Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Oggi in Consiglio regionale la Commissione Territorio ha approvato la modifica della legge n.1/2002 sul trasporto pubblico locale. In realtà un atto dovuto, poiché una sentenza della Corte Costituzionale del 2005 aveva dichiarato illegittime le norme che escludevano i cittadini stranieri regolarmente residenti in Lombardia, e in condizioni di comprovato disagio psico-fisico o economico, dalle esenzioni e agevolazioni tariffarie.
Non è la prima volta, e non sarà l’ultima, che la Corte costituzionale è costretta a intervenire per cancellare insensate clausole discriminatorie. Già il Tar della Lombardia tre mesi fa ha dichiarato illegittime, trasmettendo gli atti alla Corte costituzionale, le norme che impongono il vincolo di cinque anni di residenza in Lombardia per poter accedere alle graduatorie per le case popolari, vincolo che discrimina peraltro anche molti cittadini italiani; e quasi scontato è anche un intervento contro quel passaggio, introdotto a giugno nella legge regionale sul territorio, che ostacola surrettiziamente l’esercizio della libertà religiosa.
Tutte azioni correttive prevedibili, quindi, e ciononostante la maggioranza di Formigoni insiste ad accontentare, in ogni occasione, la demagogia razzista della Lega e di parte di An. Lo stesso veto ideologico che fino a oggi ha impedito al Consiglio regionale lombardo di poter legiferare in materia di immigrazione, come invece hanno già fatto molte regioni italiane.
Una vera e propria follia politica proprio laddove si concentra un quarto dell’immigrazione in Italia, cioè oltre 800mila persone. Davvero si pensa di poter affrontare i profondi cambiamenti in atto nella società lombarda con uno spezzatino di semplici norme discriminatorie ed escludenti e rinunciando a una politica che favorisca l’inclusione e la convivenza? Difficile crederlo, ma finora i fatti ci dicono che Formigoni preferisce cavalcare la xenofobia leghista, piuttosto che aprire un confronto politico a tutto campo.
E a pagare il conto di questa situazione surreale, tanto per cambiare, sono chiamati i cittadini, siano essi stranieri o italiani. Se dalle parti del centrodestra è rimasto qualche briciolo di buon senso, Rifondazione Comunista è disponibile sin da subito ad aprire il confronto, a patto che si archivi finalmente la strada della demagogia e dell’intolleranza.
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
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di lucmu (del 28/10/2006, in Migranti&Razzismo, linkato 948 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 28 ottobre 2006
 
Il tema immigrazione, si sa, in politica è argomento ostico, specie dalle parti del centrosinistra. Infatti, terreno di incursione politica e culturale delle destre e inquinato dalla peggior demagogia, difficilmente gratifica sul piano del consenso elettorale quanti parlano di diritti.
Proprio per questo il programma dell’Unione aveva suscitato qualche aspettativa. Certo, si trattava di un compromesso, ma in fondo non era poca cosa che si parlasse di abrogazione della Bossi-Fini, di superamento dei Cpt, di riconoscimento del permesso di soggiorno al lavoratore irregolare che denunciasse la sua condizione o di meccanismi permanenti di regolarizzazione per i sans-papiers. In altre parole, sembrava possibile mettere in discussione quel caposaldo delle politiche migratorie degli ultimi dieci anni che considera il migrante esclusivamente come un problema di ordine pubblico e come manodopera a basso costo e senza diritti.
Tuttavia, e anche questo si sa, un conto è scrivere le cose sul programma elettorale, ben altro è poi attuarle. Così, passati sei mesi dalle elezioni, quella parte di programma, alla pari di altre a dire il vero, sembra già in fase di riscrittura moderata e si riaffaccia prepotentemente il continuismo. Basti ricordare che la bozza Amato si pone in linea di continuità non soltanto con la Turco-Napolitano, ma altresì con parte della Bossi-Fini, oppure che gli interventi contro lo sfruttamento del lavoro irregolare sono stati posticipati e che il Ministro Ferrero è rimasto da solo a sostenere quanto scritto nel programma.
Ma l’esempio forse più limpido è la sostituzione, da parte del Ministro, della parola d’ordine del “superamento” dei Cpt con quella della loro “necessità”. Infatti, i Centri di permanenza temporanea sono simbolo e paradigma dell’approccio securitario e del doppio binario giuridico che ne consegue. E quindi, chi se ne frega se le carceri amministrative sono anticostituzionali e se in fondo non servono a nulla, salvo a fare da costoso alibi per una politica repressiva che fabbrica clandestinità e ghettizzazione.
Succede tutto questo, eppure da parte dei movimenti e delle associazioni c’è troppo silenzio. Beninteso, delle iniziative ci sono state, ma deboli e frastagliate. E segnate quasi sempre da divisioni e polemiche politiche, in una replica in peggio di quanto sta accadendo tra le forze pacifiste e quanto rischiava di accadere in vista della manifestazione del 4 novembre.
È risaputo che le piazze non si riempiono con un mero atto di volontà, ma ritirarsi ognuno nei propri spazi di identità politica e abbandonare il terreno della ricerca di iniziative convergenti a chi e a che cosa serve? Davvero l’unica domanda che importa è “stai con il governo o contro il governo?” come se fossimo semplici spettatori? Di questo passo si rischia la marginalità, mentre mai come oggi c’è un terribile bisogno di rompere il silenzio e di rimettere in moto la mobilitazione sociale e politica. Forse, molto più semplicemente, ci vuole uno scatto di sano e radicale realismo, che metta in secondo piano non certo le differenze, ma quelle dispute che frenano la presa di iniziativa.
Oggi a Milano, capoluogo della regione in cui si concentra un quarto dell’immigrazione nazionale, un arco plurale di forze manifesterà davanti al Cpt di via Corelli, dove 112 migranti sono segregati dietro alti muri di cementi e sorvegliati da 130 agenti di polizia. L’iniziativa ne chiede la chiusura. Che possa essere di buon auspicio e un viatico per la riuscita del 4 novembre, cioè per rompere finalmente il silenzio.
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di lucmu (del 07/11/2006, in Infrastrutture&Trasporti, linkato 1219 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 7 novembre 2006 (pag. Milano)
 
La vicenda del ticket di ingresso a Milano era iniziata male e ora rischia di finire peggio. Infatti, il pasticciato provvedimento partorito dalla giunta Moratti difficilmente potrà incidere positivamente sui livelli di inquinamento, mentre peserà economicamente soprattutto sui ceti popolari.
Com’è risaputo, la stragrande maggioranza del traffico d’ingresso a Milano o il traffico all’interno dell’area metropolitana è originata da motivi di lavoro e il motivo per cui si usa l’automobile è banale: si fa prima. E finché l’alternativa all’automobile e al traffico congestionato sarà un trasporto pubblico assolutamente inadeguato, che ti costringe ad alzarti un’ora prima e tornare a casa un’ora dopo, continuerà ad essere così. Insomma, difficile pensare che un ticket d’ingresso possa avere effetti maggiori del continuo aumento del prezzo della benzina, che infatti non ha scoraggiato per nulla l’uso dell’automobile.
Certo, forse circolerà qualche macchina in meno nella parte centrale della città, ma in cambio verranno intasate le zone e i comuni limitrofi, dove peraltro non esistono nemmeno parcheggi sufficienti, e comunque non si ridurrà l’inquinamento, poiché questo notoriamente non rispetta i confini amministrativi.
Il problema vero si chiama accessibilità alla città e non può essere risolto né dalla sola  Atm, né dal solo Comune di Milano. E qui occorre, finalmente, fare i conti con un problema annoso, ma oggi drammatico. Cioè, con il fatto che in tutta la Lombardia prevale un modello di mobilità incentrato sul trasporto privato su gomma, mentre il sistema ferroviario regionale è invecchiato e incapace di far fronte alle necessità.
I livelli di inquinamento a Milano e in tutta la Lombardia hanno da tempo superato ogni soglia di pericolo e gli effetti sulla salute dei cittadini sono allarmanti. Proprio per questo, non servono misure demagogiche e irrealistiche, bensì un piano straordinario di investimenti per sviluppare un sistema di accesso pubblico alle città lombarde.
Quindi, il sindaco Moratti rinunci alle sue sciocchezze e piuttosto contribuisca affinché il tavolo con la Provincia e la Regione affronti con urgenza il tema del modello di mobilità. Dopo, ma soltanto dopo, si potrà ricominciare a parlare di pollution charge”.
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Diminuzione significativa dei fondi per l’edilizia popolare e riduzione ancora più accentuata degli investimenti destinati all’aumento dell’offerta abitativa, in particolare quella rivolta alle fasce sociali più disagiate. È questo il succo del programma regionale per l’edilizia residenziale pubblica (Prerp) 2006-2008, predisposto dalla giunta Formigoni e ora in discussione nella competente commissione consiliare.
Per dirla con i numeri il programma triennale precedente disponeva di quasi 1.200 milioni di euro, mentre ora di appena 410 milioni. Prima, il 67% dei fondi era destinato alla realizzazione e riqualificazione di alloggi, ora soltanto il 54%, e la quota destinata alle case a canone sociale si è ridotta addirittura dal 64% al 30%. Cioè, in tre anni e in tutta la Lombardia si prevede che le Aler potranno aumentare l’offerta abitativa per le fasce più bisognose di misere 824 nuove unità.
Ma la cosa davvero incredibile è che tutto questo avviene esattamente nel momento in cui nelle aree metropolitane lombarde, in primis quella milanese, si sta marciando diritto verso una nuova emergenza abitativa, fatta di crescenti difficoltà di accesso alla casa per i ceti popolari e gli immigrati, di contratti di quartiere che nel capoluogo non funzionano proprio e di riqualificazioni che non arrivano mai. E così rimangono inascoltate anche le più recenti inchieste sul fabbisogno abitativo, nonché le segnalazioni sia dell’Anci Lombardia che dei sindacati inquilini, i quali hanno fatto rilevare che quello che maggiormente manca è esattamente l’edilizia sociale.
Beninteso, non viviamo sulla luna e sappiamo bene che c’è un grave e irrisolto problema di finanziamento dell’edilizia residenziale pubblica dopo la fine dei fondi ex-Gescal e che la Regione da sola non può certo risolverlo. Ma fa davvero specie, per usare un eufemismo, che il governo regionale lombardo, di fronte all’aggravarsi della questione abitativa, dica di non poter trovare più di 410 milioni di euro - peraltro comprensivi dei fondi statali! -, mentre per lo stesso triennio 2006-2008 ha messo in bilancio senza battere ciglio la bellezza di 470 milioni per la sua nuova sede amministrativa.
Non è dunque un mero problema di ristrettezza economica ma soprattutto di priorità. A noi pare che il diritto alla casa per i lombardi, siano essi nati qui o appena arrivati, sia ben più importante della nuova e superlativa sede di Regione Lombardia, considerato altresì che il Pirellone è stato appena ristrutturato e messo a nuovo. Quindi, se davvero non ci sono altri capitoli di bilancio a cui attingere, cosa di cui ci permettiamo di dubitare, allora Formigoni rinunci alla sua nuova e per nulla urgente torre di cemento.
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
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di lucmu (del 11/11/2006, in Politica, linkato 1180 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 11 novembre 2006
 
“Neocentrismo”, “seconda fase” eccetera. I neologismi si sprecano per nominare quella potente tendenza all’ammucchiata al centro, che dalle parti del centrosinistra si traduce nel progetto del partito democratico. Cioè, nell’intenzione di traghettare, con le buone o con le cattive, larga parte della sinistra verso l’integrazione nel modello socio-economico esistente, marginalizzando le istanze di alternativa e cambiamento.
Ma in fondo tutto questo lo sappiamo già e, semmai ce ne fosse bisogno, alcune stucchevoli polemiche seguite alla manifestazione del 4 novembre ce l’hanno ricordato. Quello che invece spesso si ignora è che non si tratta di semplici manovre di palazzo romane, ma di qualcosa di più esteso e profondo. E allora conviene volgere lo sguardo alla Lombardia, terra che tradizionalmente fa da laboratorio politico per l’intero paese, sia nel bene che nel male.
In Lombardia e a Milano l’egemonia politica e culturale delle destre, seppure indebolita rispetto a dieci anni fa, è ancora integra, così come appare tuttora irrisolta la crisi delle sinistre. Quindi non stupisce che proprio da qui parta l’offensiva più consistente, capitanata da Formigoni e, in misura minore, dalla sua collega-concorrente Moratti, per risalire la china dopo la sconfitta elettorale alle politiche. Quello che invece stupisce è che quella offensiva trovi interlocutori nella stessa Unione.
Ma cominciamo dall’inizio, cioè da quel 27 di luglio allorquando in Consiglio regionale, con i voti favorevoli del centrodestra, di Ds e Margherita, era stato approvato un ordine del giorno che consegnava a Formigoni il nulla osta per trattare con il governo nazionale alcune sciocchezzuole, tra cui il reperimento di fondi per le grandi opere autostradali (Pedemontana, Bre.Be.Mi. e Tem), il federalismo fiscale e l’avvio delle procedure per l’assegnazione alla Lombardia di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. In altre parole, una larga intesa su un pezzo di programma elettorale di Formigoni e, soprattutto, sul cavallo di battaglia del centrodestra nordista, cioè la devolution sotto mentite spoglie.
Un fatto che difficilmente può essere relegato a incidente di percorso, visto che la “mossa” era stata concordata con Enrico Letta, e che si annuncia denso di implicazioni, poiché la giunta formigoniana ha nel frattempo deliberato il documento di indirizzo per l’avvio della procedura per i poteri speciali –compresa l’istruzione-, convocato un consiglio regionale straordinario sull’argomento per il 13 e 14 novembre e annunciato la volontà di arrivare al voto formale in consiglio entro natale.
Insomma, in Lombardia la “seconda fase” sembra già in piena sperimentazione, mettendo a nudo l’indole profonda dell’operazione partito democratico. Ossia, la rinuncia ad un progetto politico alternativo e la mera competizione per la gestione dell’esistente, con tanti saluti alla nuova questione sociale che bussa alle porte. È come se i tanti anni all’opposizione nel regno di Formigoni si fossero tramutati in una gigantesca sindrome di Stoccolma in salsa padana.
A finire legittimato da quella disinvolta politica ulivista non è soltanto il presidente Formigoni, oggi appunto decisamente rafforzato, ma soprattutto il suo modello politico e sociale. Quel modello, tanto per intenderci, che privatizza il privatizzabile, salvo poi finanziarlo lautamente con denaro pubblico, come già accade con la sanità, la formazione professionale, la scuola privata  e a breve anche con i servizi al lavoro.

La Lombardia è più vicina a Roma di quello che comunemente si pensa e le performance dei sostenitori del partito democratico del nord rischiano dunque di condizionare il quadro nazionale. Ecco perché ci vorrebbe uno scatto straordinario di iniziativa e progettualità, anzitutto in loco, ma anche sul piano nazionale.

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di lucmu (del 16/11/2006, in Movimenti, linkato 1019 volte)
Si sono appena spenti gli echi dello sgombero del centro sociale che fu di Dax, cioè l’Orso, ed ecco che già sembra toccare al prossimo. Infatti, oggi in Consiglio di zona 8 è prevista la votazione di un ordine del giorno presentato dal centrodestra che chiede formalmente di sgomberare la Cascina Autogestita Torchiera.
A guardarla bene, la faccenda ha del grottesco, poiché non si capisce proprio a chi dovrebbe dare fastidio il Torchiera. La cascina, ubicata di fronte al Cimitero Maggiore, risale al XIV secolo e, all’inizio degli anni novanta, si trovava in stato di degrado avanzato, visto che le amministrazioni comunali dell’epoca se n’erano completamente disinteressate. Arrivò allora un gruppo di ragazzi del quartiere che iniziò di propria iniziativa i lavori di ristrutturazione, recuperandola. E così nacque uno spazio di aggregazione e di iniziativa sociale, in una zona della città che ne è peraltro priva.
Ma, alla parte più oltranzista della destra milanese, tutto ciò non sembra interessare. Interessa, invece, alimentare continuamente quella crociata contro i centri sociali, che poco c’entra con la tanto invocata legalità, ma molto con i miseri giochi di autopromozione politica. E allora, avanti con le richieste di sgombero e chi se ne frega se i ragazzi del Torchiera non si sono mai sottratti al dialogo con chicchessia.
Il nostro auspicio è che oggi il Consiglio di zona 8 faccia prevalere il buon senso e rinunci dunque a quella votazione. E, soprattutto, chiediamo al sindaco Moratti se non ritiene finalmente giunto il momento di togliere la copertura politica alle campagne d’odio di alcuni suoi alleati.
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
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Preoccupano non poco alcune notizie provenienti dall’odierna riunione del “Tavolo Milano”, in particolare quelle che parlano di una disponibilità da parte del Governo di accogliere, in sede di emendamento alla Finanziaria, alcune richieste di Formigoni sulle grandi opere autostradali.
Rifondazione Comunista ribadisce tutta la sua contrarietà sia all’ipotesi che, dopo la Pedemontana, venga dato il via libera anche alle inutili e faraoniche colate di asfalto come la BreBeMi e la Tem, sia al riconoscimento a Formigoni di poteri speciali in materia di concessioni autostradali, di cui proprio non capiremmo il senso.
Il “Tavolo Milano”, in materia di infrastrutture, non può essere un semplice duetto tra Governo e Formigoni e riteniamo pertanto imprescindibile coinvolgere nella discussione anche gli Enti locali i cui territori sono direttamente interessati dalle opere.
Infine, fa davvero specie che proprio nei giorni in cui Milano e la Lombardia si apprestano a battere nuovamente ogni record di inquinamento atmosferico, Formigoni non trovi niente di meglio che chiedere ancora più autostrade. Evidentemente il tema dell’ammodernamento e del potenziamento del trasporto pubblico ferroviario va bene unicamente per i comunicati stampa, ma mai quando si tratta di chiedere fondi.
Per questo, in Regione e a livello nazionale, continueremo a batterci perché in Finanziaria non entrino le richieste di Formigoni e si punti invece a investimenti significativi sul sistema ferroviario lombardo.
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
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Oggi Rifondazione Comunista ha formalmente sollecitato il Presidente della VII Commissione consiliare a mettere urgentemente in discussione il progetto di legge n. 109, “Norme concernenti le modalità di accesso alla previdenza integrativa”, presentato dai consiglieri regionali di Rifondazione Comunista un anno fa, ma mai messo all’ordine del giorno.
Non è certo la prima volta che progetti di legge presentati dalle opposizioni finiscono in una sorta di congelatore. Ma in questo caso sarebbe davvero incomprensibile e inaccettabile. Il pdl intende infatti intervenire sulla delicata questione del trasferimento del Tfr ai fondi pensionistici complementari. E visto che il recente decreto legge del Governo ha di fatto anticipato di un anno l’entrata in vigore della riforma, rimane poco più di un mese per poter intervenire.
Il progetto di legge regionale di Rifondazione prevede una cosa semplice, cioè  l’obbligatorietà della corretta informazione e dell’acquisizione del consenso esplicito del lavoratore da parte delle imprese. Una cosa di buon senso, si direbbe; eppure l’ambigua formula del silenzio-assenso, già prevista dalla riforma Maroni, è stata mantenuta anche nell’attuale normativa. In altre parole, o il lavoratore si attiva di sua volontà per esplicitare il diniego al trasferimento del suo Tfr oppure una bella mattina si sveglia e la sua liquidazione non c’è più.
Il giudizio negativo di Rifondazione sul decreto legge del 13 novembre scorso, già espresso dal Ministro Ferrero è di dominio pubblico. E non pretendiamo certo che il nostro giudizio venga condiviso come d’incanto dalle altre forze politiche lombarde. Ma pretendiamo che almeno si discuta di una proposta la quale semplicemente chiede che ai lavoratori venga riconosciuta e garantita la libertà di scelta sul destino del loro salario.
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui puoi scaricare il testo del progetto di legge del Prc

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di lucmu (del 27/11/2006, in Casa, linkato 1237 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberamente di novembre-dicembre 2006
 
Quando leggerete questo articolo, il Programma regionale per l’edilizia residenziale pubblica (Prerp) 2007-2009 sarà già stato approvato. Tuttavia, essendo, ahinoi, più che improbabile che il centrodestra accetti delle modifiche sostanziali, possiamo sin d’ora esprimere la nostra preoccupazione e il nostro giudizio completamente negativo.
Infatti, siamo di fronte a una riduzione secca dei fondi e a una diminuzione ancora più accentuata degli investimenti destinati all’aumento dell’offerta abitativa. Per dirla con i numeri, il programma triennale 2002-2004 disponeva di quasi 1.200 milioni di euro, mentre ora si prevedono appena 513 milioni, peraltro comprensivi dei fondi statali, mentre l’allocazione delle risorse disponibili subisce un vero e proprio rovesciamento a favore del sussidio della domanda (fondo sostegno affitti, acquisto prima casa) che ora assorbe oltre il 49% del totale, mentre nel triennio precedente non superava il 26%. A farne le spese, ovviamente, gli investimenti per aumentare il patrimonio pubblico.
Certo, l’unanime levata di scudi di opposizione, sindacati inquilini e Anci, aveva provocata qualche modesto aggiustamento rispetto alla proposta originaria, ancora più povera di fondi e scandalosamente punitiva con gli alloggi a canone sociale, ma il risultato finale riconferma ampiamente la direzione di marcia che intende imboccare la Giunta Formigoni in materia di case popolari.
Beninteso, non viviamo sulla luna e sappiamo bene che c’è un grave e irrisolto problema di finanziamento dell’edilizia residenziale pubblica, poiché ai fondi ex-Gescal non è ancora stata trovata un’alternativa valida, e che le Regioni non possano risolvere il problema da sole. Ma nel nostro caso non siamo di fronte ad un semplice limite imposto dall’esterno, bensì ad una precisa scelta politica. Infatti, basta spulciare velocemente il bilancio regionale per rendersi conto che i soldi si trovano tranquillamente quando interessa a Formigoni. Ci riferiamo ad esempio al fatto, per rimanere in tema di mattoni, che vengono stanziati la bellezza di 470 milioni per la nuova e superlativa sede amministrativa della Regione, per nulla necessaria e funzionale unicamente ai sogni di grandeur del “governatore”.
Meno fondi dunque, ma soprattutto meno nuovi alloggi, specie quelli destinati alle fasce sociali più bisognose. Così, nel triennio precedente si prevedevano 5.651 nuovi alloggi a canone sociale, ora soltanto 1.825. Una scelta apparentemente incomprensibile, viste non sole le più recenti inchieste sul fabbisogno abitativo, ma altresì le segnalazioni dei comuni lombardi e dei sindacati inquilini, i quali fanno rilevare che oggi vi è anzitutto scarsità di offerta abitativa rivolta ai settori sociali più svantaggiati. Ma appunto, le apparenze ingannano, e il tutto diventa leggibile se consideriamo la parola d’ordine dell’autofinanziamento del sistema che pervade l’intero Prerp.
La crisi del finanziamento pubblico funge in questo modo da potente alibi per aprire l’edilizia residenziale pubblica ai criteri di gestione privatistici o direttamente al privato, sia nella versione no profit che in quella profit. E così i dirigenti delle Aler non perdono occasione per invocare il problema della “redditività necessaria e sufficiente” del patrimonio pubblico affidato alla loro gestione, poiché “gli affitti sono determinati in funzione dei parametri di povertà delle famiglie senza tener conto dei parametri oggettivi relativi ai costi gestionali e manutentivi degli edifici”. Mentre l’ingresso dei privati dovrebbe essere stimolata mediante una strisciante revisione del concetto di edilizia residenziale pubblica, dove sempre di più trova spazio il principio del cosiddetto “mix sociale”, cioè interventi edilizi che affianchino in maniera crescente al canone sociale quelli più redditizi (convenzionato, concordato, finanziario, speciale ecc.).
Per concludere, esattamente nel momento in cui nelle aree metropolitane lombarde, in primis quella milanese, si sta marciando diritto verso una nuova emergenza abitativa -fatta di crescenti difficoltà di accesso alla casa per i ceti popolari e gli immigrati, di contratti di quartiere che nel capoluogo non funzionano proprio e di riqualificazioni che non arrivano mai- si imbocca la strada della smobilitazione dell’intervento pubblico e dell’abbandono al loro destino dei settori sociali più deboli.

E il nuovo Prerp rischia di essere soltanto il primo passo, poiché a breve toccherà ad altri provvedimenti, come quello relativo alla riforma dei canoni. Una strategia di stravolgimento della missione dell’edilizia residenziale pubblica, che è quella di rispondere ad un bisogno sociale, che va contrastata in ogni modo.

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di lucmu (del 29/11/2006, in Casa, linkato 1187 volte)
Oggi la V Commissione consiliare ha dato il via libera, a maggioranza, al Programma regionale per l’edilizia residenziale pubblica (Prerp) 2007-2009, che dunque verrà discusso in Aula il 5 dicembre prossimo.
Pur riconoscendo al nuovo assessore alla partita una disponibilità al dialogo ben diversa rispetto a quella del suo predecessore non possiamo che riconfermare il nostro giudizio decisamente negativo e preoccupato sul provvedimento della Giunta regionale. Infatti, mentre tutte le stime relative al fabbisogno abitativo nella nostra regione, in particolare nelle aree metropolitane, segnalano una crescente insufficienza dell’offerta rispetto alla domanda, la Giunta Formigoni non trova niente di meglio che tagliare drasticamente le risorse destinate alle politiche per la casa, specie per quanto riguarda la realizzazione e la riqualificazione degli alloggi.
Per dirla con i numeri, il programma triennale precedente disponeva di quasi 1.200 milioni di euro, mentre ora si intendono stanziare appena 512 milioni, comprensivi peraltro dei fondi statali. Un taglio che colpisce quasi esclusivamente gli investimenti sull’edilizia residenziale pubblica, che scendono così dagli 810 milioni di prima ai miseri 233 di oggi.
Ci pare davvero incredibile che tutto questo avvenga esattamente nel momento in cui si sta marciando diritto verso una nuova emergenza abitativa, fatta di crescenti difficoltà di accesso alla casa per i ceti popolari, che si tratti di cittadini italiani o stranieri, di contratti di quartiere che nel capoluogo non funzionano proprio e di riqualificazioni che non arrivano mai. E così rimangono inascoltate anche le voci sia dell’Anci Lombardia che dei sindacati inquilini, i quali hanno fatto rilevare come ciò che maggiormente manca è proprio quella parte di edilizia destinata ai settori sociali più disagiati.
E, francamente riteniamo fuori luogo l’argomento secondo cui non ci sarebbero i soldi, poiché basta spulciare il bilancio regionale per scoprire, ad esempio, che sono stati stanziati tranquillamente 470 milioni di euro per la nuova e superlativa sede amministrativa della Regione. Quindi, se i soldi davvero non ci sono, cosa di cui ci permettiamo di dubitare, allora Formigoni rinunci alla sua, per nulla urgente, torre di cemento e vetro.
A noi pare che le difficoltà di finanziamento fungano piuttosto da utile alibi per aprire l’edilizia residenziale pubblica a criteri di gestione privatistici e direttamente al privato. Certo, così i conti dell’Aler saranno forse più equilibrati e qualche immobiliare potrà fare un po’ di affari in più, ma in cambio si consegnerebbero le fasce sociali più deboli all’abbandono.
Per questi motivi chiediamo ancora una volta che la maggioranza di centrodestra cambi radicalmente strada, reperendo nuove risorse e soprattutto destinandole all’aumento dell’offerta abitativa per i ceti popolari.
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
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