Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Dopo due giorni e mezzo di seduta il Consiglio regionale ha approvato il nuovo Statuto d’autonomia della Lombardia. Hanno votato a favore i gruppi della maggioranza di centrodestra (Fi, An, Lega, Udc) e il Partito Democratico, mentre i gruppi della sinistra (Prc, Sd, Verdi, Pdci) si sono astenuti.
Lo statuto entrerà in vigore soltanto dopo una seconda votazione da parte del Consiglio, da tenersi tra due mesi, e verrà definitivamente promulgato se il Governo non lo impugnerà per motivi di illegittimità costituzionale e se non verrà richiesto il referendum popolare.
La Lombardia è tra le ultimissime regioni italiane a dotarsi di un nuovo statuto, come richiesto dalla legge costituzionale n. 1 del 1999, ed è forse l’unico caso in cui questo non sia stato approvato all’unanimità dal Consiglio. Siamo dunque consapevoli che la nostra odierna astensione non rappresenta un fatto ordinario. Dall’altra parte, la Lombardia è il luogo dove il presidenzialismo regionale all’italiana ha mostrato più nitidamente il suo carattere squilibrato e autoritario, anche a causa della forza del sistema di potere di Formigoni, e sarebbe stato irresponsabile e miope adagiarsi su un coro bipartisan che fotografa la distorsione democratica esistente (vedi nostro articolo dell’11 marzo).
Il risultato finale della tre giorni dedicati allo statuto non si discosta molto dal testo iniziale. Sono stati accolti una trentina di emendamenti, ma non sulle parti fondamentali del testo, cioè quelle relative ai poteri e alle funzioni dell’assembla legislativa e del Presidente. E così, da una parte c’è stato qualche abbellimento e, dall’altra, qualche contentino alla Lega, con l’introduzione della “festa regionale”. Non è stata stabilita la data, ma va per la maggiore l’ipotesi del 7 aprile, in memoria del giuramento di Pontida dell’anno 1167…
Significativo era però il lungo dibattito in aula, parecchio lontano dal presunto “spirito costituente” invocato dalle destre e dedicato, invece, in larga misura alle contraddizioni della maggioranza. Tutto sommato, un clima scialbo, dove si toccava con mano che la testa di tanti non stava in Consiglio, bensì in campagna elettorale (quella politica e quella regionale, che si avvicina sempre di più).
Unico fatto degno di nota, in senso negativo, è il tentativo dell’assessore Buscemi (Fi) di abrogare ogni, pur timido, riferimento alle pari opportunità tra i generi, nel caso degli organi di governo della Regione e degli organi direttivi degli enti e delle aziende controllati dalla Regione. Certo, il senso era quello di salvaguardare la mano libera della Giunta nelle nomine, ma il dibattito era più che paradigmatico, perché andava ben oltre alla questione concreta, toccando punte di misoginia stupefacenti, dall’intervento inqualificabile dell’assessore Prosperini (An) fino agli insulti gratuiti a Vladimir Luxuria della Lega. Alla fine, dopo le aspre proteste dell’opposizione e una conseguente sospensione della seduta, il tutto si è risolto con una piccolissima modifica, che in realtà non cambia molto. Ma lo spettacolo è stato davvero imbarazzante!
Dulcis in fundo, il comportamento del Presidente Formigoni, che la dice lunga sul rispetto che gode l’assemblea legislativa da parte del presidente. La sua presenza in aula è durata, infatti, il tempo del suo intervento, dove ha rivendicato che lo statuto è lo “specchio” della sua azione politica, e poi non si è più visto. Nemmeno oggi, durante il “solenne” voto finale, si è presentato perché impegnato in qualche riunione di partito relativa alla sua campagna elettorale per il Senato della Repubblica…
Insomma, lo statuto approvato oggi è uno statuto che si limita a fotografare l’esistente, cioè il modello Formigoni.
qui puoi scaricare sia il testo dello Statuto approvato, che l’intervento in aula consiliare dell’assessore Prosperini, dedicato alla questione pari opportunità. Buona lettura…
Da non credersi! Stamattina il Comune di Milano ha fatto cancellare il murale sulla Darsena in memoria di Dax, appena rifatto. E pensare che erano passate soltanto poche ore dalla fine delle iniziative che ricordavano l’anniversario dell’omicidio del giovane milanese assassinato dai neofascisti.
Certo, sappiamo bene come la pensa il vicesindaco De Corato a proposito della memoria storica e tutti in città conoscono le sue crociate per riabilitare il fascismo storico, sradicare le lapidi in piazza Fontana e cancellare i murales di sinistra. Ma quanto accaduto oggi ha un sapore strano, sa di eccesso e di provocazione.
In politica la scelta dei tempi non è mai casuale e non c’era giornata più sbagliata di quella di oggi per cancellare quel murale. Ebbene sì, perché ieri cadeva appunto il quinto anniversario dell’omicidio di Dax e domani ricorre il trentennale dell’assassinio di Fausto e Iaio, tuttora impunito. E, a Milano, queste date le conoscono tutti, a partire dal vicesindaco.
E allora, perché cancellarlo proprio oggi? Perché si spera in qualche reazione impulsiva da giocarsi in campagna elettorale? O semplicemente perché si vuole comunicare alla città che l’antifascismo non ha più cittadinanza, nemmeno quando di mezzo ci sono i morti ammazzati?
Comunque sia, lo squallido atto di oggi non fa che rafforzare la nostra convinzione che a Milano vi è un grande bisogno, civile e culturale, di investire energie, intelligenza e passioni per tenere viva la memoria e contrastare ogni compromesso con le tesi revisioniste, ahinoi sponsorizzate con ogni mezzo dalla seconda carica della nostra città.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Da tempo non si sente più parlare del Cpt di via Corelli. Quasi quasi sembrava che quel luogo di detenzione per immigrati non esistesse più o che si fosse trasformato in qualcosa d’altro. Invece no, tutto come prima e non appena cala l’attenzione pubblica si ripresentano fatti che sfidano lo stato di diritto e il più elementare buon senso.
Ebbene sì, perché in questo momento si trova rinchiusa in via Corelli e rischia l’espulsione una donna, cittadina delle Seychelles, già in possesso di regolare permesso di soggiorno e coniugata con un cittadino italiano. Cioè, secondo la legge, non potrebbe essere privata della sua libertà personale e tanto meno espulsa. Ma non basta, perché la signora è anche madre di tre figli minorenni, frequentanti regolarmente la scuola italiana, che ora rischiano a loro volta l’espulsione coatta dall’Italia.
Come tutto questo sia potuto accadere è ancora un mezzo mistero, che andrà chiarito in tempi brevi e certi. Comunque sia, in questo momento l’europarlamentare Vittorio Agnoletto si trova all’interno del Cpt di via Corelli, insieme agli avvocati della signora, ed è già stata contattata la Prefettura. Eppure, a quanto pare la situazione non si sblocca. Anzi, si parla di tempo necessario, forse giorni, per accertare se la donna sia coniugata o meno, nonostante gli avvocati avessero tutto in mano e inviato alle autorità competenti.
Chiediamo che venga immediatamente posto fine alla detenzione illegale della signora e che venga sospeso ogni provvedimento di espulsione nei suoi confronti e dei suoi figli minorenni.
Continuiamo ad essere convinti che i Cpt vadano chiusi, perché inumani e inutili. Ma nel frattempo pretendiamo che si rispetti almeno la legge. E questo va fatto subito e non tra qualche giorno.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Dopo oltre sei ore di occupazione di una stanza del Cpt, la Questura ha dovuto prendere atto della totale illegittimità del provvedimento di reclusione nel centro di via Corelli e la signora V.M. è stata liberata. Implicitamente è stato, dunque, riconosciuto che la signora non poteva essere espulsa, in quanto coniugata con un cittadino italiano e in virtù dell'articolo 31 del testo unico di legge, considerata la presenza di tre minori regolarmente inseriti in ambito scolastico, che avrebbero subito un grave danno psicologico qualora fossero stati espulsi.
V.M. potrà così tornare a casa a festeggiare il compleanno del più piccolo dei suoi figli, che compie gli anni proprio oggi.
Resta quindi in Italia in attesa delle risposte ai ricorsi da lei presentati davanti al giudice di pace e al tribunale dei minori.
Certamente, è incredibile che, se non fossimo intervenuti immediatamente e non avessimo compiuto un'azione irrituale come l'occupazione di una stanza del Cpt, a quest'ora la signora sarebbe già stata espulsa con i suoi tre bambini. Ci chiediamo quante altre persone siano nella sua situazione e siano esposte all'arbitrio di singoli pubblici ufficiali, a causa di una legge che alimenta i presupposti per tali illegalità.
Comunicato stampa di Vittorio Agnoletto e Luciano Muhlbauer
Il 18 marzo scorso il parlamento svizzero ha dato il via libera all’uso di pistole ad elettroshock nelle operazioni di espulsione coatta di cittadini stranieri. Il via libera è arrivato dopo un lungo braccio di ferro politico, visto che in precedenza e per ben tre volte consecutive uno dei due rami del parlamento, il Consiglio degli Stati, aveva rifiutato di inserire questo comma nella nuova legge federale “sull’impiego della coercizione” da parte delle forze di polizia.
Vi è qualcosa di paradossale in questa vicenda, poiché l’esigenza di un nuovo impianto legislativo era nata proprio in seguito alla morte di due immigrati nel corso delle operazioni di espulsione, gestite con metodi spicci dalla polizia elvetica. Cioè, un palestinese, nel 1999, e un nigeriano, nel 2001, morirono per asfissia, provocata dall’imbavagliamento applicato dagli agenti di polizia.
Quindi, d’ora in poi sarà vietato l’uso di caschi integrali o bavagli che rendano difficile la respirazione, ma in cambio potranno essere utilizzati non solo i cani, ma soprattutto i cosiddetti Taser (Thomas A. Swift’s Electronic Rifle), cioè quei dispositivi che fanno uso dell’elettricità per far contrarre i muscoli della persona colpita.
Insomma, dalla padella alla brace, considerato che i Taser, sebbene classificati ufficialmente armi non letali, hanno in realtà causato numerosi morti in giro per il mondo. Secondo quanto denunciato da Amnesty International, infatti, tra il 2002 e il 2007 le pistole ad elettroshock sono responsabili del decesso di almeno 291 persone negli Usa e nel Canada, dove le forze dell’ordine le impiegano da tempo.
Quanto avvenuto nella vicina Svizzera è paradigmatico di un progressivo imbarbarimento della vita pubblica sul vecchio continente. La riduzione a problema di ordine pubblico e di sicurezza delle questioni sociali, compreso il fenomeno migratorio, produce mostri giuridici che combinano in maniera impressionante ipocrisia e violenza. E, soprattutto, che smontano passo dopo passo lo stato di diritto, legittimando trattamenti speciali e disumani. In fondo, la medesima storia che raccontano ogni giorno i Cpt, quelli nostrani oppure quelli esternalizzati in Nord-Africa, di cui manco si parla più.
Formigoni ama definirsi il Presidente di tutti i lombardi e tende a considerare l’amministrazione regionale cosa sua. Questo la sapevamo. Ma quanto accaduto ieri alla Conferenza Stato-Regione, dove il suo fedelissimo, l’assessore ciellino Colozzi, ha posto il veto contro le linee guida sull’applicazione della legge 194, oltrepassa ogni limite di decenza politica ed istituzionale.
E non lo diciamo semplicemente perché siamo avversari politici di Formigoni, bensì perché riteniamo che anche in un clima di un aspro scontro politico ed elettorale vadano rispettate alcune regole.
Formigoni ha ritenuto opportuno candidarsi al Senato della Repubblica, con l’obiettivo di fare poi il Ministro, rimanendo tuttavia in carica come Presidente della Lombardia. Certo, una legge sbagliata glielo consente, ma ciò non toglie che egli sia tenuto a distinguere la sua funzione istituzionale dalla sua battaglia politico-elettorale.
Quanto accaduto ieri è un’offesa bella e buona nei confronti dei lombardi, perché pur di far parlare di sé in campagna elettorale ha abusato del suo ruolo istituzionale, schierando la Lombardia intera sul fronte antiaborista. Appunto, una cosa è il pensiero del ciellino e candidato del PdL, ma altra cosa è l’istituzione Regione Lombardia.
Se poi vogliamo entrare nel merito della questione, dobbiamo rilevare che Formigoni e Colozzi non hanno alcun titolo per pontificare sull’applicazione della legge 194. Anzi, proprio loro dovrebbero sedere sul banco degli accusati, poiché il governo regionale promuove da anni una politica di sistematico boicottaggio dell’applicazione della legge 194. Gli ospedali lombardi straboccano letteralmente di medici “obiettori di coscienza”, per convinzione o per convenienza, mentre le strutture private accreditate, in base a una delibera di Giunta del 2000, possono incredibilmente “obiettare” in quanto tali.
Forse non è un caso che il veto di Colozzi-Formigoni si è scagliato contro delle linee guida che prevedevano anche l’obbligo di garantire in ogni distretto la presenza di almeno un medico non obiettore.
Insomma, se Formigoni non è in grado di rispettare i suoi concittadini e concittadine, anche se non la pensano come Comunione e Liberazione, allora si dimetta subito da Presidente della Lombardia e non quando il gioco delle poltrone ministeriali l’avrà accontentato. Altrimenti, ritiri immediatamente il veto contro l’applicazione della 194. Scelga lui.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
La memoria di Dax non trova pace nemmeno a Pasqua. Infatti, anche il murale di piazza Vetra, dedicato a lui e al partigiano Giovanni Pesce, è stato cancellato dal Comune di Milano.
Gli amici di Davide “Dax” Cesare, il giovane assassinato nel marzo di cinque anni fa da alcuni neofascisti, se ne sono accorti oggi. Sabato c’era ancora. Quindi, deve essere successo tra ieri e oggi, una settimana esatta dalla cancellazione del murale sulla Darsena.
Ora l’assessore Cadeo ci spiegherà che la politica non c’entra, ma che si tratta di una questione di “decoro urbano”. Tuttavia, come sempre, non sarà in grado di spiegare come mai le scritte e i graffiti di ispirazione neofascista, o peggio, che riempiono alcuni quartieri popolari della città continuano ad esistere indisturbati. Il vicesindaco De Corato, invece, sarà più trasparente e rilancerà la sfida agli amici e compagni di Dax, nella speranza che la sua guerra privata sortisca qualche effetto utile per la campagna elettorale.
A noi, francamente, mancano ormai gli aggettivi per definire il comportamento dell’amministrazione comunale, specie della componente di An, che a Palazzo Marino sembra fare il bello e il cattivo tempo su tutte le questioni che riguardano in qualche modo il fascismo e l’antifascismo.
Ma il vero problema non sono nemmeno i vari De Corato e Cadeo, bensì una città che sembra sempre più smemorata e incapace di reagire. E così, gli amici e i compagni di Dax vengono lasciati troppo da soli, un po’ come accade spesso all’Anpi, come se si trattasse di vicende private. Invece no, qui è in gioco la memoria pubblica di Milano.
Ecco perché riteniamo che oggi e qui si ponga il problema di aprire in città una riflessione seria e ampia, che coinvolga tutte le forze, sociali e politiche, e i singoli cittadini che non intendono arrendersi all’arroganza e alla mancanza di rispetto dell’amministrazione comunale. È l’unica maniera per non scendere al livello misero di De Corato e per riportare la questione nella sua dimensione propria, cioè la politica.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Come ogni primavera a Milano si ripropone il medesimo problema e centinaia di rifugiati politici e profughi di guerra, presenti regolarmente nel nostro paese, finiranno per strada.
Ebbene sì, perché l’Italia, sprovvista tuttora di una legge organica sul diritto d’asilo, concede ai profughi il permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma poi si disinteressa sostanzialmente della loro sorte. E così, i profughi si trovano a dormire nei parchi cittadini o nelle aree dismesse, spesso in condizioni allucinanti e comunque indegne di un paese che si pretende civile.
Quando arriva l’inverno e il freddo, il Comune di Milano apre le porte dei dormitori pubblici e accoglie per la notte almeno una parte dei profughi presenti in città. Ma non appena arriva la primavera, cioè il 31 marzo, quando finisce la cosiddetta “emergenza freddo”, quelle persone finiscono di nuovo per strada.
Insomma, la vicenda dei profughi di via Lecco –vi ricordate?- di due inverni fa, sembra non aver insegnato nulla all’amministrazione comunale. E tutto continua come prima.
Per questo motivo, il Naga e il Sicet hanno indetto per il 27 marzo un presidio davanti al dormitorio di via Barzaghi, dalle ore 8.00 alle ore 11.00, al fine di chiedere una soluzione per i profughi.
Se potete, andateci.
Di seguito, il testo di convocazione del presidio di Naga e Sicet:
DAL 31 MARZO CENTINAIA DI RIFUGIATI POLITICI FINIRANNO IN STRADA
Alla fine del mese infatti chiuderanno le strutture predisposte dal Comune di Milano per “l’emergenza freddo” e da allora centinaia di persone attualmente ospitate non avranno altre soluzioni che dormire nei parchi e nelle stazioni.
In particolare, al Centro della Protezione Civile di via Barzaghi attualmente hanno un posto letto, sotto un tendone, decine di rifugiati politici e alcuni godono di permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Ma anche gli altri dormitori di via Saponaro e di via Ortles termineranno questo servizio.
Il Comune di Milano non predisporrà nessuna struttura alternativa per questi cittadini fuggiti dalla guerra e dalla repressione dei loro paesi d’origine.
A Milano atuttalmente c’è una lista d’attesa di tre mesi e si stima che ci sia un fabbisogno di oltre 300 posti letto solo per accogliere i rifugiati afgani, somali, iraniani, togolesi, etiopici, eritrei e sudanesi.
IL SICET E IL NAGA CHIEDONO CHE LA STRUTTURA DI VIA BARZAGHI RIMANGA APERTA FINO AL REPERIMENTO DI UNA SISTEMAZIONE IDONEA A TUTTI I RIFUGIATI POLITICI RICONOSCIUTI DAL MINISTERO DEGLI INTERNI.
IL SICET E IL NAGA CHE DA TEMPO SEGUONO LE VICENDE DI QUESTI MIGRANTI FORZATI INDICONO UN PRESIDIO DAVANTI IL DORMITORIO DELLA PROTEZIONE CIVILE IN VIA BARZAGHI 2 GIOVEDI’ 27 MARZO DALLE ORE 8 ALLA 11 PER SOTENERE QUESTA RICHIESTA DI CIVILTA’ E PER INFORMARE L’OPINIONE PUBBLICA MILANESE DEL DRAMMA DI CENTINAIA DI PERSONE CHE DAL 31 MARZO RIMARRANNO IN STRADA.
Naga - Centro Har - via Grigna 24, Milano
Sicet: ufficio consulenza, via Grigna 20, Milano
tel. 02-33007411 fax: 02-39208516
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 27 marzo 2008 (pag. Milano)
La campagna elettorale forza la mano un po’ a tutti e spesso accade di ascoltare dichiarazioni che sfidano la realtà dei fatti. Questo è sicuramente il caso dell’assessore regionale Boni, che ieri ha glorificato la politica di Regione Lombardia sulla “questione rom”. Secondo lui, infatti, le scelte regionali contribuirebbero a “riqualificare il territorio” e a “renderlo più vivibile e sicuro”.
Peccato però che sia vero l’esatto contrario, poiché Regione Lombardia semplicemente ha scelto di non disporre di alcuna politica degna di questo nome a riguardo. Anzi, pratica consapevolmente e cinicamente il triste gioco del tanto peggio, tanto meglio.
In primo luogo, va ricordato che esiste una legge regionale, la numero 77 del 1989, la quale prevede lo stanziamento di fondi regionali a favore degli enti locali che ospitano sul proprio territorio insediamenti rom. Tuttavia, i comuni lombardi non hanno mai visto un soldo, per il semplice motivo che la maggioranza di centrodestra boicotta da lunghi anni l’applicazione della legge e, in particolare, il suo rifinanziamento in sede di bilancio.
Per quanto riguarda poi le famose modifiche alla legge regionale sul governo del territorio, la n. 12/2005, ispirate direttamente dall’assessore Boni, sfioriamo il grottesco. Infatti, da una parte, è stata introdotta la norma speciale che impone ai comuni di acquisire il consenso dei comuni limitrofi in caso di insediamento di un cosiddetto “campo nomadi” e, dall’altra, è stato contestualmente abrogato l’articolo 3 della legge 77/89. E quest’ultimo, guarda a caso, prevedeva che l’ubicazione dei “campi” doveva essere individuata “in modo da evitare qualsiasi forma di emarginazione urbanistica e da facilitare l’accesso ai servizi e la partecipazione dei nomadi alla vita sociale”.
In altre parole, dopo aver negato per anni i fondi regionali ai comuni, è stata pure abolita l’inclusione sociale, introducendo in cambio un muro di ostacoli per regolarizzare gli insediamenti rom.
Appunto, tanto peggio, tanto meglio. Ovvero, quanto sta già accadendo, e da anni, a Milano, compresa la Bovisasca, con tanti sgomberi e nessuna soluzione. E, alla fine, l’unico risultato di questa folle politica è il nomadismo coatto degli sgomberi, per popolazioni in larghissima parte non più nomadi da generazioni. In altre parole, l’esatto contrario di quello che sostiene imprudentemente l’assessore leghista.
La Corte d’Appello di Filadelfia (Usa) ha annullato la condanna a morte contro Mumia Abu-Jamal, l’attivista e giornalista afroamericano detenuto da 26 anni nel braccio della morte.
Mumia, ex militante dei Black Panthers, era stato condannato a morte perché accusato dell’omicidio di un agente di polizia di Filadelfia. Mumia si era sempre professato innocente e il processo era a dir poco costellato di irregolarità, ma in tutti questi anni non è stato possibile arrivare a una revisione, nonostante le molteplici campagne internazionali.
La decisione della corte di Filadelfia, che di fatto commuta la pena di morte in ergastolo, a meno che l’accusa non riapra nuovamente il processo, non fa certo giustizia, ma almeno apre uno spiraglio di speranza.
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