Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 3 aprile 2007 (pag. Milano)
L’iniziativa sulle politiche securitarie, le nuove destre e la xenofobia, promossa sabato scorso alla Stecca degli Artigiani dai Giovani Comunisti lombardi, appariva quasi come un tentativo di articolare una risposta alla sfilata morattiana “per la sicurezza” e alle troppe subalternità delle opposizioni cittadine. E in un certo senso lo era effettivamente, vista la vicinanza temporale, anche se in realtà l’idea era nata molto prima e prendeva le mosse da ben altro, cioè da quanto accaduto a Como un anno fa.
Era il 29 marzo del 2006, quando il diciottenne Rumesh Rajgama Achrige, comasco di origine cingalese, fu raggiunto alla testa da un colpo di arma da fuoco, esploso da distanza ravvicinata da un agente del “nucleo di sicurezza” della Polizia Locale. Rumesh ha miracolosamente sconfitto la morte, ma la sua vita sarà segnata da lesioni permanenti. L’autore dell’”incidente” è tuttora in servizio, seppure con mansioni d’ufficio, mentre il nucleo “di sicurezza” ha subito un semplice maquillage, chiamandosi ora “investigativo”.
E così alla Stecca si è discusso a partire da questo fatto e insieme ai familiari di Carlo Giuliani, Federico Aldovrandi e Dax. Una maniera diversa, ma indubbiamente più realistica e proficua, per affrontare il tema sicurezza. Infatti, come ormai tutti dovrebbero sapere, almeno a sinistra, a Milano non c’è un’emergenza criminalità, essendo il numero di reati stabile o in diminuzione, e sicuramente non mancano le forze di polizia. Anzi, dalle nostre parti, così come sul piano nazionale, vi è il più alto rapporto tra numero di addetti alla pubblica sicurezza e abitanti di tutta l’Unione Europea. Facendo poi la somma tra i funzionari delle varie forze di polizia, della polizia locale, di quella penitenziaria e della agenzie private di sicurezza arriviamo alla esorbitante cifra di 480mila unità in Italia.
E allora, da dove nasce questa benedetta “percezione di insicurezza”, giocata tutta sul piano dell’ordine pubblico e della repressione? Una domanda cruciale, a cui rispondere necessariamente, se non vogliamo essere destinati a rincorrere per un tempo indefinito la demagogia da “tolleranza zero”. A noi pare che si possano individuare almeno due componenti fondamentali, una oggettiva e l’altra indotta.
Ovvero, sulla base materiale costituita dalla diffusione massiccia dell’insicurezza, dell’atomizzazione e della precarietà sociale, come conseguenza della prolungata egemonia delle politiche liberiste e dell’accentuazione delle disuguaglianze, viene innestato un discorso politico che convoglia i disagi e le paure verso il tema dell’ordine pubblico. E qui il parallelismo con la crescita dei fenomeni xenofobi salta agli occhi, poiché chi governa lo smantellamento dello stato sociale e dell’universalità dei diritti è il medesimo che indica incessantemente nel migrante il responsabile dei bisogni non soddisfatti del cittadino autoctono.
È quindi indubbio che la critica del securitarismo necessita della critica del modello di società esistente, cioè della ricostruzione di un’idea –e di una pratica- alternativa di città e di società. Ma occorre altresì trovare l’intelligenza e il coraggio per contrastare l’effetto collaterale dell’egemonia del discorso securitario, cioè la legittimazione sociale e politica di quelle tendenze all’abuso della forza e alle pratiche devianti presenti nelle forze dell’ordine. E forse, partire dalla questione della militarizzazione dell’ex-vigilanza urbana, incentivata dalla legge regionale n.4/2003, uscendo finalmente dall’assordante silenzio bipartisan, può essere il punto di partenza.
Rifondazione Comunista ha presentato oggi un’interrogazione urgente all’Assessore regionale alla polizia locale, in relazione ai disordini del 12 aprile scorso, in via Paolo Sarpi. Infatti, le testimonianze e le fotografie evidenziano il coinvolgimento diretto di “ghisa” negli scontri, con tanto di manganelli, prima del loro allontanamento da parte dei responsabili di piazza della Questura.
L’ex corpo dei vigili urbani di Milano, ormai denominato Polizia Locale, subisce da anni un processo di progressiva militarizzazione, che tende a farlo assomigliare sempre di più a un corpo di polizia vero e proprio. E così stanno proliferando le squadre speciali, dipendenti direttamente dal comando centrale, mentre i presidi sul territorio sono stati ridotti da 15 a 9 dall’attuale amministrazione. La contestuale esaltazione delle cosiddette “funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza” ha portato alla marginalizzazione di alcune funzioni tipiche dei “ghisa”, tra le quali il controllo dei cantieri edili, ormai quasi totalmente e scandalosamente assente, con i drammatici esiti a cui stiamo assistendo anche in questi giorni: su tutto il territorio cittadino risultano addetti a tale compito soltanto tre agenti, come si evince dai dati ufficiali comunicati a Regione Lombardia.
Certo, la legge regionale sulla polizia locale - n. 4 del 2003 - ha le sue responsabilità e stimola queste tendenze, ma esistono anche precisi limiti. Né la normativa nazionale, né quella regionale ammettono che la polizia locale possa svolgere funzioni di ordine pubblico. E il cosiddetto “bastone distanziatore”, cioè il manganello, può essere utilizzato a scopi esclusivamente difensivi, qualora l’incolumità personale dell’agente sia messa a rischio. Ebbene, a noi pare che quanto avvenuto il 12 aprile abbia oltrepassato decisamente i confini della legge.
Per questo chiediamo che l’Assessore regionale competente promuova con urgenza una propria indagine, finalizzata a verificare il rispetto della normativa vigente. Non si tratta soltanto di capire fino in fondo cosa sia successo il 12 aprile scorso, bensì di impedire che ai “ghisa” milanesi venga imposta una pericolosa metamorfosi. Milano non ha bisogno di una celere in salsa comunale, magari da scatenare contro l’immigrato di turno, bensì che i vigili urbani possano svolgere il loro mestiere.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui sotto puoi scaricare il testo dell'interrogazione
L’approvazione, da parte del Consiglio Regionale, con la sola astensione della Lega Nord, di una mozione che invita la Giunta a modificare la polizza assicurativa a favore delle vittime della criminalità rappresenta certamente una buona notizia.
Rifondazione Comunista aveva sollevato la questione già il 4 settembre scorso, presentando un’interpellanza, poiché l’assicurazione stipulata dalla Giunta regionale con INA-Assitalia nel 2004 esclude incredibilmente dai benefici le vittime di violenza sessuale, a meno che all’abuso non abbia fatto seguito una grave menomazione fisica.
Tuttavia, la risposta dell’Assessore Ponzoni, poi pervenuta il 2 novembre, era a dir poco sorprendente, visto che ci dava ragione nel merito, ma senza assumere alcun impegno concreto.
L’odierno voto del Consiglio tenta così di ovviare finalmente alla grave superficialità della Giunta regionale, che troppo spesso sembra considerare la questione della sicurezza un mero terreno di propaganda politica, salvo poi perdere di vista la realtà dei fatti.
Auspichiamo pertanto che la Giunta voglia rispettare il voto dell’assemblea legislativa, modificando nel più breve tempo possibile i termini dell’assicurazione, al fine di includervi anche le vittime di una delle forme più infami di violenza, cioè quella sessuale”.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
La vittoria elettorale di Sarkozy sembra aver dato nuova linfa alle campagne securitarie del Sindaco Moratti, reduce da un anno di insuccessi della sua amministrazione cittadina. E così, dopo la manifestazione “per la sicurezza”, si apre un nuovo capitolo con delle proposte tanto demagogiche e ipocrite, quanto inutili e dannose.
Tutti i dati disponibili indicano nella sempre più ampia diffusione della cocaina, anche tra i giovanissimi, e nel costante aumento del consumo di alcolici tra i ragazzi sotto i 16 anni le nuove e preoccupanti tendenze. Ma tutto questo sembra non interessare minimamente il sindaco e i suoi assessori, visto che le uniche proposte consistono nell’abolizione delle macchinette scambia-siringhe, con le quali si tentava almeno di ostacolare la diffusione del virus HIV, nel taglio dei fondi alle comunità non in linea con l’ideologia delle destre e in una grottesca crociata contro lo spinello, con l’ausilio della strumentalizzazione senza scrupoli della tragedia del pullman.
Dall’altra parte, cosa aspettarsi da un Sindaco che proclama la guerra contro le “isole di illegalità”, salvo poi ignorare regolarmente e colpevolmente la principale isola del genere esistente in città, cioè i cantiere edilizi? Milano è letteralmente disseminata di cantieri e chiunque sa che lo sfruttamento del lavoro irregolare e il non rispetto delle norme di sicurezza hanno raggiunto livelli inauditi. Eppure, la polizia municipale meneghina, tra i cui compiti c’è anche quello di polizia edilizia, semplicemente non fa nulla. E come potrebbe agire, peraltro, visto che a questi compiti sono destinati, secondo i dati comunicati alla Regione, soltanto 3 agenti in tutta la città?
Insomma, a noi pare che da parte del centrosinistra, locale e nazionale, ci vorrebbe un po’ più di tolleranza zero nei confronti della demagogia del centrodestra meneghino, che governa questa città da 15 anni. Sappiamo bene che la politica è fatta anche di propaganda, ma di questo passo la farsa rischia di tradursi in tragedia.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 19 maggio 2007 (pag. Milano)
Sarà perché tra una settimana si vota per le amministrative o perché Sarkozy sembra piacere anche dalle parti del nascituro Partito Democratico, ma rimane il fatto che le tesi della destra in materia di sicurezza si rivelano terribilmente contagiose. E così il sindaco di Torino, Chiamparino, si scopre proibizionista sulle droghe leggere, quello romano, Veltroni, inizia a prendersela con i rom e, last but not least, il Ministero degli Interni firmerà domani un patto sulla sicurezza con la Moratti.
Un successo che forse sorprende lo stesso sindaco meneghino, la cui campagna propagandistica sulla sicurezza, che, in fondo, era nata sull’onda dei fallimenti della sua amministrazione, sembra ora assurta a modello da imitare.
Il “patto per la sicurezza” riproduce lo strabismo politico che da tempo regna a Milano e per il quale ogni problema è soltanto un problema di ordine pubblico. Il fenomeno dell’immigrazione e l’affacciarsi di una società multietnica, i ghetti insalubri in cui sono confinate le popolazioni rom, in larga parte non più nomadi da tempo, la prostituzione, il consumo di stupefacenti eccetera eccetera, tutto quanto ridotto a mera questione di polizia da sbattere periodicamente in prima pagina.
E come se non bastasse, anche le misure di ordine pubblico previste non scherzano quanto a strabismo. Così arriva un’apposita task force composta da polizia, carabinieri, finanza e polizia municipale per rincorrere i piccoli venditori abusivi nei mercati, mentre regna il più completo menefreghismo per quanto riguarda il contrasto dello sfruttamento del lavoro nero e dell’elusione delle misure di sicurezza negli innumerevoli cantieri. Infatti, il Comune di Milano dedica a questo compito soltanto tre dei suoi tanti vigili urbani e non chiede nemmeno una mano al Governo. Sarà perché in questo caso si toccherebbero interessi forti vicini a Sindaco e Vicesindaco?
A noi pare che questo strabismo sempre più bipartisan non prometta nulla di buono. A Milano il degrado è conseguenza diretta di anni di noncuranza e di abbandono delle periferie, di smantellamento del welfare e di prevalenza di una politica cittadina che mette al centro gli affari immobiliari, a scapito delle esigenze e dei diritti delle persone. Finché non si affronterà questo nodo, le condizioni di vivibilità e di sicurezza percepita continueranno a deteriorarsi e le centinaia di agenti di polizia in arrivo potranno ben poco, se non consentire al sindaco Moratti di proseguire sulla strada della demagogia. Ci saremmo aspettati che queste cose le dicesse qualche illustre sindaco di centrosinistra, invece di rincorrere i temi della destra, ma evidentemente ci siamo sbagliati.
Ancora uno sgombero di una baraccopoli rom, questa volta a Chiaravalle, e ancora una volta esponenti istituzionali di primo piano del centrodestra esultano in coro. Beninteso, le famiglie rom “allontanate” non sono sparite e supponiamo debbano insediarsi in qualche altro spazio abbandonato e abusivo. E così, il “gioco” della caccia allo zingaro potrà ricominciare da capo.
Infatti, il Comune non ha offerto soluzioni alternative, salvo che alle donne e ai minori, ma com’è ovvio la politica della divisione dei nuclei familiari non funziona, né potrebbe funzionare. In cambio, come il vicesindaco De Corato sottolinea con orgoglio, i sette cuccioli di cane trovati nel campo sono stati sistemati tutti nel canile municipale. Tutto bene, insomma, agli animali la magnanima accoglienza del Comune e agli esseri umani la strada. Non ci potrebbe essere fotografia migliore del grado di involuzione raggiunto dalla vita politica e istituzionale nella prosperosa Milano.
Evidentemente, di risolvere il problema delle baraccopoli e del degrado non gliene frega niente a nessuno. Anzi, fa molto più comodo avere insediamenti rom sparsi in giro, nel più totale abbandono, perché permettono di costruire periodicamente tante belle campagne politiche, assolutamente paganti sul piano elettorale. E’ successo anche a Rho, dove nelle ultime elezioni la Lega ha moltiplicato i suoi voti grazie alla propaganda d’odio e alle promesse di cacciare i rom. Tuttavia, una volta centrato l’obiettivo politico, il neosindaco del centrodestra rhodense ha chiarito immediatamente che lui non intende assolutamente smantellare il campo nomadi.
Chiaravalle sarà presto dimenticato perché arriveranno altri sgomberi. Anzi, si moltiplicheranno all’infinito, specie ora che anche Penati ha deciso di partecipare al “gioco”. E allora, dagli addosso al rom, al clandestino e all’immigrato, tutto quanto con la benedizione del Partito Democratico del Nord e del Patto per Milano Sicura firmato dal Ministro Amato.
La conclusione di tutto questo è prevedibile e per nulla edificante. Le destre continueranno ad accumulare consensi e soprattutto a estendere la loro egemonia culturale, la sinistra moderata si cullerà nell’illusione di poter riconquistare potere istituzionale e rimedierà forse qualche inciucio con Forza Italia e, perché no, con la Lega. La città e i suoi cittadini, invece, dovranno rassegnarsi a un futuro di degrado e precarietà, ben condito con tante videocamere di sorveglianza, migliaia di poliziotti e, quando serve, anche con le transenne contro la birra e i bonghi.
Una prospettiva tutt’altro che rosea. Ora sta alle forze della sinistra, politica e sociale, assumersi le proprie responsabilità e uscire dal torpore e dalla rassegnazione. Questa è la vera scommessa, se non vogliamo morire tutti quanti leghisti.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 20 giugno 2007
La sicurezza non è né di destra, né di sinistra, tuona sempre più ossessivo il ritornello. E così il tema forte delle destre italiane ed europee trova adepti anche dalle parti del centrosinistra. Quanto la questione sia seria lo dimostrano la rapida diffusione di quei Patti per la Sicurezza tra Ministero degli Interni e grandi Comuni, nati sull’onda delle campagne demagogiche di lady Moratti, oppure la velocità con la quale il sindaco diessino di Roma ha anticipato le destre, imitando lo squallido gioco della caccia allo zingaro, tanto in voga nella pianura padana.
Un osservatore indipendente potrebbe cogliere un paradosso in tutto questo. Cioè, mentre tutti i numeri confermano che non vi è nessuna esplosione di reati, mezzo mondo grida invece all’emergenza criminalità, specie se micro. Ma qui non stiamo parlando di scienza o di filosofia, bensì di politica e, da questo punto di vista, il paradosso è forse meno incomprensibile.
Viviamo in società urbane profondamente segnate da decenni di privatizzazioni, di deregolamentazioni e di riduzione del welfare e delle tutele pubbliche. Sono saltati sistemi relazionali e identità collettive, le disuguaglianze sociali sono aumentate e la cosiddetta globalizzazione ha spostato i luoghi decisionali in posti inafferrabili e inaccessibili. Oggi, un abitante di una città come Milano vive una solitudine tremenda e le istituzioni e la politica appaiono sempre più ininfluenti rispetto alle sue condizioni di vita.
Tutto questo le destre l’hanno compreso benissimo e a questo cittadino moderno, esposto a precarietà e incertezze di ogni genere, offrono una risposta semplice ed efficace: il tuo nemico è quello della porta accanto, soprattutto se diverso da te. E così, chi non riesce ad accedere alla casa popolare se la prende con il marocchino a cui è stato assegnato un alloggio e non con quella politica che ha deciso di non costruirne più, la vecchietta costretta a lunghe file nell’Asl si arrabbia con il senegalese davanti a lei e non con quei governi regionali che pensano soltanto alla sanità privata e il residente del quartiere popolare attribuisce la responsabilità di ogni degrado al rom di turno e non ai lunghi anni di abbandono delle amministrazioni comunali.
Insomma, una moderna guerra tra poveri, innescata da una campagna securitaria che fornisce nemici abbordabili e identificabili e che si sintonizza con le paure e le ansie dei singoli. In Lombardia, dove il fenomeno è più esplicito, proprio in questi giorni stanno cedendo pericolosamente gli argini della politica. Prima il Presidente della Provincia di Milano, il diessino Penati, inizia a parlare come un leghista e, poi, nel Consiglio Comunale milanese un’inedita e indecente alleanza tra Destre, Ulivo e Verdi approva una mozione che invoca sgomberi e “numero chiuso” per i rom.
Beninteso, la battaglia contro il securitarismo non si vincerà mai semplicemente resistendogli, ma, in ultima analisi, soltanto ricostruendo una politica alternativa che intervenga con decisione sulla nuova questione sociale, ricostruendo dunque consenso, rappresentanza e credibilità. Tuttavia, questa considerazione non può diventare un alibi per guardare nel frattempo dall’altra parte, cercando di eludere il problema, o peggio ancora per rincorrere le destre sul loro terreno.
È certamente scomodo e difficile stare fuori dal coro che tenta di farsi senso comune, ma qui non si tratta semplicemente di qualche videocamera di sorveglianza o qualche poliziotto in più. No, si tratta della battaglia per l’egemonia culturale, di cui il securitarismo è componente fondamentale, che le destre agitano in tutto l’occidente. Ecco perché gli argini non possono cedere, almeno a sinistra del Partito Democratico.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 23 giugno 2007 (pag. Milano)
Il clima instaurato a Milano in seguito alla sterzata a destra di Penati e alla mozione bipartisan Centrodestra-Ulivo in Consiglio comunale sta producendo i suoi primi frutti avvelenati, a partire dagli avvenimenti e dagli scontri di ieri in via Triboniano.
Il copione della caccia al rom prevede, infatti, soltanto sgomberi, ma nessuna alternativa abitativa o percorsi di integrazione. Era andata così a Chiaravalle e Legnano, per citare soltanto gli ultimissimi esempi, ed è andata così anche al Triboniano, con l’aggravante che in quest’ultimo caso l’assegnazione dei posti regolari non brillava certo per trasparenza. In altre parole, alle famiglie rom sotto sgombero non rimangono che due opzioni: andarsene e cercare un’altra sistemazione degradata nei meandri della metropoli oppure protestare. A Chiaravalle e a Legnano hanno scelto la prima, ieri al Triboniano la seconda.
Quindi, non c’è proprio nulla di cui stupirsi o scandalizzarsi, se non delle dichiarazioni odierne di Penati, che considera i fatti di ieri una prova dell’assenza di volontà di integrazione da parte dei rom. Se invece fossero andati a dormire in mezzo alla strada senza proferire parola, allora sarebbero diventati un esempio di integrazione riuscita?
La cosa forse più insopportabile di tutto questo è che ormai non gliene frega più niente a nessuno di trovare soluzioni, ma soltanto di perseguire i propri obiettivi politici con ogni mezzo. Al Centrodestra meneghino interessa procedere su una strada che ha il duplice vantaggio di produrre facile consenso elettorale e di mettere in secondo piano il bilancio, per nulla esaltante, dei suoi 15 anni di gestione del potere a Milano. A taluni esponenti locali del nascente Partito Democratico, invece, il gioco serve per seppellire l’esperienza dell’Unione e gettare le basi per le future alleanze variabili. Duetto Penati-Formigoni docet.
Insomma, i rom, considerati ormai a tutti gli effetti esseri umani di serie B, e le inquietudini e le paure dei cittadini milanesi sono semplici pedine in un gioco più grande. A meno che non si voglia sostenere seriamente che spostare le baraccopoli da un quartiere all’altro possa risolvere il problema. A questo punto, crediamo davvero che il vero problema da affrontare sia il degrado della politica.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 3 luglio 2007 (pag. Milano)
Il costante aumento di fatti violenti che coinvolgono i vigili urbani, specie a Milano, non è certo una novità. E in questo senso, quanto avvenuto nel parco Cassinis rappresenta soltanto l’ultima conferma che non dovrebbe, purtroppo, sorprendere nessuno. A stupire, invece, sono ancora una volta le solite dichiarazioni ufficiali che si limitano ad accusare tout court gli “extracomunitari” oppure a invocare più “strumenti” per gli agenti di polizia locale.
È davvero sconcertante che nessuno, tra gli amministratori milanesi, senta il bisogno di fare almeno un bilancio di quella politica di militarizzazione che sta trasformando progressivamente la vigilanza urbana in una specie di polizia del sindaco. Le conseguenze di questo processo, in realtà, sono sotto gli occhi di tutti, nonché denunciate con regolarità dai maggiori sindacati della polizia municipale milanese. Infatti, lo spostamento di uomini e risorse verso compiti di ordine pubblico non solo ha marginalizzato le funzioni proprie della polizia municipale, come il controllo del rispetto del codice della strada e delle norme di sicurezza sui cantieri oppure la verifica degli abusi edilizi e ambientali, ma ha cambiato anche la percezione del ghisa da parte dei cittadini, siano essi italiani o immigrati.
Oggi, il vigile urbano, armato di pistola e manganello, è sempre di più visto come un poliziotto, con la differenza che non gode dello stesso addestramento, né della stessa autorità. Secondo il vigente regolamento regionale, per fare un esempio, è sufficiente che l’agente di polizia locale sostenga un corso teorico di due ore e uno pratico di quattro ore per essere abilitato all’uso del manganello.
A tutto questo va poi aggiunto che gli amministratori milanesi continuano a non voler fare i conti con una città trasformata profondamente dal fenomeno migratorio, rifiutando ogni politica che favorisca l’inclusione e la convivenza e puntando unicamente sulla repressione. E così, se c’è un problema in via Sarpi si mandano i vigili a fare la guerra delle multe, se ci sono senegalesi che vendono la loro merce in Brera si scatenano sempre i vigili e se ci sono questioni in Triboniano, allora fanno di nuovo comparsa i vigili, addirittura in tenuta antisommossa, cosa che sarebbe vietata dalla legge.
I ghisa non stanno subendo le conseguenze di uno “strano virus” o di una “moda”, come vorrebbe far credere il comandante Bezzon, bensì sono costretti a pagare il prezzo dell’insana ambizione del centrodestra milanese di volerli trasformare con ogni mezzo in un corpo di polizia alle sue esclusive dipendenze.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 6 luglio 2007 (pag. Milano)
Quanto rivelato ieri sul quotidiano la Repubblica dal vigile urbano di Milano, Federico Carrozzo, circa l’esistenza di un nucleo speciale di circa 30 agenti che opera fuori dalle regole esistenti è di inaudita gravità.
L’agente, infatti, non rileva e rivendica soltanto l’esistenza di tale nucleo di carattere semi-informale, ma altresì l’uso di abbigliamento e di armi improprie, come le pericolose torce elettriche dal manico lungo, non in dotazione alla Polizia Locale di Milano e acquistati in privato.
È stucchevole e stupefacente che il Vicesindaco di Milano non abbia sentito il bisogno di intervenire con durezza in seguito a tale rivelazione e che addirittura sia andato avanti ad elogiare questi agenti. Delle due cose l’una: o si tratta di una notizia inventata, e in tal caso ci aspettiamo una smentita ufficiale e credibile, oppure questo nucleo esiste e allora occorre che venga aperta un’inchiesta e che si sospendano gli agenti coinvolti.
A De Corato piace pensare alla vigilanza urbana di Milano come se fosse la Polizia del Sindaco, ma se un poliziotto o un carabiniere si fosse permesso di vantarsi pubblicamente di aver usato armi improprie e abbigliamento non in dotazione al corpo, sarebbe stato immediatamente sospeso e si sarebbe avviata un’indagine.
Oggi Rifondazione Comunista ha presentato in Regione un’interpellanza urgente all’Assessore regionale alla Polizia Locale, Ponzoni, perché intervenga a sua volta, accertando con urgenza quanto avviene nelle polizie municipali della Lombardia. Se la rivelazione fosse confermata rappresenterebbe, infatti, una palese violazione della legge nazionale n. 65/86 e della legge regionale n. 4/2003, nonché una vera e propria deviazione.
Chiediamo che si faccia immediatamente chiarezza e che si individuino le responsabilità. Non è possibile che continui un silenzio ufficiale imbarazzante e inaccettabile, soprattutto da parte di chi invoca ogni due secondi il rispetto della legalità. Tutto questo è dovuto ai cittadini e, soprattutto, ai tanti vigili urbani che svolgono quotidianamente il loro lavoro nel rispetto della legge e delle persone.
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