Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
di lucmu (del 22/03/2011, in Pace, linkato 1241 volte)
Alla fine la guerra è arrivata, anche se i governi che la combattono la chiamano intervento umanitario. La risoluzione Onu dice no fly zone, ma sul terreno piovono le bombe. A capeggiare i “volenterosi” c’è Sarkozy, già compagno di merende di Ben Ali. A favore dell’intervento è anche l’Arabia Saudita, che ha appena inviato i suoi soldati e blindati nel vicino Bahrein per reprimere la locale rivolta di popolo. E poi, ovviamente, ci siamo noi, l’Italia, le nostre basi, i nostri cacciabombardieri e il nostro premier, che è passato in un baleno dal baciamano al regime change, salvo poi dichiararsi “addolorato per Gheddafi”, cioè per gli affari che la Francia sta per soffiarci e per la perdita del migliore sorvegliante di campi di concentramento per migranti e profughi che si potesse desiderare.
Grande è la confusione sotto il cielo, ma la situazione non è affatto eccellente, poiché il disorientamento spadroneggia anche dalle parti di quanti dovrebbero indicare delle strade alternative. L’ex potenza mondiale del 2003, cioè il movimento pacifista, non c’è più da anni. Nulla di strano, beninteso, perché anche i movimenti hanno bisogno di risultati, altrimenti rinsecchiscono. Ma che dire della sinistra, politica e sociale, di partito o di movimento? Prima ha faticato terribilmente a rapportarsi con quel fatto nuovo e dirompente che è la rivolta di un’intera generazione che attraversa il Maghreb e il Medio Oriente e, poi, ha tardato a metabolizzare la natura dell’intervento militare e ad articolare una reazione. E le due cose sono legate, strettamente legate.
E così, mentre i giovani tunisini ed egiziani spazzavano via Ben Ali e Mubarak, qui in troppi coltivavano la loro diffidenza e pretendevano esami del sangue. Quando poi è toccato ai giovani libici, allora c’era persino chi in Gheddafi riscopriva improbabili virtù progressiste e antimperialiste. Insomma, dove una primavera cercava di farsi largo, occhi annebbiati da presunzione europea vedevano soltanto tanti arabi che facevano tanto chiasso.
Troppo pochi scorgevano le somiglianze tra i giovani di là e di qua del Mediterraneo, i cui destini, al di là delle diversità, sono accomunati dalla globalizzazione e dalla crisi. E troppo pochi vedevano che quella generazione in rivolta aveva messo fuorigioco l’assioma fondante dello scontro di civiltà, che ammette come uniche alternative la dittatura filo-occidentale o il fondamentalismo islamista, la guerra o il terrorismo.
Le forze restauratrici sono già all’opera in tutto il mondo arabo per soffocare le insorgenze e le speranze, come ci ricordano anche le prove d’intesa tra esercito egiziano e Fratelli musulmani. Ora arriva pure l’intervento militare dell’Occidente a riossigenare quanti erano finiti in un angolo.
Oggi e qui è il tempo per mobilitarsi contro la guerra, per la fine immediata dei bombardamenti. Un no alla guerra che però necessita di un sì altrettanto netto e chiaro alla solidarietà alle insorgenze, da Bengasi al Bahrein, da Algeri a Sana’a.
Luciano Muhlbauer
Chissà, forse collaborerà anche il meteo e così sabato pomeriggio a Milano si potrà manifestare con qualche raggio di sole. Infatti, anche il 19 marzo è un giorno di mobilitazioni, al plurale, necessarie e giuste.
Anzitutto, c’è l’iniziativa promossa dall’Arci Milano in seguito alla chiusura dell’ennesimo circolo, La Casa 139, ad opera della Polizia Locale. Come sempre, l’input di tallonare i circoli Arci e possibilmente di chiuderli è arrivato verosimilmente dal vicesindaco con delega alla sicurezza, De Corato, ed è figlio di quell’idea oscurantista della città che non tollera spazi di socialità che siano fuori dalla logica della mercificazione o dal controllo politico della destra. Che si tratti di centri sociali, di circoli Arci o di locali indipendenti.
E non a caso, quell’idea di città ha partorita negli ultimi giorni anche la malsana, nonché illegale, trovata di voler dichiarare piazza della Scala zona off-limits per i cittadini in disaccordo con Moratti, De Corato e Lega.
Comunque sia, l’Arci ha lanciato l’appello Liberiamo la Musica, che ha già raccolto molte adesioni, anche oltre i confini dell’associazione, e l’appuntamento è per sabato pomeriggio, alle ore 15.00, in piazza Fontana, per un presidiocreativo e musicale per liberare la musica e la cultura a Milano.
Sempre sabato pomeriggio e sempre alle ore 15.00, con concentramento in piazzale Loreto, si terrà un corteoa sostegno delle rivolte dei popoli arabi e contro l’intervento militare, promosso da diversi soggetti in occasione della “giornata internazionale di solidarietà con la rivolta delle genti arabe e africane”, lanciata per il 20 marzo dall’assemblea dei movimenti sociali al Forum sociale mondiale di Dakar. Per info sulla mobilitazione visti il sito del Csa Vittoria o di Sinistra Critica Milano.
Ci vediamo in piazza!
di lucmu (del 17/03/2011, in Lavoro, linkato 1285 volte)
“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, sulla free press eretica MilanoX, n° xxvi del 17 marzo 2011.
Ma che fine hanno fatto la crisi, le aziende che chiudono e la piaga della precarietà? Domanda più che lecita, visto che il lavoro è letteralmente sparito dalle prime pagine di giornali e tv e che anche il governo individua ben altre priorità per il paese, tipo la “riforma della giustizia”.
Ci piacerebbe rispondere “è arrivata la ripresa!”, ma purtroppo le cose non stanno così e quella omissione assomiglia piuttosto al famoso tappeto che serve per nascondere la polvere. E quindi, proviamo noi a darvi tre notizie degli ultimi giorni che difficilmente troverete in prima pagina.
Primo, dalle dichiarazioni dei redditi del 2010 emerge che in un solo anno sono spariti 200mila contribuenti tra 15 e 24 anni. Ormai, i giovani con meno di 25 anni rappresentano soltanto il 4,34% del totale dei contribuenti, ma in cambio gli under 30 sono protagonisti nell’apertura di partite Iva, con un secco +22,5% tra il 2009 e il 2010.
Secondo, un’indagine di Datagiovani sulle buste paga dei giovani al loro primo impiego ha evidenziato che lo stipendio medio di un neoassunto si è ridotto del 3% rispetto a un anno fa, attestandosi su 823 euro netti mensili. Ovviamente, alcune categorie si collocano sotto quella media, come le donne, gli “atipici”, i lavoratori del commercio e quelli del Sud, ma la dinamica è generale. Infatti, a Nord la media è più alta, cioè di 876 euro, ma è più accentuato anche il calo rispetto all’anno precedente, che arriva addirittura al -6%.
Terzo, nel mese di febbraio sono aumentate di nuovo le ore di cassa integrazione, in particolare quella in deroga (+23% rispetto a gennaio). L’aumento relativo è più forte al Sud, ma in termini assoluti è la Lombardia che usa più ore di cassa in deroga. E l’aumento della cassa in deroga, specie in settori come l’industria o l’edilizia, è un pessimo segnale, poiché indica la presenza di un numero significative di aziende all’ultima spiaggia.
Morale? La crisi c’è e picchia duro dappertutto, ma colpisce in particolare e massicciamente i giovani, in termini di occupazione, reddito e precarietà. Forse sta qui la ragione di quell’irreale e ingiustificata omissione, cioè nella paura che i giovani di qui possano rompere il silenzio e seguire l’esempio dei giovani di Tunisi e del Cairo.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale online Paneacqua il 15 marzo 2011
Il Sindaco Moratti e il suo vice, l’ex-capo missino De Corato, non smettono di stupire. Infatti, proprio quando la campagna elettorale inizia ad entrare nel vivo, ne hanno inventata un’altra: è temporaneamente sospeso il diritto dei cittadini milanesi di manifestare davanti alla sede del Comune, cioè in piazza della Scala.
Persino i Re di Francia ammettevano che i sudditi potessero presentargli le loro lamentale (doléances), ma il democratico potere municipale della moderna Milano non può tollerare che i cittadini si riuniscano davanti a Palazzo Marino? Ci sarebbe da ridere, se non fosse roba seria.
Beninteso, non ci sorprende l’avversione del vicesindaco per la libertà di espressione, specie di quelli e di quelle che non la pensano come lui, bensì che egli abbia trovato complicità nelle istituzioni preposte alla tutela dell’ordine pubblico e delle libertà costituzionali.
In realtà, le avvisaglie c’erano tutte, perché da un po’ di tempo in Questura stavano diventando estremamente rigidi di fronte a comunicazioni di presidi o manifestazioni in piazza della Scala, ma il salto di qualità era arrivato settimana scorsa, quando all’Arci di Milano era stata negata piazza della Scala. Non c’era niente da fare e l’Arci ha dovuto spostare la sua iniziativa, prevista per sabato prossimo, in piazza Fontana.
Per capire ancora meglio di cosa stiamo parlando, occorre ricordare che la protesta dell’Arci è rivolta espressamente contro alcuni atti dell’amministrazione comunale, considerato che all’inizio del mese la Polizia Locale, che riceve gli input direttamente dal vicesindaco con delega alla sicurezza, ha chiuso l’ennesimo circolo Arci, La Casa 139.
Insomma, siamo di fronte a un divieto che nulla c’entra con l’ordine pubblico, ma molto invece con la politica. E, come se non bastasse, ieri pomeriggio è arrivato pure un lancio di agenzia dell’Ansa che ha annunciato quello che tutti intuivano: “a Piazza della Scala non si può più manifestare: a quanto si è appreso la questura, la prefettura e l’amministrazione avrebbero stretto un’intesa per evitare assembramenti nella famosa piazza di fronte all’amministrazione comunale”.
L’Ansa non ha citato la fonte, ma si sa, quell’agenzia difficilmente lancia un sasso se prima non ha fatto le sue verifiche. Ma a questo punto c’era un problema, visto che l’ancién regime non c’è più e vietare ai cittadini una piazza pubblica per non infastidire Moratti e De Corato è palesemente illegale e incostituzionale. E così, passate alcune ore, è arrivato il comunicato stampa della Questura che diceva che non c’è alcun divieto di manifestare in piazza della Scala, che “non esiste alcun accordo preventivo tra le istituzioni citate” e che il Questore valuta caso per caso “in relazione ad eventuali, possibili problematiche che possano influire, in generale, sull’ordine e sulla sicurezza pubblica”.
Tutto bene, quindi? Per niente, visto che gli altri protagonisti della vicenda sono rimasti in assordante silenzio. Neanche mezza smentita, ovviamente, da De Corato e Moratti, ma soprattutto non ha smentito il Prefetto, che è pur sempre la massima autorità sul territorio in materia di ordine pubblico. Inoltre, rimane la questione dell’iniziativa dell’Arci in programma per sabato prossimo, per la quale piazza della Scala risulta tuttora off-limits.
Insomma, azzardiamo un’ipotesi. L’accordo l’hanno fatto davvero, soprattutto tra l’amministrazione comunale e il Prefetto Lombardi, il quale si è sempre contraddistinto per la sua sensibilità verso le sollecitazioni politiche provenienti dal centrodestra, tant’è vero che aveva persino ricevuto nel suo ufficio Marysthell Polanco, una delle papi-girls bisognosa di un aiutino. La Questura, da parte sua, non fosse altro perché vi era consapevolezza dell’illegalità di accordi del genere, ha cercato di prendere le distanze una volta che la cosa era finita sulla pubblica piazza.
Tuttavia, a parte i comunicati stampa, tutto è rimasto esattamente come prima, a partire dal divieto per l’Arci di poter manifestare davanti al Comune. Ecco perché riteniamo che debba essere fatta chiarezza in tempi stretti. Cioè, il Questore ritiene davvero che l’Arci sia un problema per l’ordine e la sicurezza pubblica? Se non lo pensa, allora deve revocare immediatamente ogni divieto.
Comunque sia, noi pensiamo che divieti di questa natura siano estremamente preoccupanti ed estranei alla legalità costituzionale e che sia, pertanto, un dovere civico non accettarli e non legittimarli e, se necessario, disobbedire ad essi.
Sabato 12 marzo sarà un altro giorno di mobilitazioni a Milano. E come già avvenuto altri sabati precedenti, le iniziative, sebbene non siano in contrapposizione tra di loro, si svolgono in contemporanea e in luoghi diversi della città. Insomma, siamo di fronte a una perfetta metafora della situazione generale, fatta da tante persone che si muovono, che esprimono opposizione e voglia di cambiamento, ma senza un centro di gravità e una meta condivisi.
Comunque sia, guardiamo al bicchiere mezzo pieno e, quindi, elenco brevemente le iniziative in campo (scusandomi per eventuali dimenticanze). Poi, fermo restando che a casa non si rimane, pioggia o non pioggia, scegliete voi dove andare.
Anzitutto c’è l’appuntamento più conosciuto e pubblicizzato, poiché ha carattere nazionale e il suo epicentro si trova a Roma. Si tratta della mobilitazione A difesa della Costituzione, che a Milano si svolgerà in largo Cairoli, dove verrà allestito un palco, dalle ore 15.00 alle 19.00. Per info: www.adifesadellacostituzione.it
Strada facendo, anche grazie alle edificanti esternazioni sulla scuola pubblica da parte di Berlusconi, alla parola d’ordine della difesa della Costituzione si è aggiunta con forza anche quella della difesa della scuola pubblica, provocando peraltro il manifestarsi di qualche contraddizione.
Infatti, come già quella del 13 febbraio scorso, anche la piazza del 12 marzo si caratterizza per essere molto ampia e così si prevede, almeno a Roma, anche la presenza di esponenti finiani. Orbene, è risaputo che i deputati e i senatori di Fli hanno votato a favore dei tagli alla scuola pubblica e della riforma Gelmini. Contraddizioni delle larghe intese in chiave antiberlusconiana, si dirà, ma intanto ha fatto sì che a Roma la maggioranza del movimento degli studenti universitari si è data appuntamento in un piazza diversa (e, per quello che vale, sono d’accordo con loro). Per info: www.ateneinrivolta.org - www.uniriot.org - www.unionedeglistudenti.net/sito
A Milano, divisioni spaziali di questo tipo non si sono verificate, ma il problema politico ovviamente rimane e anche le ripercussioni. Comunque, in largo Cairoli ci sarà Rete Scuole, che garantirà parole chiare in tema di scuola pubblica. Per info: www.retescuole.net
Alle ore 14.30, in piazza Duca d’Aosta (stazione Centrale), c’è invece l’appuntamento per il Samedi Gras – il carnevale antirazzista di Milano, alla sua seconda edizione, dopo l’esperienza positiva dell’anno scorso. Ci sarà una parata in maschera, con carri allegorici e giochi per bambini di ogni età e cultura, ma soprattutto è un’occasione per ricordarci che milanesi non si nasce ma si diventa e per mandare un abbraccio a chi in Tunisia, Egitto, Libia ecc. è insorto per la libertà. Per info: www.milanomovida.tk
Alle ore 15.00, presso il circolo LO-FI, in via Pietro e Giuseppe Pestagalli 27, c’è poi un’assemblea, organizzata dall’Arci Milano, per iniziare a rispondere alla politica di chiusura degli spazi di socialità dell’amministrazione milanese, che una settimana fa ha provocato la sua ultima vittima in ordine di tempo: il circolo La Casa 139. Vi segnalo questa iniziativa non tanto perché ci sia bisogno di una presenza di massa, ma soprattutto perché iniziate a segnarvi sull’agenda la mobilitazione di piazza che quell’assemblea è chiamata a preparare e che si terrà sabato prossimo. E nel frattempo, firmate anche l’appello Liberiamo la musica! Per info: www.arcimilano.it
Infine, visto che ci siamo e che il 25 aprile si avvicina, vi segnalo anche la tre giorni di iniziative di Partigiani in Ogni Quartiere, che inizia oggi venerdì e si conclude domenica 13 marzo. Per info: http://poq.noblogs.org
Buon week end di lotta e speranza!
Luciano Muhlbauer
Ce la possiamo giocare! Dopo 18 anni di governo ininterrotto della città, per prima volta la destra mostra segni di preoccupazione e, sondaggio dopo sondaggio, arriva la conferma che Giuliano Pisapia è in partita e che lady Letizia non riesce a prendere il volo, nonostante i tanti milioni di euro gettati nella campagna elettorale.
Certo, la Moratti e la sua coalizione berlusconian-postfascista-leghista sono ancora avanti, ma allo stato la prospettiva più probabile è che si vada a quel ballottaggio, che la destra teme come la peste.
Tutto bene quindi? Ma neanche per sogno, perché non basta stare alle calcagna dell’avversario, bisogna invece superarlo, e poi, considerato lo schifo dilagante, anche l’astensionismo e il voto di protesta sono dati in crescita. Anzi, si ha nettamente l’impressione che a destra stiano lavorando proprio per far aumentare l’astensionismo, cioè per allontanare i milanesi e le milanesi dalle urne per mezzo del ritornello del tutti colpevoli, quindi nessuno colpevole, che finisce poi per assolvere esattamente chi da un ventennio fa il bello (poco) e il cattivo (tanto) tempo in città.
Ce la possiamo giocare, ma per vincere e portare la primavera a Milano occorre che tra due mesi quelli e quelle che non ne possono più di Moratti, De Corato e leghisti rampanti partecipino, che vadano a votare e che non si facciano spingere nell’astensionismo.
Di tutto questo ero convinto da tempo, ma ora lo sono sempre di più. Anche per questo avevo già dichiarato, quando avevo motivato la mia decisione di non candidarmi a consigliere comunale, che avrei fatto tutto il possibile per sostenere l’elezione di Giuliano Pisapia.
Ieri Giuliano mi ha scritto, proponendomi formalmente di collaborare con lui e la sua campagna elettorale, in particolare per quanto riguarda le relazioni con i movimenti e l’associazionismo, cioè con quella ampia parte di Milano che questa amministrazione, in primis il suo Vicesindaco, considera un nemico da eliminare manu militari, come ha dimostrato, peraltro, ancora una volta nei giorni scorsi con la chiusura del circolo Arci La Casa 139.
Ecco la lettera di Pisapia:
Caro Luciano,
come ti ho già detto a voce, ho molto apprezzato e mi ha fatto particolarmente piacere, la tua decisione di continuare a impegnarti per la mia elezione a sindaco, dopo la tua decisione di non candidarti alle prossime elezioni comunali.
Considero la tua figura e il tuo impegno a Milano decisivi per battere il centrodestra e ridare alla nostra città una dimensione aperta, partecipativa, democratica.
Ti propongo quindi di collaborare con me e di dare il tuo contributo, nel quadro della mia campagna elettorale, nei rapporti e nelle iniziative con quelle realtà e quelle esperienze di movimenti sociali e associativi che rappresentano un patrimonio importante di partecipazione, proposte e innovazioni di questa città.
Un abbraccio
Giuliano
Ebbene, attraverso queste righe rispondo dunque a Giuliano che accetto con piacere e convinzione la sua proposta. Ce la possiamo giocare!
Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 10/03/2011, in Lavoro, linkato 870 volte)
“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, su MilanoX n° xxv del 10 marzo 2011, la free press eretica in distribuzione a Milano
Fa tristezza e rabbia vedere decine di lavoratori e lavoratrici trattati come un fastidio e spintonati da guardie private e poliziotti. È successo domenica scorsa agli ingressi della Fiera di Rho-Pero. Dentro c’era un’esposizione di calzature, pelletteria e… pellicce, fuori sono rimasti i 62 licenziati dall’Innova Service, una società di servizi, e chi sosteneva la loro protesta, a partire dal centro sociale Fornace.
62 uomini e donne, la cui sorte non sembra interessare più di tanto quanti avrebbero invece il compito istituzionale di interessarsene. Un disinteresse, beninteso, che non può essere attribuito all’ignoranza, perché il caso è noto.
Anzi, il Prefetto Lombardi, tanto per fare un esempio, un anno fa aveva persino incontrato i lavoratori. Era finita con la promessa di grandi impegni, ma dopo un inizio promettente, all’improvviso era calato il silenzio. Si dirà che il Prefetto è molto impegnato, ma poi si viene a sapere che aveva trovato il tempo per ricevere nel suo ufficio una delle ragazze del bunga bunga bisognosa di un aiutino o per stendere un ricorso a se stesso, pur di non dover pagare una multa di poco conto.
Ma, in fondo, per conoscere il caso non c’era bisogno di incontri specifici, visto che i capi dell’Innova Service sono vecchie conoscenze della giustizia. E poi, l’azienda è attiva sull’area dell’ex-Alfa Romeo, oggetto delle attenzioni molto particolari del Presidente della Regione, il capo ciellino Roberto Formigoni.
Insomma, tutti sanno tutto, compreso il fatto che i licenziamenti non trovano alcuna giustificazione nella crisi. O per dirla con lo Slai Cobas, il loro sindacato, all’ex Alfa “ci vorrà sempre qualcuno che sta alle portinerie, fa manutenzione e pulisce i cessi”.
Appunto, ci vorrà sempre qualcuno, ma evidentemente non quei lavoratori ex-operai cassintegrati dell’Alfa, che hanno il brutto vizio di non stare zitti quando ci sono delle cose che non vanno. Specie ora, con il “Piano Alfa” nuovo di zecca in arrivo, dove la reindustrializzazione è desaparecida, ma in cambio c’è un mega centro commerciale e tanta speculazione.
Insomma, quel silenzio delle istituzioni è poco innocente e questo fa ancora più rabbia. E quindi, se vi capita, sostenete la lotta dei lavoratori dell’Innova.
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Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale online Paneacqua il 3 marzo 2011
Torna lo spettro dell’intervento umanitario con l’elmetto. Lo evocano quelle potenze occidentali che fino a ieri hanno sostenuto, protetto e coccolato i dittatori e i monarchi assoluti nel Maghreb e nel Medio Oriente. E laddove ciò è ancora possibile, si continua a farlo.
Un sostegno motivato dal business, dalla politica di contrasto dei flussi migratori e dalla lotta al terrorismo di matrice islamica. Del primo si parla relativamente poco, ma in cambio pesa parecchio. Nel nome degli altri due si giustifica un po’ di tutto, anche l’ingiustificabile e l’infame.
Affari a parte, la tesi di fondo suona più o meno così: per poter difendere la nostra democrazia, la nostra libertà e i nostri diritti umani bisogna sostenere regimi che negano la democrazia, la libertà e i diritti umani, poiché gli arabi e gli islamici sono geneticamente incapaci di comprendere questi concetti.
È la solita vecchia storia, si dirà. Certo che è così, ma c’è di più questa volta, perché il colonialismo e l’imperialismo storici avevano pur sempre una visione, mentre l’Occidente di oggi, in particolare l’Europa, sembra non vedere più oltre il proprio naso.
Com’è possibile che a Washington e nelle capitali europee nessun governo abbia previsto o annusato quanto stava per avvenire? Che persino, a rivolta già iniziata, il Ministro degli esteri di un’importante ex potenza coloniale del Nord Africa, cioè la Francia, abbia prima trascorso le sue vacanze in Tunisia, ospite degli uomini di Ben Ali, e poi addirittura offerto la cooperazione della Francia per reprimere le manifestazioni di piazza?
Insomma, le classi dirigenti degli Usa e dell’Europa sono stati colti di sorpresa. E quello che è peggio, anche chi dovrebbe e vorrebbe incarnare delle alternative, cioè la sinistra, è stato colto di sorpresa.
Da tutto questo deriva un giudizio impietoso sull’Europa e le molte tesi sul declino del vecchio continente ne escono senz’altro rafforzate. Ma non è di questo che vogliamo parlare in questa sede. Qui ci interessa ragionare su di noi, sulla sinistra politica e sui movimenti, su quello che oggi dovremmo fare di fronte agli avvenimenti.
Anzitutto, c’è una cosa che non dovremmo fare, cioè aggrapparci alle voglie interventiste di Usa e Nato per nobilitare l’ignobile, per riesumare la stantia e deleteria tesi del nemico del mio nemico è mio amico. Ghedaffi non è un campione dell’antimperialismo e dell’autodeterminazione dei popoli. Chissà, forse un tempo lontano ci assomigliava, ma oggi non è che un tiranno, abbagliato dal suo potere e dalle sue ricchezze e persino disponibile a fare da aguzzino di migranti e profughi per conto di Berlusconi e della Lega.
No, non si può essere ambigui, tra Ghedaffi e chi si ribella al suo regime bisogna stare con i secondi. A Tripoli e a Bengasi, esattamente come a Tunisi, il Cairo, Algeri, Sanaa o Teheran, noi stiamo con chi insorge.
I potenti del mondo non solo non hanno previsto la rivolta, ma nemmeno i suoi contorni e i suoi protagonisti. Certo, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio: la Libia non è la Tunisia o l’Egitto, l’Algeria è cosa diversa dallo Yemen, per non parlare dei paesi del Golfo o dell’Iran, che è un discorso a parte. Tuttavia, bisogna mettersi le fette di salame sugli occhi per non vedere che c’è qualcosa che accomuna i rivoltosi al di là dei confini e delle specificità. I protagonisti sono soprattutto giovani e scolarizzati, usano internet, ma non trovano un posto nel presente e non vedono un futuro. Sono schiacciati dagli effetti della crisi globale e da regimi corrotti e sclerotizzati. Non sono fondamentalisti religiosi, non chiedono la sharia, bensì democrazia e libertà di parola, lavoro e un futuro.
Quei giovani, in fondo, assomigliano molto di più ai loro coetanei europei che nell’autunno scorso inondarono le strade di Roma e Londra, che non ai miliziani della jihad, che i propagandisti nostrani dello scontro di civiltà vorrebbero vendere come l’unica espressione politica di cui sono capaci le società a prevalenza islamica.
Beninteso, non sappiamo se quelle rivolte si tramuteranno in rivoluzioni compiute, in un “1848 arabo”, come sostiene Tariq Ali. Né sappiamo se sia giustificato l’ottimismo sfrenato di Hardt e Negri, che intravedono per il mondo arabo un ruolo da laboratorio politico paragonabile a quello svolto dall’America Latina nel decennio scorso. E non dobbiamo nemmeno sottovalutare la potenza delle forze normalizzatrici, peraltro già all’opera, come gli eserciti, le strutture politiche e sociali conservatrici e le stesse ingerenze occidentali.
Eppure, saremmo dei folli a non capire che nulla sarà più come prima e che si sta affacciando una nuova generazione non riducibile alla falsa alternativa tra dittatura filo-occidentale ed islamismo militante. D’altronde, andrebbe sempre ricordato che tra le prime vittime del predominio di queste false alternative, di questa vera e proprio tenaglia troviamo anche le aspirazioni e i diritti del popolo palestinese.
La rivolta dei giovani maghrebini e arabi è una boccata d’ossigeno e una possibilità. E quando si presenta una possibilità del genere, quando in campo ci sono dei movimenti reali, allora non bisogna ritirarsi nelle sale riunioni a disquisire su quanto sono potenti i nemici e su quanto sono fragili, disorganizzate e incerte quelle insorgenze, ma occorre uscire di casa ed agire.
Anzitutto, schierandosi senza esitazione con le rivolte, con i ragazzi e le ragazze che si battono per il loro futuro. In secondo luogo, costruendo dialogo, solidarietà e cooperazione tra la sinistra e i movimenti nostri e quelli maghrebini e arabi. In terzo luogo, opponendosi a tutti i tentativi di normalizzare, ingabbiare e invertire i processi in atto, a partire da ogni ipotesi di intervento militare Usa o Nato. Infine, promuovendo l’accoglienza dei profughi e contrastando la criminalizzazione berlusconiano-leghista dei migranti maghrebini.
L’esito del nostro schieramento è garantito? No, tutt’altro. Ma è l’unica cosa giusta da fare per una sinistra che vuole guardare al futuro e, così facendo, magari ci ricordiamo anche come si fa a cambiare le cose a casa nostra.
di lucmu (del 03/03/2011, in Lavoro, linkato 998 volte)
“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, su MilanoX n° xxiv del 3 marzo 2011, la free press eretica in distribuzione a Milano.
Tutto il mondo è paese, specie in tempi di globalizzazione. E così, invece di parlare di Milano, Torino o Pomigliano, questa volta parliamo degli States, del Wisconsin per la precisione. Tanto, come vedrete, fa lo stesso.
Ebbene, succede che da due settimane Madison e le altre città del Wisconsin siano attraversate da un’ondata di scioperi e manifestazioni senza precedenti da parte dei dipendenti pubblici, dagli impiegati fino agli insegnanti. I lavoratori hanno persino occupato il campidoglio, mentre i deputati dei democrats sono scappati nel vicino Illinois per far mancare il numero legale nel parlamento locale e non farsi intercettare dalla polizia di Stato sguinzagliata dal Governatore.
La ragione di questo scontro sta nel fatto che il neo-eletto Governatore Scott Walker, i cui grandi sponsor sono gli straricchi fratelli Koch, tra i principali finanziatori dell’estrema destra repubblicana dei Tea-Party, cerca di far approvare una legge che sopprime senza troppi complimenti la contrattazione collettiva nel pubblico impiego, aumentando en passant brutalmente i contributi previdenziali.
Ma quanto sta avvenendo nel Wisconsin non è che la punta dell’iceberg, poiché disegni di legge simili sono sul tavolo in diversi altri Stati, in particolare dopo l’avanzata repubblicana nelle elezioni di metà mandato dell’anno scorso. Il denominatore comune è quello dell’assalto al salario, ai diritti e, soprattutto, alla contrattazione collettiva nel pubblico impiego, ma non mancano nemmeno le iniziative che puntano a rendere ancora più difficoltosa la sindacalizzazione nel settore privato, come nel caso dell’Indiana.
Per il movimento sindacale statunitense siamo di fronte a una “final offensive”, cioè al tentativo di liquidare definitivamente un sindacato già indebolito da anni di liberismo sfrenato.
Ebbene, vi ricordate i tempi di Pomigliano, quando ci raccontavano la frottola dell’eccezione? Dopo sono arrivate le favole delle deroghe e, infine, la cruda realtà del contratto aziendale in sostituzione di quello nazionale. Ma attenzione, non è finita qui, perché l’obiettivo finale è quello del contratto individuale: ogni lavoratore da solo di fronte al padrone. Insomma, Pomigliano è più vicina a Madison di quanto non si creda e forse dovremmo trarne le dovute conseguenze.
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di lucmu (del 24/02/2011, in Lavoro, linkato 1441 volte)
Tanto tuonò che… non successe nulla. Infatti, dopo i roboanti annunci del vicepresidente ed assessore regionale, il leghista Andrea Gibelli, e del presidente del Consiglio regionale, il leghista Davide Boni, che dicevano di voler costringere i circa 3mila dipendenti regionali a presentarsi al lavoro e a tenere aperti gli uffici il 17 marzo prossimo, giorno festivo causa 150° anniversario dell’unità d’Italia, il tutto finirà, forse, con l’apertura al pubblico dell’aula consiliare e con la conseguente presenza al lavoro di qualche pugno di lavoratori, retribuiti per l’occasione con la maggiorazione da straordinario festivo.
In realtà, era ovvio e giusto che finisse così, perché ogni altra soluzione sarebbe stata non solo illegale, ma anche un autentico furto ai danni dei lavoratori e delle lavoratrici, tirati in ballo, loro malgrado, sin dalla prime avvisaglie di questa stucchevole polemica sul 17 marzo festivo.
Ma riepiloghiamo velocemente i contorni di questa assurda vicenda, tralasciando in questa sede ogni considerazione sull’opportunità o meno di scatenare una gazzarra secessionista nel 150° anniversario dell’unità d’Italia. E sorvoliamo pure sul piccolo particolare che è la Lega a tenere in vita quel Governo Berlusconi che ha deciso in autonomia di dichiarare il 17 marzo giornata festiva.
Orbene, nonostante le quisquilie di cui sopra e il fatto che a nessuno sia passato per la testa di chiedere un parere ai lavoratori, questi ultimi si sono ritrovati da subito in mezzo alla bufera politico-mediatica, facendo la figura di quelli che in piena crisi vogliono fare il ponte invece che lavorare.
A dare il via era stata l’immancabile presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che di fronte all’annuncio berlusconiano di proclamare festa il 17 marzo aveva gridato allo scandalo, sottolineando che in piena crisi non era possibile togliere giorni alla produzione (perché si sa che quei fannulloni di lavoratori avrebbero poi pure saltato il venerdì 18 marzo) e gravare le imprese con nuovi costi.
Una Marcegaglia in pieno stile Marchionne, insomma, improvvisamente dimentica dei tanti giorni di inattività a cui sono costretti moltitudini di lavoratori e lavoratrici a causa della disoccupazione giovanile e della cassaintegrazione oppure del fatto che quest’anno ben due festività, cioè il 25 aprile e il 1° Maggio, coincidono con dei giorni festivi e quindi sono “guadagnati” per la produzione.
Infine, va aggiunto che lo stesso decreto del Governo Berlusconi (vedi allegato) non regala un bel niente ai lavoratori, poiché prevede sì l’introduzione, limitatamente all’anno 2011, del giorno festivo del 17 marzo, ma eliminando contestualmente la “festività soppressa” del 4 novembre. In altre parole, nessun onere finanziario per gli imprenditori privati e la pubblica amministrazione e nessun guadagno per i lavoratori dipendenti.
Ciononostante, la Marcegaglia aveva da subito incassato l’appoggio del capo della Cisl, Bonanni, che nemmeno in questa occasione si era ricordato che sulla carta risulta ancora essere un sindacalista. Ma soprattutto ha suonato la carica la Lega, in primis Calderoli, alla quale non era sembrato vero di poter spostare l’attenzione dallo stato pietoso in cui versa il suo Governo e riproporre l’evergreen della secessione.
E con l’offensiva leghista sono finiti nel mirino in particolare i lavoratori pubblici, chiamati a festeggiare lavorando in un giorno festivo. Nel Consiglio regionale lombardo il presidente Boni, che da tempo pratica un’interpretazione tutta sua del ruolo di presidente dell’assemblea legislativa, grazie anche all’assenza di contrasto da parte di chi dovrebbe fare opposizione, ha fatto partire persino delle strampalate circolari interne con le quali intimava ai dipendenti di recarsi al lavoro il 17 marzo.
Alla fine, comunque, ha dovuto fare una poco gloriosa retromarcia, smentito pubblicamente da Formigoni e, soprattutto, dalla lettera del decreto-legge del Governo di cui la Lega fa parte.
Insomma, il tutto era iniziato come un triste teatrino ad uso e consumo di una Lega che sta al governo da una vita, ma fa finta di stare su Marte ed è finito come meritava di finire, cioè con una farsa. Tuttavia, chissà perché non riusciamo a ridere e perché abbiamo la sensazione che ancora una volta il prezzo della farsa, in termini di immagine, non la pagheranno i responsabili, ma quelli che l’hanno involontariamente subita, cioè i lavoratori.
Quindi, almeno proviamo a raccontare e diffondere la storia vera che si cela dietro la farsa, perché una volta tanto, finalmente, inizino a pagare i responsabili.
Luciano Muhlbauer
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il decreto-legge del Governo sulla festività del 17 marzo 2011
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