Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
di lucmu (del 02/11/2005, in Pace, linkato 1310 volte)
Il presidio al consolato iraniano di Milano, indetto per domani da “Sinistra per Israele”, ha un pregio e un grande difetto.
Il pregio sta nel tentativo di volersi sottrarre all’irritante e stucchevole operazione politica che sta alla base dell’iniziativa romana, promossa da Giuliano Ferrara, e che prende a pretesto le gravi e inaccettabili dichiarazioni del presidente iraniano, per rilanciare invece il delirio dello “scontro di civiltà”.
Il grande difetto sta nel fatto di non esserci riuscito, se non in minima parte, riproducendo ancora una volta quello strabismo politico che fa intollerabilmente coincidere il sostegno al popolo ebraico e al sacrosanto diritto di Israele di esistere con l’appoggio acritico e incondizionato alla politica di Sharon.
Anche a Milano, la giusta aspirazione del popolo palestinese a una terra e a uno stato non trova nemmeno lo spazio di una riga, di un cenno nell’appello dei promotori. E questo è un errore. L’unica sicurezza, per Israele, per la Palestina e per tutti i popoli del Medioriente, compreso quello irakeno, sta nella costruzione di una pace giusta, nel riconoscimento del diritto all’autodeterminazione per tutti e nella fine delle occupazioni militari.
Ecco perché l’unico modo per stare in piazza domani a Milano, fuori dalle ipocrisie e dalle ambiguità, è quello che ci propongono le associazioni pacifiste raccolte in Action for Peace (Amal - Bambini per la pace, Arci, Associazione Italia-Palestina, Associazione Jalla, CRIC, Donne in nero, Ebrei contro l’occupazione, Guerre & Pace, Gruppo Bastaguerra – Milano, Pax Christi, Rete Radiè Resch, SCI, Salaam ragazzi dell’olivo), che saranno presenti al presidio con uno striscione che dice “Diritti per tutti i popoli del Medioriente, due stati per due popoli in Palestina/Israele, contro la guerra in Iraq”. E chissà, forse questo potrà essere anche l’unico modo per aprire davvero un confronto serio.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 8 nov. 2005
Bologna non è una questione bolognese. Piuttosto, complice il piglio autoritario di Cofferati, è il luogo dove uno dei principali nodi politici e strategici dell’Unione è venuto al pettine. E, si badi bene, non si tratta semplicemente di qualcosa che riguarda il rapporto tra sinistra moderata e Rifondazione, bensì concerne il baricentro politico e il progetto di società degli eventuali futuri governi, nazionale e cittadini, del centrosinistra.
Altro che resa dei conti tra Rifondazione e Cofferati, come molte interessate opinioni sostengono. Siamo semmai di fronte al tentativo, nemmeno troppo velato, di mettere nell’angolo la sinistra radicale e di movimento, di espellere le sue istanze di cambiamento dall’orizzonte del centrosinistra e di spostare il centro di gravità dell’Unione verso destra.
Se preoccupante è l’operazione politica che si intravede, inquietante è il terreno prescelto. Chi scrive, vive e fa politica in una città e in una regione, cioè Milano e la Lombardia, dove le destre governano da tempo immemorabile. Legalità, ordine, sicurezza e tolleranza zero non sono certo delle novità, anzi sono parole d’ordine strasentite e ormai persino un po’ logore. Destinatari principali di quelle invocazioni securitarie sono da sempre i migranti, ma non vengono risparmiati nemmeno autoferrotranvieri in sciopero, centri sociali, occupanti di casa e lavoratori della Scala. Sempre e comunque ridotti a una questione di ordine pubblico, laddove le questioni sociali vengono invece bellamente ignorate.
La città è peggiorata, la precarietà del lavoro e della vita imperversa, le giovani coppie scappano nell’hinterland, perché affittare o comprare una casa è diventata un’impresa impossibile, le famiglie milanesi si indebitano sempre di più per far fronte alle spese normali, l’area del disagio sociale si è allargata e i 180mila nuovi cittadini, cioè i migranti, vengono guardati con sospetto, non per quello che fanno o non fanno, ma per quello che sono. Che dire, se non che siamo di fronte a un bilancio fallimentare e denso di nubi per il futuro?
Eppure, sarebbe sufficiente riflettere su quanto avviene ora in Francia, su quella rivolta dei figli e dei nipoti dei migranti, nati è cresciuti in terra francese, cittadini sulla carta, ma nella vita reale relegati nei ghetti urbani, nell’esclusione e nel degrado civile e sociale.
Il problema non si chiama legalità sì o legalità no. Il problema è il modello di società che intendiamo perseguire. Il problema è se assumiamo come nostro nemico da battere la povertà oppure i poveri, l’esclusione oppure gli esclusi, la condizione di clandestinità oppure i “clandestini”. Dalla risposta che diamo a tali quesiti discendono due politiche diverse e opposte.
Allo stato attuale, sia nella Milano di Albertini che nella Bologna di Cofferati, legalità e sicurezza non sono state altro che una clava impugnata per dare addosso a migranti, lavoratori e studenti. Quando mai abbiamo visto un simile impegno per altre illegalità, sicuramente più nocive, come l’evasione fiscale, equivalente al 7% del PIL, o quella contributiva, visto che secondo l’Inps nella sola efficiente Lombardia il 75% delle aziende ispezionate nel 2004 risultavano irregolari?
Insomma, il problema vero per la sinistra è uscire da quella subalternità culturale e politica che provoca balbettii ogniqualvolta si tocca il tasto della sicurezza o dell’immigrazione. Una subalternità che nel caso di Cofferati è diventata una esplicita rivendicazione. Occorre invece un autentico rovesciamento della questione, dello stesso concetto di sicurezza, mettendo al centro la giustizia sociale, i diritti di cittadinanza e l’inclusione. Continuare a rincorrere la destra sul suo terreno ci porta diritti alla sconfitta, anche quando si vincono le elezioni.
Qualcuno sembra invece aver deciso che Bologna è l’occasione buona per stroncare sul nascere la possibilità di una politica alternativa e per esigere delle rese preliminari. Ecco perché Bologna non è soltanto una questione bolognese ed ecco perché non possiamo permetterglielo.
di lucmu (del 10/11/2005, in Lavoro, linkato 1071 volte)
Le crisi occupazionali sempre più numerose in Lombardia non sembrano proprio interessare la Giunta Formigoni. Quanto emerso oggi, durante l’audizione delle rappresentanze sindacali della Zucchi-Bassetti nelle commissioni consiliari IV e VII, è la goccia che fa traboccare il vaso.
Sono 742 i lavoratori della Zucchi-Bassetti, di cui 500 in Lombardia, che rischiano il posto. E licenziare il 70% degli operai significherebbe chiudere definitivamente ogni attività industriale. E’ passato quasi un mese da quando, il 17 ottobre scorso, i segretari regionali di Cgil, Cisl e Uil ha chiesto al Presidente Formigoni e all’assessore Corsaro un incontro su questa vicenda. Risultato? A oggi, nemmeno lo straccio di una risposta e un’audizione praticamente disertata dai consiglieri di Forza Italia e di Alleanza Nazionale.
Questo atteggiamento fa il paio con quanto avviene sull’Alfa di Arese. Settimane fa, in seguito a un’altra audizione, quella volta con le organizzazioni sindacali dell’Alfa, i presidenti di commissione, rispettivamente di Forza Italia e Lega, accettarono la proposta delle opposizioni di convocare la Giunta Formigoni entro il 10 novembre. Risultato? E’ arrivato il 10 e nemmeno l’ombra della Giunta, mentre nei corridoi si mormora che “forse il 22 novembre”…
E’ ora di finirla. Il centrodestra lombardo deve assumersi finalmente le proprie responsabilità. La Giunta Formigoni venga in Commissione a spiegare cosa intende fare sull’Alfa e convochi subito un tavolo di confronto con i sindacati sulla Zucchi-Bassetti.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer, Mario Agostinelli e Osvaldo Squassina
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 12 nov. 2005 (pag. Milano)
Bruno Ferrante piace alla sinistra radicale e agli antagonisti. È questo il leitmotiv che domina la stampa in questi giorni. La Repubblica aveva persino osato un audace “e la sinistra-sinistra scende dalle barricate”.
Un paradosso! esclamano in molti. Sarà, ma forse la verità è più semplice, anche se più preoccupante. Il paradosso vero è che parte della sinistra italiana sembra aver smarrito la bussola, trasformando le proprie subalternità culturali in linea politica. Semmai, il paradosso milanese non è altro che un pallido riflesso di quello bolognese, dove invece un ex-sindacalista si comporta da Sarkozy nostrano.
Ma attenti alle illusioni ottiche. Anche a Milano, autorevoli esponenti della sinistra moderata non perdono occasione per invocare legalità e sicurezza, per dire che di cose come il Cpt di Via Corelli o di una politica alternativa in tema di immigrazione proprio non si deve parlare. Insomma, sotto il paradosso milanese cova silenzioso, ma insistente il quello bolognese.
A Cesare ciò che è di Cesare; quindi a Bruno Ferrante va riconosciuto quanto fatto come prefetto e quanto detto finora come neo-candidato. E sono comprensibili –e condivisibili- i sollievi da scampato pericolo dopo il tormentone neocentrista di Veronesi e le ruspe cofferatiane. Ma detto questo, quella parte di società politica e civile milanese, detta “sinistra radicale”, corre il pericolo di rimanere incastrata nel sollievo e persino di dividersi tra “aperturisti” verso Ferrante e sostenitori di Dario Fo. Il problema vero, invece, non è Ferrante o Fo, bensì con quale programma, con quale progetto, con quali idee si vuole governare Milano dopo i lunghi anni bui del dominio delle destre.
Le destre a Milano si sono occupate anzitutto di svendere e privatizzare, di ignorare con arroganza le istanze provenienti dalla società, scontrandosi sempre e comunque: dai tranvieri ai lavoratori della Scala, dai centri sociali ai comitati e associazioni di quartiere. I e le milanesi oggi stanno peggio, sempre più precarizzati nel lavoro e nella vita, con il disagio sociale e il degrado che si sono allargati, con sempre più famiglie che si indebitano, con le giovani coppie che scappano nell’hinterland per poter pagare l’affitto o il mutuo. Per non parlare poi come vengono trattati i nuovi milanesi, cioè quei 180mila migranti presenti sul territorio, accettati come manodopera a basso costo, ma mai come persone portatori di diritti. Ne sono triste simbolo alcune vie cittadine, come Corelli, Capo Rizzuto o Quaranta.
Ecco perché il problema non sono tanto il nome e il profilo del candidato sindaco, bensì i contenuti e le proposte. Ecco perché, per esempio, è importante che alle primarie cittadine non si ripeta lo scandalo dell’esclusione de facto dei migranti e si produca invece un fatto politico qualificante con una loro partecipazione massiccia. Ecco perché in questi mesi la sinistra radicale dovrebbe aprire un grande confronto sul territorio e con i soggetti sociali per costruire un progetto alternativo di città. E le priorità ce le indica la realtà: partecipazione e inclusione, lotta alla precarietà, condizioni di lavoro, rilancio dell’intervento pubblico, casa, riqualificazione dei quartieri popolari, diritti sociali e di cittadinanza uguali per tutti e tutte.
Quindi, altro che scendere dalle barricate. Questo sarebbe davvero il peggior servizio che si possa rendere a Milano.
di lucmu (del 14/11/2005, in Lavoro, linkato 1070 volte)
Oggi i Consiglieri Regionali di Rifondazione Comunista, Mario Agostinelli, Luciano Muhlbauer e Osvaldo Squassina, hanno depositato un progetto di legge regionale sulle modalità di accesso alla previdenza integrativa, che prevede l’obbligatorietà dell’acquisizione del consenso del lavoratore per il trasferimento del Tfr ai fondi pensionistici complementari.
Il decreto legislativo che il Governo prepara per il trasferimento del Tfr ai fondi pensionistici integrativi, sulla base della legge 243/2004 non rappresenta soltanto un vero e proprio scippo ai danni dei lavoratori, ma contiene altresì il meccanismo truffaldino del silenzio-assenso. Ovvero, se il lavoratore non dichiara esplicitamente e di sua iniziativa di non voler trasferire il suo Tfr, rischia di svegliarsi una bella mattina e scoprire che la sua liquidazione non c’è più. Insomma, oltre il danno, anche la beffa.
Il pdl presentato oggi da Rifondazione in Consiglio Regionale della Lombardia prevede invece l’obbligatorietà della corretta informazione e l’acquisizione del consenso esplicito del lavoratore da parte delle imprese.
In pratica, senza assenso, niente trasferimento. Una norma elementare di trasparenza e democrazia, si direbbe, ma non sembra pensarla così il Governo, visto che cerca di sottrarre la liquidazione ai lavoratori, senza nemmeno l’obbligo del consenso.
L’articolo 117 della Costituzione, così come riformato, riconosce alle Regioni competenza concorrente in materia di previdenza complementare e integrativa. Di fronte all’inaccettabilità di quanto previsto dal Governo riteniamo quindi imprescindibile che la Regione intervenga con le proprie competenze, affinché venga tutelato adeguatamente il sacrosanto diritto di ogni lavoratore di poter decidere liberamente e senza raggiri sul destino del suo Tfr.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui puoi scaricare il testo del pdl
di lucmu (del 16/11/2005, in Pace, linkato 1344 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 16 nov. 2005 (pag. Milano)
Il gruppo consiliare regionale di Rifondazione Comunista ha partecipato al presidio di fronte al Consolato degli Stati Uniti di Milano, convocato dalle organizzazioni pacifiste.
I consiglieri regionali del Prc, Luciano Muhlbauer, Osvaldo Squassina e Mario Agostinelli, hanno depositato una mozione nella quale si chiede che il Consiglio Regionale della Lombardia condanni l’utilizzo di armi chimiche contro la popolazione civile di Fallujah, solleciti l’apertura di un’inchiesta internazionale e inviti il Governo italiano a ritirare immediatamente le truppe dall’Iraq.
L’inchiesta giornalistica prodotta dalla Rai, ma da essa stessa passata in sordina a orari impossibili ha confermato in maniera clamorosa quanto già si sapeva. Cioè che gli Stati Uniti usano normalmente armi chimiche, ovvero di distruzione di massa, anche contro obiettivi civili. Sono atti classificati dal diritto internazionale come crimini di guerra. Sono atti analoghi a quelli che fanno sedere oggi Saddam Hussein sul banco degli accusati nel processo che lo vede imputato a Bagdad.
Un servizio giornalistico che ha fatto il giro del mondo, ma che in Italia ha incontrato orecchie da mercante. Tutto ciò è gravissimo, poiché in un Paese democratico e civile dovrebbe bastare il semplice sospetto di un crimine di guerra per intervenire. Invece no, il Governo italiano non sente nemmeno il bisogno di promuovere un’inchiesta. E che dire della sinistra moderata, di quei Ds e Margherita che non hanno perso un secondo per aderire alla fiaccolata pro-Sharon di Ferrara, ma che hanno disertato il presidio pacifista davanti all’ambasciata Usa di Roma?
Il fatto che i DS milanesi abbiano invece aderito al presidio di oggi rappresenta una buona notizia. Tuttavia, non basta condannare l’uso del fosforo bianco, poiché non esistono guerre buone e ancor meno occupazioni militari pulite. Il problema è la guerra in sé e bisogna trarne le logiche conseguenze, archiviando ogni ambiguità sulla partecipazione italiana all’occupazione anglo-americana dell’Iraq. Le truppe vanno ritirate immediatamente e senza condizioni!
qui puoi scaricare il testo della mozione
Articolo di Luciano Muhlbauer, Daniele Farina e Piero Maestri, pubblicato su il Manifesto del 17 nov. 2005 (pag. Milano)
Questa notte circa 200 immigrati hanno occupato a Milano uno stabile di proprietà privata, abbandonato da anni, che si trova in Via Lecco 9. Si tratta di immigrati provenienti dai paesi del Corno d’Africa - eritrei, etiopi, sudanesi, somali - praticamente tutti in possesso di un permesso di soggiorno, in quanto rifugiati politici. Il consigliere regionale, Luciano Muhlbauer, il consigliere provinciale, Piero Maestri, e il consigliere comunale, Daniele Farina, di Rifondazione Comunista, erano presenti questa mattina nello stabile occupato.
Esprimiamo anzitutto la nostra solidarietà a questi uomini e a queste donne che hanno dovuto occupare uno stabile in centro per comunicare alla città la condizione disumana e di degrado a cui sono costretti. Da lungo tempo sopravvivevano come potevano nell’ex-caserma di via Forlanini, forzati alla convivenza con topi e altri simpatici animaletti, senza riscaldamento e senza assistenza sanitaria. Ora che l’inverno bussa alle porte hanno deciso semplicemente di reagire e di chiedere che qualcuno intervenga.
Finora soltanto qualche associazione e qualche centro sociale si sono occupati di loro. Dal Comune, invece, poco o nulla. Eppure sono in Italia regolarmente, provengono da zone di guerra, il loro status di profughi è riconosciuto dallo Stato italiano. Ma, e sta qui l’inghippo, secondo l’attuale normativa non possono lavorare, mentre lo Stato non provvede alle esigenze abitative. Cose che non accadono nemmeno nella vicina e rigorosa Svizzera. Conclusione? Si trovano in uno stato di abbandono che porta diritto al degrado. E in questo senso, i 200 di Via Lecco sono semplicemente la punta di un iceberg.
Il fatto che in Italia manchi tuttora una legge sul diritto d’asilo degna di questo nome non può certo giustificare il disinteresse. O peggio ancora, la riduzione di un problema sociale a questione di ordine pubblico. Anche oggi, purtroppo, esponenti del centrodestra milanese e lombardo non perdono l’occasione per aggredire verbalmente i rifugiati, dimostrando così anzitutto la loro colpevole ignoranza rispetto a ciò che avviene nella città reale.
Ora c’è un’emergenza. Va evitata prima di tutto ogni soluzione di forza, come uno sgombero violento. E, soprattutto, si apra immediatamente un percorso che coinvolga tutte le istituzioni presenti sul territorio e che trovi una soluzione abitativa, umanamente decente, per questi uomini e queste donne. Le condizioni ci sono tutte, manca soltanto la volontà politica: ci auguriamo che nessuno si permetta di trasformare questa emergenza in occasione per una pessima campagna elettorale.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 18 nov. 2005 (pag. Milano)
Sembra proprio che qualcuno abbia deciso che l’occupazione di Via Lecco da parte di 200 rifugiati africani debba essere drammatizzata per forza. Continuano i toni apocalittici da parte di esponenti del centrodestra, mentre il Comune di Milano ha oggi persino negato il passaggio di un mezzo dell’Amsa per ritirare l’immondizia che gli occupanti avevano raccolto.
Gli occupanti hanno chiarito sin dal primo momento che il loro scopo non è rimanere in quello stabile, bensì lanciare un grido d’allarme sulla loro situazione e chiedere una soluzione al loro problema. Insomma, che qualcuno dica loro dove passare le notti in maniera decente e umana.
E che le cose stanno così lo sanno tutti, ma proprio tutti.
Non a caso la Questura di Milano ha scelto finora di muoversi con moderazione e senso di responsabilità, evidentemente consapevole che non siamo di fronte a un problema che possono risolvere le forze di polizia, ma che richiede l’intervento della politica. Tuttavia, è evidente che il centrodestra milanese sta invece esercitando forti pressioni politiche affinché il tutto finisca con uno sgombero entro le prossime 24 ore. E poi? Semplice, la questione non si risolverebbe, ma si sposterebbe di qualche chilometro.
Il problema in Via Lecco non si chiama legalità, bensì emergenza umanitaria. Se anche gli amministratori di Milano accettassero questa palese verità, le soluzioni, magari anche quelle transitorie, si troverebbero in poco tempo. Insistere invece sulla strada della campagna elettorale con ogni mezzo, porta semplicemente alla moltiplicazione dei conflitti e dei problemi.
Oggi l’assessore Maiolo ha finalmente incontrato una delegazione dei rifugiati politici di Via Lecco. Lo ha fatto controvoglia, costretta dalla civile determinazione dei migranti e dall’insostenibilità della posizione iniziale assunta dal Comune. Non si è nemmeno presa la briga di avvisare dell’appuntamento i diretti interessati, che ne sono venuti a conoscenza ieri sera attraverso terzi. Ma ci sono andati lo stesso, nella speranza di trovare risposte nuove.
All’interprete di fiducia dei migranti, un volontario del Naga, è stato impedito di partecipare. Il clima era pessimo e l’annunciata proposta del Comune è di fatto una non proposta. Ovvero, prima i rifugiati dovrebbero abbandonare lo stabile di Via Lecco per poi, ognuno individualmente, presentarsi negli uffici comunali competenti, dove verranno valutati i singoli casi. Insomma, all’assessore Maiolo, più che a risolvere il problema, sembra interessata a un po’ di pubblicità per poter tornare al più presto all’invocazione dello sgombero.
Difficile pensare che così possano nascere delle soluzioni vere. E sicuramente non hanno aiutato le prese di posizione dei Ds milanesi, prima silenti e assenti e ora rumorosamente schierati con una legalità cieca e a prescindere. In questo clima, le stesse parole misurate del questore Scarpis, che da giorni ripete che il problema non è l’ordine pubblico, finiscono con l’essere una predica nel deserto.
Cosa deve succedere perché il Comune inizi a considerare la tutela dei diritti umani più importante della difesa dei diritti di proprietà di un’immobiliare che da oltre un decennio mantiene vuoto e degradato lo stabile di via Lecco?
Ora non vanno lasciati soli questi rifugiati. Occorre che la politica e tutto l’associazionismo si attivino per fermare il precipitare della situazione, ovvero il ritorno dell’ipotesi dell’azione di forza, che nulla risolverebbe e che semplicemente rigetterebbe gli uomini e le donne di Via Lecco nell’invisibilità e nell’abbandono.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Per i rifugiati di via Lecco il bilancio della giornata odierna è fortemente contraddittorio. Da una parte vi sono stati segnali positivi, che indicavano la direzione giusta su cui lavorare, fuori dalle logiche emergenziali. Questo sicuramente è il caso dell’incontro tenutosi nel primo pomeriggio in Prefettura. Dall’altra, tuttavia, vi sono i segnali per nulla incoraggianti che provengono ancora oggi dal Comune di Milano. Insomma, siamo in piena situazione di stallo.
Ancora una volta il Comune si è trincerato dietro alle solite proposte che nulla risolvono. Anzi, i rifugiati prendano il telefono e chiamino l’ufficio di via Anfossi o quello della Stazione Centrale. E’ davvero incredibile! Ed è difficile non vedere nell’immobilismo dell’amministrazione comunale la presenza di qualche veto politico pregiudiziale proveniente da una parte del centrodestra milanese.
Sono questo stallo e questa inerzia che oggi rappresentano il principale ostacolo per una soluzione positiva della vicenda di via Lecco e che impediscono di affrontare l’insieme del dramma umano e sociale delle migliaia di rifugiati presenti a Milano.
Ora occorre che prendano l’iniziativa direttamente le associazioni, che aprano loro un tavolo di confronto con gli occupanti di via Lecco e che si definiscano insieme le strade da percorrere. Soltanto in questa maniera sarà possibile uscire dall’impasse.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
|