Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Il tribunale fallimentare di Roma ha disposto oggi l’amministrazione straordinaria di Agile (ex-Eutelia), rigettando la richiesta di concordato da parte della proprietà, il famigerato gruppo Omega.
L’amministrazione straordinaria, cioè il commissariamento, era in realtà all’ordine del giorno da lungo tempo. Era stata richiesta sia dalla Fiom, che da alcune parti politiche.
Per quanto ci riguarda, eravamo tra i primi ad indicarla pubblicamente come unica strada credibile già nell’ottobre scorso, allorquando furono annunciati oltre mille licenziamenti. L’avevamo poi ribadita in seguito all’occupazione della sede Agile/Eutelia di Pregnana Milanese il 4 novembre 2009 e, infine, l’avevamo portata anche formalmente in Consiglio Regionale alla fine di novembre, ma il centrodestra lombardo aveva posto il suo veto su questa richiesta.
Ora, finalmente, il tribunale ha respinto anche l’ultimo tentativo di impedire il commissariamento da parte del gruppo Omega, il quale, è bene ricordarlo, sta a capo delle scatole cinesi che racchiudono la truffaldina operazione fatta ai danni dei lavoratori e delle lavoratrici ex-Eutelia.
A questo punto, auspichiamo che i commissari che vengono nominati, probabilmente ancora in giornata, siano all’altezza del difficile compito di salvaguardare competenze, conoscenze e posti di lavoro e, soprattutto, che il governo e le istituzioni facciano immediatamente la loro parte, cooperando attivamente con i commissari, invece di fare orecchie da mercante.
Infine, una considerazione d’obbligo. Se dopo tanto tempo è arrivato finalmente il commissariamento, questo è merito anzitutto e soprattutto dei lavoratori e delle lavoratrici, che con la loro tenacia hanno vinto le mille manovre dei capi del gruppo Omega e l’inconsistenza dell’azione di Governo e Regione.
Per domani mattina, mercoledì 21 aprile, alle ore 10.30, è stata convocata un’assemblea aperta dai lavoratori presso la sede dell’Agile di Pregnana Milanese, occupata da oltre 5 mesi.
 
 
Giovedì 20 maggio lo Statuto dei Lavoratori, cioè la legge n. 300/70, compie 40 anni di vita. Era stata una conquista epocale per i lavoratori e le lavoratrici italiani, perché aveva fissato per prima volta nel nostro ordinamento dei principi come quello del divieto di licenziamento senza giusta causa (art. 18).
Al momento della sua approvazione, in conseguenza dell’”autunno caldo” del 1969, i settori più combattivi del movimento dei lavoratori consideravano lo Statuto dei Lavoratori troppo moderato. Oggi, con i tempi decisamente cambiati, lo Statuto dei Lavoratori appare invece come una delle ultime dighe di civiltà di fronte alla prepotenza padronale.
Infatti, lo Statuto è sotto attacco perenne delle organizzazioni padronali e delle destre (e, ahinoi, non solo), sebbene sia già un po’ ammaccato a causa della dilagante precarizzazione del lavoro e della vita, che di fatto ha reso inapplicabile una serie di principi fondanti della legge 300/70 per un numero crescente di lavoratori e lavoratrici, specie quelli più giovani.
Ma tutto ciò sembra non bastare e lo Statuto dei Lavoratori continua ad essere bersaglio di scorrerie ideologiche e, soprattutto, di operazioni normative. Proprio in questi giorni, ad esempio, quando si avvicina il 40° anniversario, in Parlamento si discute del “collegato lavoro”, che dopo essere stato rimandato alle camere dal Presidente della Repubblica (a causa dell’uso truffaldino dell’arbitrato per neutralizzare l’articolo 18), ora rischia di tornare in versione persino peggiorata. E l’obiettivo fondamentale resta sempre il medesimo: la libertà di licenziare, cioè l’aggiramento dei diritti dei lavoratori fissati nello Statuto, in particolare quello del divieto di licenziamento senza giusta causa.
Insomma, la crisi viene utilizzata per riproporre con determinazione e brutalità quelle ricette che hanno contribuito in maniera decisiva a causare la crisi stessa: libertà di fare quello che vogliono per i capitali e gli speculatori e riduzione di diritti e potere d’acquisto per i lavoratori.
E in mezzo a tutto questo ci sono poi le persone in carne ed ossa, gli uomini e le donne e loro famiglie che rischiano il posto di lavoro e, dunque, la fonte di reddito. Molti di loro non ci stanno, reagiscono, lottano e chiedono l’intervento delle istituzioni, non semplicemente per l’elargizione di qualche ammortizzatore sociale, ma per la difesa dei posti di lavoro.
Molti di loro, in questi anni, hanno bussato ripetutamente alle porte del Pirellone. Pochissimi hanno ottenuto risposte sensate. E oggi, sono ancora lì. Ieri gli operai e le operaie della Maflow di Trezzano sul Naviglio, hanno montato un gazebo in piazza Duca D’Aosta, davanti al Pirellone e continuano a stare lì. Sono passati anche quelli dell’Agile (ex-Eutelia) di Pregnana Milanese, vittime di speculatori e banditi economici senza scrupoli.
E domani 20 maggio, anche grazie all’iniziativa dei sindacati Fiom e Cub, si sono dati appuntamento alle ore 10.00, insieme agli operai metalmeccanici in lotta di molte aziende in crisi del milanese (Mangiarotti Nuclear, Lares, Metalli Preziosi, Novaceta, Marcegaglia ecc.), per una manifestazione.
Chiedono per l’ennesimo volta una risposta e un’iniziativa forte alle istituzioni, a partire dalla Regione. E questo sarebbe già sufficiente per motivare una presenza solidale domattina, anche se solo per alcuni minuti. Ma il 20 maggio, appunto, è anche il 40° anniversario dello Statuto dei Lavoratori e non c’è modo migliore di ricordare che i diritti non si toccano che sostenere la mobilitazione degli operai delle aziende in crisi.
Appuntamento: giovedì 20 maggio, ore 10.00, in piazza Duca D’Aosta (davanti al Pirellone)
 
 
di lucmu (del 27/05/2010, in Lavoro, linkato 1397 volte)
Scioperare contro la manovra del Governo è giusto, anzi giustissimo.
Bene ha fatto il sindacalismo di base, con la neonata Usb (Unione Sindacale di Base), ad indire una manifestazione nazionale il 5 giugno e uno sciopero generale del pubblico impiego per il 14 giugno.
Un po’ meno bene ha fatto la Cgil, che finora si è limitata a parlare di uno sciopero di sole 4 ore entro giugno. Malissimo continuano a fare invece Cisl e Uil, che balbettano cose incomprensibili e, soprattutto, ribadiscono le loro relazioni privilegiate e consociative con il Governo e Confindustria.
Mobilitarsi contro la manovra governativa non è una questione pregiudiziale o un esercizio di irresponsabilità in un momento di crisi, come sostengono i portavoce del centrodestra e delle associazioni padronali, ma il suo esatto contrario: è un atto di decenza e di responsabilità di fronte a una Finanziaria socialmente iniqua ed economicamente depressiva.
Ancora oggi, due giorni dal suo varo, il testo esatto del decreto legge “Misure urgenti finalizzate alla stabilizzazione finanziaria e alla competitività economica” non è ancora disponibile e le discrepanze tra i vari organi di stampa nel descrivere il provvedimento ne è una riprova. Inoltre, il passaggio nelle aule parlamentari apporterà verosimilmente delle modifiche, forse migliorative, se le pressioni saranno sufficientemente forti, oppure addirittura peggiorative, come farebbero intendere alcuni rumors.
Fatta questa premessa, le disposizioni fondamentali contenute nella manovra di 24,9 miliardi di euro sono però conosciute e risulta evidente che il peso dei “sacrifici” grava anzitutto sulle spalle dei lavoratori e dei ceti sociali economicamente più deboli.
In primo luogo, ai 3,5 milioni di dipendenti pubblici (Ministeri, Regioni, Province, Comuni, Sanità, Scuola ecc.) viene imposto il blocco delle retribuzioni e dei rinnovi contrattuali per 3 anni, che a conti fatti saranno de facto almeno 4. In base al calcolo fatto oggi dal Corriere della Sera, ipotizzando nel prossimo triennio un’inflazione del 4,5%, come sostengono le attuali previsioni, il blocco degli stipendi si tradurrà in una perdita media di 1.600 euro a lavoratore pubblico.
Visti la situazione generale e gli stipendi molto modesti dei dipendenti pubblici, questa perdita salariale avrà effetti molto concreti sulla vita delle persone e delle famiglie. Molto più aleatori e simbolici sono invece i tanto strombazzati “sacrifici” imposti ai dirigenti della pubblica amministrazione: una riduzione del 5% della quota eccedente i 90mila euro di retribuzione e del 10% di quella eccedente i 150mila euro… Insomma, alla pari dei tagli delle indennità dei parlamentari, ancora tutti da definire peraltro, queste riduzioni sono poco più che specchietti per le allodole, esibiti nel tentativo di far digerire la manovra vera.
In secondo luogo, rimanendo sempre nel pubblico impiego, nelle pieghe della manovra e nel nome dell’austerity, hanno pensato bene di disapplicare alcune norme fondamentali del T.U. sulla sicurezza sul luogo di lavoro (ex 626). A quanto risulta allo stato, questa disapplicazione riguarderebbe genericamente le “pubbliche amministrazioni” e, quindi, potenzialmente anche luoghi come scuole e ospedali…
In terzo luogo, c’è un nuovo intervento sulle pensioni, sia sul versante dell’età pensionabile, con un’accelerazione dell’aumento dell’età pensionabile per le donne nel pubblico impiego, che su quello della riduzione del numero di “finestre” (per pubblico e privato).
Giusto per la cronaca, visto che ormai, in base a una presunta insostenibilità del sistema, si mette mano alle pensioni con una certa regolarità, determinando così una sorta di riforma delle pensioni permanente, è utile ricordare che il fondo lavoratori dipendenti dell’Inps risulta essere in attivo, di miliardi, da qualche anno!
In quarto luogo, il taglio più forte, dell’entità di quasi 15 miliardi di euro, si dovrebbe abbattere sulle Regioni e sugli enti locali. In altre parole, il Governo taglia le risorse a Regioni e Comuni e questi saranno costretti a scegliere tra due alternative: o tagliare i servizi oppure farli pagare di più agli utenti. E non bisogna essere certo dei geni in economia per capire che questi tagli si ripercuoteranno soprattutto sui ceti popolari.
Potremmo ricordare tante altre misure ancora, come l’aumento della percentuale di invalidità per poter ottenere un sostegno pubblico, ma ci fermiamo qui, segnalando tuttavia che tra tanti che piangono, c’è anche qualcuno che ride. Infatti, se invece di essere un lavoratore pubblico, un giovane precario o un operaio in cassa, sei uno che si è dedicato all’abusivismo edilizio, allora per te c’è un premio: arriva l’ennesimo condono (secondo Tremonti del valore di 1 mld di euro).
Questa manovra è dunque profondamente iniqua, nella misura in cui colpisce i soliti noti. Cioè, quelli che, prima della crisi, erano chiamati alla moderazione salariale e alla precarietà, perché altrimenti l’economia non poteva funzionare, e che ora devono pagare pure il conto del fallimento di quella economia, perché altrimenti non si esce mica dalla crisi. Cornuti e mazziati, insomma.
Ma, appunto, la manovra non è soltanto iniqua, è anche senza prospettiva futura. Non solo non si prende atto del fallimento del modello liberista -perché la crisi non è un incidente di percorso, bensì la crisi di un modello-, ma addirittura si rilanciano con brutalità inaudita i suoi capisaldi: privatizzazioni e deregolamentazioni, smantellamento del welfare, precarietà, bassi salari e zero diritti.
Tutti parlano della necessità della ripresa economica per superare la crisi. Bene, siamo d’accordo, ma chi cavolo comprerà le merci se si continua ad impoverire i lavoratori?
Proprio in questi giorni è stato pubblicato il rapporto annuale dell’Istat e il dato saliente che emerge è che la crisi ha colpito con particolare violenza i giovani. Leggetevi la sintesi del rapporto, è illuminante, poiché non dà soltanto i numeri dell’impatto della crisi sui giovani, ma sottolinea altresì che in Italia gli abbandoni scolastici sono superiori alla media europea. E poi arrivano la Gelmini e Tremonti con i loro tagli e le loro “riforme”…
Insomma, scioperare contro questa manovra è giusto, anzi giustissimo!
 
CLICCANDO SULL’ICONA QUI SOTTO PUOI SCARICARE IL TESTO DEL DECRETO LEGGE LICENZIATO DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI
 

Scarica Allegato
 
Sabato 5 giugno si terranno a Milano due mobilitazioni a cui vale la pena partecipare, sebbene si tengano purtroppo in contemporanea, ma in cambio a poca distanza. Insomma, vedete voi, se non siete via per il ponte, andateci, almeno a una.
- Alle ore 15.00, in Largo Cairoli, si trovano i lavoratori e le lavoratrici dei sindacati di base Usb, Confederazione Cobas e Slai-Cobas, per la manifestazione regionale contro la manovra economica del Governo. In contemporanea c’è anche un corteo nazionale a Roma.
La parola d’ordine della manifestazione è “la crisi va pagata da chi l’ha provocata”. Noi siamo completamente d’accordo. Comunque, se volete conoscere meglio le posizioni dei sindacati di base andate a visitare i loro siti: Usb, Confederazione Cobas e Slai-Cobas.
Infine, vi segnaliamo che si tratta della prima mobilitazione sindacale contro la manovra che si tiene in Italia.
- Sempre alle ore 15.00, in piazza Cordusio, si tiene l’iniziativa convocata dal Comitato Primo Marzo e dal Comitato Immigrati in Italia “contro la sanatoria truffa”. Il riferimento è alla sanatoria di colf e badanti di un anno fa e al fatto, poco conosciuto a livello pubblico, che molti lavoratori e lavoratrici immigrati che hanno partecipato alla sanatoria si trovano oggi inguaiati, chi per disonestà del datore di lavoro, chi per i meccanismi poco trasparenti della sanatoria. Comunque, se volete approfondire di più la vicenda della sanatoria 2009 vi consigliamo lo speciale di melting pot.
 
Da parte nostra condividiamo le motivazioni e le richieste di ambedue le iniziative. E quindi, invitiamo a partecipare.
 
 
Il blitz notturno, organizzato dalla direzione della Mangiarotti Nuclear Spa, con il quale sono stati asportati dallo stabilimento di viale Sarca, a Milano, alcuni manufatti, rappresenta una grave provocazione da parte dell’azienda, resa possibile soltanto grazie al vuoto di iniziativa da parte delle istituzioni, in particolare di Regione Lombardia.
Com’era già successo a suo tempo nel caso dell’Innse di Lambrate, l’immobilismo delle istituzioni viene interpretato dalla proprietà come un via libera ad atti provocatori, tesi ad imporre con i fatti compiuti ciò che non soltanto è insensato, ma anche illegale.
Il governo regionale lombardo era stato investito del caso Mangiarotti Nuclear all’inizio dell’anno, anche grazie alla nostra iniziativa istituzionale. E nonostante fosse palese che il progetto di chiusura dello stabilimento milanese non era giustificato e che la direzione aziendale aveva violato gli accordi sindacali sottoscritti, l’Assessore regionale al Lavoro, Rossoni, aveva dato parere positivo all’estensione della cassaintegrazione alla totalità delle maestranze.
La collocazione in Cigs degli operai della Mangiarotti è stata poi revocata, all’inizio di marzo, su iniziativa del giudice del lavoro, che aveva accolto pienamente il ricorso della Fiom e sbugiardato di fatto l’Assessore regionale.
Da tre mesi, dunque, gli operai sono tornati al lavoro, ma Regione Lombardia è rimasta sonnolente, come se la questione della salvaguardia dell’attività produttiva e dei posti di lavoro fosse una questione che riguarda soltanto i lavoratori e il giudice.
Chiediamo quindi nuovamente e con forza quanto avevamo già chiesto ripetutamente nei primi mesi dell’anno: il governo regionale intervenga al fianco degli operai, della legge e del buon senso. E lo faccia subito, ponendo un freno all’arroganza padronale.
E lo chiediamo in particolare al nuovo Assessore all’Industria, Andrea Gibelli, perché non ripeta le inqualificabili ed incompetenti performance del suo predecessore, Romano La Russa.
Nel frattempo, esprimiamo il nostro completo sostegno agli operai della Mangiarotti, che in questo momento stanno presidiando gli uffici della direzione aziendale, riconfermando il nostro impegno al loro fianco.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
visita il blog della Rsu della Mangiarotti Nuclear di Milano
 
 
Gli operai della Mangiarotti Nuclear, in seguito alla provocazione padronale, hanno prima presidiato la sede della direzione aziendale a Milano, in via Piero e Alberto Pirelli n. 6, e poi anche occupato gli uffici.
La proprietà, che si trova in Friuli, ha chiesto immediatamente l’intervento delle forze dell’ordine per liberare con la forza gli uffici, ma il Questore non gli ha dato per ora retta, anche perché il Prefetto di Milano, dopo aver anche sentito nel tardo pomeriggio i dirigenti milanesi della Fiom, ha deciso di convocare per domani mattina, alle 11.00, presso la Prefettura, le parti, compreso il proprietario che dovrà muoversi da Udine.
Allo stato, dunque, gli uffici della direzione in via P.e A. Pirelli sono occupati da un gruppo di operai e davanti alla sede del palazzo è in corso un presidio. E questa situazione non cambierà fino a quando non si saprà l’esito dell’incontro di domani mattina in Prefettura. Dopo, gli operai decideranno.
 
 
di lucmu (del 10/06/2010, in Lavoro, linkato 1311 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale AprileOnline.info il 10 giugno 2010
 
In fondo a viale Sarca, alla periferia nord-est di Milano, proprio sul confine con Sesto San Giovanni, la fu "Stalingrado d'Italia", si trova la Mangiarotti Nuclear. I suoi operai, un centinaio, sono in lotta dall'anno scorso per impedire la chiusura dello stabilimento e la perdita del posto di lavoro.
Ieri hanno dovuto affrontare l'ennesima provocazione del management che, come i ladri di pollo, aveva approfittato della notte per portare fuori dalla fabbrica due manufatti, nonostante questo contravvenisse alla sentenza del Tribunale di Milano. Gli operai hanno reagito e sono andati ad occupare gli uffici della direzione nella vicina via Pirelli, dove hanno passato la notte.
Ma quello che è successo in questi giorni non è che l'epilogo provvisorio di una storia che si trascina da tempo e dove l'elemento dominante non è tanto l'arroganza padronale, ma piuttosto il menefreghismo delle istituzioni territoriali -Comune di Milano, Provincia e Regione- che la rende possibile.
Lo stabilimento, che produce componenti per centrali nucleari, aveva attraversato tutte le fasi della deindustrializzazione del territorio milanese. Una volta era della Breda, poi si trasformò in Ansaldo Energia e, poi ancora, nel 2001, fu ceduto al gruppo bresciano Camozzi, l'attuale proprietario dell'Innse. Quest'ultimo, due anni fa, vendette la fabbrica, ma non il terreno, alla Mangiarotti Nuclear Spa, con sede nel Friuli.
A questo punto, però, i guai per gli operai di viale Sarca iniziarono a farsi seri, poiché apparve subito chiaro che la nuova proprietà non era interessata a mantenere in vita lo stabilimento milanese. Beninteso, non perché mancasse il lavoro, visto il tipo di produzione e la presenza di una commessa internazionale nuova di zecca della Westinghouse, per la produzione di componenti per una centrale in Cina, ma perché intendeva spostare la produzione in un nuovo impianto friulano.
E così, dopo aver firmato il 30 aprile 2009 un accordo sindacale, in cui si impegnava "al mantenimento dello stabilimento produttivo di Milano", confermando "la fabbricazione di componenti nucleari, attualmente acquisiti", la proprietà fece invece l'esatto contrario.
Cioè, nell'autunno spostò tutto il lavoro della commessa in Friuli e chiese l'estensione della cassa integrazione alla totalità dei lavoratori addetti alla produzione. In altre parole, chiese il via libera per la dismissione dell'attività produttiva.
Nonostante fossero manifesti la violazione degli accordi sindacali, l'illegittimità della richiesta di Cigs e il carattere pretestuoso dello spostamento della produzione, Regione Lombardia diede "parere non ostativo" alla richiesta aziendale, come comunicò formalmente il 12 gennaio scorso in Consiglio, in risposta alla nostra interrogazione, l'assessore regionale al lavoro.
L'azienda aveva motivato lo spostamento della produzione con gli eccessivi costi di trasporto da Milano, ma è un ragionamento che non sta in piedi. Infatti, a pochi chilometri da viale Sarca si trova lo stabilimento dell'Innse, che ha ripreso alla grande la produzione. E che cosa produce? Componenti per centrali nucleari e i costi di trasporto non sembrano proprio essere un problema.
No, la vera ragione sta da un'altra parte. In Friuli c'è uno stabilimento nuovo e la proprietà punta sul fatto che gli operai, privi di una tradizione sindacale paragonabile a quella degli operai di viale Sarca, siano più docili e più a buon mercato. E poi, c'è la vicenda dei terreni, che si trovano in una zona ormai post-industriale e dove oggi abbondano gli affari immobiliari. C'è chi dice che c'entra, c'è chi giura il contrario, ma sta di fatto che Camozzi, il proprietario dei terreni, non ha mai pronunciato una parola chiara in merito.
Comunque sia, anche se il governo regionale lombardo aveva chiuso occhi ed orecchie di fronte agli inganni della Mangiarotti, il giudice del lavoro di Milano, su ricorso della Fiom, ha rimesso le cose a posto, almeno da un punto di vista giuridico. Nel marzo scorso ha revocato la collocazione in cassaintegrazione degli operai, perché illegittima, e ha ordinato all'azienda di riportare la commessa nello stabilimento milanese.
Ma poi, appunto, grazie al sonno delle istituzioni, la proprietà è passata alle vie dei fatti. E, invece di riportare la commessa in azienda, la proprietà ha asportato anche gli ultimi due pezzi di quella commessa rimasti a Milano.
 
P.S. Mentre scriviamo, gli uffici direzionali sono tuttora occupati e Tarcisio Testa, uno dei proprietari della Mangiarotti, ha ribadito al Prefetto di Milano che di rispettare le decisioni del Tribunale di Milano non se ne parla neanche e che la produzione va spostata in Friuli. Punto e a capo.
 
Pubblicato alle ore 17:25 del 10 giugno 2010 su www.aprileonline.info
 
N.B. ora sono le ore 23.30, l’occupazione degli uffici della direzione continua. La delegazione dei lavoratori e della Fiom era uscita dalla Prefettura verso le 21.00. Niente da fare, la proprietà non cambia posizione, si mostra molto arrogante e il fatto che stia violando le sentenze del tribunale non sembra scandalizzare le istituzioni… Conclusione: l’occupazione va avanti. Forse domani all’alba arriva la polizia per sgomberare o forse domani il Prefetto farà un altro tentativo. Vedremo. Comunque sia, i lavoratori vanno avanti con la lotta, che sarà ancora lunga, e hanno bisogno di solidarietà, domani e nei giorni a venire.
 
 
Quanto avvenuto stamattina è di una gravità inaudita, poiché, mediante l’uso della forza pubblica, è stato ristabilito il regime di illegalità, costruito e persino rivendicato dalla proprietà di Mangiarotti Nuclear Spa.
Sono passati tre mesi dalla sentenza del Tribunale di Milano che imponeva a Mangiarotti Nuclear di riportare nello stabilimento di viale Sarca le produzioni da lì spostate in maniera illegittima e in piena violazione degli accordi sottoscritti dallo stesso management. E non solo non è stata rispettata la decisione del giudice, ma due giorni fa la direzione ha persino fatto asportare di notte dalla fabbrica gli ultimi due pezzi di quella commessa rimasti a Milano, in piena e palese violazione dell’ordine del giudice.
Eppure, tutte queste illegalità e provocazioni non hanno suscitato alcune reazione da parte delle istituzioni, né di quelle politiche, né di quelle preposte all’applicazione della legge.
Tutt’altro discorso vale, invece, per gli operai. Dopo appena due giorni di pacifica occupazione degli uffici della direzione della Mangiarotti, in segno di protesta contro le illegalità della proprietà, e dopo qualche ora soltanto dalla fine infruttuosa degli incontri con proprietà e sindacati in Prefettura, terminati verso le 21.00 di ieri sera, la Questura ha mandato la Celere e sgomberato gli operai che occupavano come se fossero dei delinquenti.
Se stamattina, poco dopo le ore 6.00, nessuno si è fatto male, questo è merito esclusivamente del senso di responsabilità dei lavoratori della Mangiarotti, presenti al presidio davanti alla sede occupata in una cinquantina.
Due pesi e due misure. Una tolleranza totale nei confronti delle illegalità del padrone, un accondiscendere continuo rispetto all’arroganza di uno dei proprietari, Tarcisio Testa, che nei suoi comportamenti ricorda sempre di più il tristemente famoso Genta dell’Innse, ma una totale inflessibilità nei confronti degli operai e una completa disattenzione rispetto alla legge e alle ordinanze della magistratura. È come se l’articolo 41 della Costituzione, che così poco piace al Presidente del Consiglio, fosse già stato abolito!
Infine, una domanda. Considerato che la Mangiarotti non produce noccioline, ma componenti per centrali nucleari, siamo proprio sicuri che questa proprietà, che vuole chiudere dove c’è competenza e professionalità e che mostra spregio rispetto alle regole, sia in grado di garantire le condizioni di sicurezza e l’affidabilità necessarie a produzioni così delicate?
Insomma, qualcuno tra Prefettura, Provincia, Comune, Regione o Governo vuole intervenire o no, per garantire la difesa dell’occupazione e il rispetto della legge, nonché del buon senso e di un minimo di decenza?
 
Guarda su You Tube
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
In questi giorni e in queste ore Confindustria e Governo sono protagonisti di un’ignobile campagna di linciaggio mediatico contro la Fiom, additata come irresponsabile ed ideologica perché non ha accettato di sottoscrivere il testo della Fiat sullo stabilimento di Pomigliano.
Marcegaglia e Sacconi replicano pari pari il merito e i toni del ricatto della Fiat, che dice o accettate le nostre condizioni oppure chiudiamo anche Pomigliano, per portare anche quella produzione e quel lavoro in Polonia.
È inaccettabile il ricatto ed è inaccettabile il mare di bugie che lo accompagna, perché non è vero che la Fiom e gli operai non sono disponibili a trattare per aumentare la capacità produttiva e la produttività dello stabilimento napoletano. È vero, invece, che la Fiat intende imporre un contratto aziendale, il quale, derogando ai principi del contratto nazionale e del diritto di sciopero, si propone come leva per far saltare il contratto nazionale stesso.
La gravità della posizione politica del governo sta in questo, nello schierarsi supinamente con gli interessi dei capi della Fiat e di Confindustria e nell’assumere le organizzazioni sindacali che fanno il loro mestiere come nemici politici da schiacciare. Una fedele riproduzione, insomma, della logica della manovra economica, dove gli unici a pagare il conto dovrebbero essere i lavoratori.
Irresponsabili ed ideologici sono quanti in questo momento lavorano per isolare la Fiom e gli operai della Fiat di Pomigliano, sia attraverso le loro parole, che con il loro silenzio.
Come lavoratore dipendente (iscritto al sindacato Usb) e cittadino, prima ancora che come attivista politico, prendo dunque parola e mi schiero da parte degli operai e della Fiom, perché la ripresa produttiva a Pomigliano avvenga in condizioni decenti e giuste per i lavoratori.
 
per saperne di più leggi il comunicato stampa della Fiom di ieri, che spiega le posizioni del sindacato.
 
E per conoscere direttamente quali siano le “proposte” dell’azienda –tra virgolette, perché la Fiat non intende finora discutere nemmeno una virgola- cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il testo integrale ed originale portato al tavolo di trattativa da parte della Fiat:
 

Scarica Allegato
 
Iniziano le azioni di sciopero contro la manovra economica del governo, con lo sciopero generale del Pubblico Impiego per l’intera giornata di lunedì 14 giugno, proclamato dal sindacato di base Usb. In diverse città si terranno manifestazioni. A Milano l’appuntamento è alle ore 9.30 in Largo Cairoli.
Nel comparto scuola, lo sciopero proclamato dai Cobas è articolato, invece, regione per regione. Sette regioni hanno già scioperato settimana scorsa, con un’adesione al blocco degli scrutini superiore alle aspettative, mentre le altre regioni sciopereranno il 14 e il 15 giugno.
La Cgil ha convocato uno sciopero generale per venerdì 25 giugno (4 ore nel settore privato, intera giornata in quello pubblico). Nello stesso giorno aveva già proclamato lo sciopero anche la Cub.
Cisl, Uil, Ugl e autonomi, da parte loro, continuano nella loro linea filo-governativa e allo stato non hanno promosso alcuna azione di mobilitazione.
Insomma, una parte delle organizzazioni sindacali pratica ormai esplicitamente il suo ruolo collaterale al governo e al padronato, mentre dall’altra parte continuano a prodursi troppe divisioni sulle azioni di lotta. Alcune voci si stanno levando dal basso, al fine di cercare più unità. Tra queste vi segnalo l’iniziativa dei lavoratori di alcune aziende in crisi del milanese, il cui appello puoi leggere (e far girare e sottoscrivere) sul sito degli operai in lotta della Maflow.
Detto questo, comunque, domani si sciopera. Ed è uno sciopero sacrosanto contro una manovra economica, corredata da una miriade di altre misure annesse, dagli interventi sull’età pensionabile fino alle annunciate modifiche costituzionali in materia di impresa, passando per la prosecuzione dei tagli della “riforma Gelmini” nella scuola, che scaricano l’intero peso della crisi sui soli lavoratori, colpendo in particolare, ma non soltanto, i lavoratori pubblici e le Regioni e gli enti locali (e dunque i cittadini, che si vedono tagliati i servizi da questi erogati).
Ma per tornare allo sciopero del pubblico impiego del 14 giugno, ecco alcune misure della manovra che riguardano i lavoratori pubblici:
  • blocco dei rinnovi contrattuali 2010-2012;
  • blocco delle retribuzioni (sia quella base, che quella integrativa) per 4 anni, fino al 2013, cioè una riduzione dello stipendio reale;
  • riduzione del 50% delle spese per la formazione del personale;
  • riduzione del 50% delle spese per le missioni;
  • proroga di altri 2 anni del blocco delle assunzioni (e dunque una quasi impossibilità di regolarizzare i numerosi precari che lavorano nel pubblico);
  • riduzione delle “finestre” d’uscita per la pensione, con il conseguente slittamento di un anno;
  • innalzamento dell’età per la pensione di vecchiaia per le dipendenti pubbliche da 60 a 65 anni;
  • a questo si aggiungono gli effetti della riforma del Tfr, che con l’equiparazione del regime delle liquidazioni nel pubblico impiego a quello vigente nel settore privato, si traduce, a partire dal 1° gennaio 2011, in una riduzione di quanto finora percepito dai lavoratori pubblici;
  • previsione di ridurre di 400mila unità i posti di lavoro nel pubblico impiego, mediante la non sostituzione del turn-over, che provocherà, secondo le stime, una riduzione del personale di 156mila lavoratori nella Sanità e di 60mila negli Enti Locali.
 
 
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