Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Articolo di Luciano Muhlbauer pubblicato su il Manifesto del 18 ottobre 2012
 
A Milano c’è un nuovo spazio sociale, il Lambretta. L’hanno chiamato così perché si trova nel quartiere Lambrate, dove sorgevano gli stabilimenti dell’Innocenti, produttore dell’omonimo scooter, ma di cui oggi è rimasta soltanto l’Innse, la fabbrica riportata in vita da un’esemplare lotta operaia. Probabilmente nessuno dei ragazzi, in larga parte studenti delle scuole della zona, che ad aprile occuparono gli immobili avrebbe mai pensato di diventare un caso politico, anzi, una cartina di tornasole del desolante livello di degrado morale raggiunto dal sistema di potere formigoniano.
D’altronde, prescindendo per un attimo da una certa politica, è davvero difficile vederci un caso. Quelle “villette”, infatti, erano abbandonate a se stesse e diventate rifugio di spacciatori, nonostante si trovassero soltanto a poche centinaia di metri dalla sede della proprietà, cioè l’Aler, l’ente regionale che gestisce il patrimonio edilizio residenziale. E non vi erano, né vi sono progetti di riqualificazione alle porte, visto che l’operazione di “valorizzazione”, cioè di vendita, di queste ex case popolari si era arenata, causa mancanza di offerte. E quindi, non sorprende neanche che i residenti della zona guardino al Lambretta con simpatia, piuttosto che con preoccupazione.
Ma purtroppo da una certa politica non possiamo prescindere e così, non appena i ragazzi e le ragazze avevano occupato, ripulito gli immobili e allontanato lo spaccio, Aler e Regione si sono svegliati e hanno iniziato ad inondare Prefetto e Questore di richieste di sgombero. In prima fila ad invocare il “ripristino della legalità” c’era l’Assessore regionale alla Casa, Domenico Zambetti. Sì, proprio lui, quello del voto di scambio con la ‘ndrangheta, dell’assunzione all’Aler della figlia del boss e dell’assegnazione di case popolari su indicazione delle cosche.
Ora Zambetti non c’è più, ma il Presidente dell’Aler Milano, Loris Zaffra, continua imperterrito sulla sua strada, sebbene molte delle sue affermazioni, come quella relativa ad imminenti lavori di ristrutturazione, si siano rilevate palesemente false. L’Aler, peraltro, dovrebbe spiegare tante cose, specie dopo la vicenda Zambetti e l’inquietante permeabilità mostrata dall’ente regionale.
E poi, non è nemmeno la prima volta che si addensano nubi sulla gestione dell’Aler. Ci sarebbero certe consulenze d’oro, come quella data ad Ugliola, l’architetto indagato per corruzione e accusatore dell’ex Presidente del Consiglio regionale, il leghista Davide Boni, o le inchieste sull’Aler che coinvolgono gli ex An Romano La Russa e Marco Osnato oppure potremmo citare la vicenda dell’assegnazione di sedi a gruppi neonazisti.
Ma tutte queste cose non sembrano turbare più di tanto il sonno di Zaffra. Del resto, lui ne ha viste di tutti i colori, essendo un politico che aveva vissuto Tangentopoli da protagonista (nel senso che finì in manette, reo confesso, per tangenti), e comunque deve rispondere a chi lo ha voluto in quel posto, cioè agli uomini di Formigoni.
E rieccoci alla politica, alla cattiva politica beninteso, quella che dorme, o fa finta di dormire, se non è addirittura complice, quando corruzione e ‘ndrangheta dilagano, ma che all’improvviso si mette a sbraitare “legalità!” e “sgombero!” contro un gruppo di giovani e studenti che costruiscono attività e relazioni laddove prima c’era solo vuoto e degrado.
O forse è proprio questo il problema, cioè il fatto che esperienze come il Lambretta risultino insopportabili perché stanno dimostrando che non bisogna per forza scegliere tra la rassegnazione e la complicità, ma che c’è anche un’altra opzione, quella di rendersi autonomamente protagonisti, di farsi cittadinanza attiva, di costruire alternative e voglia di futuro dal basso. Già, esattamente alcune di quelle cose di cui la Lombardia ha urgente bisogno per uscire dalle macerie politiche e morali che 17 anni di formigonismo ci hanno consegnato.
 
 
Caricati e malmenati dalla polizia su mandato della Regione, perché il Palazzo della Regione Lombardia, pur essendo un edificio e uno spazio pubblico, è stato dichiarato off limits per chiunque volesse criticare Roberto Formigoni. Questo è quanto successo incredibilmente oggi a Milano a centinaia di studenti medi.
Infatti, uno dei due cortei studenteschi che stamattina hanno attraversato la città in occasione della giornata nazionale di mobilitazione a difesa della scuola pubblica, cioè quello proveniente da P.ta Venezia, al quale si era poi aggiunta una parte dei manifestanti di Largo Cairoli, è stato fermato da un ingente schieramento di polizia e carabinieri in assetto antisommossa in via Melchiorre Gioia, angolo via Sassetti.
Quando oltre 500 studenti hanno tentato di proseguire lo stesso, in direzione via Sassetti, anche perché intendevano congiungersi con i lavoratori e le lavoratrici di Jabil e Nokia Siemens Networks in presidio davanti alla Regione, è scattata una violenta carica e diversi ragazzi e ragazze sono rimasti feriti e contusi.
I motivi per cui gli studenti volevano andare davanti alla Regione erano trasparenti e ampiamente pubblicizzati, nonché comunicati da tempo alle forze dell’ordine. Li ricordiamo soltanto per la cronaca, perché in democrazia non ci sarebbe bisogno, essendoci libertà di parola e di manifestazione: primo, la presidenza Formigoni si è sempre contraddistinta per i suoi attacchi alla scuola pubblica e per il finanziamento pubblico a quella privata e, secondo, gli studenti intendevano denunciare le forti pressioni del governo regionale per ottenere dalla Questura lo sgombero del “Lambretta”, cioè le villette Aler abbandonate e rifugio di spacciatori, che a primavera furono occupate e ripulite da un gruppo di studenti medi della zona Lambrate.
Ebbene, tutti sappiamo che il Presidente Formigoni non ama la critica e che si rifiuta persino di farsi fare delle domande dai magistrati che lo indagano per corruzione, ma che a Milano si arrivi addirittura al punto di far manganellare gli studenti medi perché Roberto Formigoni non gradisce vederli sotto i suoi uffici, cioè in quegli stessi spazi pubblici invece concessi allegramente a qualsiasi reality show che lo desideri, ci sembra francamente pazzesco, degradante e al di là di ogni regola democratica.
Esprimiamo tutta la nostra solidarietà agli studenti caricati e riteniamo necessario che a Milano venga ristabilito il diritto di manifestazione davanti alle sedi regionali, anche se ciò dispiace a Roberto Formigoni.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
Il centrodestra regionale preferisce il degrado e lo spaccio alle attività sociali e culturali di un gruppo di giovani? Una domanda apparentemente assurda, visto che parliamo di amministratori pubblici, ma che purtroppo si fa molto concreta di fronte alle strane e ripetute pressioni su Prefetto e Questore perché procedano con urgenza allo sgombero del “Lambretta” di piazza Ferravilla, a Milano.
Già, perché a giudicare dalle insistenze del Presidente dell’Aler Milano, Loris Zaffra, e dell’Assessore regionale alla Casa, Domenico Zambetti, sembra quasi che le “villette” occupate dai giovani nell’aprile scorso rappresentino la quintessenza del problema casa a Milano. Invece, queste erano vuote prima e neanche oggi esistono progetti concreti di alcun tipo.
Ebbene sì, perché contrariamente a quello che sostengono gli esponenti regionali, non risulta dagli atti pubblici che gli immobili in questione siano stati venduti o che ci siano lavori di riqualificazione alle porte.
Dalla documentazione di Infrastrutture Lombarde S.p.A., la società a controllo regionale incaricata della “valorizzazione” degli immobili Aler del “Quartiere De Sarto”, si evince infatti quanto segue: 1) quasi tutti gli immobili (i civici: v. Andrea del Sarto 26/28 e 30/32, via Tiepolo 53/55, p.zza Ferravilla 11/13 e 15, v. Appollodoro 1, 3/5, 4 e 6) sono stati messi in vendita alla fine dell’anno scorso e l’asta pubblica, dopo vari rinvii, si è tenuta il 22 maggio scorso, senza esito positivo conosciuto; 2) un’altra parte degli immobili (i civici: v. del Sarto 20 e via Tiepolo 49-51) è oggetto di lavori di ristrutturazione,  in vista di Expo 2015, ed il relativo appalto è stato aggiudicato il 16 luglio scorso.
In altre parole, le villette attualmente occupate dai ragazzi, che si trovano in p.zza Ferravilla 11, non sono state vendute ed i lavori di riqualificazione riguardano altri immobili. Cioè, non vi è urgenza, né pregiudizio in relazione ad eventuali progetti di valorizzazione o riqualificazione. E allora, perché tutto questo accanimento, visto peraltro che i ragazzi del  Lambretta rappresentano nemmeno un problema di ordine pubblico?
Probabilmente la risposta è da cercarsi nel clima politico, in un centrodestra senza idee per Milano e in gravi difficoltà politiche e giudiziarie in Regione. Troppo forte pare dunque essere la tentazione di buttarla in caciara in casa dell’avversario Pisapia e, en passant, di far dimenticare che l’Aler, la cui sede milanese si trova a soli 200 metri, non si è nemmeno accorta che le villette abbandonate erano diventate un piccolo fortino dello spaccio.
D’accordo, occupare è illegale, ma non è forse preferibile, da ogni punto di vista, che nelle villette ci siano i ragazzi del Lambretta con le loro attività, piuttosto che lo spaccio e l’eroina? E non sarebbe meglio che l’assessore regionale e il presidente dell’Aler aprissero un confronto con il territorio, magari a partire dal Consiglio di Zona, per spiegare ai residenti cosa intendono fare con le villette, piuttosto che tirare per la giacchetta la Questura per fini poco trasparenti?
Da parte nostra auspichiamo che Questore e Prefetto sappiano resistere alle infondate ed improprie pressioni regionali ed esprimiamo la nostra solidarietà ai ragazzi e alle ragazze del Lambretta.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
Venerdì 14 settembre ci sono nel milanese due appuntamenti importanti, ai quali vi invito a partecipare. Il primo, è il presidio per ricordare "Abba" Abdoul Guibre, ammazzato a sprangate quattro anni fa a causa del colore della sua pelle. Il secondo, è l’incontro pubblico organizzato dal presidio operaio della Jabil, a sostegno della loro lotta. Si tratta di due iniziative apparentemente diverse, che di per sé forse tendono a rivolgersi a persone diverse, ma che in fondo parlano dello stesso ordine di problemi, cioè del paese che c’è e del paese che, invece, vorremmo, dove il razzismo la xenofobia siano banditi e dove il lavoro, i lavoratori e i diritti vengano prima dei profitti, dei bilanci e dei privilegi.
 
Ebbene, eccovi le coordinate delle iniziative:
 
Alle ore 19.00, a Milano, in via Zuretti (ang. v. Zuccoli), il luogo dove Abba, allora 19enne, venne assassinato il 14 settembre 2008, ci sarà un presidio. Dicevano che fu ucciso perché aveva rubato dei biscotti, ma in realtà, a spiegare la micidiale violenza che rubò la vita ad Abba non erano tanto i biscotti o qualche “futile motivo”, concetto un po’ troppo comodo, bensì il fatto che il giovane di Cernusco sul Naviglio avesse la pelle nera. E in quell’epoca, che ora sembra così lontana, anche se sono passati soltanto quattro anni, a Milano c’era un brutto clima, consapevolmente e cinicamente fomentato da chi, sedendo ai vertici delle istituzioni locali, indicava sempre e comunque lo straniero, l’immigrato, il clandestino eccetera come causa di ogni male.
Quei tempi ora sembrano lontani, fortunatamente, ma attenzione, la crisi picchia e la destra è sempre in agguato (Grecia e “Alba Dorata” docet) e se dimentichiamo di ricordare, se smettiamo di costruire anticorpi, allora quei tempi possano anche tornare, forse peggio di prima… E poi, ora le seconde e terze generazioni sono cresciute eppure, ottenere la cittadinanza del paese dove sono sempre state, cioè il loro paese, sembra ancora un privilegio e non un diritto o, semplicemente, un atto di buon senso.
Per saperne di più sul presidio, che questo anno comprenderà anche la proiezione di film, e sulle altre iniziative in occasione dell’anniversario dell’omicidio di Abba, visita la pagina Abba Vive. Cittadinanza x tutti, miseria x nessuno.
 
Alle ore 20.30, nel Centro Civico di Cassano d’Adda, in v. Dante 4, inizia l’incontro pubblico “Il lavoro e il presidio Jabil: un’esperienza di lotta in continua evoluzione”. Ci saranno lavoratori e delegati del presidio, rappresentanti dei Comuni della zona, lavoratori di altre realtà e, auspico, molte persone che vogliono portare la solidarietà alla lotta operaia della Jabil di Cassina de’ Pecchi.
L’assemblea sarà un momento di solidarietà, ma anche di conoscenza della situazione dopo il fallito blitz del 27 luglio scorso, quando la proprietà tentò con la forza di asportare materiali e macchinari e, quindi, di smantellare il presidio operaio. Cioè, si tratta di fare il punto della situazione, ma soprattutto di rafforzare ed estendere il sostegno alla lotta, perché ci sono gli impegni del Ministero, che però vanno tradotti in pratica –e questo difficilmente accadrà spontaneamente-, e poi c’è anche la drammatica situazione della Nokia Siemens Networks di Cassina (di cui la Jabil è una cessione di ramo d’azienda), che a luglio aveva annunciato licenziamenti di massa.
Insomma, detto brutalmente, si tratta non tanto di chiacchierare, ma di confrontarsi sul da farsi. E l’incontro di Cassano è una buona occasione per farlo.
 
Ci vediamo venerdì, spero.
 
Luciano Muhlbauer
 
 
di lucmu (del 03/09/2012, in Movimenti, linkato 898 volte)
Intervento di Luciano Muhlbauer pubblicato sul sito di movimento milanese “Milano in Movimento” il 3 settembre 2012
 
Gli anticicloni se ne sono andati e le vacanze sono finite, anche se, segno dei tempi, per sempre più milanesi, giovani e meno giovani, queste non sono mai iniziate. Comunque sia, ora l’autunno è qui e bisogna fare il punto sugli scenari che abbiamo di fronte e sulle cose da fare, cioè sull’agenda d’autunno dei movimenti milanesi.
 
1. Al primo posto c’è senz’altro il lavoro e il reddito. È anzitutto un problema di priorità politica, perché il paradosso del tempo presente, o meglio di molta politica del tempo presente, è che la questione socialmente più dirompente e che decide il presente e il futuro delle persone, si trovi magari al primo posto nelle chiacchiere pubbliche, ma poi finisca in fondo alla lista degli impegni veri.
Ma è anche un problema terribilmente concreto ed immediato dei nostri territori, perché sebbene la situazione qui non sia estrema come quella della Sardegna, che rischia una desertificazione produttiva pressoché totale, essa è però sempre più preoccupante e compromessa: lo scorso luglio la Lombardia ha segnato il record italiano di ricorso alla cassa integrazione, come ennesima testimonianza del processo di deindustrializzazione, e i recentissimi dati di Unioncamere e Ministero del Lavoro, relativi al 2012, segnalano un calo dell’occupazione anche nella provincia di Milano, che colpisce soprattutto i lavoratori precari.
In questo quadro desolante, segnato dal prolungato e persistente assenteismo delle istituzioni, nazionali e regionale, assumono un valore particolare e generale le lotte di resistenze dei lavoratori, come quelle nelle cooperative della grande distribuzione (Basiano, do you remember?) o quella della Jabil (ex Nokia Siemens) di Cassina de’ Pecchi, perché ci ricordano che non tutto è già scritto e che si può anche tentare di cambiare il futuro.
E allora, per essere concreti, dobbiamo mettere quelle lotte, cioè la solidarietà e il sostegno a quelle lotte, tra le cose da fare. Alla Jabil, il 27 luglio scorso, il movimento milanese, nelle sue diverse articolazioni, aveva saputo essere all’altezza della situazione ed aveva portato un contributo decisivo affinché fallissero i piani della proprietà e il presidio operaio potesse continuare. Abbiamo dunque guadagnato tempo prezioso, ma ora si tratterà di dare continuità a quella battaglia.
 
2. In secondo luogo, c’è il tema degli spazi sociali, che in realtà andrebbe chiamato in qualche altro modo, perché temo che questa definizione sia ormai insufficiente a contenere la ricchezza di esperienze e pratiche che intende racchiudere. Già, perché fortunatamente gli ultimi anni hanno visto sul territorio milanese, nella sua accezione più ampia, un importante processo di rinnovamento, dalle potenzialità ancora da esplorare, che anche nel primo semestre del 2012 ha portato all’affacciarsi di nuove esperienze, (Piano Terra, Officina dei Beni Comuni, Macao, Lambretta), di cui alcune caratterizzate da una forte carica innovativa.
Ovviamente, nulla è conquistato per sempre, anzi, i contraccolpi e gli sgomberi sono sempre in agguato e questo vale anche –e forse soprattutto- per le nuove realtà. Macao, dopo un atto di nascita poderoso e travolgente, due sgomberi e un successivo peregrinare per i meandri della città, si è infine accasato all’ex macello di viale Molise 68. Allo stato un atto di forza per sgomberare il “nuovo centro per le arti, la cultura e la ricerca” non pare all’ordine del giorno, anche se è sempre bene non rilassarsi troppo, e la principale sfida autunnale di Macao sarà dunque di natura politica.
Diverso, invece, è il discorso per il Lambretta, che è a forte rischio sgombero. Beninteso, non perché occupi un posto dove ci sono progetti esecutivi che bussano alle porte, anzi prima dell’occupazione c’era solo abbandono e spaccio, ma perché quel posto è dell’Aler Milano, il cui Presidente, Loris Zaffra, e la maggioranza del Consiglio d’amministrazione sono di nomina regionale, cioè rispondono alla maggioranza politica che governa Regione Lombardia. In altre parole, considerato il contesto politico, la tentazione di buttarla comunque in caciara sul territorio amministrato dall’avversario Pisapia sembra irresistibile.
E, infatti, se non fosse stato per lo spirito di apertura e l’intelligente lavoro nel quartiere da parte dei ragazzi e delle ragazze del Lambretta, lo sgombero sarebbe già arrivato a fine luglio, visto che il Presidente Zaffra l’aveva ancora una volta formalmente sollecitato. Quindi, ora si tratta di riprendere urgentemente quel lavoro, intensificarlo e finalizzarlo.
Un discorso più complesso è quello che riguarda Piano Terra, poiché si tratta di uno spazio di proprietà comunale, dove sarebbe prevista la prossima ubicazione di un “acceleratore d’impresa” per le imprese operanti all’interno delle carceri. Insomma, in questo caso, pare decisiva la strada del dialogo.
 
3. Il terzo asse è senz’altro rappresentato dalle grandi opere, che sul nostro territorio significa anzitutto, sebbene non soltanto, nuove autostrade (Pedemontana, BreBeMi, Tem ecc.) con annessi e connessi. Una follia bella e buona, se guardiamo alla questione dal punto di vista dell’interesse generale: il consumo del suolo in Lombardia ha ormai superato il livello di guardia (Monza e Brianza, ad esempio, è la provincia italiana in assoluto più antropizzata), il modello di mobilità è già ora gravemente sbilanciato a favore dell’automobile privata e a sfavore del trasporto pubblico su rotaie ed i costi per le nuove opere autostradali sono abnormi e sempre più insostenibili. Eppure, si insiste, prima di tutto da parte del governo regionale, perché ormai l’insieme degli interessi particolari e privati coinvolti la fa da padrone.
Tuttavia, il dissenso rispetto a queste opere è cresciuto sui territori, a partire da quello contro la Tem (Tangenziale Est Esterna di Milano), che peraltro insieme alla BreBeMi si dovrebbe mangiare un bel pezzo di Parco Sud. Beninteso, si tratta di un’opposizione ancora troppo debole per poter cambiare il corso degli eventi, ma contiene un elemento estremamente prezioso: cioè, la pluralità di soggetti che si mobilitano, che va dai residenti e agricoltori fino alle realtà di movimento, passando per associazioni ambientaliste ed alcuni soggetti politici. Insomma, si può e si deve investire su queste mobilitazioni, avendo sempre ben chiaro che radicalità e cura della pluralità del movimento sono due aspetti inseparabili.
Un primo appuntamento c’è già e sarà bene non mancarlo: domenica 9 settembre, alle ore 15.00, a Casalmaiocco (LO), per un corteo No Tem.
 
Ebbene, pur avendola fatta lunga, questa agenda non esaurisce ovviamente l’autunno. Ci saranno altre esperienze e lotte da fare o con cui rapportarsi, per esempio nella scuola, ed è un pia illusione pensare che fascisti e razzisti non si rifaranno vivi. Poi c’è il contesto politico generale, perché di fatto saremo in clima di campagna elettorale, e il governo Monti, la Bce e compagnia bella non si fermeranno di certo nella loro opera di smantellamento del welfare e dei diritti. Ci sarà il rapporto con l’amministrazione comunale, le luci e le ombre e l’annunciata “fase 2”. Forse ci sarà anche da occuparsi più da vicino della Regione Lombardia, anzi, di sicuro dovremo farlo, perché le mele non cascano da sole, almeno in politica, neanche quelle marce, come Formigoni e il formigonismo. Ci sarà tutto questo, ma sicuramente i temi e gli assi di mobilitazione indicati nell’agenda attraverseranno tutto quanto e rappresenteranno anche una piccola bussola per non perdersi nella tempesta.
 
Infine, prima di chiudere davvero, dobbiamo ricordarci di un’altra cosa da fare in autunno e anche oltre. Il 13 luglio scorso una sentenza di cassazione ha confermato le condanne per “devastazione e saccheggio” per 10 manifestanti delle giornate di Genova del 2001. Due di loro sono già in carcere. Ebbene, non vanno lasciati soli. E non vanno nemmeno confinati in una solidarietà di nicchia, fatta da pochi per pochi.
 
(visita il sito Milano in Movimento)
 
 
di lucmu (del 18/07/2012, in Movimenti, linkato 1330 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer pubblicato su il Manifesto del 18 luglio 2012
 
Il 20 luglio è vicino ed è ormai tempo di bilanci. Undici anni dopo il luglio genovese, con un processo mai celebrato, quello per l'omicidio di Carlo Giuliani, e con tre sentenze di Cassazione alle spalle, è giunto inevitabilmente il momento di fare i conti con la verità ufficiale che lo Stato ci consegna e chiarirci se la riteniamo compatibile con quanto effettivamente avvenuto nel 2001.
Si tratta di una questione decisiva, perché da essa dipende se possiamo parlare di giustizia e perché, da che mondo è mondo, il racconto e la memoria dei fatti politicamente e socialmente rilevanti costituisce per il potere un campo di battaglia irrinunciabile. E noi, qui in Italia, terra di stragi impunite, ma che tutti sanno essere di Stato, dovremmo saperlo meglio di chiunque altro.
Ebbene, il racconto pubblico che ora va per la maggiore propone una sorta di pareggio, basato sulla tesi che da ambedue le parti, forze dell'ordine e manifestanti, ci fossero delle mele marce e degli errori, ma che questi costituissero comunque delle eccezioni. Insomma, ora che le sentenze definitive hanno individuato i cattivi, cioè i poliziotti erranti della Diaz ed i black block devastatori, si può chiudere il capitolo Genova e passare oltre.
Peccato però che in questa storia i conti non tornino per niente. Primo, l'omicidio di Carlo dove lo mettiamo? Secondo, avete mai visto un “pareggio” dove chi ha spaccato degli oggetti finisce in carcere per moltissimi anni, mentre chi ha spaccato teste e ossa il carcere non lo vede nemmeno con il binocolo? Terzo, cosa facciamo con i grandi assenti da questo racconto, cioè con i livelli massimi, i capi di polizia e carabinieri ed i Ministri, dai tempi di Genova fino ad arrivare ai giorni nostri, che hanno deciso, coperto, omesso, ostacolato, insabbiato e sistematicamente premiato e promosso i dirigenti di polizia coinvolti nella repressione, fino all'atto finale della nomina di Gianni De Gennaro a sottosegretario di Stato?
No, la verità ufficiale non solo non racconta la storia di quei giorni, ma la sua palese asimmetria offende il buon senso. Non avvicina la giustizia, ma la allontana, e non rappresenta certamente un'occasione per chiudere una ferita, ma piuttosto un inganno. Siamo all'autoassoluzione dello Stato e alla riduzione delle giornate di Genova a una storia di disordini e casini sfuggita di mano un po' a tutti.
Genova è stato ben altro. Lo sa chi c'era e chi non c’era. E, soprattutto, lo sa benissimo chi allora sospese l’ordinamento democratico ed organizzò la repressione contro il movimento antiliberista, nell'intento di stroncarlo sul nascere. L'operazione Diaz di undici anni fa doveva coprire tutto ciò, legittimando ex post la bestiale repressione, e da quel punto di vista fu un fallimento. Oggi c’è il teorema che sostiene che a Genova ci fu una situazione di “devastazione e saccheggio” e che quindi gli “errori” delle forze dell’ordine vanno letti in quel contesto. E quel che è peggio -e moralmente ripugnante- è che sull’altare di quel teorema sono state sacrificate dieci persone.
Sarebbe però un errore grossolano pensare che qui si tratti soltanto di mettere in sicurezza gruppi di potere, cricche e uomini politici ancora in vista. Certo, si tratta anche di questo, ma c’è dell’altro, perché riscrivere il passato serve sempre per preparare il futuro. Non è, infatti, un caso che alle parole del Ministro Cancellieri e alle scuse del Capo della Polizia Manganelli non sia seguito alcun fatto degno di nota, mentre la conferma in sede di Cassazione del reato di “devastazione e saccheggio” è densa di concretissime implicazioni presenti e future.
Negare la politicità di Genova, oscurare le centinaia di migliaia di persone che allora scesero in piazza e ridurre il tutto a fatto di ordine pubblico è pienamente coerente con quello sta succedendo ora, in tempi di crisi e governi tecnici, dalla Val di Susa alle cariche contro gli operai delle cooperative di Basiano. Anche per questo, non è possibile scendere a compromessi con una verità ufficiale che non è compatibile con quello che avvenne undici anni fa, che non fa giustizia e che getta più di un’ombra sul futuro.
 
 
Nello scorso aprile il Collettivo Lambretta aveva occupato le “villette” di piazza Ferravilla (Milano), in stato di abbandono e degrado da ormai lunghi anni. L’Aler, proprietaria degli immobili, aveva preferito lasciarli marcire, piuttosto che ristrutturarli e rimetterli a disposizione dei tanti cittadini in attesa di una casa popolare. Le villette si erano pure trasformate in un luogo di spaccio, ma anche questo fatto non aveva impressionato l’Aler di Milano, sebbene la sua sede centrale si trovasse a soli 200 metri.
Non c’è dunque da meravigliarsi che questa occupazione non abbia provocato scandalo nel quartiere, suscitando anzi curiosità e momenti di partecipazione. Già, perché i giovani del Lambretta, perlopiù studenti e lavoratori precari, hanno ripulito le villette e hanno iniziato a riempirle di attività, aprendole da subito al quartiere. Insomma, tutto sembrava andare per il meglio.
Ma poi, settimana scorsa, è arrivata all’improvviso la notizia che sarebbe imminente lo sgombero delle villette. “Strano”, hanno pensato in molti, visti i tanti anni di menefreghismo da parte dell’Aler. Vuoi che un gruppo di giovani che restituisce le villette al quartiere susciti più preoccupazione di una banda di spacciatori?
Tante domande, non solo da parte degli occupanti, ma anche dei residenti. Infatti, all’Aler non era mai passato per la testa di confrontarsi con il quartiere o di esplicitare cosa intendeva fare con quegli immobili, che fanno pur sempre parte dell’edilizia pubblica. Nemmeno il Consiglio di Zona 3 era stato ritenuto degno di un’interlocuzione.
E così, per scoprire cosa avesse in mente l’Aler, c’è stato bisogno di una piccola ricerca. La sostanza è questa: nel quadro dei programmi di vendita ai privati di una quota di edilizia residenziale pubblica, fortemente voluta da Regione Lombardia, è stata disposta anche un’asta pubblica per la vendita in blocco delle 9 villette della zona del Sarto, comprese quelle di piazza Ferravilla. La gestione dell’asta è stata affidata Infrastrutture Lombarde S.p.A., una società controllata da Regione Lombardia, che risponde direttamente al Presidente della Regione e che ha tra le sue funzioni anche quella della gestione e della valorizzazione delle proprietà regionali. Ebbene, per farla breve, l’asta pubblica, dopo due rinvii, si è tenuta il 22 maggio scorso. E qui si fermano le nostre informazioni, perché qui si fermano gli atti pubblici che si possono rintracciare.
Quindi, vediamo quello che sappiamo. Anzitutto, il testo dell’Avviso di asta pubblica per la vendita di beni immobili di proprietà di ALER del 2 dicembre 2011 ci informa che ci sono dei vincoli di carattere architettonico ed edilizio. Cioè, i lavori di ristrutturazione non potranno portare ad ampliamenti ed elevazioni degli edifici. In secondo luogo, non ci sono invece vincoli di carattere sociale, poiché il complesso è da considerarsi “edilizia residenziale libera”. Cioè, puoi farci anche degli appartamenti di lusso. Infine, interventi edilizi di qualsiasi tipo non sono imminenti, poiché l’eventuale vincitore dell’asta del 22 maggio avrebbe soltanto un “aggiudicazione provvisoria” e quella definitiva non avverrebbe prima di “un periodo di tempo non inferiore a 150 giorni successivi”. Cioè, contando anche altri tempi burocratici necessari per perfezionare la vendita, stiamo parlando, nella migliore delle ipotesi, del prossimo Natale.
Insomma, gli occupanti delle villette non rappresentano un fastidio per il quartiere, anzi, e non costituiscono un problema di ordine pubblico, hanno sempre ribadito che sono aperti al dialogo e, infine, non c’è alcuna impresa edile che sta bussando alle porte. E quindi, rifacciamo la nostra domanda: come mai tutta questa improvvisa pressione sulla Questura da parte degli enti regionali per sgomberare immeditatamente il Lambretta?
Una risposta ce l’avrei. Cioè, quello che dà fastidio è che qualcuno ha fatto vedere che il degrado non è una scelta obbligata e che si può coinvolgere il quartiere in un ragionamento sull’uso degli spazi. Già, esattamente quello che gli enti regionali non hanno mai voluto fare, tant’è vero che nessuno in zona sapeva di questa vendita e che ancora oggi nessuno sa cosa accadrà nel futuro, né se qualcuno si degnerà di confrontarsi con i residenti.
Quindi, penso che oggi bisogna difendere il Lambretta e la sua esperienza e fermare lo sgombero, che peraltro non farebbe altro che riconsegnare le villette a quello che c’era prima. Non c’è alcuna fretta, appunto, non ci sono lavori di ristrutturazioni in arrivo, ma in cambio c’è un grande bisogno di costruire da subito un dialogo nel quartiere sul futuro di quell’area.
Ma per fermare lo sgombero e conquistare il dialogo occorre costruire la necessaria pressione dal basso. E la prima cosa da fare, peraltro semplice, è firmare l’appello per il Lambretta che in poco tempo ha già raccolto tantissime firme.
 
Luciano Muhlbauer
 
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APPELLO AL QUARTIERE E ALLA CITTADINANZA
 
Lo scorso aprile un gruppo di giovani del Collettivo Lambretta ha restituito alla città quattro villette dell’Aler abbandonate in stato di degrado da diversi anni.
Fino a quel momento alla mercé di spacciatori, lo spazio di via Apollodoro si è trasformato grazie all’impegno di tutti in un luogo di aggregazione, di condivisione, di progettazione per il quartiere.
Sono nate una palestra popolare, aule studio per giovani studenti, case per lavoratori precari, una redazione, una falegnameria, orti per l’autoproduzione, laboratori costruiti in collaborazione con associazioni della città. Molto altro è pronto a decollare.
Abbiamo raccolto l’appoggio e l’entusiasmo dei nostri vicini di casa, dell’Associazione Fausto e Iaio, di alcuni consiglieri di Zona, del Comitato Milano per Pisapia, dei negozianti del quartiere, di tanti cittadini disposti a mettere in gioco le proprie energie per far crescere un progetto collettivo, utile e condiviso.
In poco tempo questo luogo è diventato un punto di riferimento dove hanno trovato spazio il Gruppo di Acquisto Solidale della zona, corsi culturali, di autoproduzione e molto altro.
Oggi questo percorso rischia di essere bruscamente interrotto perché il Lambretta è sotto sgombero.
È il momento che ci aiutiate a far capire a tutti il valore del nostro progetto.
Il Lambretta siamo tutti noi!
Per la tutela dei beni comuni, per difendere ciò che è nostro, per portare avanti questo percorso con il quartiere e la città tutta, firma a sostegno del Lambretta!
 
 
FIRME
 
Massimo Carlotto (scrittore)
Pino Cacucci (scrittore)
Maria Iannucci (Associazione familiari e amici di fausto e Iaio)
Rosa Piro – Associazione Dax
Ilaria Cucchi
Emanuele Patti (presidente di Arci Milano)
Luciano Muhlbauer, Prc Milano (già consigliere regionale Prc-Fds)
Roberto Giudici (Fiom Milano)
Davide Steccanella (avvocato)
Vittorio Agnoletto
Zerocalcare (fumettista)
Gionata Gesi Ozmo
Iacopo Ceccarelli (Urban artist)
GGT (artista underground)
Ivan il poeta
Daniele Biacchessi (Giornalista, scrittore, autore e interprete di teatro civile – Associazione familiari e amici di Fausto e Iaio – Associazione Ponti di memoria)
Marco Philopat (editore – scrittore)
Renato Sarti (regista tetrale)
Punkreas
Bonnot – Walter Buonanno (Compositore, produttore, Bergamo)
Junior Sprea
Ginko Villadaposse
UNK Sound Milano
 
Arci MilanoX
Arci Bitte
Arci Metromondo
Teatro della Cooperativa
Associazione Pernondimenticare Varalli e Zibecchi
Salaam – I Ragazzi dell’Olivo
Agenzia X (Casa editrice)
POQ – Partigiani in Ogni Quartiere
Spazio Baluardo (Q.Oggiaro)
Zam – Zona Autonoma Milano
Ambrosia Milano
Labout
Rete Studenti Milano
MACAO
Polisportiva Popolare Zam
Sos Fornace Rho
CSA Baraonda Segrate
FOA Bocaccio (monza)
CSOA Zapata Genova
Lab. Sancho Panza di Ferrara
Lokomotiv Zapata polisportiva popolare
Point Break – Studentato Autogestito Occupato, Roma
CSA Pacì Paciana Bergamo
Collettivo Off-Topic
C.S.A. La talpa e l’orologio Genova
AutAut 357 Genova – Unicommon Genova
Folletto 25603 Abbiategrasso
Redazione MilanoInMovimento
Telefono Viola Milano
Outofline photo collective
Tijuana Project – Unicommon Pisa
La Terra Trema
Reality Shock Padova
Lab CraCk – Unicommon Padova
Astra 19 Spa Roma
Anomalia Sapienza – Unicommon Roma
Lab! Puzzle
Horus Project Roma
Dimensione Autonoma Studentesca ( Collettivo studentesco autorganizzato Siena)
Officina Multimediale (Videomakers)
Leoncavallo Spazio Pubblico Autogestito Milano
Link-Sindacato Universitario Milanese
Unione Inquilini di Milano
Sel Zona 3 Milano
 
Andrea Lazzarotti (Capogruppo SeL Consiglio di Zona 3)
Patrizia Cavallotti – ultima inquilina di Ferravilla, 11 – fino al 1980
Titti Benvenuto (Consigliera di zona 3)
Paola Pollaroli Pardi (Comitato per Milano, Zona 3)
Giancarlo Pagani (Comitato per Milano, Zona 3)
……     ……          ……
le firme sono tantissime, già oltre 1.000, e sono in continuo aggiornamento. Quindi qui trovi solo le primissime di una lunga lista. Per l’elenco completo ed aggiornato consulta il sito di Milano in Movimento.
 
 
di lucmu (del 22/05/2012, in Movimenti, linkato 1832 volte)
Macao è stato ri-sgomberato. Macao deve riflettere. E non perché sia stato cacciato da Palazzo Citterio, poiché chiunque, a partire da Macao, sapeva che lì non si poteva stare a lungo, ma per trovare la strada che eviti un dejà vu e che dia invece un futuro alla straordinarietà di Macao, fatta di una miriade di uomini e donne, cittadinanza attiva, creatività, cooperazione dal basso, sogni e bisogni.
Macao è diventato Macao strada facendo, nella Torre Galfa. Prima era solo un’intuizione e  un progetto di alcune decine di lavoratori dell’arte, ma poi la realtà ha fornito le ali alla fantasia. L’apertura alla città di un grattacielo, di proprietà di un noto palazzinaro e lasciato colpevolmente in stato di abbandono per 15 anni, la volontà dichiarata di non delegare e di fare da sé, le porte aperte a chiunque volesse produrre cultura ed arte, avanzare proposte o semplicemente essere partecipe, tutto questo non aveva bisogno di tante spiegazioni, parlava da solo.
La notizia era rimbalzata addirittura a New York, ma quello che conta è che a Milano migliaia di persone sono andate alla torre, altre migliaia hanno cliccato in tempo record “mi piace” sulla pagina facebook di Macao o firmato appelli contro lo sgombero e, infine, Macao si è conquistato il consenso di una parte non indifferente della città. Anzi, diciamoci la verità, ad un certo punto era diventato persino figo andare a Macao e chi non c’era mai andato era decisamente out.
Insomma, Macao aveva il vento in poppa. E questo, indubbiamente, ha accelerato i propositi di sgombero, visto che a premere non era soltanto un Ligresti sempre potente, sebbene un po’ malconcio, ma anche un Ministro degli Interni parecchio preoccupato dall’aspetto politico della faccenda (tralasciando qui qualche poco elegante conflitto di interessi).
Quanto al Sindaco Pisapia, destinatario di “diffide” non troppo pertinenti, va ricordato che il Comune non aveva alcun potere decisionale nella vicenda. Semmai, la critica da fare ha natura politica: cioè, il Sindaco non ha esplicitato il giorno prima e pubblicamente la sua contrarietà allo sgombero della torre. Beninteso, se l’avesse fatto, avrebbero sgomberato lo stesso, ma avrebbe senz’altro evitato quell’effetto delusione che, poi, il Sindaco ha tentato di recuperare in parte il giorno dopo, con la sua giusta presenza all’assemblea.
Comunque sia, Macao stava bene e così, quando lo sgombero della torre è arrivato davvero, un po’ in anticipo rispetto ai tempi immaginati, anche l’assenza di un piano B non era una tragedia. Infatti, è stato sufficiente non muoversi da via Galvani per fare rinascere Macao in piazza. Un sacco di artisti hanno portato la loro solidarietà e mezza città simpatizzava con gli sgomberati. Ma, come sempre accade, il difficile viene quando sei all’apice della tua forza, perché all’improvviso ti trovi a dover “governare” situazioni inedite e fornire risposte che non hai a domande che non ti immaginavi.
E così l’enorme e straordinaria ricchezza di Macao, cioè il fatto di aver aggregato e messo in comunicazione una moltitudine di persone, in gran parte nuove ad esperienze collettive o di movimento, si trasformava man mano in un labirinto. Assemblee permanenti, interminabili, a volte inconcludenti. Capitava che ogni testa fosse un progetto che faticava terribilmente a rapportarsi con altre teste e progetti oppure che qualche consiglio di troppo piovuto da fuori città incasinasse le cose. Altre volte l’assemblea era come la tela di Penelope, si doveva ricominciare sempre da capo. Comunque sia, una fotografia dello stato delle cose, oggi e qui, e in un certo senso un’esperienza di re-apprendimento dei meccanismi della democrazia partecipativa e dell’autogestione.
In situazioni come queste occorrerebbero tempo e pazienza per costruire decisioni, sentieri e destinazioni. Ma il tempo non c’era ed i riflettori erano puntati impazienti su Macao. E così, ogni decisione importante da prendere si trasformava in un ostacolo insormontabile. Certo, tutto comprensibile per chi si trovava vicino all’epicentro di Macao, ma molto meno per chi stava alla sua periferia.
Perché Macao ha detto no alla proposta del Comune di partecipare ai bandi per lo spazio l’ex Ansaldo? E, soprattutto, perché l’ha detto in quel modo, leggendo un breve comunicato, per poi andare via senza ascoltare nessuno? Perché ha scelto di occupare Palazzo Citterio nella centralissima via Brera, dove evidentemente non si poteva stare a lungo, e non uno spazio abbandonata in periferia? Chi ha deciso e che cosa? Ma cosa vuole Macao? E ora?
Tutte domande legittime, alle quali non si può semplicemente rispondere che l’assemblea ha bisogno di tempo per discutere, perché questa è una risposta che va bene per chi all’assemblea permanente partecipa in maniera permanente (mi si perdoni il gioco di parole), ma a tanti altri, a partire dall’area di simpatia e consenso che Macao si è conquistata in città, questa risposta può apparire terribilmente ombelicale.
Ora, dopo lo sgombero di questa mattina, Macao si è dichiarato in silenzio stampa, ma tornerà a farsi vivo presto.
Per quanto mi riguarda, non intendo certo arruolarmi tra quelli che ora puntano severi il dito contro Macao, magari dopo averlo applaudito quando lo facevano tutti. Anzi, penso che Macao debba continuare il suo percorso, perché la Torre Galfa ha dimostrato che di Macao c’è un enorme bisogno a Milano. Ma bisogna far tesoro dell’esperienza di questi giorni, rifuggire dalle tentazioni politiciste ed avere grande cura di quella eterogenea, caotica e potente voglia di partecipare e fare, che aveva conquistato prima un grattacielo e poi il cuore di mezza Milano.
 
Luciano Muhlbauer
 
 
Lo sgombero della Torre Galfa, avvenuto questa mattina, è una pessima notizia per Milano. Su decisione diretta del Ministro “tecnico” degli Interni sono stati cacciati i lavoratori dell’arte di Macao ed i 31 piani della torre sono stati restituiti al signore del mattone Ligersti e all’abbandono, in cui si trovavano da oltre un decennio.
I ragazzi e le ragazze di Macao non rappresentavano certo un pericolo di ordine pubblico, né impedivano alcun progetto di riqualificazione urbanistica. Anzi, hanno ridato vita ad uno spazio vuoto ed abbandonato. L’unico torto che avevano era incontrare sulla loro strada un immobiliarista che, sebbene in difficoltà, continua a contare a Milano e un Ministero ossessionato da ogni movimento dal basso non embedded.
Il Comune di Milano non aveva alcuna responsabilità diretta in questo sgombero, ma forse occorreva una presa di parola più netta contro questa soluzione di forza prima che si realizzasse. E sicuramente non hanno aiutato alcune prese di posizioni vetuste, come quelle del capogruppo comunale del Pd, Carmela Rozza, che si era aggiunta alla voce di De Corato nel chiedere l’intervento di polizia.
Ora Macao è per strada, ma non è certo finita qua. Tantissime energie e persone si sono attivate attorno Macao in questi 10 giorni di occupazione e sono le stesse facce che riempivano le piazze un anno fa, quando Milano si è liberata dal ventennio della destra. Ecco perché non finisce qui, né oggi, né domani.
Macao era un’opportunità per Milano e continua ad esserlo. Insomma, oggi Macao non muore, ma rinasce, a partire dalla mobilitazione di oggi. Ne siamo certi. Anche per questo, chi vuole bene a Milano, deve stare con Macao e con le energie che sta liberando.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
È un segreto di Pulcinella che la Questura vorrebbe procedere allo sgombero forzato della Torre Galfa in tempi piuttosto celeri. E ciò avverrà effettivamente se in queste ore e in questi giorni non si produrrà una presa di parola sufficientemente forte, chiara ed autorevole per controbilanciare le forti pressioni, private e politiche, che spingono verso una soluzione di forza.
Infatti, difficilmente questa fretta di sgomberare è farina dal sacco di via Fatebenefratelli, poiché nel palazzo occupato non c’è alcun problema di ordine pubblico o di incolumità per le persone che vi si trovano. E tantomeno vi è un’emergenza legalità, poiché nessuno ha tolto niente a nessuno, essendo quello spazio vuoto, abbandonato e sottratto alla città da oltre un decennio.
No, quella fretta è il prodotto di pressioni convergenti di natura privata, cioè da parte di quel gruppo Ligresti che si ricorda della legge soltanto quando gli conviene, e di natura politica, cioè di quegli ambienti politici e ministeriali sempre molto preoccupati a stroncare ogni fenomeno sociale, culturale e politico considerato troppo indipendente.
Ecco perché non bastano le migliaia di firme a sostegno di Macao già raccolte in tempo record e la grande solidarietà e condivisione che gli occupanti hanno già ricevuto. No, c’è bisogno di un salto di qualità, che riguarda tutti quanti, nessuno escluso: partiti, movimenti, mondo della cultura, associazioni, sindacati, rappresentanze istituzionali e singoli cittadini e cittadine.
A Milano il problema si chiama spazi vuoti e abbandonati, il più delle volte per interessi speculativi, e non certo Macao, che anzi rappresenta una grande occasione per la città, come ha già dimostrato la sua prima settimana di vita. In pochi giorni, i ragazzi e le ragazze di Macao sono riusciti ad innescare uno straordinario processo di partecipazione e creatività culturale, come da tempo non si vedeva.
Certo, che a De Corato e agli altri esponenti del Pdl e della Lega non gliene freghi nulla di tutto ciò possiamo capirlo, visto che nei quasi vent’anni di governo cittadino non hanno fatto altro che favorire gli interessi immobiliari privati a discapito del bene comune. Ma francamente siamo esterrefatti di fronte alle parole di alcuni esponenti del centrosinistra milanese, per fortuna pochi, che stanno inneggiando allo sgombero.
Da parte nostra, comunque, stiamo dalla parte di Macao e pensiamo che la questione vada riportata serenamente ad un livello di confronto e che ogni ipotesi di sgombero forzato vada respinta.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
P.S. segnalo inoltre che continua la raccolta di adesioni all’appello Macao è di tutti, proteggiamolo, che ha già raccolto migliaia di firme.
 
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