Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
di lucmu (del 10/05/2007, in Diritti, linkato 1327 volte)
Il centrodestra lombardo tenta di giustificare l’adesione e la partecipazione ufficiali al Family Day da parte di Regione Lombardia, con tanto di gonfalone, sostenendo che non si tratta di un atto né contro il Governo, né contro i cittadini e le cittadine omosessuali. Ma purtroppo le cose non stanno esattamente così.
Ci pare già abbastanza grave che vengano usati i simboli e il nome di un’istituzione che appartiene a tutti i cittadini lombardi, a prescindere dai loro orientamenti politici, religiosi o sessuali, per sostenere e promuovere una manifestazione palesemente di parte. Ma se poi quella adesione è motivata esplicitamente, stando agli atti ufficiali del Consiglio Regionale della Lombardia, con un pregiudizio omofobico e con la volontà di boicottare preventivamente un’eventuale legge dello Stato, allora siamo al vero e proprio abuso.
Infatti, l’ordine del giorno contenente l’adesione al Family Day, votato a maggioranza dal Consiglio Regionale il 27 marzo scorso, era abbinato a una mozione, votata sempre a maggioranza, che ne fissava il contenuto politico. E quella mozione, farcita di citazioni ecclesiastiche, enuncia concetti edificanti quali “l’impulso naturale, tra uomo e donna, prevede la formazione di una coppia per creare una vita umana” e termina con l’invito “a valutare quali strumenti giuridici esistano per non obbligare i comuni della Lombardia a dotarsi dei Registri delle coppie dello stesso sesso”.
E, tanto per non lasciare dubbi, va ricordato che tra i primi firmatari della mozione risultava l’Assessore Prosperini, allora nel pieno della bufera politica a causa dei suoi insulti contro i gay e dell’istigazione a garrotarli.
Insomma, sabato i lombardi e le lombarde omosessuali, o semplicemente in disaccordo con la posizione ufficiale della gerarchia ecclesiastica, dovranno assistere all’indecente spettacolo di una istituzione, cioè Regione Lombardia, che scende in piazza contro di loro, poiché li considera cittadini di serie B o, addirittura, contro natura.
Formigoni ci aveva abituati da tempo al fatto che egli considera le istituzioni sua cosa privata, ma questa volta il centrodestra ha decisamente oltrepassato il limite della decenza e dell’accettabile.
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
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L’approvazione, da parte del Consiglio Regionale, con la sola astensione della Lega Nord, di una mozione che invita la Giunta a modificare la polizza assicurativa a favore delle vittime della criminalità rappresenta certamente una buona notizia.
Rifondazione Comunista aveva sollevato la questione già il 4 settembre scorso, presentando un’interpellanza, poiché l’assicurazione stipulata dalla Giunta regionale con INA-Assitalia nel 2004 esclude incredibilmente dai benefici le vittime di violenza sessuale, a meno che all’abuso non abbia fatto seguito una grave menomazione fisica.
Tuttavia, la risposta dell’Assessore Ponzoni, poi pervenuta il 2 novembre, era a dir poco sorprendente, visto che ci dava ragione nel merito, ma senza assumere alcun impegno concreto.
L’odierno voto del Consiglio tenta così di ovviare finalmente alla grave superficialità della Giunta regionale, che troppo spesso sembra considerare la questione della sicurezza un mero terreno di propaganda politica, salvo poi perdere di vista la realtà dei fatti.
Auspichiamo pertanto che la Giunta voglia rispettare il voto dell’assemblea legislativa, modificando nel più breve tempo possibile i termini dell’assicurazione, al fine di includervi anche le vittime di una delle forme più infami di violenza, cioè quella sessuale”.
 
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Negli ultimi giorni le vie e i mezzi pubblici di Milano sono stati inondati da cartelloni pubblicitari a firma di Regione Lombardia, che con vari slogan annunciano “il nuovo sistema di Istruzione e Formazione Professionale”. E allora, molti si saranno chiesti: ma come, in Lombardia c’è un nuovo sistema di istruzione? La devolution non era stata respinta dal voto popolare appena un anno fa?
Domande più che legittime, infatti, visto che in Lombardia non c’è alcun nuovo sistema scolastico regionalizzato, né una nuova legge. Vi è unicamente una proposta di legge regionale della Giunta Formigoni, la cui discussione non è nemmeno iniziata nella competente commissione consiliare. Ma non basta, visto che non si tratta dell’unica proposta e che verranno esaminati contestualmente anche altri due progetti di legge, uno presentato da Rifondazione Comunista e l’altro dall’Ulivo.
Qui e ora non è questione di ribadire la nostra decisa opposizione di merito al progetto del centrodestra regionale di costruire un sistema scolastico lombardo, basato sulla commistione privato-pubblico e dai tratti decisamente anticostituzionali. Conosciamo bene la filosofia del prendere denaro pubblico per darlo ai privati, così come non è un mistero per nessuno che l’asse Formigoni-Lega intende riaprire per la via dei fatti il conflitto Stato-Regione sulla devoluzione delle competenze in materia di istruzione.
Tutto questo fa parte della dialettica politica, ma ciò che è scandaloso e che rappresenta un vero proprio abuso istituzionale è l’uso del nome, dei simboli e, soprattutto, delle finanze dell’istituzione Regione Lombardia, che è di tutti i cittadini, a prescindere dal loro orientamento, per fare propaganda alle proposte di una parte politica, con l’aggravante che siamo in piena campagna elettorale per le amministrative.
Oggi, Rifondazione Comunista ha presentato un’interpellanza urgente alla Giunta per sapere quanto costa ai cittadini questa campagna propagandistica e quali sono i capitoli di bilancio che la finanziano.
Invitiamo il Presidente Formigoni a dare immediatamente spiegazioni e, soprattutto, a fermare questo vero e proprio abuso.
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui puoi scaricare il testo dell'interpellanza

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di lucmu (del 20/04/2007, in Infrastrutture&Trasporti, linkato 999 volte)
La Convenzione firmata oggi e i suoi contenuti erano già conosciuti, così come era annunciato l’ampio consenso bipartisan, visto che quella sorta di grande coalizione delle grandi opere si era già manifestata da tempo. Non siamo quindi stupiti di nulla, ma sicuramente assistere all’acritico plauso di oggi lascia qualche amaro in bocca.
La Pedemontana non è un progetto isolato, ma fa parte, come molte dichiarazioni ricordano, di un insieme di grandi opere autostradali lombarde - Pedemontana, BreBeMi e TEM - dal costo minimo di almeno 8 miliardi di euro. Fondi che allo stato attuale ci sono solo in minima parte e che in realtà permettono soltanto l’avvio dei primi cantieri della Pedemontana per il 2010. E, soprattutto, non si vedono i fondi che dovrebbero finanziare le opere connesse e complementari, la cui contestuale realizzazione è stata la grande promessa per strappare l’assenso della maggioranza dei poco convinti Sindaci interessati al tracciato della Pedemontana.
La grande coalizione delle grandi opere, peraltro, appare molto meno grande quando si va sul territorio. Nonostante il via libera alla Pedemontana da parte della maggioranza dei sindaci, permane una forte perplessità da parte dei cittadini dei comuni interessati, come hanno dimostrato le assemblee tenutesi in queste settimane. Per quanto riguarda la BreBeMi, poi, si oppongono praticamente tutti i comuni del milanese, mentre nel caso della TEM la Regione non è finora riuscita a convincere nemmeno un comune. Questione di particolarismi oppure di legittime preoccupazioni rispetto alla sostenibilità di tali opere in aree densamente urbanizzate?
Infine, la necessità di reperire gli ingenti finanziamenti per le opere autostradali, renderà semplicemente impossibile finanziare l’ammodernamento della rete viaria ordinaria, per non parlare di quella ferroviaria. In altre parole, di fronte a un modello di mobilità basato per il 70% sull’automobile e con livelli di inquinamento ambientale da record europeo, si concentrano tutte le risorse disponibili nella costruzione di nuove autostrade.
Per quanto ci riguarda, oggi non siamo certamente soddisfatti. Non è questione di capire se a Como serve una tangenziale, perché anche noi siamo convinti che serva. Il problema è la miopia di una politica che si rifugia nel tempio delle grandi opere autostradali, pensando che questa immensa colata di asfalto possa essere sostenibile per una Lombardia densamente urbanizzata e soffocata dalle polveri sottili.
 
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di lucmu (del 19/04/2007, in Antifascismo, linkato 1130 volte)
Che il Sindaco di Milano, Letizia Moratti, partecipi il 25 aprile ufficialmente alla commemorazione della liberazione dal nazi-fascismo, invece che onorare le tombe dei combattenti della Repubblica di Salò, come era solito fare il suo predecessore Albertini, è sicuramente una buona notizia per il decoro politico della nostra città.
Tuttavia, il 25 aprile non è una sagra di paese e ci sono gli altri 364 giorni dell’anno. A Milano, infatti, si registra una preoccupante involuzione del clima politico e civile. Si moltiplicano gli atti di intolleranza, c’è una recrudescenza della presenza e dell’attività di gruppi militanti neofascisti – Forza Nuova e non soltanto - e le iniziative dai toni xenofobi o peggio si susseguono a ritmi frenetici, come dimostrano le ronde anti-rom, incentivate dall’impunito pogrom di Opera, le campagne anti-moschee e, infine, le manifestazioni anticinesi di questi giorni. Il più delle volte, tra i promotori consapevoli di questi atti provocatori troviamo alcuni alleati politici del Sindaco Moratti, a partire dalla Lega Nord e da settori di An.
Eppure, in tutti questi mesi e settimane, da parte del Sindaco, non si sono sentite né chiare prese di distanza, né iniziative conseguenti. Il Sindaco Moratti non giochi dunque al dottor Jekyll e mister Hyde e sia coerente con lo spirito democratico del 25 aprile. Insomma, pronunci parole chiare e inequivocabili contro l’intolleranza e la xenofobia. Altrimenti, la sua partecipazione alla Festa della Liberazione non potrà essere presa sul serio.
 
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di lucmu (del 16/04/2007, in Sicurezza, linkato 944 volte)
Rifondazione Comunista ha presentato oggi un’interrogazione urgente all’Assessore regionale alla polizia locale, in relazione ai disordini del 12 aprile scorso, in via Paolo Sarpi. Infatti, le testimonianze e le fotografie evidenziano il coinvolgimento diretto di “ghisa” negli scontri, con tanto di manganelli, prima del loro allontanamento da parte dei responsabili di piazza della Questura.
L’ex corpo dei vigili urbani di Milano, ormai denominato Polizia Locale, subisce da anni un processo di progressiva militarizzazione, che tende a farlo assomigliare sempre di più a un corpo di polizia vero e proprio. E così stanno proliferando le squadre speciali, dipendenti direttamente dal comando centrale, mentre i presidi sul territorio sono stati ridotti da 15 a 9 dall’attuale amministrazione. La contestuale esaltazione delle cosiddette “funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza” ha portato alla marginalizzazione di alcune funzioni tipiche dei “ghisa”, tra le quali il controllo dei cantieri edili, ormai quasi totalmente e scandalosamente assente, con i drammatici esiti a cui stiamo assistendo anche in questi giorni: su tutto il territorio cittadino risultano addetti a tale compito soltanto tre agenti, come si evince dai dati ufficiali comunicati a Regione Lombardia.
Certo, la legge regionale sulla polizia locale - n. 4 del 2003 - ha le sue responsabilità e stimola queste tendenze, ma esistono anche precisi limiti. Né la normativa nazionale, né quella regionale ammettono che la polizia locale possa svolgere funzioni di ordine pubblico. E il cosiddetto “bastone distanziatore”, cioè il manganello, può essere utilizzato a scopi esclusivamente difensivi, qualora l’incolumità personale dell’agente sia messa a rischio. Ebbene, a noi pare che quanto avvenuto il 12 aprile abbia oltrepassato decisamente i confini della legge.
Per questo chiediamo che l’Assessore regionale competente promuova con urgenza una propria indagine, finalizzata a verificare il rispetto della normativa vigente. Non si tratta soltanto di  capire fino in fondo cosa sia successo il 12 aprile scorso, bensì di impedire che ai “ghisa” milanesi venga imposta una pericolosa metamorfosi. Milano non ha bisogno di una celere in salsa comunale, magari da scatenare contro l’immigrato di turno, bensì che i vigili urbani possano svolgere il loro mestiere.
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui sotto puoi scaricare il testo dell'interrogazione

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di lucmu (del 14/04/2007, in Migranti&Razzismo, linkato 1026 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 14 aprile 2007 (pag. Milano)
 
Era prevedibile che, dopo la rivolta e gli scontri nella “chinatown” milanese, il centrodestra meneghino scatenasse tutti i soliti luoghi comuni rispetto all’immigrazione in generale e a quella cinese in particolare, a partire dalla minestra riscaldata del “non vogliono integrarsi”, e soprattutto che cercasse di scaricare le responsabilità di quanto avvenuto sulla comunità cinese di via Sarpi, accusandola apertamente di premeditazione.
Quello che invece stupisce è che praticamente nessuno, compresi molti dirigenti dell’Ulivo milanese, abbia voluto porre alcune semplici, ma dirompenti, domande ai partiti del centrodestra.
Il problema non è capire se la zona attorno a via Sarpi, dove l’insediamento cinese risale agli inizi del Novecento, sia adeguata o meno ad ospitare il commercio all’ingrosso. Infatti, chiunque sapeva e sa che nel quartiere in questione le operazioni di carico e scarico non possono avvenire nel rispetto dei regolamenti esistenti, trattandosi di una zona storica della città. Ma è qui che casca l’asino, poiché l’espansione del commercio all’ingrosso è un processo in atto da un decennio, e le amministrazioni di centrodestra hanno sempre rilasciato le licenze con liberalità e mai multato nessuno. In altre parole, i commercianti cinesi sono sempre stati in buoni rapporti con il Comune e considerati perfettamente in regola. Come mai, allora, tutto ciò è diventato all’improvviso irregolare?
Ma c’è ben altro, visto che il Comune di Milano non si è limitato ai buoni rapporti, ma ha ripetutamente finanziato progetti di integrazione destinati al quartiere cinese. In particolare, molti fondi sono transitati attraverso l’associazione italo-cinese ALKEOS, legata strettamente ad alcuni settori di Alleanza nazionale. Chiediamo quindi al Sindaco Moratti e al Vicesindaco De Corato di spiegare alla cittadinanza quanti fondi comunali sono stati stanziati in questi anni, come sono stati impiegati, chi sono i beneficiari e quali sono i risultati ottenuti.
Insomma, a noi pare che tutta questa vicenda puzzi e che la cosa più insensata e ipocrita che si possa fare è mettere sul banco degli accusati la comunità cinese, che non a torto si sente oggi attaccata in quanto tale. Se c’è qualcuno che ha fomentato e organizzato gli scontri di ieri, questo non va cercato tra i cinesi, ma tra coloro che governano la città da 15 anni e che oggi cercano di mascherare i loro fallimenti dichiarando guerra agli immigrati presenti in città.
Il susseguirsi incessante di proclami sulla sicurezza, le ronde anti-rom, le campagne contro le moschee, l’ondata di chiusura dei phone center e, ora, lo scontro a suon di multe e manganelli con i cinesi, stanno lì a dimostrarlo.  Il clima politico e civile che ne consegue si fa sempre più insostenibile e pericoloso. E che poi stamattina qualche sedicente gruppo “cristiano” abbia pensato bene di dare fuoco a un centro culturale islamico può stupire soltanto i ciechi e i sordi.
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di lucmu (del 12/04/2007, in Migranti&Razzismo, linkato 986 volte)
Gli scontri di via Sarpi tra centinaia di cittadini cinesi, in prevalenza giovani, e forze dell’ordine sono l’ennesimo campanello d’allarme per una Milano dove i momenti di conflitto tra istituzioni cittadine e immigrati si stanno moltiplicando in maniera preoccupante.
Il fatto che questa volta sia avvenuto nella chinatown milanese, coinvolgendo una comunità poco propensa alla protesta pubblica, dovrebbe far finalmente riflettere. In fondo, poco importa la scintilla che ha dato il via alla ribellione di massa, ma conta invece il clima di tensione che si era creato nelle ultime settimane. Infatti, dopo lunghi anni di crescita del commercio all’ingrosso in zona, l’amministrazione comunale ha all’improvviso deciso di cambiare le regole del gioco, facendo quindi piovere quotidianamente le multe. Ovvio che i commercianti e i residenti cinesi si sentano a questo punto presi di mira in quanto comunità.
Un atteggiamento cieco da parte del centrodestra milanese, che ripropone quanto avviene, in maniera più estremistica, rispetto ad altre comunità immigrate. E così, contro i rom si organizzano le ronde, contro i luoghi di preghiera islamici si scatenano le campagne e ai phone center viene imposta la chiusura forzata in base a una legge regionale insensata e discriminatoria. E l’elenco potrebbe continuare.
Certo, ogni conflitto ha la sua storia e le sue specificità, ma ogni volta si ripresenta la medesima questione, cioè il paradosso di una città e di una regione dove si concentra gran parte dell’immigrazione nazionale, ma dove manca completamente una politica che possa favorire la convivenza e l’inclusione. Di conseguenza, spesso, l’unico punto di contatto tra istituzioni e cittadini immigrati avviene sul terreno dell’ordine pubblico.
Se non si cambia politica in fretta, si rischia davvero di costruire i presupposti per un futuro di conflitti ben più aspri e radicali. Questo potrebbe far felice sicuramente le forze politiche che hanno sposato la xenofobia militante, come la Lega e parte di An, ma siamo certi che non sia nell’interesse della città né dei milanesi, autoctoni o immigrati.
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
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di lucmu (del 06/04/2007, in Migranti&Razzismo, linkato 1151 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 6 aprile 2007 (pag. Milano)
 
Hanno iniziato i leghisti con le ronde anti-rom e oggi scendono in campo anche i primi post-fascisti di An, mentre scalpitano numerosi pure esponenti di Forza Italia. La Casa delle Libertà meneghina, visti l’avvicinarsi delle elezioni amministrative di maggio e i tanti fallimenti collezionati dalla Giunta Moratti, sposta il suo baricentro sempre più a destra, dove regna sovrana la demagogia xenofoba.
Demagogia e giochi sporchi, di questo si tratta. E per capirlo è sufficiente riepilogare la triste odissea della settantina di rom, di cui trenta bambini, sgomberati da via Ripamonti in autunno, senza che qualcuno avesse pensato a sistemazioni alternative. Così se ne era fatto carico il solito don Colmegna, prima che il Sindaco di Opera offrisse la sua disponibilità. Ma a questo punto, apriti cielo, e le stesse forze politiche, cioè Lega e An, che qui urlavano “fuori i rom da Milano”, passavano al pogrom prenatalizio di Opera. Tende della protezione civile incendiate e oltre un mese di presidio, insulti e minacce hanno alla fine portato alla cacciata dei rom, che così sono ritornati in città. Per loro si parla di Parco Lambro, in base a un accordo condiviso anche dalla Giunta Moratti, ma i soliti noti, cioè Lega e An, sono già pronti al replay.
Il gioco è scoperto, ma si fa sempre più pericoloso, poiché il precedente di Opera ha consegnato all’estrema destra la sensazione di impunità. E così le “passeggiate” ad uso e consumo di giornali e televisioni rischiano di trasformarsi in nuovi atti di violenza di stampo razzista. Rifondazione Comunista, ai tempi di Opera, aveva denunciato con forza l’accondiscendenza delle autorità preposte alla tutela dell’ordine pubblico. Forse ora lo stesso Prefetto Lombardi si accorge degli effetti perversi degli errori fatti in quella occasione. Ma non bastano più le dichiarazioni ai media ed è giunto il momento dei fatti, cioè di un messaggio chiaro e deciso contro questa folle corsa al nuovo squadrismo. I rom sono esseri umani come tutti quanti e quindi hanno il sacrosanto diritto di vedersi tutelate dalle autorità le loro libertà civili e la loro sicurezza personale.

Ci sarebbe piaciuto appellarci non al Prefetto, ma alla politica. Ci pare, tuttavia, che le involuzioni demagogiche di chi amministra Milano da oltre 15 anni non lascino molto spazio. Anzi, le baraccopoli e il degrado cresciuti in questo lungo periodo di malgoverno della città, alla fine sembrano fare comodo a taluni politici senza scrupoli. Meglio scaricare le proprie responsabilità sullo sfigato di turno, facendo finta di non sedere a Palazzo Marino. Oggi tocca ai rom, compresi i bambini. Domani chissà.

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di lucmu (del 03/04/2007, in Sicurezza, linkato 900 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 3 aprile 2007 (pag. Milano)
 
L’iniziativa sulle politiche securitarie, le nuove destre e la xenofobia, promossa sabato scorso alla Stecca degli Artigiani dai Giovani Comunisti lombardi, appariva quasi come un tentativo di articolare una risposta alla sfilata morattiana “per la sicurezza” e alle troppe subalternità delle opposizioni cittadine. E in un certo senso lo era effettivamente, vista la vicinanza temporale, anche se in realtà l’idea era nata molto prima e prendeva le mosse da ben altro, cioè da quanto accaduto a Como un anno fa.
Era il 29 marzo del 2006, quando il diciottenne Rumesh Rajgama Achrige, comasco di origine cingalese, fu raggiunto alla testa da un colpo di arma da fuoco, esploso da distanza ravvicinata da un agente del “nucleo di sicurezza” della Polizia Locale. Rumesh ha miracolosamente sconfitto la morte, ma la sua vita sarà segnata da lesioni permanenti. L’autore dell’”incidente” è tuttora in servizio, seppure con mansioni d’ufficio, mentre il nucleo “di sicurezza” ha subito un semplice maquillage, chiamandosi ora “investigativo”.
E così alla Stecca si è discusso a partire da questo fatto e insieme ai familiari di Carlo Giuliani, Federico Aldovrandi e Dax. Una maniera diversa, ma indubbiamente più realistica e proficua, per affrontare il tema sicurezza. Infatti, come ormai tutti dovrebbero sapere, almeno a sinistra, a Milano non c’è un’emergenza criminalità, essendo il numero di reati stabile o in diminuzione, e sicuramente non mancano le forze di polizia. Anzi, dalle nostre parti, così come sul piano nazionale, vi è il più alto rapporto tra numero di addetti alla pubblica sicurezza e abitanti di tutta l’Unione Europea. Facendo poi la somma tra i funzionari delle varie forze di polizia, della polizia locale, di quella penitenziaria e della agenzie private di sicurezza arriviamo alla esorbitante cifra di 480mila unità in Italia.
E allora, da dove nasce questa benedetta “percezione di insicurezza”, giocata tutta sul piano dell’ordine pubblico e della repressione? Una domanda cruciale, a cui rispondere necessariamente, se non vogliamo essere destinati a rincorrere per un tempo indefinito la demagogia da “tolleranza zero”. A noi pare che si possano individuare almeno due componenti fondamentali, una oggettiva e l’altra indotta.
Ovvero, sulla base materiale costituita dalla diffusione massiccia dell’insicurezza, dell’atomizzazione e della precarietà sociale, come conseguenza della prolungata egemonia delle politiche liberiste e dell’accentuazione delle disuguaglianze, viene innestato un discorso politico che convoglia i disagi e le paure verso il tema dell’ordine pubblico. E qui il parallelismo con la crescita dei fenomeni xenofobi salta agli occhi, poiché chi governa lo smantellamento dello stato sociale e dell’universalità dei diritti è il medesimo che indica incessantemente nel migrante il responsabile dei bisogni non soddisfatti del cittadino autoctono.
È quindi indubbio che la critica del securitarismo necessita della critica del modello di società esistente, cioè della ricostruzione di un’idea –e di una pratica- alternativa di città e di società. Ma occorre altresì trovare l’intelligenza e il coraggio per contrastare l’effetto collaterale dell’egemonia del discorso securitario, cioè la legittimazione sociale e politica di quelle tendenze all’abuso della forza e alle pratiche devianti presenti nelle forze dell’ordine. E forse, partire dalla questione della militarizzazione dell’ex-vigilanza urbana, incentivata dalla legge regionale n.4/2003, uscendo finalmente dall’assordante silenzio bipartisan, può essere il punto di partenza.
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