Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
di lucmu (del 26/04/2008, in Politica, linkato 1017 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato (con altro titolo) su Liberazione del 26 aprile 2008
 
Formigoni non andrà a Roma e la Lombardia non tornerà alle urne in autunno. Sembra essere questa la conclusione del tormentone lombardo, sebbene la parola fine non sia ancora stata scritta. Ciononostante, occorre azzardare una prima riflessione, perché un tale esito avrebbe rilevanti conseguenze sullo scenario politico lombardo.
Anzitutto, saremmo di fronte a una sconfitta personale per il potente governatore. Non solo si è esposto parecchio, annunciando il suo trasloco nella capitale e candidandosi di fatto alla leadership futura del centrodestra, ma non è nemmeno la prima volta che tenta il salto nella politica nazionale. Tutti ricordano il suo progetto centrista della lista del presidente ai tempi delle elezioni regionali del 2005, poi naufragato a causa del veto berlusconiano. Oppure la lunga e inconcludente telenovela all’insegna del “vado, anzi non vado”, di cui il presidente-senatore si rese protagonista l’anno successivo.
Questa volta, però, la situazione appariva diversa. Il tutto era stato preparato con estrema cura, c’era persino un patto con la Lega, che sembrava d’acciaio, e il centrodestra ha stravinto le elezioni. Ma allora, come mai è andato tutto storto per il capo di Cl? Semplice, ai suoi due tradizionali talloni d’Achille, se n’è aggiunto un terzo, quello fatale. In altre parole, per fermare Formigoni forse non sarebbe stato sufficiente l’intreccio tra l’ostilità conclamata di Berlusconi, che da sempre vuole tenerlo lontano da Roma, e le resistenze silenziose del possente sistema di potere ciellino, preoccupato per il futuro dei suoi affari lombardi, se non fosse intervenuta la significativa affermazione elettorale della Lega.
Ebbene sì, perché il cambio di mestiere del presidente impone le elezioni anticipate e, in tal caso, sarebbe impossibile negare alla Lega il candidato presidente ed è prevedibile un nuovo rafforzamento elettorale del Carroccio. Considerato quanto già successo il 13-14 aprile in Veneto, dove la Lega ha cannibalizzato parte del tradizionale elettorato di Forza Italia, si capisce che questo scenario trova l’opposizione di Berlusconi.
Insomma, se l’esito dell’affaire Formigoni è quello ipotizzato e se la nostra analisi è fondata, allora gli ultimi due anni della legislatura regionale si preannunciano densi di contraddizioni, con una Lega che cerca di massimizzare il suo exploit elettorale e con un Formigoni indebolito e quindi costretto a qualche rilancio.
In fondo, un terreno interessante per le opposizioni per tentare di rimontare la china e presentarsi all’appuntamento con il 2010 con una proposta credibile di cambiamento. Ahinoi, le prime parole dei dirigenti lombardi del Pd non fanno sperare bene, visto che non trovano di meglio che reiterare le offerte di collaborazione con Formigoni. Quindi, per Rifondazione è ancora più importante non disperdere il tempo e affrontare da subito, nelle parole e nella pratica, la ricostruzione di una presenza e di una prospettiva della sinistra alternativa in Lombardia.
 
 
di lucmu (del 15/04/2008, in Politica, linkato 2869 volte)
Anche i più incalliti pessimisti, tra i quali mi annoveravo, non prevedevano un risultato tanto disastroso. E non l’ha fatto nemmeno il compagno che mi aveva detto “questa volta non voto”, disgustato e disilluso dopo i due anni di governo Prodi, o quello che aveva ceduto alla tentazione del “voto utile”, credendo davvero alla favola veltroniana della pareggio possibile. Ambedue non avevano trovato le motivazioni sufficienti per esprimere un voto a favore della “Sinistra l’Arcobaleno” e ambedue hanno cercato una via per esprimere nelle urne il proprio disagio e lanciare un segnale politico. E ambedue sono rappresentativi dell’atteggiamento prevalente degli elettori di sinistra, cioè l’astensione e il voto al Pd, con l’aggiunta che al Nord alcuni hanno votato pure per la Lega.
Che di una vera e propria disfatta si tratti, si può peraltro evincere da tre fatti. In primo luogo, prendendo i dati della Camera, neanche sommando tutti i voti di tutte le liste riconducibili alla “sinistra radicale” di due anni fa, cioè oltre SinArc (3,1%) anche Pcl (0,6%), Sinistra Critica (0,5%) e Per il Bene Comune (0,3%), ci si avvicina anche soltanto alla metà dei voti di allora. Ovvero, nel 2006 Prc, PdCi e Verdi ottennero complessivamente 3.898.460 voti e il 10,2%, mentre oggi SinArc, Pcl, S.C. e Bene Comune realizzano insieme 1.619.905 voti e il 4,5%.
In secondo luogo, dalle elezioni emerge un netto spostamento a destra del panorama politico italiano. La coalizione berlusconiana non solo dispone di una chiara maggioranza sia alla Camera che al Senato, ma al suo interno non c’è più la componente centrista dell’Udc, mentre la Lega ha rafforzato notevolmente le sue posizioni, grazie al suo exploit al Nord. E, da sottolineare, la campagna elettorale della Lega, specie nelle aree metropolitane, era giocata fortemente sui temi della sicurezza e della paura dell’immigrazione.
Infine, il Pd ha realizzato, forse oltre le sue aspettative, il suo obiettivo primario, cioè l’eliminazione della sinistra, come primo passo verso l’imposizione di un sistema bipartitico all’americana. In campagna elettorale, Veltroni è riuscito in un capolavoro politico, staccando la sua immagine da quella di Prodi, addossando alla sinistra la responsabilità del fallimento dell’esperienza governativa e, soprattutto, convincendo gli elettori di sinistra che il Pd potesse effettivamente battere Berlusconi. Una tesi spericolata e truffaldina, senza alcun fondamento reale, come hanno poi ampiamente confermato i risultati elettorali. Infatti, il Pd non ha tolto nemmeno l’ombra di un consenso alle destre e non ha fagocitato l’Udc, dirottando in cambio voti dalla sinistra e rimanendo sostanzialmente fermo a quello che avevano due anni fa Ds e Margherita.
Questa ci pare essere in sintesi la fotografia del terremoto che ha investito la sinistra nel nostro paese e da qui occorre partire per porsi la prima domanda: come mai è potuto accadere?
Non penso, in tutta franchezza, che la risposta sia che il popolo italiano abbia voluto decretare la fine e l’inutilità dell’esistenza di una sinistra nel nostro paese, ma piuttosto che la soggettività –o le soggettività- che si è concretamente presentato alle elezioni non era adatta e credibile. E non si tratta di una mera questione di simboli. Insomma, se c’era la falce e il martello sarebbe andata diversamente? Sì, forse un mezzo o un intero punto percentuale in più sarebbe arrivato, ma giusto per mitigare un po’ il disastro e forse consegnare qualche deputato, ma non sarebbe certo servito a rimuovere e far dimenticare i due anni precedenti.
Ebbene sì, perché questi ultimi due anni al governo sono stati devastanti, perché la sinistra ne è uscita sconfitta nella linea politica, nella credibilità e nei rapporti con i movimenti e i ceti popolari. E non sono stati due anni qualsiasi, bensì due anni che si sono consumati nel quadro di una dinamica sfavorevole di medio periodo, segnata dalla crisi continua della sinistra e dalla conquista dell’egemonia culturale delle destre. In altre parole, è come se fossero stati il colpo di grazia.
In campagna elettorale non abbiamo motivato e convinto neanche i “nostri”, perché non abbiamo risposto a questo scenario. La Sinistra l’Arcobaleno appariva come un cartello elettorale e un assemblaggio dell’esistente, fin dentro la composizione delle liste, senza un profilo chiaro e leggibile, senza una prospettiva per il futuro e senza innovazione.
Ora ci aspetta una fase difficile, irta di ostacoli. E ci sono due cose da evitare. La prima è la tentazione di attribuire il disastro alla cattiveria degli altri e non ai propri errori e insufficienze. La seconda è la concreta possibilità che lo stato delle cose produca semplicemente una sorta di deflagrazione della sinistra e una serie infinita di rese dei conti nelle stanze dei partiti.
Dire oggi, il fatidico giorno dopo, quello che bisogna fare esattamente è difficile e nessuno ha la ricetta in tasca. Ci vorrà riflessione, umiltà e ascolto. Ma una cosa è certa: un ciclo si è chiuso e la sinistra così com’è ha fatto il suo tempo. Occorre un fatto nuovo, una ripartenza, una sinistra nuova.
E un’altra cosa è certa: il processo di ricostruzione di una sinistra nuova non potrà essere il prodotto degli apparati e gruppi dirigenti esistenti, ma necessita di rinnovamento e, soprattutto, del calore della realtà sociale. Ovvero, della partecipazione e del protagonismo dei movimenti, dei lavoratori e delle tante realtà attive nella lotta sociale e nell’associazionismo.
 
 
di lucmu (del 05/04/2008, in Politica, linkato 932 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 5 aprile 2008 (pag. Milano)
 
Un’altra settimana sta per concludersi, ma per Milano non è stata una settimana qualsiasi. Il contrasto apparente tra i trionfalismi per l’Expo, supposta cura per tutti i mali della metropoli, e il realismo misero dello sgombero della baraccopoli della Bovisasca, con le centinaia di uomini, donne e bambini costretti a vagare per le strade, è qualcosa di più di una semplice notizia di cronaca. È piuttosto una metafora dell’oggi, della città esistente e di quella futura.
Nemmeno l’ipocrisia sembra più fare scandalo, quasi fosse divenuta una virtù della modernità. E così, il sindaco elargiva parole mielose di gratitudine a un’Africa lontana, mentre la sua amministrazione procedeva all’espulsione di centinaia di profughi di guerra africani dai dormitori comunali. Nulla di straordinario, per carità, succede tutti gli anni. E poi, l’inverno è finito e quindi si può tornare tranquillamente a dormire nelle aree dismesse.
La vetrina luccicante da esibire e la povertà da nascondere sotto il tappeto. Le due facce che disegnano un’unica medaglia, quella di una società dove le differenze sociali si acutizzano e di una città sempre più ostaggio degli interessi di pochi. Il sindaco e il suo vice fanno il loro mestiere, il primo si occupa della buona riuscita degli affari, il secondo di vendere percezione di sicurezza e di castigare gli esclusi e gli oppositori.
Poi c’è il cardinale, che ha messo in imbarazzo il sindaco, ricordandogli che esistono anche e soprattutto i diritti umani. Due giorni dopo ha spiegato a Confcooperative che i contratti di lavoro “al massimo ribasso” e precari non vanno bene. A dire il vero, non è la prima volta che si espone, anzi è una delle poche voci autorevoli della città che parla della sempre più esplosiva questione sociale, cioè del lavoro, della casa, delle periferie, dell’esclusione e delle solitudini urbane, senza cedere alla demagogia securitaria.
Il cardinale fa molto di più del suo mestiere, dicendo quello che molti altri dovrebbero dire. Anzi, riempie un vuoto di coscienza critica e di iniziativa politica. In questi giorni, quasi quasi, veniva voglia di urlare “viva il Cardinale, abbasso il Sindaco!”. Ma, con tutto il rispetto e l’apprezzamento per lui, non possiamo mica finire con una riedizione moderna dei guelfi e dei ghibellini e così dobbiamo occuparci di noi, di quelli di sinistra.
La sinistra si è sentita poco. Sull’Expo quasi per nulla, sommersa com’era dall’assordante plauso bipartisan. Certo, ci sono state alcune prese di parola, ma che in fondo hanno semplicemente confermato quello che sapevamo già, cioè che il dibattito è ancora da fare. Anche sullo sgombero della Bovisasca c’è stato troppo silenzio pubblico e non è tutta colpa di un’informazione cittadina che ormai concede poco fuori dal duopolio PdL-Pd.
L’assenza di iniziativa e chiarezza della sinistra in questa settimana è paradigmatica dello stato di cose presente, poiché si è prodotta esattamente su due questioni che attengono intimamente all’idea e al progetto di città e di società. Le trasformazioni urbanistiche dell’area metropolitana sono di fatto guidate da pochi, ma potenti interessi privati che disegnano una metropoli a misura di affari, dove chi abita il territorio e vi lavora è ridotto a spettatore rispetto alle decisioni che contano, a produttore a buon mercato di ricchezze altrui e a consumatore frenetico. E chi non si adegua o chi non ce la fa diventa un fastidio e un problema di ordine pubblico.
Ecco perché è determinante che la ricostruzione di una soggettività della sinistra parta da un’altra idea di città, dove vengono prima le persone e dopo il business, prima il trasporto pubblico e dopo le colate di asfalto, prima le periferie popolari e dopo le new towns per i benestanti, prima l’inclusione e la giustizia sociale e dopo le polizie.
Senza un’altra idea di città saremo condannati alla subalternità. Senza la ripresa della mobilitazione e del conflitto non rimane che l’impotenza. E senza il protagonismo e la partecipazione dei soggetti sociali e della cosiddetta “sinistra diffusa”, fatta di comitati, associazioni, realtà sindacali e centri sociali, non si va da nessuna parte.
 
 
di lucmu (del 15/02/2008, in Politica, linkato 1001 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 15 febbr. 2008
 
Quello che maggiormente colpisce nell’attuale confronto e dibattito nella sinistra, compreso nel nostro partito, è l’evidente impreparazione di fronte alla situazione. Certo, i tempi esatti e le modalità concrete non sono mai prevedibili, ma le tendenze di fondo che si esplicitano nell’odierna accelerazione erano e sono conosciute.
Eppure, di fronte all’annuncio veltroniano che il PD avrebbe corso da solo e che nella prossima legislatura intende concordare con Berlusconi le riforme elettorali e istituzionali, il disorientamento in ampie parti dei gruppi dirigenti delle sinistre era palese. Le dichiarazioni in stile “per favore non lasciarci”, salvo poi reagire da fidanzato respinto e offeso, erano paradigmatiche.
Tuttavia, qui il punto non è sparare sul quartier generale e neppure disquisire se in astratto era preferibile avere un centrosinistra unito per contrastare l’ascesa delle destre, bensì essere consapevoli del fatto che oggi prendono corpo politico e culturale quelle tendenze epocali che affondano le loro radici nelle sconfitte del movimento operaio dei decenni passati e nelle trasformazioni strutturali e sociali dell’epoca neoliberista. Insomma, i nodi vengono al pettine e con essi l’irrisolta questione della crisi della sinistra.
L’ex sinistra moderata, in realtà, una risposta al problema la sta dando, dichiarando storicamente superata l’ipotesi stessa di un progetto alternativo di società e impegnandosi in una prospettiva di ridisegno in chiave “americana” del sistema politico e istituzionale. Un progetto di medio periodo, che spiega perché nella presente campagna elettorale l’obiettivo primario del PD non sia la competizione con le destre per il governo, bensì l’eliminazione o la marginalizzazione –che sono poi quasi la stessa cosa- della sinistra. In fondo, anche le svolte filo-securitarie del 2007 e la lucida ostinazione nel disapplicare i punti qualificanti del programma di governo dell’Unione, con il conseguente logoramento delle sinistre, raccontavano già la medesima storia.
Ebbene, il progetto del PD non è campato per aria e non è privo di efficacia politica e fascino elettorale. Sottovalutarlo o pensare che sia sufficiente denunciarne ad altra voce la natura regressiva, sarebbe un errore madornale. No, dobbiamo urgentemente fare i conti con noi stessi, con i nostri ritardi e le nostre involuzioni, perché mentre il PD una strategia e un progetto ce li ha, noi non abbiamo più né l’una né l’altro.
E forse dovremmo partire proprio da una piccola operazione verità, cioè iniziare finalmente a chiamare le cose con il loro nome. In questo senso, non servono reticenze rispetto all’esperienza di governo e alla nostra linea politica di allora. Servono invece chiarezza e capacità autocritica. E questa non è certo una richiesta di qualcuno che ai tempi del congresso di Venezia era in disaccordo con l’impianto strategico maggioritario, ma piuttosto un’impellente necessità rispetto ai nostri tanti militanti ed elettori delusi e demotivati. Oggi, il problema principale di Rifondazione e di tutta la sinistra è quello di riuscire a riconquistare la credibilità perduta. E parlare chiaro e rimettere in sintonia le parole con i fatti è un punto di partenza obbligato.
La stessa chiarezza ci vuole anche per il futuro. Cioè, la scelta dell’autonomia della sinistra non può essere una mossa tattica o una furbizia elettoralistica, magari nell’illusione che, passata la bufera, tutto tornerà come prima. Sarebbe un po’ come vincolare l’esistenza della sinistra alla benevolenza del PD. In altre parole, sarebbe semplicemente un altro modo per suicidarsi.
Ecco perché il nuovo soggetto della sinistra non dovrà essere né un semplice assemblaggio dell’esistente, né una mera creatura dei vertici politico-istituzionali. Seppure nel quadro imposto dalle incombenti elezioni, occorre lavorare sin d’ora nella giusta direzione, nella consapevolezza che si tratta di un processo che deve proiettarsi verso l’avvenire.
Una nuova soggettività della sinistra, degna di questo nome, potrà avere linfa vitale, cioè consenso e partecipazione popolare, soltanto nella misura in cui segna delle discontinuità. Essa dovrà essere, nelle parole e nella pratica, un fatto nuovo, aperto ai movimenti sociali e alle giovani generazioni, e, soprattutto, spostare il baricentro politico dalle istituzioni alla società, immergendosi nelle condizioni di vita reali dei lavoratori e dei ceti popolari e sperimentandosi al calore dei conflitti sociali.
Questa ci pare sia la vera posta in gioco per cui vale la pena investire ancora energie, dibattere e anche scontrarsi nelle riunioni politiche. Ed è per questo che non riesco ad appassionarmi fino in fondo al nostro dibattito sul simbolo, che, beninteso, è di enorme importanza e dignità, ma che rischia, così com’è, di non centrare il bersaglio. Ovvero, oggi il problema non è tanto il simbolo, quanto invece la sostanza politica e sociale che esso pretende rappresentare.
 
 
di lucmu (del 14/12/2007, in Politica, linkato 1354 volte)
Nel nostro Paese assistiamo continuamente a campagne d’allarme che creano “emergenze” e additano capri espiatori. La violenza e l’uccisione di una donna a Roma, da parte di un uomo, ha dato il via ad una criminalizzazione di massa. Essendo l’uomo rumeno, colpevole uno, colpevoli tutti. Odio e sospetto alimentano generalizzazioni: tutti i rom vengono così trasformati in ladri e assassini, tutti i rumeni vengono trasformati in rom e quindi… espelliamo dall’Italia tutti i rumeni!! Politici vecchi e nuovi, di centro-destra e di centro-sinistra fanno la gara a chi urla più forte, denunciando l’emergenza. Emergenza che, scorrendo i dati del Rapporto sulla Criminalità (1993-2006), non esiste: omicidi e reati gravi sono, oggi, ai livelli più bassi degli ultimi 20 anni. Un omicidio su quattro viene commesso in casa: nel 70% dei casi la vittima è una donna; più di un terzo delle donne fra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale durante la propria vita e il responsabile di aggressione fisica o stupro è sette volte su dieci il marito o il compagno.
Ma cosa si grida in tv e in Parlamento? Si crea il mostro (oggi i rumeni, ieri i musulmani, prima ancora gli albanesi) invece di impegnarsi ad eliminare le vere cause del panico e dell’insicurezza sociali: l’aumento di povertà e precarietà. Da una parte si fanno leggi speciali per favorire le espulsioni, si dà la colpa a popoli interi per i crimini di singole persone, in nome di una politica che promette sicurezza ma che chiede in cambio la rinuncia ai principi di libertà, dignità e civiltà; dall’altra, si lasciano in vigore leggi, come la Bossi-Fini, che usano tutto questo per fornire manodopera immigrata e ricattabile a italianissimi imprenditori.
Non abbiamo bisogno di leggi speciali: la nostra Costituzione è la base su cui si costruì il patto di convivenza civile che ha cercato di far crescere in Italia una democrazia ricca di partecipazione popolare, pluralismo, cultura del bene comune. Quel patto deve essere rafforzato e rinnovato di fronte alle modificazioni della società, all’emergere di nuovi soggetti sociali, bisogni e diritti. Proprio nello spirito con cui è stata scritta la Costituzione possiamo trovare anche oggi le risposte ai problemi che nascono.
Bisogna rileggere questa nostra Carta nella nuova situazione sociale attuale e cioè quella di una società multietnica che prova a trasformarsi in multiculturale, con la sicurezza più che la speranza di ritrovare ancora una volta nei valori della Resistenza, e nella tutela dei diritti la forza per fare chiarezza, anche contro quelle derive razziste che un cattivo governo di questo processo sociale naturalmente possono favorire.
Tutto questo ci riguarda: non staremo in silenzio. Sentiamo il dovere di denunciare e lottare contro ogni forma di discriminazione, manifesta o nascosta, perché crediamo che ognuno abbia il diritto alla libera circolazione e a scegliere il luogo in cui vivere, per migliorare il presente e contribuire alla costruzione del futuro di tutti.
Noi non condividiamo la sicurezza declinata, com’è oggi, in una irragionevole repressione, ma l’intendiamo come impegno ad assicurare le condizioni per una serena convivenza con tutti, senza distinzione di genere e provenienza; come risoluzione delle ingiustizie che contraddistinguono l’attuale mondo del lavoro, campo di battaglia sul quale cresce la contrapposizione tra italiani ed immigrati.
Crediamo che l’immigrazione non sia semplicemente un problema di sicurezza, ma un’esigenza legata alla ricerca di una vita migliore per sé e la propria famiglia. Un percorso che Cinisello come molte altre città del Nord Italia ha affrontato in passato, crescendo proprio grazie all’accoglienza di nuovi cittadini.
Ci impegniamo a promuovere il dialogo tra le diverse culture mediante la creazione di incontri e ambiti di interscambio, dove i valori, le idee e le credenze delle persone si possano incontrare per costruire un dialogo tra la grande varietà e ricchezza di modi di vivere e trovare così i punti in comune che, al di sopra di ogni differenza, noi crediamo si trovino nel cuore dei diversi popoli e individui.
Chiediamo a singoli, associazioni, movimenti, parrocchie di Cinisello Balsamo di condividere con noi questo percorso studiando insieme le modalità.
 
Puoi aderire all’appello inviando una mail a adesione.appello@gmail.com oppure lasciando il tuo nominativo nei commenti.
Il sito di Cinisello Città Aperta: http://cinisellocittaperta.wordpress.com/
 
Primi Firmatari:
Arci Anomaliae; Associazione Soleluna; Associazione United Cultures Milano; Giovani Comunisti Provincia di Milano; Rifondazione Comunista - Cinisello Balsamo; Sinistra Democratica - Cinisello Balsamo; Verdi - Cinisello Balsamo; Partito dei Comunisti Italiani - Cinisello Balsamo; A.D.E. Artisti Dell’Errore - ARCI “La Quercia”; Arci Milano; Coordinamento Pace; Ass. Sesto Continente; Caritas - Cinisello Balsamo; Fabio Raisi; Davide Meroni; Cooperativa sociale Puntoeacapo; Luciano Muhlbauer - Consigliere Regionale Prc-Se.
 
 
di lucmu (del 29/11/2007, in Politica, linkato 3085 volte)
Abbiamo bisogno di una sinistra nuova, sociale, autonoma e aperta a chi vuole costruire un’alternativa al dominio dell'impresa, alla mercificazione delle nostre vite e all'organizzazione patriarcale della società. Pensiamo a una sinistra partecipata da soggetti e movimenti, reti e collettivi, ma anche da persone in carne ed ossa, singole e singoli, che stanno in soggetti già organizzati o che si riconoscono semplicemente nel progetto politico. Vogliamo una sinistra capace di mettere in luce le sue differenze, non per ricondurle a sintesi, ma per dialettizzarle e metterle a valore.
Attraverseremo gli Stati Generali delle sinistre di Milano con questo spirito, affinché  il loro percorso di costruzione sia il più partecipato possibile. Intendiamo intraprendere, nei tempi a cui siamo costretti, un percorso di quei tanti e tante che non vogliono rimanere a guardare, ma diventare protagonisti per il cambiamento.
Riteniamo  necessario che la sinistra rompa l'egemonia amico-nemico e si costruisca nella pratica, animando il conflitto contro la repressione e il securitarismo. Dobbiamo contrastare la deriva che trascina a destra la società italiana e, in particolar modo, quella di Milano, che ormai da tantissimi anni costituisce un laboratorio in negativo. Il Partito Democratico e pezzi di società chiedono l'inasprimento generale delle pene e trasformano comportamenti sociali in reato; la percezione di insicurezza costruita dai media spinge alla criminalizzazione dei migranti e delle differenze sessuali, e all'equiparazione di writers, manifestanti e consumatori di sostanze stupefacenti alla macrocriminalità. Siamo convinti che la prima e vera insicurezza sia la precarietà del lavoro e delle nostre esistenze, così come riteniamo che la sinistra debba avere anche la capacità di dare risposte efficaci, garantiste e non discriminatorie per tutelare, anzitutto con strumenti di prevenzione, la sicurezza di tutti e tutte in ogni suo aspetto.
Per noi che vogliamo costruire una nuova sinistra, la sicurezza passa, innanzitutto, anche se non solo, attraverso il welfare, la riqualificazione dei quartieri popolari e politiche non proibizioniste, capaci di promuovere la cittadinanza, l’inclusione e nuove forme di aggregazione nelle periferie e nei luoghi bui della nostra metropoli; passa attraverso la denuncia e la lotta contro la nascita di centri di reclutamento dell'estrema destra xenofoba e razzista, che a Milano ha trovato il suo triste epilogo in "Cuore Nero".
Per queste ragioni proponiamo il tema della Sicurezza Sociale come uno degli elementi centrali della discussione, capace di attraversare gli Stati Generali della sinistra milanese.
 
PlayLeft - Giovani Comunisti/e di Milano e provincia - Leoncavallo Spazio Pubblico Autogestito - Mario Anzani - Emilio Ballaré - Mara Boffa - Sonia Casati - Daniele Farina - Davide Furia - Fabio Ghelfi - Luca Gibillini - Valentina Laterza - Silvia Martorana - Luciano Muhlbauer - Anita Pirovano- Giuliano Pisapia - Augusto Rocchi - Raffaele Rotondo - Alessandro Rozza - Francesco Totaro - Matteo Tamburri
 
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di lucmu (del 29/10/2007, in Politica, linkato 1140 volte)
Il seguente testo rappresenta un contributo alla discussione, nata con l’assemblea autoconvocata da diversi compagni e compagne di Rifondazione di Milano, ed è stato scritto per il blog www.fareasinistra.it.
 
A volte noi disperiamo. Ed essi confidano nella nostra disperazione
(Heriberto Montano)
 
Care compagne, cari compagni,
non avevo sottoscritto il documento “La sinistra che verrà vogliamo farla insieme”, perché non condividevo alcuni passaggi, ma ho partecipato all’assemblea del 15 ottobre all’Arci Corvetto, perché di luoghi e momenti di confronto libero c’è un terribile e urgente bisogno. In questo senso, quella sera una dose di ragione ce l’avevano coloro i quali dicevano che importante non era tanto quello che c’era scritto nel documento, quanto che fossimo lì a parlarci.
E il fatto che la partecipazione era numericamente significativa e che l’età media dei presenti era decisamente inferiore a quella che di solito riscontriamo nelle riunioni di partito, ha senz’altro confermato che lo spirito del documento e della (auto)convocazione raccoglieva un’esigenza e un sentire diffusi.
Ma il difficile viene ora, poiché quella assemblea ha evidenziato con forza che non c’è soltanto bisogno di parlarsi e di confrontarsi senza vincoli e veli, ma soprattutto di fare, di agire. In altre parole, si tratta di assumere la serata del 15 non come una felice parentesi, bensì come un punto di partenza, che possa innescare processi e partecipazione, senza che le parole e le pratiche corrano su binari separati.
Ebbene, se sono rose fioriranno, come si usa dire, ma questo dipende, in ultima analisi, da noi stessi. Quindi, come sollecitato, cerco di dare il mio piccolo contributo alla riflessione.
Penso sia consapevolezza diffusa e condivisa che viviamo un momento storico in cui è posta la questione dell’esistenza e del futuro della sinistra, cioè di una soggettività e di un progetto politici in grado di farsi interpreti e organizzatori degli interessi delle classi subalterne nella prospettiva di un’alternativa di società. Una questione non nuova, a dire la verità. Rifondazione Comunista stessa era nata proprio in questa prospettiva e, in fondo, anche la stagione dei movimenti, da Seattle e Genova in poi, poneva il problema della ricostruzione di un orizzonte politico e sociale sottratto alla miseria del pensiero unico e del governo dell’esistente. Questo e non altro rappresentava, infatti, l’esclamazione collettiva “un altro mondo è possibile”.
Una questione non nuova, appunto, che affonda le sue radici negli avvenimenti epocali della fine del secolo scorso, nelle sconfitte politiche del movimento operaio, nel crollo inglorioso dell’obbrobrio del socialismo reale e nelle modifiche intervenute nella composizione dei soggetti sociali di riferimento delle sinistre. Ma oggi quella questione si staglia in tutta la sua drammaticità di fronte a noi, in Italia e in Europa. Come sempre accade nella storia, il cambio nei rapporti di forza sociali necessità di tempo prima di produrre tutti i suoi effetti sul piano delle coscienze e della cultura. Ma oggi ci siamo, i nodi sono venuti al pettine, l’egemonia culturale appartiene ormai alle destre e ai soggetti sociali che esse rappresentano e assistiamo a uno spostamento del baricentro dell’intero quadro politico e culturale a destra.
Se non teniamo conto di questo quadro generale è difficile, anzi impossibile, leggere la situazione politica contingente. Appare, infatti, evidente che l’esperienza del governo dell’Unione ha natura transitoria. L’alleanza era nata essenzialmente per mandare a casa Berlusconi  e, una volta raggiunto l’obiettivo, i diversi progetti politici che vi convivono hanno ripreso la loro autonomia. O meglio, soprattutto il progetto del Partito Democratico lo ha fatto, cestinando in un batter d’occhio gli accordi programmatici e imponendo la sua regia e le sue scelte all’azione di governo. Il PD guarda al dopo, sta preparando il dopo, e in questo senso il logoramento sistematico delle sinistre è funzionale alla prospettiva di un nuovo sistema politico basato sulla competizione, all’americana, tra due grandi aggregazioni politiche, molto simili tra di loro e ambedue concordi sulle grandi scelte di fondo, che si scontrano per il governo dell’esistente. Un siffatto progetto non può tollerare una sinistra forte e una prospettiva di alternativa viva, né sul piano politico, né su quello sociale. Ecco perché vi è una forte analogia tra quello che avviene sul piano politico e su quello sindacale, dove ogni tendenza sindacale non compatibile con l’idea neocorporativa e subalterna (sindacalismo di base, Fiom, sinistre interne varie) deve essere schiacciata con ogni mezzo.
Ma tutto questo era in qualche modo prevedibile, poiché gli anni di protagonismo dei movimenti non hanno modificato le posizioni prevalenti nei Ds. Colpisce dunque l’impreparazione e l’improvvisazione con le quali il nostro partito ha affrontato la fase del governo Prodi, affidandosi di fatto alla navigazione a vista e finendo con l’appiattirsi sulla dimensione istituzionale, vista anche la scelta di collocare quasi l’intero gruppo dirigente nelle istituzioni. E il prezzo maggiore del continuismo del governo lo stiamo pagando proprio noi, perché gran parte del peso delle speranze e delle aspettative di cambiamento gravano sulle nostre spalle. E quando vieni percepito, soprattutto dalla tua gente, come simile o uguale agli altri, che promettono tante cose e poi fanno il contrario, allora perdi credibilità. Ne sono dimostrazione i risultati elettorali delle ultime amministrative, con un forte astensionismo nel nostro elettorato, e la vera e propria crisi di rapporto con le situazioni di movimento (da Vicenza alla Val di Susa).
Tutto questo per dire che il problema primario che oggi abbiamo di fronte non è tanto quello di capire se è meglio mantenere Rifondazione o costituire, nelle forme possibili, un nuovo soggetto della sinistra. Ambedue le ipotesi, infatti, per non diventare rispettivamente un ripiegamento identitario o un’acrobazia politicista, devono fare i conti con la natura della crisi delle sinistre e con l’attuale perdita di credibilità e di radicamento sociale.
Per dirla in altre parole, è sufficiente calare il ragionamento generale nella realtà che viviamo tutti giorni, cioè quella milanese e lombarda. Anzi, proprio qui si riescono a cogliere meglio i processi e i pericoli, perché il nostro territorio ha anticipato e anticipa quanto avviene sul piano nazionale. Qui sono nate le nuove destre che hanno dilagato, da Berlusconi alla Lega. Qui si leggevano sin dall’inizio e con maggior chiarezza le dinamiche del centrosinistra, con un PD che corre velocemente a destra, convergendo sul “modello Formigoni” e cavalcando il securitarismo, e con una sinistra incapace di uscire dalla logica della resistenza, cioè dalla difesa degli spazi fisici e politici esistenti. Insomma, il PD risponde alla crisi della sinistra, fuoriuscendo dalla sinistra, mentre noi ci chiudiamo nei fortini assediati, che diventano sempre di meno. Ed è sempre dalle nostre parti dove i soggetti sociali sono cambiati prima e più a fondo, dov’è saltato con più forza il tessuto di relazioni sociali e la precarietà si è impadronita ampiamente del lavoro e delle esistenze.
Oggi le destre riescono a comunicare con i ceti popolari, sono presenti nei quartieri. Rispondono al disagio e alle insicurezze di lavoratori, pensionati e giovani, parlando alla pancia e fornendo nemici facili e abbordabili: il rom, l’immigrato, il diverso eccetera. È razzismo e securitarismo, ma soprattutto è guerra tra i poveri.
Ma mentre tutto questo accade, noi siamo sempre meno presenti sul territorio e nei quartieri popolari. Non parliamo più alla nostra gente, perché di nostra gente si tratta, non di ricchi e borghesi. E non risolviamo il problema andando nei quartieri a dire “non prendertelo con l’immigrato, devi essere più solidale”. No, non funziona, perché la persona a cui parli vive un disagio reale, fa fatica ad arrivare alla fine del mese, non guarda al futuro con serenità e sente la politica e le istituzioni lontane dalla sua quotidianità. Ma noi, di Rifondazione e della sinistra in generale, compresa quella “antagonista”, siamo sempre meno presenti, sempre meno capaci di interloquire con il disagio, di abbozzare risposte, di organizzare vertenze e lotte. Un esempio tra i tanti? A Milano la questione casa è di primaria importanza per i ceti popolari, di ogni fascia d’età. Ma, a parte singoli compagni, il partito è completamente assente dalla questione, sia in termini di presenza organizzata, che di iniziativa e proposta politica. Anzi, la federazione milanese non dispone nemmeno di un dirigente responsabile della questione.
Oggi la priorità delle priorità è quella di ricominciare dal basso, ma per davvero, non semplicemente scrivendolo su qualche manifesto o documento. Non ci sarà né Rifondazione, né sinistra di alternativa, né sinistra plurale, né niente se non si comincerà dalla ricostruzione di una nostra internità ai nostri referenti sociali e ai loro problemi, stando nei luoghi di lavoro e sui territori. Vanno riconquistate le nostre casematte, che stanno nella società e non nei palazzi.
Ahinoi, la federazione milanese, nonostante le felici intuizioni della conferenza d’organizzazione, continua come prima e lo stesso processo di confronto con le altre forze della sinistra risente di un certo verticismo e politicismo; ovvero, non riesce a uscire dagli ambiti propri del “ceto” politico e istituzionale. Certo, non è facile fare altrimenti, ma bisogna pure iniziare da qualche parte e sperimentare pratiche, e soprattutto occorre collocarci dal punto di vista dei soggetti sociali e meno da quello delle mediazioni istituzionali e degli equilibrismi politici. E bisogna farlo subito, perché il tempo è implacabile.
In questo senso, anche i comitati che contestano l’uso e l’abuso del territorio urbano a fini speculativi, il centro sociale che ricostruisce il murale cancellato, dei lavoratori che scioperano o qualsiasi altro segno tangibile di conflittualità e vertenzialità, persino a prescindere da ogni eventuale giudizio politico di merito, non sono mai un problema, ma sempre una preziosa occasione di confronto e relazione.
Forse il compito di un ambito informale e aperto di confronto come quello nato il 15 ottobre può servire a questo, a dare un contributo in quella direzione. Ma occorre fare in fretta, anche per evitare che altri compagni e compagne si facciano vincere dalla rassegnazione.
Ovviamente, nessuno è ingenuo e tutti e tutte sappiamo che Milano non è un isola, né lo è la federazione milanese. Per forza di cose bisogna fare i conti con quanto accade nella discussione e nella pratica del partito a livello nazionale, ma noi siamo qui ed è qui dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. E così facendo, misurandoci con il fare e rompendo la logica degli schieramenti interni precostituiti e fossilizzati, forse riusciamo a dare un contributo anche più ampio.
 
di Luciano Muhlbauer
 
 
di lucmu (del 13/06/2007, in Politica, linkato 1238 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 13 giugno 2007
 
Quanto avvenuto sabato scorso a Roma, con le decine di migliaia di persone al corteo no war e la contemporanea desolazione di Piazza del Popolo, è la materializzazione del messaggio che le urne delle elezioni amministrative avevano recapitato appena due settimane prima. Cioè, dopo un anno di governo Prodi le sinistre, e in particolare Rifondazione, non solo appaiono logorate, ma ormai non più comprese da larga parte della propria gente.
Non è semplicemente questione di qualche errore “tattico”, come quello di non aver partecipato al corteo, quando persino i tuoi militanti e iscritti scartano in massa l’opzione Piazza del Popolo, scegliendo tra l’andare al corteo o il rimanere a casa. E non è questione di qualche temporaneo disimpegno quando alle elezioni amministrative l’astensionismo ti punisce così duramente. No, è l’esplicitarsi che la cosiddetta crisi della politica è, oggi e qui, anzitutto crisi della sinistra.
Non bisogna mai banalizzare le questioni complesse, ma forse aveva ragione Ritanna Armeni quando scriveva che il problema della sinistra è che “non fa quello che dice”. Troppo grande è, infatti, la distanza tra le aspettative e le domande sociali evocate un anno fa e la realtà concreta dell’azione di governo. Certo, ci sono i rapporti di forza, i numeri risicati al Senato, una destra aggressiva e incombente eccetera, ma tutto questo alla fine conta poco, perché una persona “normale”, che sia pacifista, lavoratore, pensionato o gay, ti giudica in base ai fatti e allo stato delle sue condizioni di vita. E da questo punto di vista il primo anno di governo, di cui le sinistre sono appunto parte, è stato un autentico disastro.
La parte moderata del centrosinistra una risposta l’ha trovata, attraversando il Rubicone con quel Partito Democratico che archivia definitivamente ogni orizzonte alternativo all’esistente e che finisce per assomigliare all’avversario. Un progetto politico nefasto, senz’altro, che forse non funzionerà nemmeno, ma che nel frattempo contribuisce a spostare a destra l’intero asse della politica. Basta guardare a quello che succede in Lombardia, che lungi dall’essere una realtà separata, è piuttosto anticipatore di processi più ampi. Da qui partì tangentopoli che diede il colpo di grazia al regime democristiano e qui nacque la nuova destra, dalla Lega a Berlusconi. Ed è qui che i fautori del Partito Democratico si esprimono senza remore, dall’attacco in stile Sarkozy alla cultura del 68 fino all’annuncio esplicito di un cambiamento delle alleanze politiche.
Una sinistra e una Rifondazione, da una parte, sotto il fuoco “amico” del Partito Democratico e prigioniere di un’azione di governo talmente insipida che il famoso programma dell’Unione sembra un pamphlet massimalista e, dall’altra, in piena crisi di rapporto non solo con i movimenti, ma anche con i propri referenti sociali. Insomma, cornuti e mazziati.
In una situazione del genere, la cosa più sbagliata che si possa fare è minimizzare e non affrontare il problema di petto. Oggi è aperta la questione della sinistra, della sua proposta politica, della sua pratica e delle sue prospettive. E, francamente, non è sufficiente immaginarsi confederazioni, nuovi soggetti unitari o sinistre europee. Beninteso, non c’è dubbio che ci voglia unità, ma questa non può esaurirsi in convegni o assemblaggi di gruppi dirigenti. Anche qui, il nodo è sempre il medesimo, cioè quello del legame con i movimenti sociali ed i ceti popolari, con i loro bisogni e il loro stato animo, senza il quale qualsiasi sinistra è destinata alla marginalità e/o alla subalternità.
L’urgenza sta nel riconquistare la credibilità perduta, rimettendo in comunicazione tra di loro il dire e il fare, e questo implica anzitutto ritornare nella società e praticare il conflitto, ma anche cambiare radicalmente registro nei confronti del governo. Certo, sappiamo bene che aleggia il fantasma del 98, ma oggi la situazione è ben diversa e andando avanti di questo passo il pullman che raggiungerà Roma non dirà “non fate cadere il governo”, bensì “tornate a casa tutti”. 
 
di lucmu (del 11/11/2006, in Politica, linkato 1208 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 11 novembre 2006
 
“Neocentrismo”, “seconda fase” eccetera. I neologismi si sprecano per nominare quella potente tendenza all’ammucchiata al centro, che dalle parti del centrosinistra si traduce nel progetto del partito democratico. Cioè, nell’intenzione di traghettare, con le buone o con le cattive, larga parte della sinistra verso l’integrazione nel modello socio-economico esistente, marginalizzando le istanze di alternativa e cambiamento.
Ma in fondo tutto questo lo sappiamo già e, semmai ce ne fosse bisogno, alcune stucchevoli polemiche seguite alla manifestazione del 4 novembre ce l’hanno ricordato. Quello che invece spesso si ignora è che non si tratta di semplici manovre di palazzo romane, ma di qualcosa di più esteso e profondo. E allora conviene volgere lo sguardo alla Lombardia, terra che tradizionalmente fa da laboratorio politico per l’intero paese, sia nel bene che nel male.
In Lombardia e a Milano l’egemonia politica e culturale delle destre, seppure indebolita rispetto a dieci anni fa, è ancora integra, così come appare tuttora irrisolta la crisi delle sinistre. Quindi non stupisce che proprio da qui parta l’offensiva più consistente, capitanata da Formigoni e, in misura minore, dalla sua collega-concorrente Moratti, per risalire la china dopo la sconfitta elettorale alle politiche. Quello che invece stupisce è che quella offensiva trovi interlocutori nella stessa Unione.
Ma cominciamo dall’inizio, cioè da quel 27 di luglio allorquando in Consiglio regionale, con i voti favorevoli del centrodestra, di Ds e Margherita, era stato approvato un ordine del giorno che consegnava a Formigoni il nulla osta per trattare con il governo nazionale alcune sciocchezzuole, tra cui il reperimento di fondi per le grandi opere autostradali (Pedemontana, Bre.Be.Mi. e Tem), il federalismo fiscale e l’avvio delle procedure per l’assegnazione alla Lombardia di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. In altre parole, una larga intesa su un pezzo di programma elettorale di Formigoni e, soprattutto, sul cavallo di battaglia del centrodestra nordista, cioè la devolution sotto mentite spoglie.
Un fatto che difficilmente può essere relegato a incidente di percorso, visto che la “mossa” era stata concordata con Enrico Letta, e che si annuncia denso di implicazioni, poiché la giunta formigoniana ha nel frattempo deliberato il documento di indirizzo per l’avvio della procedura per i poteri speciali –compresa l’istruzione-, convocato un consiglio regionale straordinario sull’argomento per il 13 e 14 novembre e annunciato la volontà di arrivare al voto formale in consiglio entro natale.
Insomma, in Lombardia la “seconda fase” sembra già in piena sperimentazione, mettendo a nudo l’indole profonda dell’operazione partito democratico. Ossia, la rinuncia ad un progetto politico alternativo e la mera competizione per la gestione dell’esistente, con tanti saluti alla nuova questione sociale che bussa alle porte. È come se i tanti anni all’opposizione nel regno di Formigoni si fossero tramutati in una gigantesca sindrome di Stoccolma in salsa padana.
A finire legittimato da quella disinvolta politica ulivista non è soltanto il presidente Formigoni, oggi appunto decisamente rafforzato, ma soprattutto il suo modello politico e sociale. Quel modello, tanto per intenderci, che privatizza il privatizzabile, salvo poi finanziarlo lautamente con denaro pubblico, come già accade con la sanità, la formazione professionale, la scuola privata  e a breve anche con i servizi al lavoro.

La Lombardia è più vicina a Roma di quello che comunemente si pensa e le performance dei sostenitori del partito democratico del nord rischiano dunque di condizionare il quadro nazionale. Ecco perché ci vorrebbe uno scatto straordinario di iniziativa e progettualità, anzitutto in loco, ma anche sul piano nazionale.

 
“Un fatto grave che implica la necessità immediata di aprire una verifica nell’Unione, non solo in Lombardia ma anche a livello nazionale”.
Così il capogruppo del Prc, Mario Agostinelli, torna a parlare dell’ordine del giorno sul Tavolo Milano approvato ieri in Aula da Margherita e Ds insieme alla Casa delle Libertà.
“Il problema - prosegue Agostinelli – non è tanto quello delle priorità infrastrutturali in sé, ma il fatto che questo documento contraddice in pieno, a partire da un federalismo fiscale spinto all’eccesso, la risoluzione unitaria dell’opposizione sul Dpefr approvata soltanto mercoledì. E contraddice anche il progetto dell’Unione, in cui ha creduto e crede chi ci ha votato”.
“La gravità di quanto è accaduto ieri - incalza il consigliere Luciano Muhlbauer - sta nel fatto che Ds e Margherita hanno sottoscritto una parte del programma della Casa della Libertà e rafforzato la posizione di Formigoni nei confronti del governo nazionale e anche del Comune e della Provincia di Milano.
Un tifo organizzato per il Presidente della Giunta, difficilmente comprensibile se non nell’ottica tutta politicista di voler ridisegnare la geografia politica in Lombardia a prescindere dalla volontà degli elettori. Delle vere e proprie prove tecniche di grande coalizione, andate in scena qui, ma il cui vero obiettivo si trova a Roma”.
“Con l’aggravante - aggiunge il consigliere Osvaldo Squassina - che Ds e Margherita ci hanno tenuti all’oscuro del documento fino al momento della presentazione in Aula. Un’operazione poco limpida, quindi, non solo sul piano dei contenuti, inaccettabili per noi e per le altre forze dell’Unione, ma anche su quello del metodo. Un’operazione che regala un appoggio in più a Formigoni, indebolendo la tenuta del centrosinistra”.
“Occorre evidentemente - conclude il capogruppo Agostinelli - un chiarimento: certo c’è il beneficio dell’errore, ma l’incidente è troppo pesante per potervi soprassedere; la questione è già stata aperta e dovrà essere immediatamente affrontata dal tavolo dell’Unione al rientro dalle vacanze”.
 
Comunicato stampa del Gruppo regionale del Prc
 
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