Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Con grande stupore abbiamo appreso che in Spagna, nei Paesi Baschi, sono stati arrestati questa mattina sette membri dell’organizzazione basca “Askapena”, tra cui anche Gabi Basañez, che avevamo conosciuto a Milano, il febbraio scorso.
Basañez era in Italia nel quadro di varie iniziative sulla situazione nei Paesi Baschi, tra cui anche la manifestazione milanese del 20 febbraio. Insomma, era qui in forma pubblica e legale, così come, peraltro, è assolutamente pubblica e legale l’organizzazione “Askapena”, che esiste da oltre 20 anni e che si occupa principalmente di far conoscere e sostenere la causa basca a livello internazionale.
Nel nostro breve incontro di febbraio, quando ero ancora in carica come Consigliere regionale della Lombardia, Basañez aveva insistito particolarmente sull’importanza di sostenere il processo di pace e sul fatto che la questione basca potesse e dovesse essere affrontata nel quadro del confronto politico e democratico.
Peraltro, anche gli altri sei arrestati, sono conosciuti bene nei Paesi Baschi perché hanno sempre lavorato sempre alla luce del sole.
Esprimamo la nostra preoccupazione per questi arresti, che avvengono proprio in un momento in cui si intravvedono nuovi spiragli per la ripresa dei negoziati e che sembrano voler riproporre quel metodo, già stigmatizzato anche a livello di Unione Europea, che considera ogni voce indipendentista come contingua a Eta e al terrorismo e dunque da illegalizzare.
Riteniamo essenziale per l’Europa che il popolo basco possa discutere e costruire liberamente e democraticamente il proprio futuro. E questo significa che devono finire sia la violenza armata, che l’illegalizzazione del dissenso.
Per questo ci appelliamo ancora una volta alle istituzioni italiane, locali e nazionali, perché in sede europea diano voce e sostegno al processo di pace.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su MilanoX il 27 settembre 2010, con il titolo “Fasci in Classe: Milano non è Roma”
 
“Rissa tra rossi e neri”, “tornano gli anni bui della violenza” e via dicendo, sono i commenti mediatici e politici che in questi giorni sono andati per la maggiore, a proposito dei fatti accaduti sabato a Milano, davanti al liceo classico Manzoni.
E oggi, dopo quasi due giorni di insolito e irreale silenzio da parte della destra istituzionale, arriva finalmente anche la parola del vicesindaco De Corato. Ci aspettavamo fuoco e fiamme, invece ci ha consegnato un deludente e inconsistente “siamo pronti ad installare delle telecamere in via Orazio”.
Ma come? Dopo tutto questo allarme violenza, il Comune di Milano propone la poco originale sciocchezza delle telecamere, atte tutt’al più a cogliere sul fatto qualche incauto studente mentre appiccica un manifesto sul muro?
Insomma, c’è qualcosa che non quadra in questo coro che vorrebbe leggere la vicenda di sabato attraverso la solita e stantia lente degli opposti estremismi.
Ma partiamo dai fatti, così come vengono riportati da fonti giornalistiche e blog. In fondo, sono abbastanza banali e semplici nella loro dinamica. Cioè, un gruppo di militanti dell’organizzazione di ispirazione neonazista, Forza Nuova, si è presentato per l’ennesima volta davanti al liceo. Ma, evidentemente, questa volta la loro azione era poco più di un segreto di Pulcinella e quindi hanno trovato ad attenderli qualche decina di antifascisti. Conclusione: quelli di Forza Nuova sono stati cacciati in malo modo, rimanendo uno di loro leggermente ferito, e la Questura ha annunciato denunce per tutti.
Questa è l’istantanea dei fatti di sabato, ma quello che ci manca per completare il quadro e dare senso alle cose è la storia precedente. Cioè, il piccolo particolare che il Manzoni è oggetto da tempo delle attenzioni non richieste da parte di gruppi militanti dell’estremismo neofascista, che comprendono anche minacce personali.
Al Manzoni la tensione è più alta che altrove, perché il liceo classico rappresenta per l’estrema destra una preda particolarmente ambita, in virtù della sua fama di liceo di sinistra. E quindi, si fa ogni cosa pur di riuscire ad entrare in quella scuola.
Tuttavia, il problema è più generale e riguarda l’insieme delle scuole superiori milanesi. Infatti, al di là delle chiacchiere, quello che è in atto a Milano, da tempo, è il tentativo da parte delle organizzazioni neofasciste e neonaziste di replicare lo scenario romano, dove la loro presenza organizzata tra gli studenti ha raggiunto –e forse superato- il livello di guardia.
Finora a Milano non ci sono riusciti, a causa di un insieme complesso di ragioni, tra cui anche il lavoro svolto dagli studenti e collettivi che tengono vivi i principi dell’antifascismo e dell’antirazzismo. Ma attenzione, i tempi che corrono sono quelli che sono e la pressione dell’estremismo nero sulle scuole superiori milanesi tenderà ad intensificarsi.
In altre parole, quello che è successo sabato scorso va letto in questo quadro. O, per dirla con il comunicato del collettivo degli studenti del Manzoni: “ciò che è successo oggi è la diretta conseguenza di continue provocazioni da parte dei neofascisti di Forza Nuova nelle nostre scuole e nella nostra città”.
Mettersi le fette di salame sugli occhi, facendo finta di non vedere quello che succede nella realtà di tutti i giorni, ed equiparare fascisti e antifascisti, come se fossero due opposte tifoserie, è un errore politico madornale.
Il problema è che siamo di fronte a un’azione pianificata dei gruppi neofascisti e neonazisti, tesa a penetrare ideologicamente e organizzativamente le scuole superiori della città.
E il problema è che a Milano questi gruppi godono della tolleranza e della copertura istituzionale da parte di settori del centrodestra, in particolare quello ex-missino, i cui rappresentanti più autorevoli in città sono il vicesindaco De Corato e il ministro La Russa. Tant’è vero che sono in corso, proprio in questo periodo, trattative tra Pdl e gruppi neofascisti, tra cui anche Forza Nuova, in vista delle prossime elezioni.
Insomma, se si vuole davvero evitare il diffondersi della violenza politica nelle scuole milanesi, allora non serve certo la tesi degli opposti estremismi, tanto rassicurante quanto inconsistente e inutile, bensì un’azione politica, culturale ed istituzionale che contrasti la strategia di penetrazioni dei gruppi neofascisti e le complicità politiche di cui godono.
 
(Milano X – free weekly eretico)
 
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Ancora 100 passi. A un anno dalla rimozione da parte del sindaco leghista di Ponteranica (Bergamo) della targa intitolato a Peppino Impastato, si tiene di nuovo una manifestazione contro le mafie a Nord e per il ripristino della targa.
L’appuntamento è alle ore 14.30 a Ponteranica, in via Matteotti, da dove partirà il corteo che poi terminerà in via 8 marzo con un concerto (speriamo tempo permettendo).
Il corteo è l’atto finale di una tre giorni di dibattiti e confronti, organizzata dal Forum antimafia e al quale hanno aderito molte realtà, tra cui anche il sottoscritto.
 
Qui di seguito, il mio comunicato stampa in merito alla manifestazione di domani:
 
La Lega predica bene in casa altrui, ma razzola male dove comanda. E questo vale, purtroppo anche per l’impegno contro le mafie.
E così, a un anno dalla rimozione dalla biblioteca comunale di Ponteranica (Bergamo) della targa intitolata a Peppino Impastato, l’attivista siciliano assassinato dalla mafia, il Sindaco leghista, Aldegani, ideatore dell’ignobile gesto, continua a negare il ripristino di quel modesto, ma prezioso segno di memoria del sacrificio di Peppino.
Nel frattempo, nella non lontanissima Adro (Brescia), il Sindaco leghista, Lancini, addobbava tranquillamente una scuola pubblica con ben 700 simboli del suo partito politico, come se fossimo negli anni Trenta del secolo scorso.
Insomma, l’antimafia non va bene per i luoghi pubblici, ma i simboli della Lega invece sì?
Un anno fa, a giustificazione della rimozione, la Lega esibiva ancora la tesi che le mafie erano una questione del Sud e non certo del Nord. E quindi, anche Impastato era una questione del Sud e le targhe a Nord andavano intitolate a gente del Nord.
La tesi della mafia-a-nord-non-esiste era una colpevole sciocchezza anche allora, ma che dire oggi, dopo le retate contro la ‘ndrangheta che hanno mostrato non soltanto la realtà del radicamento malavitoso in Lombardia, ma anche i crescenti intrecci con il mondo politico locale?
E la Lega non solo si oppone alle targhe, ma nel frattempo c’è stato anche il voto leghista in Parlamento, a fianco di quello del Pdl, per negare ai magistrati l’uso delle intercettazioni di Consentino nel processo che vede l’ex sottosegretario del Governo Berlusconi indagato per camorra.
Oppure, per non andare troppo lontani, in Consiglio Regionale, soltanto 10 giorni fa, il voto congiunto Lega-Pdl ha bocciato la mozione di sfiducia nei confronti di un componente dell’Ufficio di Presidenza dell’assemblea legislativa lombarda, Massimo Ponzoni, cioè l’ex assessore regionale coinvolto in diversi procedimenti giudiziari e definito dai boss della ‘ndrangheta come parte del loro “capitale sociale” in Lombardia.
Insomma, al di là delle tante chiacchiere che si fanno nella cosiddetta “Padania”, la realtà è ben diversa.
Chiediamo ancora una volta che venga ripristinata la targa di Peppino Impastato, come segno tangibile che la lotta alle mafie viene collocata in cima all’agenda politica lombarda.
E, soprattutto, devono finire le ambiguità. Chi ha la responsabilità di governo sul territorio lombardo, dunque anche la Lega, produca quei fatti concreti che trancino ogni possibile commistione tra mafie, politica e amministrazione pubblica.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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L’odierno arresto a Milano dei due neofascisti responsabili dell’aggressione nei confronti di due cittadini gay e di un cittadino straniero, avvenuta nella notte tra il 29 e 30 maggio scorsi, è sicuramente una buona notizia.
Ma allo stesso tempo ripropone, in tutta la sua inquietante dimensione, la questione della tolleranza istituzionale da parte del centrodestra milanese nei confronti dei gruppi militanti di ispirazione neofascista o, addirittura, neonazista.
Chi non è smemorato per scelta, si ricorderà certamente del clima instaurato a Milano nella primavera scorsa, tra la fine di aprile e la fine di maggio, da una vera e propria ondata di iniziative della galassia nazifascista.
Ebbene, i due arrestati, contigui a situazioni come Cuore Nero e la Skinhouse, secondo quanto dichiarato dalla Questura, erano reduci proprio dall’ultima delle iniziative di quel ciclo nero che aveva infestato Milano: il concertone naziskin di Cinisello Balsamo del 29 maggio. Concerto, beninteso, che era stato realizzato e consentito nonostante la contrarietà e le proteste del Comune di Cinisello Balsamo.
In quella primavera numerosi esponenti istituzionali, a livello zonale e comunale, del centrodestra milanese, in particolare dell’area ex-An del Pdl, hanno coperto e favorito le iniziative dell’estrema destra. E se alla fine quelle iniziative erano in gran parte fallite e se le scorribande nazifasciste in città erano tutto sommato limitate, questo è in larghissima parte merito della mobilitazione degli antifascisti milanesi, dall’Anpi fino ai movimenti.
Tuttavia, chi non stava zitto e segnalava la pericolosità della legittimazione dei gruppi militanti dell’estrema destra e delle loro ideologie, veniva deriso e insultato, anche dal Vicesindaco e da Presidenti di Zona del Pdl.
Peraltro, questo era il trattamento riservato anche a chi denunciava il carattere di centro di reclutamento di Cuore Nero, che ha chiuso poi i battenti soltanto perché imploso politicamente e non certo grazie all’azione delle istituzioni. Anzi, quel centro neofascista godeva di una copertura politico-istituzionale che andava dalla Moratti e De Corato fino a settori della Lega Nord, in particolare quello vicino al nazistoide Borghezio.
Plausi dunque all’azione investigativa degli uomini della Questura, ma anche parole chiare: chi in questa città fornisce regolarmente e consapevolmente copertura politica e finanche istituzionale ai gruppi militanti nazifascisti, è corresponsabile. Chi organizza convegni per sdoganare vecchi ideologi della razza, come Evola, o chi archivia con un sorriso compiaciuto i discorsi omofobi e razzisti, è corresponsabile.
Chiediamo dunque, ancora una volta, che coloro i quali amministrano Milano diano un segnale chiaro e che pongano fine alla tolleranza istituzionale nei confronti della galassia neofascista.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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“Senza diritti siamo tutti ricattabili” è il titolo del confronto pubblico organizzato dal quotidiano il Manifesto a Milano per il 21 settembre prossimo, alle ore 18.00. Parteciperà anche Maurizio Landini, il nuovo segretario generale della Fiom.
L’iniziativa si svolge in vista della manifestazione nazionale per i diritti del 16 ottobre, indetta dalla Fiom e proposta a tutte le forze sociali e politiche, e intende offrire alla città capitale della precarietà (l’anno scorso a Milano l’81% delle nuove assunzioni aveva carattere precario!) un momento di discussione più ampio sulla posta in gioco nello scontro in Fiat.
 
Ecco le coordinate dell’iniziativa, alla quale è stato invitato a partecipare anche il sottoscritto (in fondo, cliccando sull’icona, puoi inoltre scaricare volantino e spot):
 
SENZA DIRITTI SIAMO TUTTI RICATTABILI
Sono partiti da Pomigliano, ma sono di casa anche a Milano, riscrivono regole, licenziano, dicono che la sicurezza sul lavoro è un “lusso”, lo Statuto dei Lavoratori da abrogare e gli stipendi da moderare, ci vorrebbero tutti e tutte precari e imbavagliati, senza diritti e senza voce, vogliono tutto.
 
Martedì 21 settembre - ore 18:00
Casa della Cultura - via Borgogna 3
Milano
 
Intervengono:
Maurizio LANDINI - segretario generale Fiom
Loris CAMPETTI - giornalista de il Manifesto
Alex FOTI - attivista EuroMayDay, editor MilanoX
Paolo LIMONTA – insegnante, Comitati Buona Scuola Milano
Luciano MUHLBAUER - già consigliere regionale Prc
Emanuele PATTI - presidente Arci Milano
 
organizza: il Manifesto
 
per info sulla manifestazione nazionale del 16 ottobre clicca qui
 
per scaricare volantino da riprodurre e spot dell’assemblea del 21 settembre clicca sull’icona qui sotto
 

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Il sindaco di Rho, il ciellino Roberto Zucchetti, ci ha abituati da tempo alle sue acrobazie politiche, eppure è riuscito a sorprenderci ancora una volta, con la disinvoltura con la quale ha cambiato le carte in tavolo sulla questione dell’area ex-Alfa Romeo.
Infatti, senza battere ciglio, ha ignorato tutti i ragionamenti e le proposte del Consiglio comunale e del territorio, per riaffermare invece la fedeltà assoluta al capo della sua corrente politica. Cioè, ha scaricato Rho e ha scelto Roberto Formigoni, andando al Pirellone a firmare, a nome della città di Rho, beninteso, l’Accordo di Programma sull’area ex-Alfa, in una versione praticamente invariata rispetto al febbraio scorso (vedi nostro articolo di febbraio).
Non è un buon Accordo, né per Rho, né per tutta l’area metropolitana milanese. Con questo AdP, l’economia rhodense sarà chiamata a pagare un prezzo non indifferente in termini di perdita di attività commerciali al dettaglio, che difficilmente potranno reggere la concorrenza del previsto mega centro commerciale.
Ma pagherà un prezzo anche tutta l’area metropolitana, nella misura in cui un’altra area ex-industriale verrà sottratta alle attività produttive e trasformata in un parco giochi per immobiliaristi. Infatti, non rassicurano e convincono affatto le affermazioni del Pirellone, che sbandiera una destinazione d’uso prevalentemente produttiva dell’area.
Quello che conta non è tanto la destinazione formale, che nel tempo può sempre cambiare, ma la preoccupante assenza di progetti concreti per l’insediamento di attività produttive.
Lo stesso centro per la mobilità sostenibile, sempre esibito, è poco più che un’ipotesi di un centro di ricerca. Cioè, nulla a che vedere con quel polo della mobilità sostenibile, che comprendeva anche attività produttive, previsto nel precedente AdP, passato senza colpo ferire dalle glorie mediatiche al cestino.
Insomma, le uniche certezze di questo AdP sono il centro commerciale, un po’ di posteggi per l’Expo e qualche affare immobiliare. Il resto è affidato alla spontaneità del mercato, alla quale peraltro, visto come sono andate le cose in questi anni, non crede più nessuno.
Ma qui torniamo al problema iniziale e i conti non tornano. Zucchetti è Zucchetti, d’accordo, ma anche lui, per ciellino e disinvolto che sia, ha bisogno di una maggioranza politica e consiliare che lo tenga in sella e che gli permetta di fare quello che fa.
Cioè, come mai lui appare in minoranza nella battaglia dei comunicati stampa e poi, invece, è maggioranza quando si passa ai fatti in Giunta e in Consiglio comunale? Non è che nel centrodestra rhodense c’è un po’ di teatrino della politica di troppo?
In altre parole, se le dichiarazioni di vari esponenti della Lega e del Pdl locali sono cosa seria e non boutade da campagna elettorale, allora ci si comporti di conseguenza, esprimendo in Consiglio comunale voto contrario alla ratifica della firma del Sindaco Zucchetti.
Infatti, non ratificare quella firma è l’unico modo per conquistare la possibilità reale di modificare quell’Accordo di Programma.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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Tanti studenti lavoratori del liceo civico serale “Gandhi” hanno dovuto rinunciare ai loro studi. Per loro l’anno scolastico non inizia.
Avevano fatto di tutto, dalle denunce alle occupazioni, per difendere il diritto allo studio di chi di giorno lavora, ma dal Comune di Milano si sono presi soltanto tanti vaffà e alla fine le loro classi sono state chiuse.
Eppure, avevano ragione su tutta la linea e la giustizia lo ribadisce ancora una volta oggi. Infatti, il 13 settembre è stata depositata la sentenza della terza sezione del Tar della Lombardia (vedi allegato in fondo), che accoglie il ricorso degli studenti contro il provvedimento di chiusura del “Gandhi”, annullando i relativi atti amministrativi del Comune ed imponendo dunque la riapertura delle classi serali per gli studenti lavoratori.
In altre parole, per la seconda volta il Tar dice che l’assessore Mariolina Moioli ha agito in maniera illegittima. La prima volta successe un anno fa, ma il Comune non diede attuazione alla sentenza e ricorse al Consiglio di Stato, dove riuscì provvisoriamente ad ottenere la ragione. Fino ad oggi, beninteso.
Ovviamente, la Moioli ha già dichiarato che se ne frega e che ricorrerà di nuovo. Insomma, si prospetta un ulteriore periodo di guerra giudiziaria, condotta dal potente Comune e con i soldi dei contribuenti contro un gruppo di studenti lavoratori squattrinati. Francamente, riteniamo tutto questo altamente stucchevole e assolutamente ingiustificabile.
La verità è banale: la Moioli è illegale. Molto semplicemente, non poteva eliminare il “Gandhi” con atti amministrativi, perché in quanto assessore non ne aveva il potere e la competenza. Questo dice la sentenza, ancora una volta.
Quindi, se il Sindaco Moratti e il centrodestra vogliono eliminare le civiche serali, allora possono ovviamente farlo, ma nel rispetto della legge. Cioè, con una decisione formale assunta dagli organi competenti: il Consiglio e la Giunta comunale.
In altre parole, sono gli organi politici dell’ente locale che sono investiti della competenza e del potere di una tale decisione. Cioè, chi amministra e governa la città deve assumersi le proprie responsabilità, alla luce del sole.
Chiediamo pertanto al Pdl e alla Lega di smetterla di nascondersi dietro le illegalità della Moioli e qualche pirotecnica dichiarazione alla stampa.
Noi pensiamo che le scuole civiche ed i licei serali per studenti lavoratori siano un valore e un investimento per la città. Moratti, De Corato e Salvini, cosa pensano?
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare la versione integrale della sentenza del Tar
 

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di lucmu (del 13/09/2010, in Migranti&Razzismo, linkato 990 volte)
Il 14 settembre di due anni fa fu assassinato Abba Abdoul Guibre. Era notte e fu ucciso a sprangate dai proprietari di un bar, padre e figlio, in via Zuretti, all’angolo con via Zuccoli, zona nord-est di Milano.
Gli assassini avrebbero poi spiegato la loro aggressione, dicendo che Abba e i suoi amici avevano rubato un pacchetto di biscotti nel bar, ma era quel loro grido “negri di merda”, che aveva accompagnato il pestaggio, a fornire una spiegazione molto più convincente.
Infatti, Abba aveva la pelle nera. Figlio di una famiglia di immigrati del Burkina Faso, era cresciuto a Cernusco s/N, hinterland milanese. Era dunque un milanese, uno di quei nuovi cittadini solitamente definiti “seconda generazione” e completamente ignorati dalla politica cittadina. Ma, appunto, aveva anche la pelle nera e quindi bastava un presunto furto di biscotti per provocare una morte a 19 anni.
Sono passati due anni, ma sembra un secolo. L’omicidio di Abba avrebbe dovuto aprire una seria riflessione sul clima che si respira in città, ma è successo il contrario. All’indomani dell’omicidio vi erano persino voci di rappresentanti istituzionali del centrodestra che tentavano di giustificare gli assassini. Poi, visto come stavano le cose, si passò rapidamente alla tesi dei futili motivi e all’autoassolutorio  “il razzismo non c’entra”. Infine, esaurite anche le vicende processuali, arrivò il silenzio. La Milano ufficiale, istituzionale ha archiviato il caso, come uno dei tanti fatti di cronaca. O meglio, ha insabbiato il caso per non doversi guardare in faccia.
E così, a ricordarsi di Abba a Milano sono rimasti in pochi. Nel frattempo il clima che si respira in città, in regione e nel paese è notevolmente peggiorato. È diventato ormai finanche difficile tenere aggiornato l’elenco degli orrori, in una città dove si fa campagna elettorale a suon di coprifuochi, sgomberi e crociate contro le moschee.
Ma forse vale la pena di citare l’ultimo degli orrori in ordine di tempo, perché una cosa del genere non l’avevamo ancora vista: una scuola pubblica dipinta ed ornata con i simboli di un partito politico. È successo ad Adro (Bs) e il partito si chiama Lega Nord.
A furia di chiudere gli occhi e di sdoganare xenofobia e razzismo, alla fine il cerchio si chiude e si arriva di nuovo a riproporre il puzzolente vecchiume: uno stato, un partito, una razza.
Noi non ci stiamo a chiudere gli occhi, a stare zitti o a guardare dall’altra parte. E non vogliamo dimenticare.
Per questo partecipiamo e invitiamo tutti e tutte a partecipare alle iniziative che si terranno in questo periodo in memoria di Abba e contro il razzismo, consultabili sul sito Abba Vive!, a partire dal presidio in via Zuretti, martedì 14 settembre, dalle ore 18.00.
 
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di lucmu (del 10/09/2010, in Politica, linkato 1090 volte)
Sono sconvolto e addolorato. Il destino ci ha portato via Riccardo Sarfatti. Un incidente in macchina, sul lago di Como, stanotte. L’ho appreso stamattina da Radio Popolare e non volevo crederci.
Ho visto Riccardo per l’ultima volta soltanto poche ore prima. Ieri sera verso le 23 ci siamo incrociati alla festa del Pd di Lampugnano. Io stavo bevendo un caffè con amici e lui stava andando via. Voleva dirmi delle cose a proposito delle primarie di Milano, ma si faceva tardi ed era stanco e così siamo rimasti che ci saremmo sentiti per telefono.
L’ultima immagine sua che ho impresso nella mente è quella di ieri sera, quando ci siamo salutati. Una buona immagine, perché era un Riccardo sorridente, che sprigionava calore umano. Insomma, era lui.
Sono arrabbiato, anzi incazzato. Con la vita, con il destino o con qualsiasi cosa abbia il potere di decidere chi resta e chi se ne deve andare. Perché lui aveva ancora molte cose da dire e da fare.
Riccardo era anzitutto una persona pulita, umanamente, politicamente e moralmente. E di questi tempi questo è tantissimo. Potevi essere d’accordo con lui oppure no, ma mai dubitavi della sua buona fede, mai l’avresti immaginato nei panni del manovratore.
Era trasparente, ci teneva ai suoi principi e le sue battaglie le conduceva alla luce del sole, anche quando era scomodo e controcorrente. Sapeva argomentare le sue posizioni, ma sapeva anche ascoltare gli altri. Cercava sempre ciò che univa e non ciò che divideva.
Riccardo l’ho conosciuto nel 2005, in campagna elettorale per le elezioni regionali. Io ero candidato a consigliere nelle liste di Rifondazione, lui era candidato alla presidenza per l’Unione, che allora univa tutto il centrosinistra.
All’inizio, da parte mia, c’era un po’ di diffidenza. Ovvio, io venivo dai movimenti sociali e dal sindacalismo di base, lui era un imprenditore moderato. Ma il suo modo di essere e di fare aveva fatto sì che le differenze non diventassero deflagrazioni, bensì motivo di confronto. Sapeva costruire ponti.
Allora, si sentivano molte critiche rispetto alla scelta di candidare Riccardo come sfidante di Formigoni. Dicevano che era troppo debole e qualcuno lo aveva chiamato addirittura “signor nessuno”. Ebbene, con un’altra elezione regionale alle spalle possiamo trarre il seguente bilancio: Riccardo è stato lo sfidante di Formigoni che ha ottenuto nettamente il miglior risultato. Discorso chiuso.
Riccardo aveva il suo bel da fare dopo, in Consiglio regionale. Si assunse da subito il ruolo di coordinatore dell’opposizione. Infatti, lui non era di quelli che una volta sconfitti spariscono. No, lui rimase al suo posto per continuare la battaglia in coerenza con l’impegno preso con gli elettori.
Comunque, i tempi dell’Unione stavano finendo. In Lombardia addirittura anzitempo. A livello nazionale stava nascendo il Governo Prodi, ma qui in Regione Ds e Margherita decretarono la fine dell’alleanza. E Riccardo rimase disoccupato, perché non c’era più nulla da coordinare.
Eppure, lui non si arrese mai a questo fatto, lui credeva nell’unità e continuava a tessere relazioni, aprire porte, costruire ponti. E non portava al mercato le sue convinzioni e i suoi principi, manteneva ferma la sua autonomia di giudizio.
Vi ricordate della legge lombarda contro i phone center, quella poi abrogata dalla Corte Costituzionale per manifesta illegittimità? Alla fine, tutta l’opposizione consiliare era contraria, perché nel frattempo la realtà aveva mostrato la dimensione reale dell’obbrobrio. Ma al momento della sua approvazione in Consiglio, nel 2006, le cose stavano diversamente. L’Ulivo diede indicazione di voto favorevole ed eravamo davvero in pochi a non votare a favore. Ebbene, Riccardo Sarfatti faceva parte di questi ultimi.
Questo era Riccardo. O, per essere più giusti, questo è il mio Riccardo, come l’ho visto e come lo vedo io. Un uomo e un politico che ha saputo conquistarsi con leggerezza la mia stima, il mio rispetto e la mia amicizia. E che ora mi manca terribilmente.
Ciao Riccardo!
 
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Tutti contro la Fiom, tutti con Marchionne. Sembra sia questa la parola d’ordine, sancita oggi dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, con un perentorio “il vero problema è la Fiom”.
Ora, che Marchionne e i capi confindustriali si facciano i propri interessi senza troppi fronzoli, possiamo anche considerarlo normale, ma che essi trovino con tanta facilità consenso e complicità nella politica, non possiamo e non vogliamo considerarlo normale.
Insomma, il vero problema da debellare ci pare sia la condiscendenza della politica. E non è questione di partigianeria sindacale, poiché qui, in tutta evidenza, si sta giocando una partita fondamentale per il futuro di tutto il mondo del lavoro italiano.
Federmeccanica non si è semplicemente piegata all’arroganza di Marchionne, ma ha colto la palla al balzo, visto che con la disdetta unilaterale del contratto nazionale dei metalmeccanici punta ad imporre condizioni salariali e di lavoro peggiorativi in tutte le aziende.
Che le cose stiano così, in fondo ce lo conferma proprio un quotidiano non ostile agli imprenditori, cioè il Corriere della Sera, che nell’edizione in edicola oggi ipotizza i primi effetti concreti sui lavoratori metalmeccanici della disdetta, spaziando dagli stipendi più bassi per i giovani (cioè, il salario d’ingresso) fino all’aumento del numero di straordinari obbligatori.
Altro che “non cambia niente per i lavoratori”, come aveva esclamato ieri il Ministro Sacconi. Era soltanto una bugia, il cui unico scopo è quello di fiancheggiare Confindustria. Del resto, la stessa cosa la fanno tutti i componenti del Governo, ognuno nel suo stile: dalle rozze provocazioni della Gelmini fino agli applausi leghisti alle proposte di Tremonti di spazzare via mezza legislazione sul lavoro, passando attraverso le campagne denigratorie della stampa di proprietà di Berlusconi, in primis Panorama.
Ma il problema non si limita al Pdl e alla Lega. Pesano in maniera determinante, ovviamente, le parole e gli atti di chi governa, ma non sono indifferenti neanche i silenzi o le voci troppo flebili nel campo dell’opposizione, per non parlare dello spettacolo sempre più offensivo offerto da alcuni leader sindacali, a partire da Bonanni, che sono disposti ad ogni servilismo pur di ottenere qualche rendita di posizione per la propria casta di funzionari.
Tutto questo facilita i ricatti e le forzature, perché consente di distorcere la realtà. Quindi, con la massima disinvoltura, si passa dalla santificazione dell’istituto referendario, nel caso di Pomigliano, alla sua fucilazione sommaria, nel caso del contratto nazionale. Ebbene sì, perché quello disdetto era stato approvato dagli operai con referendum, mentre quello separato che dovrebbe sostituirlo non è stato mai sottoposto a referendum.
Ma appunto, la partita è generale, tra chi ritiene che il futuro dell’economia italiana stia nel dumping sociale fatto in casa e chi invece pensa che tentare di assomigliare alle fabbriche cinesi sia un suicidio e che occorra investire sull’innovazione e sulla qualità del prodotto e del lavoro.
Per questo bisogna schierarsi. E se non si sta con i teorici della nuova servitù della gleba, allora bisogna contrastare i tentativi di isolare la Fiom e lavorare perché la manifestazione nazionale del 16 ottobre sia un fiume di popolo.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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