da noi, da quello che sapremo fare o non fare.
 
Luciano Muhlbauer
 
 
Domenica e lunedì si vota per i referendum. Voteremo per tutti e quattro i referendum nazionali, visto che ieri la Corte Costituzionale ha fatto naufragare anche l’ultima furbizia del Governo, che voleva impedire ai cittadini e alle cittadine di esprimersi liberamente sull’energia nucleare. A Milano, poi, voteremo anche per i cinque referendum cittadini “consultivi di indirizzo”.
In questa sede ci risparmio, ovviamente, una dettagliata argomentazione della mia posizione favorevole ai quesiti referendari, poiché considero questo blog da sempre sufficientemente schierato sul merito delle questioni sollevate (beni comuni, energia pulita, uguaglianza davanti alla legge, temi ambientali). Mi limito pertanto a ribadire il miei sì ai 4 referendum nazionali (per l’acqua pubblica, per fermare le centrali nucleari e per abrogare l’ennesima legge ad personam di Berlusconi) e a dire che penso di votare sì anche ai 5 quesiti milanesi, che sono certamente soltanto di carattere consultivo e sicuramente non perfetti, ma ritengo che un responso positivo dell’elettorato aiuterebbe non poco il nuovo Sindaco ad indirizzare la politica cittadina verso una maggior sensibilità all’ambiente, allo sviluppo del trasporto pubblico e al contrasto della cementificazione.
Detto e ribadito questo, arriviamo però al punto vero. Cioè, come hanno dimostrato le truffe governative tese a far saltare dei quesiti all’ultimo momento (sul nucleare anzitutto) e lo scandaloso boicottaggio informativo sulle tv, la vera partita si gioca sul quorum (serve il 50% più uno di affluenza alle urne perché il referendum sia valido), visto che ormai tutti danno per scontato che i “sì” prevarranno sui “no”. Ecco perché è decisivo, da parte nostra, usare questi ultimi giorni per convincere più persone possibili ad andare alle urne e per far circolare una corretta informazione su che cosa è in gioco con questi referendum. Quest’ultimo aspetto, poi, è ancora più importante per quanto riguarda Milano, perché gli elettori milanesi si troveranno in mano ben 9 schede e la maggior parte neanche lo sa!
Quindi, nel rinnovarvi l’invito pressante ad andare a votare e convincere anche altri ed altre a farlo, eccovi di seguito le informazioni su quando, come e cosa si voterà domenica e lunedì.
 
Luciano Muhlbauer
 
 
QUANDO votare
Le urne sono aperte domenica 12 giugno, dalle 8:00 alle 22:00, e lunedì 13 giugno, dalle 7:00 alle 15:00.
 
COME votare
Occorre, come già al ballottaggio di due settimane fa, un documento d’identità e la tessera elettorale. Se avete smarrito quest’ultima durante i festeggiamenti per la vittoria di Pisapia, allora dovete andare in Comune a farvene rilasciare una nuova (i milanesi trovano tutte le info al riguardo qui).
Votare è semplicissimo, perché basta mettere su ogni scheda (4 per i referendum nazionali e 5 per quelli milanesi) una X sull’opzione prescelta, cioè sul SÌ (ricordo che nel caso dei referendum nazionali votare “sì” significa abrogare le norme sottoposte a referendum, mentre nel caso di quelli consultivi cittadini votare “sì” significa rispondere affermativamente alla domanda posta sulla scheda).
In allegato a questo post trovate dei facsimile delle schede.
 
COSA si vota
 
Referendum nazionali (riporto le denominazioni sintetiche, così come formulate dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte Suprema di Cassazione):
 
referendum popolare n. 1Scheda di colore rosso - Modalità e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione; il quesito prevede l'abrogazione di norme che attualmente consentono di affidare la gestione dei servizi pubblici locali a operatori economici privati.
referendum popolare n. 2Scheda di colore giallo - Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norme; il quesito propone l'abrogazione delle norme che stabiliscono la determinazione della tariffa per l'erogazione dell'acqua, il cui importo prevede attualmente anche la remunerazione del capitale investito dal gestore.
referendum popolare n. 3Scheda di colore grigio - Abrogazione dei commi 1 e 8 dell'articolo 5 del dl 31 marzo 2011 n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 26 maggio 2011, n. 75. Abrogazione parziale di norme; il quesito propone l'abrogazione delle nuove norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare.
referendum popolare n. 4Scheda di colore verde - Abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte Costituzionale; il quesito propone l'abrogazione di norme in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte Costituzionale.
 
Referendum cittadini consultivi di indirizzo (Comune di Milano):
 
Referendum n. 1 - Scheda di colore marrone - richiesta di referendum consultivo d’indirizzo per ridurre traffico e smog attraverso il potenziamento dei mezzi pubblici, l’estensione di “ecopass” e la pedonalizzazione del centro:
“Volete voi che il Comune di Milano adotti e realizzi un piano di interventi per potenziare il trasporto pubblico e la mobilità “pulita” alternativa all’auto, attraverso l’estensione a tutti gli autoveicoli (esclusi quelli ad emissioni zero) e l’allargamento progressivo fino alla “cerchia ferroviaria” del sistema di accesso a pagamento, con l’obiettivo di dimezzare il traffico e le emissioni inquinanti?
In particolare gli interventi richiesti sono:
a. il raddoppio entro il 2012 dell’estensione delle aree pedonali, sia in centro che in periferia, comprendendo per lotti l’intera area della Cerchia dei Navigli a partire dal “Quadrilatero della moda”;
b. il raddoppio entro il 2012 delle aree a traffico moderato (zone a 30 Km/h) e la realizzazione di interventi per la sicurezza stradale dei quartieri residenziali;
c. la realizzazione entro il 2015 di una rete di piste ed itinerari ciclabili integrati e sicuri di almeno 300 km ed il raddoppio entro il 2012 degli stalli di sosta per le biciclette;
d. la protezione e “preferenziazione” di tutte le linee di trasporto pubblico entro il 2015, in modo da aumentarne velocità e regolarità;
e. l’introduzione in tutta la città, a partire dalle aree periferiche, di un servizio diffuso diurno e notturno di “bus di quartiere” in collegamento con le principali fermate del trasporto pubblico, senza costi aggiuntivi rispetto al titolo di viaggio;
f. l’estensione sull’intero territorio cittadino del servizio di bike sharing, raggiungendo 10.000 bici entro il 2012 e del servizio di car sharing raggiungendo 1.000 auto elettriche entro il 2012;
g. il prolungamento dell’orario di servizio delle linee metropolitane fino alle ore 1.30 tutte le notti;
h. il potenziamento del servizio taxi mediante il ripristino del secondo turno che garantisca fino a 8 ore aggiuntive di servizio (“seconda guida”);
i. il ripristino del divieto di circolazione e carico e scarico merci nella Cerchia dei Bastioni nelle fasce orarie di picco del traffico mattutine e pomeridiane e la promozione di un sistema di trasporto condiviso con veicoli elettrici;
j. l’estensione della regolamentazione della sosta in tutta l’area compresa all’interno della “cerchia filoviaria” e nelle aree circostanti gli assi delle metropolitane, con esclusione del pagamento dei soli residenti e per i veicoli ad emissioni zero;
k. incentivi a sostegno del trasporto pubblico”.
 
Referendum n. 2 - Scheda di votazione di colore azzurro - richiesta di referendum consultivo d’indirizzo per raddoppiare gli alberi e il verde pubblico e ridurre il consumo di suolo:
“Volete voi che il Comune di Milano adotti tutti gli atti ed effettui tutte le azioni necessarie a: ridurre il consumo di suolo destinando almeno il 50% delle grandi superfici oggetto di riqualificazione urbanistica a verde pubblico ed escludendo l’assegnazione di diritti edificatori a fronte della realizzazione di “servizi” che comportino consumo di suolo; preservare gli alberi e le aree verdi esistenti; garantire il raddoppio del numero di alberi e dell’estensione e delle aree verdi e la loro interconnessione entro il 2015, assicurando che ogni residente abbia a disposizione un giardino pubblico con aree attrezzate per i bambini a una distanza non superiore a 500 metri da casa?”.
 
Referendum n. 3 - Scheda di votazione di colore viola - richiesta di referendum consultivo d’indirizzo per conservare il futuro parco dell’area EXPO:
“Volete voi che il Comune di Milano adotti tutti gli atti ed effettui tutte le azioni necessarie a garantire la conservazione integrale del parco agroalimentare che sarà realizzato sul sito EXPO e la sua connessione al sistema delle aree verdi e delle acque?”.
 
Referendum n. 4 - Scheda di votazione di colore blu - richiesta di referendum consultivo d’indirizzo per il risparmio energetico e la riduzione della emissione di gas serra:
“Volete voi che il Comune di Milano adotti il piano per l’energia sostenibile ed il clima che lo impegni negli obiettivi europei di riduzione di almeno il 20% delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra nel dimezzamento delle principali emissioni inquinanti connesse al riscaldamento degli edifici?
All’interno del piano devono essere previsti i seguenti interventi:
1. la conversione entro il 2012 di tutti gli impianti di riscaldamento alimentati a gasolio degli edifici comunali;
2. la conversione degli impianti di riscaldamento domestico alimentati a gasolio fino alla loro completa eliminazione entro il 2015;
3. la previsione della classe energetica di massima efficienza come standard di costruzione per tutti i nuovi edifici e l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili;
4. la promozione e la diffusione del teleriscaldamento, utilizzando fonti rinnovabili e tecnologie ad alta efficienza, al fine di raggiungere almeno 750.000 abitanti equivalenti entro il 2015;
5. la concessione di incentivi per la demolizione e ricostruzione (“rottamazione”) degli edifici a maggiore inefficienza energetica e privi di valore storico e architettonico attraverso premi volumetrici”.
 
Referendum n. 5 - Scheda di colore rosa - richiesta di referendum consultivo d’indirizzo per la riapertura del sistema dei Navigli milanesi:
“Volete voi che il Comune di Milano provveda alla risistemazione della Darsena quale porto della città ed area ecologica e proceda gradualmente alla riattivazione idraulica e paesaggistica del sistema dei Navigli milanesi sulla base di uno specifico percorso progettuale di fattibilità?”
 

Cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare i facsimile delle schede dei 4 referendum nazionali e dei 5 referendum consultivi milanesi (ATTENZIONE: il facsimile della scheda n. 3 del referendum popolare nazionale è ancora quello vecchio, perché non è ancora disponibile il facsimile della scheda rifatta in base alla riformulazione della Cassazione, poi confermata ieri dalla Corte Costituzionale).
 

Scarica Allegato
 
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