Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
di lucmu (del 09/01/2008, in Lavoro, linkato 1043 volte)
Da settembre dell’anno scorso, migliaia di precari lombardi si vedono rifiutare dai Centri per l’impiego provinciali le loro domande per i posti di lavoro temporanei presso le pubbliche amministrazioni della regione.
Si tratta delle cosiddette “chiamate art. 16”, cioè di assunzioni a tempo determinato nelle pubbliche amministrazioni per qualifiche che richiedono l’unico requisito dell’assolvimento della scuola d’obbligo (bidelli, cantonieri, videoterminalisti, giardinieri ecc.). Certo, si tratta di posti di lavoro a tempo determinato e sicuramente non ben pagati, ma era pur sempre una possibilità di reddito in più.
Ebbene, con le nuove modalità e procedure, definite dalla Giunta regionale nel giugno 2007 e, poi, applicate dalle Province lombarde, i precari fino allora considerati “privi di occupazione”, perché con reddito annuo lordo inferiore a 8.000 euro, non possono più accedere alle domande.
Si tratta di una situazione inaccettabile in sé, perché colpisce un settore di lavoratori già svantaggiato, e inoltre in contrasto con la normativa nazionale, nonché con la prassi seguita dalle regioni limitrofe (Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte).
Pertanto, oggi abbiamo depositato un’interpellanza al competente assessore regionale, chiedendo di ristabilire il regime precedente e di rimuovere l’esclusione dei precari.
qui puoi scaricare il testo dell’interpellanza
Esprimiamo la nostra viva preoccupazione per come il governo regionale lombardo sta affrontando la vicenda di Malpensa e, soprattutto, per la progressiva espulsione dal dibattito del destino dei lavoratori e del futuro dell’occupazione nello scalo varesino e negli altri aeroporti della nostra regione in generale, che rappresenta il problema principale.
Il centrodestra lombardo sembra, infatti, persistere nella contrapposizione tra il Nord e Roma, considerata responsabile tout court della situazione attuale, e incentrare tutta l’iniziativa sulla gestione degli slot di Malpensa. Certo, questo approccio è senz’altro produttivo sul piano politico-propagandistico, ma rischia di avere effetti concreti soltanto nel gioco delle cordate e degli interessi che vogliono spartirsi le spoglie di Alitalia e il ricco mercato del Nord Italia.
Sintomo di tutto questo è che oggi si parla poco di occupazione, a differenza dell’autunno scorso, quando gli scioperi dei lavoratori di Malpensa raccolsero persino il plauso della Giunta regionale. Eppure, sono a rischio migliaia di posti di lavoro, proprio in un territorio già duramente provato da una serie di crisi industriali e occupazionali negli anni passati.
Sintomatico è altresì il silenzio sulle responsabilità regionali e locali. Non solo non è stato mai risolto il problema dell’accessibilità, per le persone e per le merci, che fa sì che Malpensa, da questo punto di vista, sia un fanalino di coda in Europa, ma non è stata nemmeno mai definita una strategia complessiva per le infrastrutture aeroportuali della regione. Anzi, in questi anni, gli aeroporti lombardi sono cresciuti in totale assenza di programmazione e soltanto in base agli interessi particolari. Il ruolo e la funzione di Linate sono stati oggetto di continue bagarre politiche e istituzionali, mentre, ancora poco tempo fa, importanti assessori regionali fantasticavano pubblicamente su un “secondo hub lombardo” a Montichiari (Bs).
Tuttavia, oggi non è tempo per rivangare vecchie polemiche, bensì per lavorare su soluzioni possibili ed efficaci. Ecco perché ribadiamo, come già affermato in autunno in Consiglio, la nostra disponibilità, purché si faccia sul serio e si scenda dal treno della propaganda. QMa questo significa che la Giunta regionale si sieda al Tavolo Milano, mettendo in campo degli impegni concreti, sul piano della programmazione e delle prospettive di sviluppo, e soprattutto assumendo la questione occupazionale, in termini quantitativi e qualitativi, come prioritaria.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 11/01/2008, in Lavoro, linkato 1809 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 11 genn. 2008 (pag. Milano)
Minacce, negazione dei diritti sindacali minimi, lavoro irregolare e condizioni di salubrità e sicurezza considerati un optional sono il pane quotidiano che accompagna il duro lavoro degli operai del centro logistico di Cascina Nuova, nel comune di Lacchiarella (Milano). E così, ieri una quarantina di loro, aderenti al sindacato SdL intercategoriale, hanno incrociato le braccia e presidiato i cancelli.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso e portato allo sciopero è stato l’ennesimo sopruso a danno di un delegato sindacale interno, fatto allontanare dal posto di lavoro, con tanto di intervento dei carabinieri, unicamente perché aveva risposto a una telefonata. Dall’altra parte, questo sembra essere il trattamento normale riservato a ogni lavoratore che osi fare attività sindacale, visto che di recente due rappresentanti sindacali (Rsa) della Cisl sono stati addirittura licenziati in tronco, sempre in base a delle quisquilie.
Intimidire e licenziare è cosa assai semplice da quelle parti, poiché praticamente tutti gli operai lavorano per delle cooperative, nella fattispecie per l’Uniter e la C.C.C. Scarl, in qualità di soci-lavoratori. Quindi, ti dichiaro non più socio e il gioco è fatto, senza fastidiosi articoli 18. A tutto questo si aggiunga che la grande maggioranza degli operai sono immigrati non comunitari e quindi più ricattabili, o considerati tali, di altri.
In fondo, con lo sciopero gli operai non chiedono la luna, bensì cose molto più elementari, cioè il rispetto delle norme di legge e dei diritti sindacali. Infatti, sembra che non basti fare la segnalazione delle numerose irregolarità alle autorità competenti, perché qualcuno intervenga, come dimostra per esempio il fatto che l’Asl non si è ancora fatta vedere, nonostante una denuncia formale del sindacato di otto giorni fa.
Ora qualcuno deve assumersi le proprie responsabilità, a partire dal noto gruppo Standa-Billa. Ebbene sì, perché il centro logistico funziona da magazzino per i punti vendita del gruppo, anche se nessuno dei 300 operai risulta essere un dipendente Standa-Billa. Ma il gioco è sempre lo stesso e ormai molto in voga, persino nelle pubbliche amministrazioni. Cioè, non assumo nessuno in maniera regolare, ma appalto ed esternalizzo il “servizio” a delle cooperative e, quindi, non vedo, non sento e non parlo.
La situazione di Lacchiarella non rappresenta un’eccezione, ma piuttosto uno specchio di quello che avviene in maniera sempre più vasta nell’intera economia del nostro territorio. Delle autentiche zone franche, dove leggi e contratti semplicemente non esistono. Eppure, nessuno sembra curarsene, anzi, è molto più comodo e redditizio fare finta di niente, salvo poi inventarsi le campagne di criminalizzazione degli immigrati.
Gli operai che ieri hanno trovato il coraggio di scioperare e denunciare meritano che gli si dia ascolto e che si impedisca che domani subiscano nuove intimidazioni. Ecco perché chiediamo alle autorità di vigilanza di svolgere i necessari controlli e alla Standa-Billa di porre fine all’omertà e di assumersi tutte le responsabilità del caso.
L’impugnativa, da parte del Governo, della legge regionale sul trasporto aereo, approvata in Consiglio regionale il 6 novembre scorso, era non solo annunciata, ma soprattutto scontata fin dall’inizio. E questo Formigoni lo sapeva benissimo.
Infatti, uno dei motivi che avevano portato Rifondazione, insieme a Sd e Verdi, ad astenersi su quel testo, era proprio rappresentato dalle lampanti illegittimità rispetto al quadro normativo nazionale ed europeo, segnalate altresì da fonti autorevoli audite in fase di discussione. Eppure, il centrodestra lombardo, in particolare l’assessore Cattaneo, di stretta osservanza formigoniana, aveva forzato lo stesso l’approvazione, come se l’impugnativa fosse l’obiettivo vero dell’operazione politica.
Peraltro, la vigenza o meno della legge regionale n. 29/2007 non influisce minimamente sui destini di Malpensa, poiché si tratta di una legge-volantino. Anzi, se ogni regione italiana approvasse e applicasse effettivamente dispositivi simili, ne conseguirebbe il caos. Infatti, a suo tempo, il presidente della Regione Veneto, Galan, aveva tenuto a specificare che a lui di Malpensa non gliene fregava niente, perché doveva promuovere l’aeroporto di Venezia.
Insomma, la legge in questione ci pare rispondere piuttosto a esigenze di lotta politica tra gli schieramenti e riprodurre quella filosofia particolaristica che è corresponsabile delle odierne, drammatiche difficoltà dell’aeroporto di Malpensa. Cioè, la crescita delle infrastrutture aeroportuali senza programmazione e nel predomino degli interessi particolari. E questa situazione, di un aeroporto ogni 50 chilometri al nord, non è soltanto responsabilità dei vari governi nazionali, ma altresì della classe dirigente lombarda, che ha brillato per miopia e autoreferenzialità.
A Malpensa, calcolando anche l’indotto, sono a rischio tra 10 e 20 mila posti di lavoro, in base a quanto finora si sa del piano Air France, che oggi orienta le scelte di Alitalia. A noi pare che tale prospettiva, insostenibile e inaccettabile, meriti un impegno serio e responsabile e non semplicemente un indegno gioco dello scaricabarile. Quindi, se Air France dovesse confermare questi esiti disastrosi, allora non possiamo considerare un tabù la ricerca di partner alternativi, con i quali verificare delle soluzioni sostenibili e accettabili per la Lombardia e per l’Italia e, soprattutto, per i lavoratori. Ma, contestualmente, il Governo e le Regioni devono assumersi finalmente la responsabilità di definire un piano nazionale e regionale del trasporto aereo, che consenta di programmare il futuro e uscire dall’anarchia.
Chiediamo quindi al presidente Formigoni di recarsi alla riunione del “Tavolo Milano” con questo spirito e con questi impegni, archiviando da subito la propaganda e lo scontro politico per altri fini.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Il Presidente Formigoni va all’attacco del Governo nel tentativo di autoassolversi rispetto alla grave crisi che sta coinvolgendo Alitalia e Malpensa.
Ma è davvero ora di finirla con lo scaricabarile. Perché le corresponsabilità del fallimento della compagnia di bandiera sono evidenti a tutti e riguardano non solo i vari Governi nazionali, ma anche proprio le amministrazioni regionale e comunali, con il centrodestra che da anni guida la Lombardia, Milano e Varese e che, quindi, dovrebbe forse cominciare ad abbassare i toni.
Detto questo, è chiaro che si sta aprendo ora la fase delicata di una trattativa per la vendita di Alitalia con l’unico acquirente che ha finora presentato un offerta formale, e cioè Air France. L’importante è che tutta l’operazione si svolga all’insegna della più totale trasparenza, che finora è mancata, sulle reali intenzioni della compagnia francese. Perché con il futuro di decine di migliaia di persone e di un interesse economico evidente non si scherza.
Air France deve in primo luogo presentare il proprio piano industriale e chiarire se intenda salvaguardare tutti i punti di forza di Alitalia e Malpensa, a partire dai voli intercontinentali e nazionali, o se miri invece a eliminare un concorrente sul mercato per difendere i propri interessi e quelli della Francia, legati in modo particolare al turismo.
Per quanto ci riguarda, pensiamo che ci siano tutte le condizioni affinché il Governo, le istituzioni regionali e le organizzazioni sindacali dei lavoratori approntino un lavoro di squadra con il comune obiettivo di salvare Alitalia, Malpensa e, soprattutto, l’occupazione. Rinunciando da subito all’avvio di una discussione con il Ministro del Lavoro per gli ammortizzatori sociali, che dà l’idea di un atteggiamento di rinuncia preventiva o, nella peggiore delle ipotesi, di una manovra per far gradualmente digerire migliaia di licenziamenti mascherati, magari a fronte di un depotenziamento enorme dello scalo lombardo già segretamente deciso.
E’ necessario quindi assumere una posizione politica che escluda ogni possibilità di una espulsione di massa dei lavoratori che oggi dipendono, direttamente o indirettamente, da Malpensa.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer e Osvaldo Squassina
Articolo di Luciano Muhlbauer (Prc), B. Storti (PdCI) e A. Squassina (Sd), pubblicato su il Manifesto del 18 genn. 2008 (pag. Milano)
Forse è per i troppi anni passati alla guida della Regione, forse è per la concezione privatistica della cosa pubblica che ha sempre contraddistinto Formigoni, ma quanto sta accadendo in queste ore negli uffici regionali è di una gravità inaudita.
Infatti, con una comunicazione interna, indirizzata a tutti i dirigenti dell’amministrazione e degli enti strumentali, il segretario generale, Sanese, su indicazione del Presidente Formigoni, invita formalmente a firmare e a far firmare ai lavoratori un appello pubblico di solidarietà al Papa e di condanna delle critiche alla sua presenza all’Università La Sapienza di Roma.
Beninteso, non contestiamo il diritto di chiunque, qualsiasi sia il suo luogo di lavoro, di esprimere liberamente la sua opinione e di invitare altri a sostenere le sue tesi. E non ci interessa nemmeno, in questa sede, entrare nel merito delle tante, troppe strumentalizzazioni della vicenda romana.
Quello che invece non solo contestiamo, ma riteniamo un vero e proprio abuso istituzionale, è che un Presidente di Regione utilizzi la pubblica amministrazione per fare propaganda politica e che eserciti pressioni sul personale, la cui indipendenza è garanzia per i cittadini, perché sottoscriva i suoi appelli.
Invitiamo i dirigenti regionali ad astenersi da ogni forma di pressione e proselitismo politico nei confronti dei lavoratori e chiediamo al Presidente Formigoni di sospendere immediatamente questa campagna interna. Cl sarà pure cosa sua, ma la Regione è di tutti e tutte.
Allo stesso tempo, esprimiamo la nostra totale contrarietà alla decisione della Giunta Formigoni di portare il gonfalone della Regione Lombardia al meeting organizzato dalla gerarchia ecclesiastica domenica prossima in piazza San Pietro, a Roma.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 19 genn. 2008 (pag. Milano)
Il Gruppo consiliare regionale di Rifondazione esprime la sua piena solidarietà ai ragazzi e alle ragazze del centro sociale Fornace di Rho (Mi), che rischiano a breve lo sgombero coatto, e sarà presente alla manifestazione che si tiene oggi pomeriggio (ore 15.00, p.zza Stazione Fs,Rho).
A dire la verità, si tratta di un tentativo di sgombero ampiamente preannunciato, poiché le elezioni amministrative del 2007 avevano portato alla guida del comune di Rho la coalizione di centrodestra. Infatti, siamo di fronte a una questione puramente politica e non certo a problemi legati all’ordine pubblico.
I giovani non avevano mai dato fastidio a nessuno e lo spazio che occupano è abbandonato e inutilizzato da un decennio. Anzi, si tratta di uno dei pochissimi luoghi di aggregazione giovanile esistenti del nord-ovest milanese, dove in questi ultimi tre anni sono state realizzate numerose iniziative di carattere culturale, artistico e politico.
E allora, perché sgomberarlo, invocando persino l’intervento della forza pubblica, come se si trattasse di delinquenti? La versione ufficiale del Sindaco Zucchetti sostiene che bisogna liberare l’area della Fornace per costruirvi un nuovo commissariato di polizia. Progetto curioso, saltato fuori all’ultimo minuto, poiché a Rho c’è già un nuovo commissariato, oltre alla stazione dei carabinieri.
Ma di una giustificazione vendibile c’era pure bisogno e, quando si tratta di fare la guerra ai propri avversari politici, il Sindaco Zucchetti sembra non badare a spese. E così, i tre milioni di euro necessari per il nuovo commissariato sono stati recuperati, annullando semplicemente lo stanziamento per la nuova sede del liceo Rebora, prevista in base a un accordo con la Provincia di Milano. Complimenti Sindaco. Si toglie alla scuola per costruire un superfluo commissariato di polizia e così realizzare l’obiettivo vero: sbarazzarsi dell’unico centro sociale di Rho.
D’altra parte, il malcostume di usare l’istituzione pubblica per muovere guerra ai propri avversari politici non l’ha certamente inventato Zucchetti. Il vicesindaco di Milano lo sta praticando da lunghi anni. La grande colpa dei ragazzi e delle ragazze della Fornace è, infatti, molto banale: aver criticato costantemente l’opera dell’amministrazione comunale e denunciato i molteplici affari che si celano dietro la candidatura per l’Expo 2015.
Invitiamo, pertanto, il Sindaco di Rho ad accettare il terreno della democrazia e del libero confronto, rinunciando ad atti di forza contro i suoi avversari politici. Contestualmente, invitiamo la Prefettura di Milano a non mettere a disposizione la forza pubblica, poiché una cosa è l’ordine pubblico, altra cosa è la libera dialettica politica.
Articolo di Luciano Muhlbauer e Osvaldo Squassina, pubblicato su Liberazione del 19 genn. 2008 (pag. Lombardia)
Un normalissimo cittadino della Lombardia fatica terribilmente a capire cosa succede all’aeroporto della Malpensa, a meno che non si voglia arrendere alla “spiegazione” propagandata da Formigoni, Moratti e Lega e amplificata a dismisura da tv e stampa locali: cioè, che Roma avrebbe deciso di punire il Nord operoso.
Dall’altra parte, non è certamente facile comprendere come mai un aeroporto esibito per lunghi anni come un gioiello dal governo regionale, in piena crescita (+10% di traffico passeggeri e +17% di quello merci nel 2007) e collocato nel ricchissimo mercato della pianura padana, si trovi all’improvviso di fronte alla prospettiva di essere travolto da una pesante crisi, anzitutto occupazionale. Insomma, c’è qualcosa che non quadra.
E allora, va anzitutto ricostruito come si è arrivati a questo punto, individuando le responsabilità e gli errori. C’è prima di tutto la crisi Alitalia, ormai arrivata a capolinea, dopo un decennio che i vari governi nazionali, in maniera assolutamente bipartisan, hanno semplicemente rinviato il problema, pompando risorse pubbliche nella compagnia di bandiera e nominando e strapagando dei manager inconsistenti. Oggi, Alitalia si trova con una flotta invecchiata e con l’incapacità struttuale di reggere su un mercato segnato da processi di concentrazione e dall’aggressività dei vettori low cost.
Ma se la storia di Alitalia è tutto sommato conosciuta, molto di meno lo è quella delle scelte della classe dirigente lombarda e nordista, che ha brillato soprattutto per miopia e autoreferenzialità. Sull’asse Torino-Trieste c’è ormai un aeroporto ogni 50 chilometri, quattro soltanto in Lombardia, e tutto questo in assenza completa di programmazione e specializzazione. In altre parole, l’espansione infrastrutturale è avvenuta nel caos di regole e sotto la guida degli interessi particolari. Come stupirsi quindi che il Presidente della Regione Veneto, Galan, abbia dichiarato che a lui di Malpensa non gliene fregava niente, perché doveva promuovere Venezia?
Oppure, basta guardare alla sola Lombardia, dove lo scalo varesino non solo era stato imposto alle popolazioni locali senza le necessarie valutazioni di impatto ambientale, ma ancora oggi è fanalino di coda in Europa per quanto riguarda l’accessibilità. E andrebbe ricordato che al suo lancio come aeroporto internazionale doveva corrispondere la trasformazione di Linate in city airport. Cosa non solo mai realizzata, causa perenne bagarre politico-istituzionale tra Regione e Comune di Milano, ambedue di centrodestra, ma fino a poco tempo fa autorevoli assessori regionali fantasticavano addirittura di un “secondo hub lombardo” a Montichiari (Bs).
Una politica mediamente responsabile dovrebbe semplicemente smetterla di giocare allo scaricabarile. Questo vale sia per il livello nazionale, laddove una svendita a Air France che comporta la perdita a breve di quasi 10mila posti di lavoro, tra aeroporto e indotto, è semplicemente insostenibile e inaccettabile, che per il livello locale, dove dovrebbe scattare finalmente un’assunzione di responsabilità in termini di programmazione pubblica.
E questo cambio di passo è maledettamente urgente, perché alla fine, chiunque “vinca” sul piano della comunicazione politica, il prezzo rischiano di pagarlo i soliti noti, cioè i lavoratori. Anzi, i primi 200 esuberi sono annunciati per fine gennaio. Ovviamente, si tratta di precari, tecnicamente non si parla nemmeno di licenziamento e gli ammortizzatori sociali per loro comunque non ci sono.
Da parte nostra, non abbiamo tabù di nessun tipo e ci confronteremo con ogni proposta in base alla sua capacità di salvaguardare l’occupazione nell’area di Malpensa, evitando di anteporre gli ammortizzatori sociali al lavoro.
L’amministrazione regionale lombarda dovrà licenziare 20 dirigenti. È questa la conseguenza immediata della sentenza della terza sezione del Tar della Lombardia, depositata il 17 gennaio scorso, anche se sarebbe meglio dire che tutto ciò è conseguenza della superbia dei governanti lombardi.
Infatti, il concorso annullato ora dal Tar era già contestatissimo nel 2006. Non solo vi fu una nostra interpellanza in merito, che ottenne una risposta piuttosto liquidatoria, ma diversi candidati e lavoratori sollevarono da subito dei serissimi dubbi e protestarono. D’altra parte, il motivo dell’illegittimità era piuttosto palese, cioè la mancata pubblicazione del bando sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, come invece prevede la legge.
Ciononostante, l’amministrazione regionale procedette lo stesso all’assunzione dei 20 dirigenti, inserendo tuttavia nel loro contratto di lavoro una clausola curiosa. Cioè, in caso di annullamento del concorso il rapporto di lavoro si sarebbe risolto automaticamente e senza preavviso.
Illuminante, peraltro, l’autodifesa di Regione Lombardia in sede di giudizio, secondo la quale era sufficiente la pubblicazione del bando sul Burl, in base all’articolo 117 della Costituzione. Argomentazione, ovviamente, respinta dal Tar, poiché la pubblicazione sul solo bollettino regionale esclude a priori la partecipazione al concorso dei cittadini italiani non residenti in Lombardia.
Rieccoci, quindi, alla “opzione preferenziale per i lombardi”, che nel caso specifico, guarda a caso, restringe anzitutto la platea dei possibili candidati.
Oggi abbiamo depositato un’ulteriore interpellanza, sollecitando la Giunta regionale ad adeguarsi immediatamente alla sentenza del Tar, anche in considerazione del fatto che nel frattempo sono stati banditi altri concorsi con le medesime modalità. Ma soprattutto chiediamo al governo regionale di smetterla di confondere l’amministrazione con la lotta politica.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui puoi scaricare il testo dell’interpellanza
Formigoni non è un politico da strapazzo e, quindi, la sua più volte annunciata iniziativa sulla 194, cioè sull’interruzione volontaria della gravidanza, non si è tradotta in una carnevalata di militanti antiabortisti. Anzi, alla conferenza stampa al Pirellone, il presidente di Regione Lombardia si è circondato di medici autorevoli, come la dott.ssa Kustermannn, e ha invocato la scienza.
E così, anche il merito dei provvedimenti appare piuttosto innocente. In primo luogo, gli stanziamenti regionali per le attività di prevenzione dei consultori (284 in Lombardia) aumentano di 8 milioni di euro. In secondo luogo, viene data indicazione alle strutture sanitarie lombarde di non effettuare il cosiddetto “aborto terapeutico” oltre il limite di 22 settimane + 3 giorni di gravidanza, salvo i casi in cui non sussiste la possibilità di vita autonoma del feto.
In altre parole, non si tratta di novità stravolgenti. Semplicemente, anche i molti consultori gestiti o fortemente influenzati dalle campagne antiabortiste avranno qualche soldo in più, mentre il limite massimo indicato dalla Regione in realtà è già praticato spontaneamente dal personale medico, laddove il progresso scientifico permette di tenere in vita anche feti dell’età di 22 o 23 settimane.
Tutto bene, dunque? Per nulla, perché, guardando bene, di innocente con c’è proprio niente nella mossa del capo di Cielle e della Regione. Anzitutto, c’è la coincidenza temporale, peraltro rivendicata apertamente in queste settimane, con l’offensiva politica della gerarchia ecclesiastica contro la 194. E il fatto che una Regione si assuma, proprio oggi, la responsabilità di stabilire autonomamente dei criteri propri di applicazione di una legge nazionale altro non significa che lanciare il messaggio che “toccare la 194 si può”. Inoltre, questa iniziativa formigoniana non è certo un atto isolato, visto che gli interventi sul terreno dell’interruzione volontaria di gravidanza, della libertà di scelta delle donne e della sessualità sono all’ordine del giorno in Lombardia. Non soltanto i due terzi dei medici lombardi sono obiettori di coscienza, rendendo così difficoltosa l’applicazione della 194, e alle strutture private accreditate viene persino premesso, grazie alle regole definite dalla Regione, di “obiettare” in quanto tali, ma soltanto l’anno scorso un regolamento regionale ha introdotto la possibilità di dare sepoltura formale ai feti, mentre un altro progetto di legge del centrodestra, che andrà in aula a breve, interviene sul terreno della sessualità.
Insomma, il senso degli atti formigoniani è sempre il medesimo ed è tutto politico e culturale: riproporre il tema della tutela della vita sin dal suo concepimento, criminalizzare le donne che, con scelta dolorosa, ricorrono all’interruzione volontaria di gravidanza e, in ultima analisi, smontare come un carciofo la 194.
Ecco perché non bisogna sottovalutare quanto avvenuto oggi in Lombardia, ma occorre invece chiamare le cose con il loro nome.
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