Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Oggi pomeriggio, alle ore 17.00, saremo presenti al presidio in piazza della Scala, convocato dalla Cascina Autogestita Torchiera, per protestare contro la decisione del Comune di Milano di mettere all’asta lo storico edificio.
La decisione del Consiglio comunale, assunta nella seduta di martedì scorso, di confermare la vendita ai privati della Cascina Torchiera, è un atto politico miope e detestabile. E lo è non soltanto perché ripropone lo stanco cliché della guerra del Comune contro i centri sociali, ma anche perché rappresenta la rinuncia, in nome degli affari di Expo 2015, a salvaguardare e riqualificare una cascina risalente al XIV secolo, mantenuta viva solo grazie all’impegno dei ragazzi e delle ragazze che la occupano.
Ovviamente, neanche gli spazi sociali che sono stati stralciati dal piano di vendita, come il Conchetta o il circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, o l’Arci Bellezza, possono dormire sonni tranquilli. Per ora non saranno ceduti ai privati, che peraltro erano, comprensibilmente, poco smaniosi di farsi carico dei conflitti scatenati dall’amministrazione comunale. Ma questo non significa certo che saranno lasciati in pace o che a Palazzo Marino abbiano optato improvvisamente per la via del dialogo.
Aver lasciato nel piano di vendita un unico spazio sociale, equivale ad indicarlo come bersaglio primo della lista, insomma. E averlo fatto proprio con il Torchiera, che si trova a due passi dal covo neofascista di Cuore Nero - che invece né Sindaco, né Vicesindaco sembrano voler mandare via -, rende il tutto ancora più inquietante.
Sgomberare il Torchiera, cacciare via le molte attività culturali – e anche politiche, certo: siamo in democrazia - che vi si svolgono, fare a pezzi la storica cascina, ci pare un’immensa idiozia, di cui Milano non ha bisogno.
Ecco perché dichiariamo sin d’ora che sosterremo tutte le iniziative volte ad impedire la svendita, lo sgombero e lo smantellamento di un patrimonio della città, qual è la Cascina Torchiera. Pensiamo, anzi, che vada costruita un ampia e plurale iniziativa cittadina, per garantire che il Torchiera possa continuare a vivere e a produrre attività.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
Questa mattina la Corte Popolare Occupata di Nerviano (MI) è stata sgomberata dalle forze dell’ordine. L’occupazione era iniziata il 29 gennaio scorso, su un’area ex-industriale abbandonata e in stato di degrado la lunghi anni. E sulla quale, peraltro, esistono numerosi punti interrogativi rispetto alle bonifiche mai fatte, cioè sulle condizioni reali del sottosuolo.
I ragazzi e le ragazze del Collettivo Oltre il Ponte di Nerviano avevano deciso di occupare dopo lunghi mesi di tentativi di dialogo con il Sindaco, Cozzi, in quota Pd. Ma oltre le parole e gli impegni generici su un futuro spazio sociale per i giovani, che a Nerviano non c’è, non è mai accaduto nulla.
I ragazzi hanno dunque fatto bene, pensiamo. Male, riteniamo, abbia invece fatto il Sindaco, principale sponsor dello sgombero forzato.
Comunque, a Nerviano non si fermeranno, ci fanno sapere, e la battaglia per uno spazio sociale aperto ai giovani continuerà. L’aveva peraltro dimostrato anche il corteo di centinaia di persone che sabato scorso aveva attraversato Nerviano.
Ci sono già due appuntamenti per oggi martedì 9 febbraio:
alle 18.30: presidio di protesta davanti al Comune di Nerviano, in piazza Manzoni
alle 21.30: assemblea in Fornace (Rho, via S. Martino 20) sullo sgombero di oggi e sulla risposta da dare nei prossimi giorni.
 
 
Sabato 20 gennaio si tengono a Milano e dintorni diverse iniziative, che riteniamo siano importanti e alle quali vi invitiamo a partecipare. Magari non sarà possibile essere dappertutto, ma sceglietene almeno ad una. In fondo, pur nella loro diversità, esprimono tutte la stessa voglia di cambiamento.
Ma andiamo in ordine di orario (come indicato dagli organizzatori):
 
SAMEDI GRAS – dove tutti sono milanesi tranne i razzisti: appuntamento alle ore 14.30, in piazza Duca d’Aosta (stazione Centrale). Un carnevale antirazzista, perché milanesi si diventa e non si nasce, con carri, musica, danze ecc.
Per info vai su  www.milanomovida.tk/
 
TANTI POPOLI UN'UNICA LOTTA - per la libertà, l'indipendenza e l'autodeterminazione dei popoli: corteo, appuntamento alle ore 15.00, in piazza Cordusio, organizzato dalla rete nazionale Euskal Herriaren Lagunak - amici e amiche del Paese Basco, insieme alla Comunità Curda della Lombardia, alla Comunità Palestinese di Milano e all’Associazione Nuova Colombia.
 
PRESIDIO MAFLOW – assemblea generale dei delegati e dei lavoratori delle aziende in lotta e musica solidale: assemblea dalle ore 18.00, al termine panino con salamella e dalle ore 22.00 musica solidale. Il tutto presso il presidio degli operai della Maflow, via Boccaccio 1, Trezzano S/N.
 
 
Il 5 marzo scorso è stata emessa la sentenza d’appello sui fatti avvenuti nella caserma di Bolzaneto a fine luglio 2001, durante la contestazione del G8 di Genova.
Bolzaneto, insieme alla Diaz e all’omicidio di Carlo Giuliani, è diventato uno dei simboli della violenza poliziesca e della sospensione dello stato di diritto che aveva caratterizzato Genova nei giorni 20 e 21 luglio 2001.
La sentenza della Corte d’Appello di Genova è sicuramente una notizia in parte positiva, perché riforma la sentenza di primo grado, che aveva assolto la maggior parte degli imputati, pur riconoscendo che nella caserma erano avvenuti degli abusi e delle violenze. Infatti, la sentenza d’appello ha accolto la tesi accusatoria e dichiarato “responsabili” tutti i 44 agenti e funzionari imputati (il 45esimo era nel frattempo deceduto), compreso, per prima volta, un ufficiale dell’Arma dei Carabinieri.
È stato quindi finalmente riconosciuto in un’aula di tribunale quanto denunciato sin dal primissimo minuto dal movimento. Cioè, a Bolzaneto la democrazia era stata sospesa ed è stata praticata la violenza e la tortura contro i fermati.
Tuttavia, in galera non ci andrà praticamente nessuno, anche se dovranno risarcire le parti civili, perché la maggior parte di quelli ritenuti “responsabili” –cioè, colpevoli- si è vista prosciogliere per avvenuta prescrizione.
Insomma, sono colpevoli, le denunce dei manifestanti fermati e del movimento erano fondate e veritiere, mentre le parole dei Ministri degli Interni erano false. Chissà se la certezza dell’avvenuta prescrizione ha contribuito a che i giudici potessero giudicare con maggiore autonomia...?
Insomma, tutti colpevoli e tutti liberi. E, soprattutto, stiamo ancora aspettando che qualche giudice trovi il coraggio di far rispondere i veri responsabili delle violenze di Genova, cioè i mandanti, che allora occupano poltrone di Ministri e facevano i capi della Polizia di Stato.
Comunque sia, se volete approfondire ulteriormente la vicenda processuale di Bolzaneto e tutti i processi legati al G8 del 2001 andate su www.processig8.org. Su quel sito potete scaricare anche il dispositivo della sentenza.
 
 
Fa davvero impressione l’ottusità di uomini come il vicesindaco De Corato, che proprio non ce la fanno a trovare modi diversi dagli sgomberi, dalle minacce e dai divieti per rapportarsi a quelle parti della città che non sono come loro vorrebbero.
La parole del vicesindaco De Corato o del Presidente del Consiglio di Zona 6, Girtanner, anche lui di provenienza An, espresse in merito allo sgombero di Lab Zero, in Ripa di Porta Ticinese 83, sono semplicemente penose nella loro pochezza.
Secondo Girtanner, un vero signore, gli occupanti, in gran parte studenti, “erano paragonabili ai loro cani”, mentre De Corato si diletta nel suo sport preferito, cioè facendo la lista dei luoghi a lui politicamente sgraditi e dunque da eliminare militarmente in vista della campagna elettorale.
Quanto allo svolgimento dello sgombero di Lab Zero di questa mattina, c’è da evidenziare soltanto la teatralità politica dell’azione delle forze dell’ordine, intervenute con palese sproporzione di uomini e mezzi e con l’aggiunta di qualche inutile distruzione di cose all’interno dello stabile.
Insomma, siccome la premessa era che lì dentro c’erano dei soggetti pericolosi, allora bisognava pure giustificarla, mobilitando mezzo esercito. E visto che poi tutto si è svolto senza incidenti, essendo evidentemente i soggetti pericolosi un po’ meno pericolosi di quanto gridato ai quatto venti, allora a De Corato non è rimasto altro che la miseria di riesumare per l’ennesima volta la storia familiare di Valerio Ferrandi, che non c’entra nulla, ma che in cambio fa audience.
Detto diversamente, un’altra giornata da dimenticare nella grigia Milano del centrodestra, che oggi ha perso un altro spazio sociale.
Da parte nostra, continuiamo a batterci perché a Milano possano esistere e crescere gli spazi sociali, perché riteniamo che essi siano un sano antidoto contro la desertificazione culturale e sociale che tanto piace al Sindaco e al suo vice.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
La condanna in appello a un anno e quattro mesi di reclusione di Gianni De Gennaro, capo della polizia ai tempi del G8 di Genova, e a un anno e due mesi di Spartaco Mortola, nel 2001 capo della Digos genovese, è un buona notizia, perché infrange finalmente il tabù dell’intoccabilità del potente ex-capo della polizia.
Se il Governo vuole mantenere un minimo dignità e rispetto per lo stato di diritto, allora deve sospendere immediatamente De Gennaro e Mortola dai loro rispettivi e delicati incarichi, cioè capo del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) e vicequestore di Torino.
Certo, De Gennaro è stato condannato per i suoi tentativi di insabbiamento della verità sul massacro alla scuola Diaz, nello specifico per l’istigazione alla falsa testimonianza nei confronti dell’allora questore di Genova, Francesco Colucci, e non per il suo ruolo di massimo responsabile della repressione, delle violenze e degli abusi consumatisi nei giorni del G8 del 2001.
Quel suo ruolo, infatti, non sarà mai oggetto di processi finché De Gennaro continuerà a godere delle forti e trasversali protezioni politiche ed istituzionali, che avevano portato all’affossamento della commissione d’inchiesta parlamentare durante il Governo Prodi e che oggi fanno sì che tutti i colpevoli degli abusi del 2001 siano difesi a spada tratta dal Governo Berlusconi.
Tuttavia, è stato infranto un tabù e comunque vada a finire in Cassazione, oggi la verità ha avuto una possibilità. Sta a noi mantenere viva la memoria e non smettere di batterci per rompere il muro di silenzio istituzionale che continua a proteggere i colpevoli della sospensione della democrazia in quel luglio genovese.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
di lucmu (del 07/07/2010, in Movimenti, linkato 764 volte)
Ghe pensi mi ha esclamato Silvio Berlusconi e oggi sono volati i manganelli sulle teste dei terremotati aquilani che manifestavano in 5mila a Roma.
Certo, il Cavaliere non avrà pensato all’Aquila quando l’aveva detto. O meglio, non solo agli ingrati aquilani, che non apprezzano a sufficienza la sua generosità e quella di Bertolaso. No, lui ha tanti altri problemi a cui pensare, da Fini alla figuraccia berlusconian-leghista su Brancher, dalla manovra economica fino alla legge-bavaglio.
Ma, quanto successo oggi, riassume forse meglio di ogni altra cosa la situazione complessiva, lo stato della nazione. Quando dei terremotati che protestano, peraltro con solide ragioni, ottengono dal Governo come unica risposta cariche e manganellate, allora qualcosa non funziona più.
Non so voi, io quando ho sentito la notizia, ho pensato a Genova. Nel 2001 era diverso, ovviamente, lì avevano ammazzato Carlo e sospeso per giorni lo stato di diritto. Ma, chissà perché, io ho pensato lo stesso a Genova. Questione di stomaco, o di naso, fate voi.
Solidarietà ai terremotati de L’Aquila.
 
 
Il peggior Sindaco che la città di Rho abbia mai avuto, il ciellino Roberto Zucchetti, ha un disperato bisogno di risollevare la sua malmessa immagine e di far dimenticare le sue magagne e il suo fallimento amministrativo.
Questa e non altro è la spiegazione della campagna di accuse e provocazioni tesa ad imporre al Prefetto di Milano la decisione dello sgombero del centro sociale Sos Fornace.
E pur di ottenere il suo obiettivo, Zucchetti non esita nemmeno ad oltrepassare il confine della decenza, dichiarando pubblicamente “se qualche cittadino arrabbiato … prende una tanica di benzina e dà fuoco, è solo colpa delle istituzioni”.
Un’indecenza che rasenta l’istigazione a delinquere, peraltro in un territorio talmente segnato dalle infiltrazioni della ‘ndrangheta che quattro militari della locale stazione dei Carabinieri risultano indagati per concorso in associazione mafiosa.
Zucchetti vuole uno sgombero il cui unico beneficiario sarebbe lui stesso, considerato che en passant eliminerebbe anche dei fastidiosi oppositori politici.
Infatti, in questi anni, i ragazzi e le ragazze della Fornace hanno puntualmente denunciato i suoi affari e le sue incompetenze, dalla vicenda della soppressione dei treni pendolari fino al conflitto di interessi, per essere gentili, in occasione del varo del Pgt in giunta comunale.
Da parte mia, ribadisco la mia completa solidarietà ai ragazzi e alle ragazze della Fornace di Rho e auspico che il Prefetto voglia riconfermare il suo ruolo istituzionale, rimandando al mittente le indebite pressioni di Zucchetti.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
IMPORTANTE:
per discutere delle minacce di sgombero e sul che fare, la Fornace ha convocato per stasera un’assemblea a livello metropolitano. Ecco le coordinate:
lunedì 19 luglio - ore 21:00
ASSEMBLA METROPOLITANA
via San Martino 20 – Rho
 
 
Oggi sono nove anni esatti dal giorno in cui un proiettile esploso dalle forze dell’ordine rubò la vita a Carlo Giuliani.
Il luogo era Genova, piazza Alimonda per la precisione, e il contesto le manifestazioni contro il G8 del 2001.
Il 20 luglio era il giorno in cui la sospensione dello stato diritto e la feroce repressione del dissenso, preparata da tempo dal Governo e dai vertici delle forze dell’ordine, prese corpo, si fece materia, si trasformò in violenza e sangue.
Quella mattina a Genova scesi in piazza con animo inquieto, perché sapevamo del clima che si stava costruendo nelle caserme e nelle questure e perché le settimane precedenti erano state segnate da un crescendo di provocazioni e minacce.
Avevamo persino chiesto, in occasione dell’incontro tenutosi alla fine di giugno a Roma, presso la Farnesina, tra la delegazione del Genoa Social Forum (Gsf) e quella del Governo, che le forze dell’ordine in servizio di piazza durante il G8 fossero disarmate. Infatti, c’era stato il precedente delle contestazioni di Goteborg, dove la polizia della civile Svezia sparò sui manifestanti.
E mi ricordo, come se fosse ieri, le parole pronunciate da Gianni De Gennaro, allora Capo della Polizia, che con un sorriso tra il rassicurante e il beffardo ci ripose che non ce n’era bisogno, perché “finché ci sono io, mai e poi mai la polizia italiana userà le armi da fuoco in una manifestazione”.
Ovviamente, non ci eravamo fidati delle sue parole, ma dall’altra parte la manifestazione del 19 luglio, dedicata alla solidarietà con i migranti, era andata bene. C’era tanta gente e nessun intervento repressivo o incidente. E anche le manifestazioni del 20 luglio, con le sue “piazze tematiche” e il suo assedio della zona rossa, in fondo erano state autorizzate dalla Questura. Ebbene sì, perché bisogna sempre ricordarlo, tutte quelle iniziative erano state comunicate con largo anticipo alla Questura di Genova e quest’ultima non aveva preso alcun provvedimento ostativo!
Ma, appunto, quel 20 luglio tutto cambiò.
Io stavo con il mio sindacato, il SinCobas e la Confederazione Cobas, impegnati allora in un complesso –e poi infruttuoso- tentativo di unificazione, e con la rete Network per i diritti globali, che comprendeva anche il grosso dei centri sociali, esclusi i Disobbedienti.
Insomma, per farla breve, la nostra “piazza tematica”, cioè il nostro punto di assedio alla zona rossa, era in piazza Paolo da Novi. Ma non saremmo mai riusciti a fare quello che era in programma.
Era mattina, stavo raggiungendo il punto di concentramento, ma la piazza di fatto era già occupata da un nutrito gruppo di black block e accerchiata da ingenti forze di polizia e carabinieri.
Quello che successe dopo aveva dell’allucinante. I black erano lì da tempo e in santa pace avevano preparato le loro molotov, nel disinteresse totale delle forze dell’ordine, ma non appena i manifestanti del Network presenti in piazza raggiunsero un certo numero, iniziò l’aggressione da parte di polizia e carabinieri in assetto antisommossa.
Non c’era nulla da fare, non potevamo aspettare il grosso dei manifestanti, eravamo praticamente chiusi in piazza e così improvvisammo un corteo per uscire e allontanarci in direzione mare.
Ce la facemmo, dopo qualche ora, grazie a un minimo di organizzazione e l’esperienza di alcuni. Eravamo fuori, salvi, senza troppe teste spaccate.
Ma la mattina era soltanto l’inizio, purtroppo. Si erano poi messi a manganellare persino gli iper-pacifici presidi di Attac e dei lillipuziani. Infine, il pomeriggio, arrivò il corteo dei Disobbedienti. Carlo si trovava lì.
Quel corteo fu attaccato dalle forze dell’ordine sul percorso autorizzato, in via Tolemaide, e fu aggredito con violenza estrema. Tra i tanti punti di scontro c’era anche piazza Alimonda. Lì, uno sparo proveniente da un mezzo dei carabinieri, un Defender, ammazzò Carlo Giuliani.
In quel momento, io mi trovavo in zona piazzale Kennedy, insieme a moltissima gente, proveniente da diverse piazze tematiche della giornata. C’era agitazione, disorientamento, rabbia. E poi arrivarono le prime notizie, cioè che la polizia avrebbe ucciso un manifestante, anzi forse addirittura due o tre.
Alla fine si capì che era uno e che si chiamava Carlo.
Ma potevano essere di più, va detto, per non dimenticarlo, perché in quel giorno in diversi luoghi di Genova le forze dell’ordine usarono le armi da fuoco.
Un ragazzo ucciso! Non volevamo crederci e la rabbia montava. Molti lì in piazza, dove mi trovavo io, volevano partire per un corteo spontaneo, altri gridavano, altri ancora avevano paura o semplicemente non sapevano che fare. Allora improvvisammo un’assemblea, per tenere ferma la gente, per parlare, per cercare di gestire la situazione. Quel giorno feci diverse assemblee in diversi luoghi.
Si discusse anche del corteo del giorno dopo, del 21 luglio, se confermarlo o se rinunciare. In realtà, pochissimi nel Gsf dicevano di non farlo. E anche dalle città giungeva notizia che la gente voleva partire lo stesso per Genova, anzi forse più di prima. L’indignazione era più forte della paura.
Mi ricordo di Tom Benetollo, il compianto Presidente dell’Arci. Alcuni, di quelli che erano impegnati a “prendere le distanze” dai manifestanti di Genova, invece che dalla violenza repressiva, pensavano che egli avrebbe ritirato la sua organizzazione dalla manifestazione del 21, rompendo così l’unità del Gsf. Ma si sbagliarono di grosso, perché Tom fece il contrario. Nel suo caso, infatti, all’indignazione per la repressione e l’omicidio di Carlo si aggiunse anche la statura politica e morale, nonché la capacità di leggere la gravità dell’accaduto.
Quello che successe poi il 21 luglio lo sanno tutti e tutte. Un enorme corteo aggredito con violenza e disperso a suon di botte e sangue. Poi le torture di Bolzaneto e la sera l’infame massacro della Diaz.
In questi ultimi mesi alcune verità hanno trovato la via per emergere anche nelle aule dei tribunali: Bolzaneto, Diaz, il ruolo di altri dirigenti della Polizia di Stato, compreso De Gennaro. Ma tutti sono ancora al loro posto, anzi, nel frattempo erano stati pure promossi. Nemmeno una sospensione temporanea, in nome della decenza. No, niente, nulla, nada.
La loro impunità e il castello di complicità, persino bipartisan, che protegge la cricca di Genova è la miglior prova che la sospensione dello stato di diritto praticato nelle giornate del 20 e del 21 luglio 2001 non fosse un incidente di percorso, ma una decisione assunta ai massimi livelli dello Stato.
E poi, ci sono delle verità che non hanno nemmeno visto l’ombra di un tribunale. Fatti e dolori ai quali in nove anni non è stato concesso nemmeno la dignità di poter vedere un processo regolare. No, niente processo per l’omicidio di Carlo Giuliani.
Oggi, non c’è nemmeno certezza su chi abbia premuto il grilletto su quel Difender. Il carabiniere di leva Mario Placanica è colui che di solito viene indicato come il responsabile, ma in realtà non c’è la certezza e ci sono dei dubbi.
Lo Stato ha assassinato Carlo e non c’è nemmeno un processo.
Carlo è troppo ingombrante, perché riassume l’essenza di quello che accadde in quei giorni a Genova: la voglia di vita e di futuro di decine di migliaia di ragazzi e ragazze e la violenza senza freni di uno Stato schierato a difendere con ogni mezzo gli interessi e i privilegi di pochi.
Oggi pomeriggio sarò in piazza Alimonda, come tutti gli anni. Dall’altra parte, non saprei in che altro luogo stare il 20 luglio, non dopo il 2001. Ci sarò con la memoria di quei giorni, che mi hanno segnato più di quanto solitamente ammetto, e soprattutto con la convinzione che il rispetto della memoria è imprescindibile per poter sognare il futuro.
 
 
Pochi giorni fa la Corte d’Appello di Genova ha pubblicato le motivazioni della sentenza del 18 maggio scorso, con la quale, in sede di giudizio di secondo grado, sono stati condannati diversi alti funzionari delle forze dell’ordine per le violenze commesse alla scuola Diaz, a Genova, il 21 luglio del 2001.
Cliccando sull’icona in fondo a questo testo puoi scaricare la versione integrale delle motivazioni. È un documento corposo, lungo ben 313 pagine, ma vale la pena darci un’occhiata, poiché ribadisce con forza anche in sede giudiziaria quello che in fondo sappiamo da sempre. Cioè, che l’infame massacro della Diaz era conseguenza diretta degli ordini ricevuti da Roma.
Consiglio, in particolare, la lettura di un passaggio che trovate a pagina 299 e che suona così:
 
La Corte, nella valutazione complessiva dei fatti, ritiene di non obliterare la circostanza, emersa chiaramente in causa fin dalle prime emergenze e confermata nell’ulteriore corso processuale, secondo la quale l’origine di tutta la vicenda è individuabile nella esplicita richiesta da parte del Capo della Polizia di riscattare l’immagine del corpo e di procedere a tal fine ad arresti, richiesta concretamente rafforzata dall’invio da Roma a Genova di alte personalità di sua fiducia ai vertici della Polizia che di fatto hanno scalzato i funzionari genovesi dalla gestione dell’ordine pubblico. Certo tale pressione psicologica non giustifica in nulla la commissione dei reati né l’eventuale malinteso spirito di corpo che ha caratterizzato anche successivamente la scarsa collaborazione con l’ufficio di Procura (riconosciuta anche dal Tribunale), ma consente, nell’ambito dell’ampio divario fra le misure edittali della pena, di optare per la quantificazione della pena base nel minimo.”
 
Detto in italiano più corrente: l’ordine venne dall’allora Capo della Polizia, Gianni De Gennaro, e successivamente ci furono pure depistaggi e insabbiamenti. Insomma,  esattamente quello che il movimento sostiene da nove anni, ma che i vari Governi succedutisi da allora anni hanno sempre negato, garantendo anzi protezioni e promozioni ai responsabili delle violenze.
Buona lettura!
 
clicca sull’icona qui sotto per scaricare la motivazione e il dispositivo (1,6 Mb):
 

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