Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
De Corato mente e sa di mentire quando definisce “clandestini” i profughi che hanno occupato uno stabile in stato di abbandono a Bruzzano, a Milano. E De Corato mente e sa di mentire quando spaccia la favola della “regia dei centri sociali”.
La realtà, purtroppo, è molto più banale e più misera. I quasi 200 profughi di Bruzzano provengono dai paesi del Corno d’Africa e dal Sudan, sono scappati da guerre o persecuzioni e in larghissima parte dispongono di documenti. Ebbene sì, perché lo Stato italiano è solito riconoscere la condizione di questi uomini e donne, dandogli un permesso per motivi umanitari o perché richiedenti asilo. Ma poi, subito dopo, il comportamento da nazione civile finisce e questa umanità disperata viene abbandonata sul territorio nazionale, con un semplice pezzo di carta in mano.
Molti di loro si spostano poi da sud a nord, perché hanno saputo che altri come loro si trovano là oppure, molto semplicemente, perché anche loro hanno capito che il nord è più ricco del sud. Ma una volta arrivati a Milano o in altre città scoprono l’inganno. La città sarà pure ricca, ma nemmeno qui le istituzioni hanno previsto qualche accoglienza. E così li troviamo regolarmente nei meandri più degradati della metropoli, nei vari viale Forlanini e Scalo Romana oppure nei dintorni della Stazione Centrale.
E se, infine, prendono qualche iniziativa, perché come tutti gli esseri umani non sono proprio felici di dover vivere come e con i topi, allora apriti cielo! Le istituzioni si svegliano e gridano allo scandalo. Oggi, come ai tempi di via Lecco, le parole degli amministratori milanesi sono sempre le stesse. Non se la prendono con uno Stato che non dispone di una politica coerente per l’accoglienza di profughi e rifugiati, ma rovesciano un mare di insulti sui più deboli e su quanti cercano di non lasciarli da soli del tutto.
Se il Vicesindaco fosse una persona seria e responsabile, allora batterebbe sì i pugni sul tavolo, ma per prendersela con il Governo e con il Parlamento, del quale peraltro fa parte in quanto deputato. Invece no, e così dobbiamo rivedere per l’ennesima volta lo stesso squallido film di potenti amministratori che si scagliano contro alcuni disperati e si inventano qualche capro espiatorio, pur di non doversi assumere le proprie responsabilità politiche ed istituzionali.
Non ci rimane che sperare, ma con sempre minor convinzione, che nelle istituzioni cittadine sia rimasto qualcuno che abbia proposte migliori che non quella che i profughi debbano andare a dormire sotto i ponti, stando possibilmente in silenzio e nascosti.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Stamattina gli uomini della Questura si sono presentati di fronte all’ex-residence di via Senigallia 6, in stato di abbandono da anni e occupato da centinaia di profughi del Corno d’Africa e del Sudan sin dalla notte del 17 aprile. Volevano fare il censimento dei presenti, come annunciato da giorni sulla stampa.
All’inizio i rifugiati non intendevano acconsentire, semplicemente perché non capivano bene cosa volesse fare la polizia e perché non si fidavano. Come al solito, la comunicazione non funziona tanto bene, per usare un eufemismo. Infatti, da anni a Milano si riproduce la medesima situazione: l’unica istituzione che parla con i rifugiati è la Questura, mentre chi dovrebbe farlo non ci pensa nemmeno.
Comunque, alla fine i rifugiati hanno deciso in assemblea di farsi censire, anche perché non c’era proprio nulla da nascondere. Anzi! Avevano chiesto soltanto che la stampa potesse assistere, perché tutti i milanesi vedessero che loro hanno tutti un regolare titolo di soggiorno, cioè che sono profughi. Ma niente da fare, la Questura ha negato fino alla conclusione delle operazioni di censimento l’accesso allo stabile occupato sia alla stampa, che a quanti che da giorni stanno vicini ai rifugiati, a partire dal centro sociale Cantiere. Alla fine è stato consentito di assistere al censimento soltanto al sottoscritto, in quanto consigliere regionale, e a Piero Maestri, in quanto consigliere provinciale.
Tutto si è svolto in maniera tranquilla, senza problemi. Due tavoli posti in mezzi all’atrio dell’ex-residence e cinque funzionari della Questura a raccogliere i dati dei profughi, i quali per oltre tre ore hanno pazientato in fila. Morale della storia? I “censiti” sono 299, più due bambini piccoli, di cui 28 donne. Di loro 210 sono di nazionalità eritrea, mentre gli altri si suddividono in etiopi, sudanesi e somali. E, soprattutto, sono tutti iper-regolari (salvo due accertamenti in corso, perché erano state presentate delle fotocopie): permessi per motivi umanitari e/o richiedenti asilo.
In altre parole, sono esattamente quello che dicevano di essere, cioè gente scappata da guerre e persecuzioni, e ora è la stessa Questura che deve smentire le ignobili parole di De Corato. A questo punto, così dicono in Questura, la palla passa al Prefetto, il quale dovrà decidere il da farsi.
Ma nel frattempo la situazione dei rifugiati non è per nulla semplice. Nello stabile non c’è elettricità e anche l’acqua è un problema serio, il cibo scarseggia e anche le coperte. Ecco perché, oltre alla solidarietà e all’impegno per trovare una sistemazione dignitosa –e non temporanea e poi tutto come prima, come è successo finora-, occorre anche una solidarietà immediata.
Sotto riproduciamo l’appello steso dai rifugiati stessi, che tra l’altro dice ciò di cui c’è bisogno nell’immediato. Comunque, per ora non portate pasta o riso, perché lì non si può ancora cucinare.
Insomma, portate qualcosa, se potete, oppure semplicemente fatevi un giro e portate la vostra presenza. Per ora troppo pochi si sono fatti vedere, sia singoli che associati. I rifugiati si trovano in via Senigallia al numero 6 , zona Bruzzano, Comune di Milano. Non potete sbagliare, il mostro lasciato dalla speculazione edilizia si riconosce subito.
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APPELLO DEI RIFUGIATI:
Per tutti quelli che potrebbero aiutarci
Abbiamo occupato una casa da tre giorni perché ne abbiamo bisogno. Chiediamo a tutte le persone che possono aiutarci di portarci cibo, acqua, vestiti, coperte, latte in polvere e cibo per bambini.
Siamo più di 400 persone da diversi Paesi tutti scappati da dittature e siamo qui per cercare protezione.
Innanzi tutto il nostro problema non è politico, ma è umanitario. Come abbiamo detto, siamo Eritrei, Etiopi, Somali, Sudanesi così noi chiediamo allo Stato Italiano di rispettare i nostri diritti di "status" di rifugiati politici, perché il governo italiano ci ha lasciato come spazzatura e allo stesso tempo siamo obbligati a vivere in Italia per le nostre impronte digitali.
Così da due giorni siamo senza cibo e nessuno ci sta ascoltando. Per noi rifugiati, come sapete, la comunità europea paga milioni di euro al governo italiano e noi stiamo chiedendo dove sono finiti tutti i nostri soldi, se loro non vogliono che viviamo in Italia buttate le nostre impronte digitali e noi troveremo la soluzione ai nostri problemi.
I rifugiati, occupanti di via Senigallia 6
Quanto successo oggi a Bruzzano è indegno per Milano. Le scelte della Prefettura, o di chiunque abbia deciso, sono irresponsabili e inaccettabili.
Stamattina alle 8.30 ingenti forze di polizia hanno circondato e blindato l’ex-residence occupato fin dalla notte di venerdì scorso da 300 profughi. Tutti loro, senza eccezione alcuna, si erano ieri sottoposti volontariamente al censimento della Questura di Milano. E tutti sono risultati essere quello che dicevano sin dall’inizio: rifugiati in possesso di regolari documenti rilasciati dallo Stato italiano, che attestano la loro condizione.
Eppure, dopo solo 12 ore dalla conclusione del censimento, la Questura ha cosiderato rifugiati soltanto quel centinaio di loro presenti dentro lo stabile all’inizio dell’odierna operazione di polizia. E soltanto a loro il Comune di Milano ha offerto delle sistemazioni temporanee in alcuni dormitori cittadini. Quanti sono rimasti all’esterno hanno invece subito un trattamento che di solito si riserva alle bestie. Diversi di loro si sono infatti dovuti far medicare dal personale delle ambulanze.
Infine, di fronte a tutto ciò, i rifugiati riuniti in assemblea hanno deciso di abbandonare di propria volontà lo stabile sostenendo di non aver mai cercato lo scontro con le forze di polizia, ma di aver semplicemente chiesto il rispetto dei loro diritti in quanto rifugiati.
In questo momento i profughi stanno vagando per le vie cittadine, circondati da centinaia di poliziotti in assetto di guerra.
Oggi è una giornata molto triste per le istituzioni cittadine e nazionali. A 300 profughi, riconosciuti come tali dallo Stato italiano, è stata offerta soltanto la polizia, qualche sistemazione precaria per alcuni mesi e la strada.
Oggi c’è proprio da vergognarsi di essere milanesi.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Se al corteo milanese del 25 aprile qualcuno verrà fischiato o contestato, per favore non facciamo gli scandalizzati. Meglio dircelo subito. E dovrebbero accettarlo anzitutto quanti in questi giorni e ore, tirando per la giacchetta le parole del Presidente Napolitano, invocano la “festa di tutti” per svuotare di ogni contenuto l’anniversario della Liberazione e conquistare un palcoscenico per loro stessi.
Il 25 aprile non è il ferragosto. È il giorno in cui si ricorda l’atto di nascita della nostra repubblica democratica, poi codificata nella Costituzione. Ed è il giorno in cui si rende omaggio agli artefici della liberazione, rigenerando la memoria dei loro sacrifici. Gli uomini e le donne della Resistenza prima di tutto, i militari che dopo l’8 settembre combatterono i nazisti, coloro che furono deportati, torturati, assassinati e tutti quelli che si opposero al fascismo e al nazismo.
Non occorrono patenti o determinate militanze politiche per essere a casa propria nel corteo del 25 aprile. Ma occorre una scelta di campo, cioè un’adesione ai principi e ai valori dell’antifascismo, questo sì. Quanti pensano che partigiani e repubblichini, antifascisti e fascisti siano cose equivalenti e quanti fomentano oggi un nuovo razzismo o considerano perfettamente normale che Milano ospiti raduni di nazifascisti e di negazionisti, farebbero meglio a non venire al corteo. Non perché lo diciamo noi o qualcun altro, ma per semplice coerenza loro.
Se invece vogliono venire lo stesso, per farsi fotografare e intervistare o perché pensano che sia giunto il momento di archiviare l’antifascismo, si accomodino pure, ma non pretendano applausi. E noi non diremo di certo a nessuno di non fischiarli.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Ci sono momenti che condensano meglio di mille dotte analisi il senso dei tempi in cui viviamo. E l’ultima settimana a Milano, tra rifugiati trattati come un mero problema di ordine pubblico e crociate anti-kebab trasformate in legge regionale, è uno di questi. Ma andiamo con ordine, giusto per non dimenticare.
Nella notte di venerdì 17 aprile 300 rifugiati africani sono emersi dall’invisibilità. Succede ciclicamente a Milano, perché la polvere sotto il tappeto ci rimarrà pure, ma non così gli esseri umani. Questa volta si sono materializzati nel quartiere Bruzzano, periferia nord. Il luogo è un monumento alla speculazione edilizia e all’abbandono delle periferie, che fa di Milano una città dalla percentuale di edifici vuoti e alloggi sfitti senza pari tra le metropoli europee. Tre casermoni gemelli, in mezzo un albergo funzionante, da un lato uno stabile sventrato stile Sarajevo e dall’altro quello occupato dai rifugiati, vuoto da molti anni.
Lunedì pomeriggio la Questura ha censito i rifugiati, smentendo il grido “sono clandestini!” del farneticante De Corato e stabilendo che erano 299, tutti con regolari permessi di soggiorno, tutti accolti dallo Stato italiano perché scappati da guerre e persecuzioni. In larga maggioranza eritrei e gli altri sudanesi, etiopi e somali. 28 donne, due bimbi e il resto uomini. Eppure, soltanto 12 ore più tardi è arrivata l’operazione di polizia. Avevano deciso che andava sgomberato l’edificio, il resto era un dettaglio. Ne sono seguiti tensione, inganni, proposte improvvisate di ospitalità precaria nei dormitori per una minoranza di loro e molte manganellate. Alla fine i rifugiati sono finiti per strada, qualcuno anche ferito.
Manco a dirlo, il coro ufficiale del giorno dopo ha subito assolto le istituzioni e accusato i rifugiati stessi e/o gli immaginari “registi occulti”, promettendo le denunce del caso. Nel frattempo i rifugiati avevano dormito al Pini, grazie all’ospitalità dell’associazione Olinda, poi sono scesi in corteo nel centro città e la seconda notte l’hanno passata sull’asfalto di Porta Venezia. Infine, giovedì, è arrivato l’epilogo momentaneo della vicenda, imposto con un’ulteriore esibizione di muscoli da parte della istituzioni. Così, un gruppo di rifugiati presenti al momento nei giardini di P.ta Venezia è stato prelevato dalla polizia e portato in un parcheggio sotterraneo di Quarto Oggiaro, ufficialmente per identificarli –ripetendo di fatto l’operazione di tre giorni prima…-, ma in realtà per imporre con la forza una “soluzione”.
I rifugiati, cioè il centinaio presente, poiché gli altri 200 censiti non sembrano più esistere per Comune e Prefettura, a questo punto hanno optato per la tregua, accettando per 15 giorni di stare in un centro comunale. Tregua durata comunque soltanto una notte, poiché gli accordi imposti con la forza e la minaccia tendono a non durare nel tempo.
E mentre le istituzioni giocavano a fare la guerra a 300 rifugiati, il centrodestra in Consiglio regionale, nello stesso giorno dello sgombero dei profughi, non ha trovato di meglio che approvare una legge regionale, composta da soli sei articoli, il cui unico scopo è quello di assecondare la campagna leghista contro le rivendite di kebab, considerate nemiche perché gestite in prevalenza da immigrati. Cioè, la medesima futile e misera ragione che aveva giù motivato le legge regionale contro i phone center.
E pur di farlo, non potendo ovviamente scrivere una legge speciale sulle sole kebaberie, hanno penalizzato anche le gelaterie, le rosticcerie e le rivendite di pizze al trancio, nonché contraddetto la legge n. 248/2006 (“decreto Bersani”). E così, tutte quelle imprese artigiane non potranno più mettere nemmeno una sedia davanti al negozio, né vendere bibite senza DIAP e dovranno chiudere entro l’una di notte, pena multe e chiusure forzate.
A tutto questo va aggiunta, inoltre, la norma regionale, inserita nella legge urbanistica il 3 marzo scorso, sempre su pressione della Lega, che dà ai Sindaci il potere discrezionale di vietare qualsiasi attività, qualora venga considerata “suscettibile di determinare situazioni di disagio a motivo della frequentazione costante e prolungata dei luoghi”. Cioè, anche qui, non solo le kebaberie, ma qualsiasi cosa.
Insomma, dei cassaintegrati e dei precari licenziati si parla sempre di meno, ma in cambio le istituzioni si scagliano, armati dei loro poteri e dei loro proclami, contro profughi africani, kebab e gelati. Sarà un caso?
Meno male che ieri c’è stato il bel 25 aprile, almeno abbiamo respirato un po’, nonostante le presenze indesiderate, e per un giorno abbiamo potuto far finta di non vivere in una città dove il ridicolo e lo squallido stanno diventando pubbliche virtù.
qui sotto puoi scaricare il testo integrale della legge regionale anti-kebab-gelati-eccetera
di lucmu (del 27/04/2009, in Lavoro, linkato 1803 volte)
Il gruppo Eutelia intende dismettere tutto il settore IT (Information Technology) e questo significherebbe licenziare 2.000 dipendenti, tra cui tutti i 500 lavoratori dello stabilimento di Pregnana Milanese. Chiediamo alla Giunta regionale di intervenire con la massima urgenza e determinazione nella vicenda, con l’obiettivo del mantenimento del sito milanese e dei suoi livelli occupazionali.
Stamattina i lavoratori dell’Eutelia hanno presidiato il Pirellone e sono stati poi ricevuti da due dirigenti regionali, ai quali hanno ribadito le loro richieste. Infatti, finora Regione Lombardia ha tenuto un profilo molto basso, non partecipando neanche all’incontro presso il Ministero dello Sviluppo Economico, tenutosi il 21 aprile scorso, che aveva invece visto la presenza delle altre Regioni interessate.
Oggi pomeriggio si terrà un ulteriore incontro al Ministero e questa volta almeno un funzionario della sede romana della Regione parteciperà. Bene, ma tutto ciò non basta. Occorre un salto di qualità, superando finalmente quel tabù politico e ideologico secondo il quale le istituzioni non devono “interferire” con il mercato, limitandosi dunque a un po’ di finanziamenti a pioggia per le imprese e agli ammortizzatori sociali per i lavoratori espulsi dal posto di lavoro.
Abbiamo i piedi per terra, conosciamo le competenze dei vari livelli istituzionali e sappiamo bene che una Regione, anche se si tratta della robusta Lombardia, non può fare miracoli. Ma sappiamo anche, come chiunque peraltro, che la mobilitazione del peso politico e istituzionale di Regione Lombardia modificherebbe sensibilmente i termini della questione. E questo vale in particolare per casi come quello di Eutelia, dove la crisi mondiale c’entra soltanto in parte, ma in cambio funge da utile foglia di fico.
Le difficoltà del gruppo Eutelia sono frutto anzitutto di scelte manageriali sbagliate, in parte riconducibili a ragioni e interessi estranei alla sua missione industriale. Infatti, è difficile sostenere che non ci sia più mercato per i servizi informatici offerti dalle aziende del gruppo, considerato che buona parte della clientela è costituita dalla Pubblica Amministrazione, compresi Parlamento, Ministeri e Regione Lombardia. E altrettanto difficile è ignorare la forte pressione degli interessi immobiliari, in vista dell’Expo, sull’area dove oggi sorge il sito di Pregnana Milanese.
A tutto ciò potremmo infine aggiungere la situazione a dir poco ambigua della famiglia Landi, il maggior azionista di Eutelia, indagata dalla magistratura per associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale e falso in bilancio per una somma, secondo gli inquirenti, di circa 41 milioni di euro.
Insomma, ci pare che tentare di dare un futuro ai lavoratori dell’Eutelia e salvaguardare il grande patrimonio di professionalità sia possibile, oltre che doveroso.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
P.S. già un anno fa Eutelia voleva mettere in Cassaintegrazione quasi 800 dipendenti, di cui 240 a Pregnana. Alla fine, per evitarlo le parti avevano concordato i contratti di solidarietà. Ma l’azienda, nonostante i risparmi derivanti dall’applicazione di questi, non ha mai lavorato su un piano industriale serio e ora vogliono semplicemente chiudere.
La sospensione permanente della libertà di manifestare in alcuni luoghi pubblici di Milano, tra cui piazza Duomo e Palazzo Marino, annunciata da Moratti, De Corato e Prefetto, è illegale e non sarà, da parte nostra, né condivisa, né rispettata. Anzi, qualora sciaguratamente il centrodestra dovesse davvero imporre tali divieti incostituzionali, inviteremo i cittadini alla disobbedienza.
Il tentativo di imbavagliare i cittadini, specie quelli che non la pensano come il centrodestra, si basa formalmente sulla direttiva del Ministro Maroni del 23 gennaio scorso, la quale rappresenta un autentico capolavoro di acrobazia giuridica. Infatti, essa tenta surrettiziamente di modificare le prescrizioni dell’articolo 17 della Costituzione e le stesse norme di legge in materia (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), che prevedono il divieto di manifestare unicamente per “comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.
È questo palese carattere anticostituzionale che spiega il tentativo del centrodestra di coinvolgere nella decisione anche le forze politiche e sociali estranee alla maggioranza di governo, che così fornirebbero legittimità a un provvedimento illegittimo. Purtroppo a Roma il Pd e i sindacati confederali avevano collaborato e il prezzo l’hanno pagato poi gli studenti della Sapienza, a suon di manganelli. Auspichiamo pertanto che a Milano non si voglia ripetere questo madornale errore.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui sotto puoi scaricare il testo integrale della Direttiva Maroni sulle manifestazioni
di lucmu (del 05/05/2009, in Lavoro, linkato 1069 volte)
Regione Lombardia, i sindacati confederali Cgil-Cisl-Uil e le associazioni imprenditoriali hanno firmato il 4 maggio l’Accordo Quadro per gli ammortizzatori sociali in deroga, valido per gli anni 2009-2010. Con questa intesa si dà finalmente applicazione in Lombardia all’accordo tra Governo e Conferenza delle Regioni del 12 febbraio scorso e si definiscono i criteri e le modalità dell’erogazione dello stanziamento di 1,5 miliardi di euro (per il biennio e per la nostra regione).
Gli ammortizzatori “in deroga” riguardano tutti quei lavoratori che non possono accedere agli strumenti ordinari (cassa integrazione, mobilità ecc.), che vengono gestiti nazionalmente. In altre parole, riguardano le sempre più numerose figure precarie (tempo determinato, “somministrati”, soci dipendenti dalle cooperative, apprendisti, lavoratori a domicilio ecc.), comprese quelle dipendenti da aziende che giuridicamente non sono organizzate come imprese, e i lavoratori e le lavoratrici delle piccole aziende e di quelle comunque escluse dalla CIG.
Una dichiarazione congiunta “a verbale”, cioè parte dell’Accordo, riguarda inoltre i lavoratori non comunitari, con la finalità di intervenire mediante una “sperimentazione”, da definire a breve, al fine di “evitare che si verifichino le condizioni previste dalla normativa vigente relativa alla scadenza del premesso di soggiorno e come misura di contrasto al lavoro sommerso”.
Questo accordo non è ovviamente l’accordo di cui ci sarebbe bisogno, poiché le risorse messe a disposizione paiono insufficienti per poter far fronte alla situazione drammatica che vive il mondo del lavoro. Tuttavia, va sottolineato che rappresenta un passo avanti -grazie anche alle numerose pressioni esercitate in tal senso in Consiglio da parte delle opposizioni-, considerato che fornisce una qualche copertura a settori di lavoratori finora esclusi del tutto dal sistema degli ammortizzatori sociali.
Qui sotto, cliccando sull’icona, puoi scaricare il testo completo dell’Accordo firmato il 4 maggio (3 Mb).
di lucmu (del 06/05/2009, in Lavoro, linkato 1128 volte)
Oggi pomeriggio la Commissione VII del Consiglio regionale ha ricevuto e ascoltato in audizione i rappresentanti sindacali delle addette alle mense scolastiche, che a Milano sciopereranno il 12 maggio.
Chiunque sa chi sono le “scodellatrici”, poiché incontriamo queste lavoratrici in tutte le mense scolastiche, dalle materne alle medie, ma quasi nessuno conosce la loro drammatica condizione lavorativa e reddituale. Sono quasi tutte donne, assunte da cooperative a tempo parziale (da 2,5 a 4 ore al giorno) e lavorano nemmeno per tutto l’anno, vista la chiusura estiva delle scuole.
In altre parole, non solo il loro stipendio si colloca tra i 300 e 500 euro mensili per un numero di mensilità limitato (tra 9 e 10), ma nel periodo di disoccupazione forzata non possono accedere a nessuna forma di ammortizzatore sociale non rientrando nell’attuale normativa, cioè non hanno né la cassa integrazione, né l’indennità di disoccupazione e di conseguenza non percepiscono nemmeno gli assegni famigliari né vengono loro pagati i contributi previdenziali. Cioè, le migliaia di addette alle mense scolastiche, oltre 3mila soltanto a Milano e Provincia, sono semplicemente escluse dal sistema vigente.
Nell’esprimere la nostra completa solidarietà alla loro mobilitazione, chiediamo alla Giunta regionale di farsi carico della loro situazione, anzitutto sollecitando formalmente Governo e Parlamento ad operare le opportune modifiche normative affinché queste lavoratrici possano accedere agli ammortizzatori sociali per il periodo di disoccupazione. In secondo luogo, nel frattempo la Regione si attivi autonomamente, cioè con proprie risorse e strumenti - anche alla luce dell’accordo sugli ammortizzatori sociali in deroga firmato il 4 maggio - per garantire un sostegno al reddito per l’estate 2009.
Sono peraltro le medesime richieste già contenute in due proposte di mozioni (una del Prc e di altri gruppi e l’altra del Pd), che giacciono da due settimane negli uffici del Consiglio, in attesa della loro messa all’ordine del giorno.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui sotto puoi scaricare il testo della proposta di mozione
Il vero e proprio coro di condanna levatosi nel centrodestra contro le ignobili dichiarazioni di Salvini suona terribilmente ipocrita. Non basta essere antirazzisti per un giorno, se per il resto dell’anno si asseconda il continuo incitamento all’odio razziale, di cui la Lega è maestra, ma non solitaria. E non bastano le parole, occorrono dei fatti concreti, specie il giorno dopo l’illegale respingimento di massa verso la Libia e alla vigilia del voto di fiducia sul ddl “sicurezza”.
In questo senso è più che eloquente l’imbarazzante silenzio del Presidente Formigoni, che con la Lega governa la Lombardia da lunghi anni e che, in cambio dell’appoggio leghista agli affari di Comunione e Liberazione, concede loro l’approvazione di atti e leggi, il cui unico senso è discriminare qualcuno e fomentare l’ostilità tra cittadini autoctoni e bianchi e cittadini immigrati o figli di immigrati.
E se la memoria è troppo corta, allora cerchiamo di dare una mano per ricordare alcuni fatti recenti, a partire dall’approvazione, soltanto due settimane fa, della legge regionale contro le rivendite di kebab. In quella occasione, pur di accontentare la crociata della Lega, Formigoni e il PdL non hanno esitato a colpire economicamente anche gelaterie, rosticcerie e pizzerie d’asporto. Insomma, la medesima logica che aveva portato il Consiglio regionale a votare nel 2006 una legge palesemente illegittima contro i phone center, colpevoli di essere gestiti soprattutto da immigrati. Quella legge ha fatto poi la fine che doveva fare, cioè sei mesi fa è stata dichiarata illegittima e nulla dalla Corte Costituzionale, ma nel frattempo aveva ottenuto i suoi obiettivi, costringendo alla chiusura centinaia di legittime attività commerciali e rovinando economicamente i loro gestori.
E che dire dell’inserimento nelle varie modifiche della legge regionale sul governo del territorio, ad opera dell’Assessore leghista all’urbanistica e con il consenso di tutto il centrodestra, di norme che con l’urbanistica non c’entrano un fico secco, ma in cambio fanno tanto comodo alle campagne della Lega contro gli islamici e i rom?
Prima era stato introdotto l’obbligo “urbanistico” di acquisire l’autorizzazione del Sindaco per poter pregare in uno spazio non classificato “luogo di culto”, anche se regolarmente affittato e anche in assenza di opere edilizie, e poi sono state varate delle norme ostative all’edificazione di appositi luoghi di culto.
Per quanto riguarda i rom, la legge urbanistica è stata usata persino per abrogare delle norme contenute nella legge regionale n. 77/89 (Azione regionale per la tutela delle popolazioni appartenenti alle etnie tradizionalmente nomadi e seminomadi), come quella che prevedeva l’obbligo di favorire la “sedentarizzazione dei nomadi”, di “evitare qualsiasi forma di emarginazione urbanistica” e di “facilitare l’accesso ai servizi e la partecipazione dei nomadi alla vita sociale”. Ma in questo caso il danno era anzitutto simbolico, poiché è l’intera legge n. 77, sebbene perfettamente vigente, ad essere semplicemente ignorata e disapplicata. Infatti, su richiesta della Lega, da molti anni il bilancio regionale non la rifinanzia, con la conseguenza che i Comuni non ricevono i fondi regionali che per legge spettano loro.
Potremmo andare avanti a lungo, limitandoci soltanto alla Regione, ma ci pare che il concetto sia chiaro.
Chiediamo quindi ai tanti dichiaranti di queste ore che fatti intendono far seguire alle loro parole, a partire dal ddl “sicurezza”. E al Presidente Formigoni, qualora decidesse di rompere il silenzio, chiediamo semplicemente di risparmiarci le ipocrisie e di chiarire invece quali iniziative intende assumere affinché in Regione cessi la complicità con le campagne d’odio della Lega.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
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