Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Oggi pomeriggio si è tenuto in Commissione VII (Istruzione e Lavoro) l’audizione con le rappresentanze sindacali degli operai della Ideal Standard di Brescia, minacciata di chiusura dalla proprietà.
Su richiesta di diversi consiglieri dell’opposizione la Commissione ha deciso di sollecitare formalmente la Giunta regionale di farsi carico di un’iniziativa politico-istituzionale forte e incisiva in vista dell’incontro che si terrà il 31 luglio prossimo al Ministero dello Sviluppo Economico.
Infatti, sebbene Regione Lombardia avesse garantito una partecipazione all’ultimo incontro al Ministero, il 15 luglio scorso -sempre dopo l’intervento di quattro consiglieri dell’opposizione (Squassina A., Muhlbauer, Squassina O. e Guindani)-, questa si era risolta con la presenza di un funzionario dell’Agenzia regionale del Lavoro. Cioè, una presenza tecnica e molto al di sotto non soltanto delle necessità, ma anche dell’impegno delle altre Regioni interessate.
Qui di seguito riproduciamo sia il comunicato stampa dell’opposizione, che il testo di un volantino della Rsu dell’Ideal Standard, che ripercorre la storia dello stabilimento. Ad integrazione di quest’ultima va aggiunto soltanto il fatto che il gruppo proprietario, mentre vuole chiudere le fabbriche in Italia, sta costruendo nuovi stabilimenti in Bulgaria, con il sostegno di contributi dell’Unione Europea…
 
COMUNICATO STAMPA
 
IDEAL STANDARD DI BRESCIA: SU RICHESTA DELL’OPPOSIZIONE LA COMMISSIONE VII CHIEDE UN FORTE INTERVENTO POLITICO DELLA GIUNTA
 
Milano 22 luglio 2009
 
Si è svolta oggi presso la Commissione VII (Istruzione e Lavoro) del Consiglio Regionale l’audizione con i lavoratori dell'Ideal Standard di Brescia. Nei prossimi giorni seguiranno dei confronti tra i sindacati nazionali e la proprietaria della società che è il fondo americano BAIN CAPITAL e a seguire si terrà una riunione di aggiornamento presso il Ministero dello Sviluppo Economico.
I consiglieri regionali dell’opposizione Arturo Squassina (Pd), Luciano Muhlbauer (Prc) e Osvaldo Squassina (Sinistra –UAL) hanno chiesto che la commissione solleciti l’Assessore Rossoni, in qualità di Vice Presidente della Giunta e di capo della task force regionale sulla crisi, di assicurare una forte iniziativa politica della Giunta da domani fino alla riunione del 31 luglio e che si mettano in campo tutti gli interventi possibili affinché non venga chiuso lo stabilimento dell’Ideal Standard di Brescia e sia dunque garantita la continuità produttiva e la salvaguardia dei posti di lavoro.
L’intera Commissione ha accolto positivamente la richiesta dell’opposizione. Inoltre, sempre su richiesta dei consiglieri sopra citati, la Commissione VII si è impegnata a redigere una mozione, da presentare settimana prossima in Consiglio, secondo cui per il Consiglio Regionale non è ammissibile la chiusura del sito bresciano e invoca quindi l’intervento della Giunta.
 
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COMUNICAZIONE ALLA CITTADINANZA BRESCIANA
a cura della Rsu Ideal Standard di Brescia
 
con una lettera datata 2 luglio 2009 è giunta comunicazione che il gruppo finanziario americano Bain Capital ha deciso di chiudere lo stabilimento produttivo di sanitari in porcellana vetrificata Ideal Standard di Brescia, sito di storica realtà manifatturiera.
La missiva notifica che insieme a Brescia verrà chiuso anche lo stabilimento Ideal Standard di Gozzano; inoltre verrà attuata una forte riduzione di personale negli altri tre siti italiani rimanenti: Roccasecca, Orcenico e Trichiana.
 
La vicenda amministrativa : Ideal Standard Italia, facente parte del gruppo multinazionale American Standard, nel 1999 produceva 3.500.000 pezzi annui, con una quota di mercato superiore al 50%, grazie alla sinergia dei suoi cinque siti produttivi, Brescia, Orcenico (PN), Roccasecca (FR), Gozzano (NO) e Trichiana (BL).
Nel 2006 Bain Capital, fondo di investimenti americano di Boston, acquistò da American Standard il settore sanitario ceramico mondiale, per circa 2 miliardi di dollari.
Per American Standard ciò rappresentò un ottimo affare: dal 2000 al 2005 il valore delle sue azioni era passato da 25 a 120 dollari. Il risultato di tale incremento fu dovuto allo sfruttamento ed al prosciugamento dei marchi delle proprie imprese, lucrando sul lavoro e sull’impegno dei propri dipendenti: nessun investimento nei siti produttivi e trasferimenti minimi per consentire la vita delle società controllate.
Dal 2000 al 2005 American Standard realizzò in Italia un fatturato di circa 330 milioni di euro.
Dopo la vendita a Bain Capital, dal 2006 al 2008 il fatturato scese a 266 milioni di euro ed i profitti netti vennero dimezzati da 81 a 48 milioni.
Nel 2008 la logistica venne affidata esternamente al gruppo Arcese, vettore internazionale con 40 milioni di euro di fatturato annuo. La sede della piattaforma logistica è situata a Bassano Bresciano.
La conseguenza fu un repentino peggioramento del servizio al cliente: affidando il lavoro di spedizione a cooperative sottopagate, non è possibile garantire lo standard di qualità necessario. Immediata fu anche la perdita delle quote di mercato.
La politica industriale attuata da Bain Capital si rivelò inadeguata e nonostante un aumento dell’efficienza produttiva, i volumi si ridussero da 3,4 ml a 2,8 ml ed il fatturato passò da 296 a 227 ml.
Tutto ciò potrebbe trarre in inganno ed indurci a supporre che Bain Capital abbia commesso un errore di gestione: ma così non è.
Bain Capital è un colosso finanziario multinazionale da 80 mld di dollari che per acquistare il gruppo Ideal Standard al prezzo di 2 mld di dollari, ha pagato all’American Standard soltanto 300 ml di dollari. Il restante denaro è stato versato da un pool di banche guidate da Credit Suisse.
Nel 2007 Bain Capital ha venduto tutte le fabbriche americane ad un altro fondo: il Sun Capital Partners, che si rivelò essere una società basata sui cosiddetti “titoli tossici”, che vengono considerati tra le cause della attuale crisi economica mondiale.
In questo modo Bain Capital avrebbe recuperato i 300 ml del suo investimento. Ma la manovra non era ancora finita: nel 2008 vennero venduti anche gli stabilimenti asiatici, che fruttarono altri 200 ml.
Alla fine del 2008, con l’inizio della crisi, Bain Capital scaricò il debito mostruoso di 1,2 mld di dollari sulle spalle delle imprese italiane, garantendosi con il patrimonio ed i marchi delle stesse. Per rifarsi di questo enorme debito le banche dovranno liquidare il gruppo italiano: in altre parole, il debito creato da Bain Capital per far guadagnare i suoi soci, lo dovranno pagare i 1549 lavoratori del gruppo Italia che perderanno il loro posto di lavoro (da subito Brescia e Gozzano, più avanti anche gli altri), appesantendo i contribuenti italiani che dovranno pagare gli ammortizzatori sociali per i prossimi anni.
Fino a settembre tutti i dipendenti di Brescia saranno in cassa integrazione ordinaria, passando successivamente a Cig straordinaria per un anno.
Chi pagherà per primo sarà proprio lo stabilimento che con la propria efficienza ha saputo garantire standard di qualità e sicurezza con costi di assoluta eccellenza.
 
Storia di uno Stabilmento Pilota: efficiente, altamente tecnologico, flessibile ed economico
Ideal Standard ha portato il bagno nelle case degli italiani, in tempi in cui le abitazioni avevano la toilette in cortile, partendo dalla produzione di un centinaio pezzi al giorno.
La tecnologia ceramica è stata inventata a Brescia: proprio il sito produttivo che verrà chiuso.
Dal lontano 1929 in cui partì la produzione bresciana con un forno a nafta da 70 metri, una novantina di operai e tanta buona volontà, Ideal Standard è stata una presenza che l’economia regionale non avrebbe potuto ignorare, perché assicurava lavoro a tutta la provincia, arrivando ad impiegare circa novecento lavoratori: i migliori tecnici ceramici, e non soltanto in ambito italiano, perché la lavorazione dei sanitari in Vitreous China è nata a Brescia ed è poi stata divulgata in tutto il mondo.
Quello bresciano è diventato indiscutibilmente lo stabilimento pilota della compagnia Ideal Standard: qui sono stati sperimentati tutti i progetti speciali, sia italiani che stranieri:
  • il primo forno a nafta;
  • il primo forno a rulli;
  • il primo stampo microporoso e con esso, la prima pressocolatura, che ha cambiato radicalmente il concetto produttivo mondiale;
  • la prima finitura robotizzata, sia per pezzi a verde (appena colati) che per i pezzi a bianco (semicotti);
  • la linea Tesi, diventata caposaldo della produzione, non è stata disegnata da un celebre architetto, ma è stata progettata dal nostro ufficio tecnico;
  • quello di Brescia è stato il primo sito produttivo a passare dal lavoro su banchi manuali alla tecnologia automatizzata;
  • i “maestri del bagno”, come venivano chiamati i nostri operatori ceramici, sono stati i primi a rinunciare ad un alto salario per ridurre, attraverso le commissioni ambiente, il rischio di contrarre la silicosi (malattia professionale);
  • lo stabilimento bresciano è stato il primo ad inserire le RLS scorporate dalle RSU, per dare continuità al concetto di sicurezza e prevenzione;
  • è stato il primo ad inserire il ciclo continuo di cinque squadre su tre turni, per 365 giorni, con rotazione sulle postazioni di lavoro, per rafforzare il concetto che una minore esposizione ed una maggiore flessibilità riducano le malattie professionali ed aumentino la professionalità del lavoratore;
  • è stato il primo ad inserire la figura professionale del “mecatronico”: manutentore pluri-funzionale, meccanico, elettronico, elettricista;
  • è stato il primo a inserire riunioni di squadra per il controllo della qualità, per poter gestire la produzione in modo partecipativo e ad avere il monitoraggio del premio qualità (recupero scarti/ricottura/ costo pezzo); il primo sito a passare dal capo squadra al TLM;
  • infine, Brescia è stato il primo stabilimento ad assumere lavoratori extracomunitari, perché fermamente convinto che l’integrazione passi attraverso il lavoro.
L’elenco è stato lungo, ma la scelta di pubblicarlo, consapevoli di intrattenere nella lettura i destinatari, è dettata dalla volontà di renderli partecipi dell’esemplare evoluzione produttiva e professionale del sito lombardo.
Lo stabilimento bresciano ha dovuto assistere al lento sgretolamento della propria struttura, iniziato con la chiusura, per motivi “strategici”, di una delle modellerie più efficienti al mondo, anche se i modelli continuano ad essere creati in sito bresciano. Periodiche “ristrutturazioni” di personale hanno fatto perdere inestimabili risorse di valore professionale. L’esternalizzazione della piattaforma logistica, nonostante le pressioni delle Rsu per conservare in loco il servizio spedizioni, ha penalizzato tutti i lavoratori con problemi fisici, che avrebbero potuto trovarvi adeguato impiego.
Proprio Brescia, che nonostante le difficoltà, si stava organizzando in una fabbrica snella, pur di mantenere quel concetto di stabilimento pilota, proprio Brescia il cui costo-pezzo è tra i migliori d’Europa, vede premiato così il proprio impegno: con la chiusura.
 
Ideal Standard alla Regione Lombardia
La vicenda dello stabilimento di Brescia è una ferita profonda che deve essere il segnale di un disturbo che si diffonde come un morbo e va fermato.
Bain Capital non ha finito le sue manovre finanziarie sul territorio italiano. Con il denaro ricavato dallo sgretolamento degli stabilimenti italiani, si accinge ad acquistare Safilo, che porta in dote circa 600 ml di euro di debiti.
In tempi in cui si respingono con forza alla frontiera persone che vengono nel nostro paese con una speranza di vita migliore, si lasciano entrare, stendendo loro il tappeto rosso, compagnie senza scrupoli, che stanno minacciando l’economia italiana.
Le Rsu dello Stabilimento Ideal Standard di Brescia ed i lavoratori tutti, chiedono al Ministro On. Tremonti ed alla Regione Lombardia di intervenire con l’autorità che è stata loro conferita e di arrestare il processo distruttivo in atto.
 
SABATO 25 LUGLIO 2009 DALLE ORE 21
INIZIATIVA DI SOLIDARIETÀ
VI ASPETTIAMO NUMEROSI
GRAZIE DELLA PARTECIPAZIONE
 
RSU IDEAL STANDARD BRESCIA
 
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di lucmu (del 21/07/2009, in Politica, linkato 1015 volte)
Milano si sta trasformando nella capitale dell’ipocrisia e mezzo mondo proclama felice di volerla seguire. C'è persino un consigliere regionale, Quadrini dell'Udc, che vorrebbe una legge regionale. Davvero impressionante come tutti quanti facciano finta di non sapere che il divieto introdotto dalla Moratti esista nel nostro paese già da tempo e pure con sanzioni più gravi.
Infatti, l’articolo 689 del codice penale punisce con l’arresto fino a un anno l’esercente che somministri bevande alcoliche a un minore di 16 anni. Esisteva ieri, esiste oggi ed esisterà domani.
Ma a Milano la politica dei divieti e delle proibizioni sta diventando una triste moda, anzi, sembra il leitmotiv di un’amministrazione ormai priva di idee e progetti per la città. E non importa nemmeno se i divieti sono inutili, inapplicabili e inapplicati.
Si sa, la memoria è corta, e così nessuno si ricorda più dell’imbroglio delle sei ordinanze-divieti del novembre scorso, con i quali vennero vietati e sanzionati comportamenti come fumarsi uno spinello in un luogo pubblico oppure “consumare nonché detenere (a scopo di verosimile immediato consumo) ogni genere di bevanda alcolica e superalcolica in contenitori di vetro o in latta” (non stiamo scherzando, è una citazione testuale).
A qualcuno risulta che qualcuno sia stato multato con 500 euro perché ha fumato uno spinello al parco oppure perché deteneva una lattina di birra? Ovviamente no, salvo forse qualche sfortunato incappato in una pattuglia di poliziotti locali che non sapevano che fare del loro tempo.
Insomma, l’ipocrisia al potere. Ci sarebbe da ridere, se non fosse che questa ondata di divieti, di cui non si intravede la fine, produce danni profondi nel tessuto della nostra città, specie nel rapporto con i giovani, ormai trattati come sorvegliati speciali e non come persone degne di attenzione.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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di lucmu (del 21/07/2009, in Regione, linkato 2453 volte)
C’era una volta la legge regionale n. 38 del 1981, una sconosciuta per la quasi totalità dei cittadini lombardi, ma non così per migliaia di lavoratori dipendenti dell’amministrazione regionale, poiché essa garantiva loro una “indennità di anzianità” che veniva corrisposta al momento della cessazione del rapporto di lavoro, in quanto integrazione regionale alla liquidazione erogata dall’Inpdap (l’istituto previdenziale della pubblica amministrazione, cioè l’Inps dei pubblici dipendenti).
A questo punto, ne siamo consapevoli, quanti non sono lavoratori dipendenti di Regione Lombardia saranno fortemente tentati di abbandonare la lettura di questo testo. Invece, se avete un po’ di tempo e voglia, continuate lo stesso, perché questa storia, alla pari di altre, è paradigmatica di come funzionino le cose nell’amministrazione governata da ormai 15 anni da Roberto Formigoni.
Ebbene, per tornare al nostro argomento, le norme che regolavano quella “indennità” avevano per definizione una natura transitoria, visto che erano finalizzate alla “omogeneizzazione del trattamento di previdenza del personale regionale” in attesa che lo Stato definisse sul piano nazionale la disciplina del trattamento di fine rapporto (Tfr) per i pubblici dipendenti. E quindi, a partire dal 30 maggio 2000, con l’entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20/12/1999, la Regione –Giunta e Consiglio- pose fine a quella indennità.
In seguito, questo nuovo stato di cose sarebbe stato formalizzato con l’abrogazione degli articoli 16, 17 e 18 della l.r. n. 38/81, come stabilito dall’articolo 92 della l.r. n. 20/2008 (ex l.r. n. 19/2004).
Fin qui tutto bene e regolare, ma c’è un piccolo particolare che aveva fatto infuriare i dipendenti regionali e portato a un gran numero di contenziosi legali. Cioè, l’amministrazione formigoniana, tanto per non smentirsi mai, ha dato un’interpretazione un po’ troppo creativa della legge, per usare un eufemismo, interrompendo non soltanto l’ulteriore maturazione dell’indennità, come norma e logica vorrebbero, bensì l’erogazione tout court. In altre parole, i dipendenti andati in pensione dopo la fatidica data del 30 maggio 2000, anche se avevano già maturato molti anni di trattamento previdenziale integrativo, non ricevevano nemmeno un euro e le relative quantità economiche accantonate rimanevano dunque nelle casse della Regione.
Ne seguirono, appunto, numerosi ricorsi da parte di neopensionati che chiedevano che venisse loro corrisposto quanto maturato fino al 30 maggio 2000. Alcuni persero, perché la causa era impostata male, ma la maggior parte trovava ascolto dai giudici. Poi, un caso arrivò fino in Corte di Cassazione, visto che la Regione preferisce sperperare risorse pubbliche nei contenziosi legali, piuttosto che riconoscere di avere torto marcio.
E la Cassazione, con sentenza n. 18501 del 4 luglio 2008, ha chiarito una volta per tutte la questione: cioè, l’indennità in questione ha natura retributiva, l’abrogazione della precedente normativa “non produce effetto retroattivo, ma trova applicazione soltanto per l’avvenire (per il periodo successivo, cioè, al 30 maggio 2000)” e, pertanto, la Regione deve corrispondere quanto maturato fino al 2000.
Con questa sentenza, arrivata dopo otto anni di rifiuto ostinato della Regione di applicare la legge, si è aperta ovviamente una nuova fase, che ci porta diritto all’oggi. Cioè, alla norma pasticcio inserita nell’Assestamento di bilancio 2009, che sarà discusso in Consiglio regionale nei giorni 28-30 luglio. Ma andiamo con ordine.
Il 12 giugno scorso la Giunta regionale e la maggioranza delle rappresentanze sindacali, ad esclusione dei delegati di SdL intercategoriale e Slai-Cobas, hanno firmato un accordo sulle modalità di riconoscimento dell’indennità ex l.r. 38/81. Lo stesso accordo, con gli stessi firmatari sindacali, è stato poi siglato anche in Consiglio il 18 giugno. Nessuna consultazione dei lavoratori sull’accordo è stata effettuata. Infine, il 1° luglio il contenuto dell’accordo era già stato tradotto in una proposta di modifica di legge (art. 7, comma 24 del Pdl n. 398 “Assestamento al bilancio”) che qui di seguito riportiamo integralmente:
 
24. Alla legge regionale 7 luglio 2008 , n. 20 ”Testo unico delle leggi regionali in materia di  organizzazione e personale” è apportata la seguente modificazione:
 
a)      All’art. 92, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente comma:
 
“1 bis. L’indennità di cui al comma 1 e’ erogata, prima della cessazione del rapporto di lavoro, su richiesta dell’interessato, ai dipendenti di ruolo della Regione Lombardia che, alla data del 30 maggio 2000, avevano maturato almeno un anno di servizio, non risultano collocati a riposo ancorché siano stati trasferiti ad altri enti.  La somma erogata, a soddisfazione integrale del diritto, è pari al settantacinque per cento della differenza tra un dodicesimo e un quindicesimo dell’ottanta per cento della retribuzione annua lorda alla data del 30 maggio 2000 moltiplicata per il numero di anni utili ai fini dell’indennità di premio di servizio con termine al 30 maggio 2000. All’onere si provvede con gli stanziamenti previsti all’UPB 7.2.0.1.174 “Risorse Umane” del bilancio di previsione 2009 e bilancio pluriennale 2009-2011.”
 
Ma, ovviamente, soltanto gli addetti ai lavori avranno capito qualcosa. Ecco dunque la traduzione della soluzione prospettata dal governo regionale:
1. a tutti i dipendenti in servizio, anche se nel frattempo trasferiti ad altri enti, che alla data del 30 maggio 2000 avevano almeno un anno di anzianità è riconosciuto il 75% della somma maturata fino al 30/05/2000 e l’erogazione sarà immediata, ma su richiesta dell’interessato;
2. l’accettazione volontaria del 75% subito estingue ogni debito della Regione nei confronti del lavoratore;
3. tutti coloro che sono andati in pensione tra il 31 maggio 2000 e l’entrata in vigore della nuova norma non sono contemplati e finiscono dunque nell’incertezza giuridica.
In Commissione II (Affari Istituzionali), competente per l’argomento, abbiamo sollevato dubbi sostanziali sulla correttezza della norma e chiesto delle modifiche, in particolare sottolineando la stravaganza del principio che il 75% possa soddisfare integralmente il diritto al 100% e contestando l’esclusione dei pensionati dalla norma, peraltro in palese contrasto con la sentenza della Cassazione.
Non che ci fossero molti spazi di discussione in Commissione, come peraltro accade sempre quando l’ordine dal Pirellone ha carattere tassativo. Anzi, è stata respinta in maniera irrituale anche la nostra richiesta di procedere all’audizione delle parti sindacali, sia firmatarie che non dell’accordo, e le informazioni aggiuntive richieste sono ad oggi arrivate soltanto dal Consiglio, ma non dalla Giunta, dalla quale dipende la stragrande maggioranza degli aventi diritto.
Comunque sia, di fronte alla nostra insistenza, i dirigenti delle amministrazioni del Consiglio e della Giunta presenti in Commissione hanno dovuto infine ammettere che effettivamente non si possono escludere coloro i quali hanno cessato il rapporto di lavoro dopo il 30 maggio 2000, ma che l’amministrazione intende procedere con “transazioni” extra-legge per soddisfare il diritto acquisito… Cioè, con una modalità priva di certezza, trasparenza e controllo.
Insomma, un grande pasticcio, dalla dubbia legittimità, a concreto rischio arbitrarietà e pieno di incertezze applicative.
In Aula presenteremo quindi alcuni emendamenti e ordini del giorno per garantire a tutti i dipendenti, in attività o collocati a riposo, il soddisfacimento del loro diritto. Anzitutto, ri-chiederemo che l’indennità maturata vada corrisposta al 100%. In secondo luogo, che il diritto dei pensionati dopo il 30 maggio 2000 (oltre 600) venga riconosciuto in legge e non con meccanismi arbitrari. E, infine, che venga garantita un’informazione completa anche ai dipendenti nel frattempo trasferiti ad altri enti (oltre 1.000).
 
qui sotto puoi scaricare le note delle amministrazioni di Giunta e Consiglio con le informazioni chieste da noi in Commissione
 

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Che la Giunta Formigoni fosse poco rispettosa delle pronunce della magistratura lo sapevamo già, ma che addirittura provasse ad annullare una sentenza del Consiglio di Stato per mezzo di una legge retroattiva, non l’avevamo ancora visto.
Perché oggi pomeriggio, in Commissione II (Affari Istituzionali), è successo proprio questo. A pochi minuti dal voto finale sull’Assestamento di bilancio 2009, che andrà in aula nell’ultima settimana di luglio, come il classico coniglio dal cilindro è saltato fuori un emendamento che con il bilancio non c’entra nulla, e che interviene su una vicenda che riguarda una trentina di alti funzionari dell’Amministrazione regionale, assunti nel 2006 in base a un concorso illegittimo.
Questi dirigenti sono tuttora in servizio e appongono la loro firma su atti amministrativi di primaria importanza nonostante il Consiglio di Stato, respingendo tre mesi fa un ricorso di Regione Lombardia, abbia confermato la sentenza di primo grado già emessa dal TAR nel 2008, in cui il concorso e le conseguenti assunzioni erano state dichiarati illegittimi.
La ragione dell’illegittimità sta nel fatto che il bando non era stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, ma soltanto sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia, precludendo così la partecipazione ai cittadini italiani che in quel momento si trovassero in un’altra regione del paese.
Ebbene, mediante l’emendamento presentato oggi si modifica la legge regionale n. 20/2008 (Testo unico sul personale), introducendo il principio che d’ora in poi i bandi di concorso devono essere pubblicati soltanto sul bollettino regionale e, soprattutto, che questa nuova norma ha valenza retroattiva. Cioè, come per magia, il concorso illegittimo diventa legittimo e la condanna della magistratura amministrativa si trasforma in un’assoluzione.
Un emendamento talmente ardito e disinvolto da suscitare perplessità persino tra gli stessi commissari del centrodestra, dopo il nostro intervento. Quindi, su richiesta dell’opposizione e con una decisione unanime, la Commissione ha incaricato l’ufficio legale del Consiglio regionale di fornire un parere legale prima della discussione in aula.
Chiediamo alla Giunta regionale di ritirare immediatamente l’emendamento salva-dirigenti e di sanare la situazione nel quadro della legalità, adeguandosi dunque alla sentenza della magistratura amministrativa.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
qui sotto puoi scaricare il testo dell’emendamento votato oggi in Commissione II
 

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Articolo di Luciano Muhlbauer pubblicato su il Manifesto del 16 luglio 2009 (pag. Milano)
 
E infine, dopo settimane di annunci, smentite, commissioni sconvocate e sedute rinviate, martedì sera il Consiglio regionale ha approvato, con il voto contrario di tutte le opposizioni, il “piano casa” della Lombardia, in una versione persino peggiorata rispetto al testo originario.
In tanti speravano invece in un esito diverso, visti i numerosi dissidi nella maggioranza, ma poi è successo l’esatto contrario, cioè il centrodestra si è improvvisamente ricompattato attorno agli interessi e alle spinte provenienti dai gruppi di potere immobiliare che ormai costituiscono il vero governo del territorio a Milano e dintorni.
Certo, la ragione che ha portato di nuovo pace –e che aveva motivato la guerra?- nel centrodestra c’entra poco con l’urbanistica, ma così vanno le cose nel regno di Formigoni. Infatti, mentre il Consiglio dibatteva, in un'altra stanza il “governatore” ha formalizzato le nomine dei nuovi presidenti e direttori generali degli Irccs, cioè della cosiddetta “eccellenza” della sanità lombarda. E a parte il fatto che Comunione e Liberazione ha ribadito il suo strapotere, compresa l’inquietante nomina al vertice della Fondazione Policlinico-Mangiagalli-Regina Elena dell’antiabortista e leader ciellino Giancarlo Cesana, la novità consiste proprio nei posti concessi alla Lega, che si aggiudica il presidente dell’Istituto Tumori e il direttore generale del Besta. Insomma, una poltrona vale ben un po’ di mattoni.
Comunque sia, il prezzo di questo baratto di potere alla fine lo paga il territorio lombardo con una brutta legge, priva di progetto e consistente in una maxi-deroga alle norme urbanistiche ed edilizie e in bonus volumetrici generalizzati, per la durata di 18 mesi, che metterà a dura prova quei comuni che volessero garantire un minimo di controllo e governo della situazione, che aggiunge ulteriore confusione a un quadro normativo sempre più intricato e incoerente e che comporterà densificazione abitativa e consumo del territorio incontrollati. E tutto questo senza nemmeno rispettare i vincoli indicati dall’Accordo Governo-Regioni del 1° aprile scorso, che la stessa Lombardia aveva sottoscritto.
Per dare un’idea di che cosa stiamo parlando, ma senza perderci nei tecnicismi, basti ricordare che queste deroghe consentiranno di ampliare del 20% gli edifici residenziali della dimensione fino a 1200 metri cubi. In caso di sostituzione, cioè di demolizione e ricostruzione, il bonus volumetrico arriva invece al 30% (al 35% se ci metti anche qualche albero) e questo sarà possibile anche con edifici non residenziali, con tutte le annesse preoccupazioni circa la salvaguardia delle attività produttive.
Nel caso dei quartieri popolari, cioè di edilizia residenziale pubblica, il bonus arriva fino al 40%, viene calcolato sulla base della volumetria complessiva esistente nel quartiere e può concretizzarsi anche in nuove costruzioni. E come se non bastasse, la volumetria aggiuntiva generata dall’edilizia pubblica può essere ceduta dalle Aler e dai Comuni a dei soggetti privati. Certo, c’è il vincolo della destinazione ad alloggi Erp, ma questo concetto significa ormai di tutto e di più. Anzi, nel caso in esame, significa tanta edilizia convenzionata e poca o nulla edilizia sociale.
Va poi rammentato che tutte le deroghe e i bonus, sebbene con qualche vincolo in più, valgono anche nei centri storici e nei parchi.
Infine, tra i peggioramenti introdotti dal Consiglio di martedì va segnalata l’abolizione dell’obbligo di “produrre al comune” l’attestato di certificazione energetica ad intervento edilizio terminato. Sarà poca cosa in mezzo a tanto mattone libero, ma considerato che la presunta bontà di questa legge veniva giustificata con l’incentivo al risparmio energetico, forse questo particolare spiega molto più di tante parole.
 
qui sotto puoi scaricare il testo integrale del “piano casa” (la numerazione della legge è ancora provvisoria)
 

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Oggi il Consiglio regionale, con i soli voti favorevoli del centrodestra, ha approvato un brutto “piano casa”, persino peggiorato rispetto alla sua versione originaria licenziata dalla Giunta.
Infatti, stamattina l’Assessore leghista Boni ha presentato una ventina di emendamenti che in larga parte sono la fotocopia di quelli presentati a suo tempo in Commissione -e poi ritirati- dal forzista Bordoni. In altre parole, la maggioranza si è ricompattata, attestandosi sulle posizioni più oltranziste e più vicine agli interessi immobiliari forti che spadroneggiano a Milano.
Il risultato è un “piano casa” che va ben oltre i limiti stabiliti dallo stesso Accordo Governo-Regioni del 1° aprile scorso, aprendo i centri storici e le aree verdi alle deroghe edilizie e ai bonus volumetrici, allargando a dismisura la platea di edifici ai quali è possibile applicare la sospensione delle regole edilizie e permettendo la cessione ai privati delle volumetrie aggiuntive generate dalle case popolari. È stato addirittura abolito l’obbligo di “produrre al comune” l’attestato di certificazione energetica, sostituendolo con un molto più vago e meno impegnativo “dotarsi”.
Difficilmente questo “piano” potrà produrre effetti benefici in termini di ripresa economica e posti di lavoro, ma in cambio produrrà un certo impatto negativo sul territorio e un’ulteriore confusione normativa, vero e proprio regno di furbi e furbetti.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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Oggi si è finalmente svolto al Pirellone l’incontro per discutere sull’insensata soppressione della fermata di Rho sulla linea interregionale Torino-Milano. Presenti gli Assessori ai trasporti, i responsabili di Trenitalia della Lombardia e del Piemonte, il Sindaco di Rho e rappresentanti dei pendolari, tra cui il centro sociale Fornace e il Comitato No-Expo, animatori della protesta.
Tutti gli attori istituzionali e Trenitalia hanno dovuto riconoscere l’insostenibilità dell’attuale situazione. E’ stato quindi deciso di convocare una nuova riunione, il 5 agosto prossimo, finalizzata a definire alcuni convogli che dovrebbero effettuare di nuovo la fermata a Rho centro a partire da metà settembre.
Si tratta sicuramente di un risultato importante e di un netto riconoscimento delle ragioni dei pendolari. Ma è anche un risultato insufficiente, perché le parole di oggi mancano di certezze, manca un calendario preciso, manca la definizione di quante e quali saranno le fermate reintrodotte.
Inoltre, non riusciamo proprio a capire le ragioni concrete che impedirebbero il ripristino di tutte e trenta le fermate soppresse. Forse perché, così facendo, qualcuno avrebbe dovuto riconoscere di aver commesso un errore?
Si tratta dunque di continuare la mobilitazione per ottenere il massimo risultato possibile per i pendolari. Auspichiamo pertanto che l’Assessore Cattaneo e il Sindaco di Rho seguano la vicenda con serietà, senza ripetere la clamorosa distrazione che nel marzo scorso aveva dato il via libera alla pura e semplice soppressione della fermata.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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Domani, martedì 14 luglio, dopo due rinvii consecutivi dovuti ai dissidi interni alla maggioranza, il Consiglio regionale discuterà finalmente il "piano casa" lombardo.
Un provvedimento privo di fantasia e progetto, che consiste fondamentalmente in un insieme di deroghe e sconti urbanistici innestati su un quadro normativo sempre più intricato e incoerente, nella speranza che basti togliere qualche regola edilizia per ridare ossigeno a tutta l’economia. Insomma, un “piano” dagli incerti effetti anticrisi, ma che in cambio comporta un forte impatto negativo sul territorio.
Che ci troviamo nel regno dei desideri, piuttosto che in quello della programmazione, è peraltro confermato dalla previsione degli effetti economici sbandierata dal Pirellone, cioè i famosi 7 miliardi di investimenti e 30mila nuovi posti di lavoro. Cifre e numeri che suonano bene, ma che purtroppo peccano di scarso realismo, poiché si basano sul presupposto che tutti i soggetti privati, dal primo all'ultimo, in grado di costruire qualcosa in base alla maxi-deroga, lo facciano effettivamente nel futuro immediato. Cioè, che siano non solo invogliati, ma anche in condizione di mobilitare e investire risorse economiche.
Ci permettiamo quindi di dubitare seriamente della concretezza di quei numeri, specie quando la parte pubblica non ci mette un euro e nemmeno un po' di governance.
Dall'altra parte, invece, una certezza c'è: si smantella un altro pezzo di governo del territorio, si favoriscano i soliti furbetti del mattone e si stimola quella selvaggia densificazione abitativa e urbanistica, tanto cara agli attuali amministratori milanesi.
Domani in Aula ci opporremo con forza a questo "piano" che piano non è. Si tratta di un provvedimento sostanzialmente inemendabile, perché sbagliato nei suoi presupposti, e tuttora esposto a ulteriori modifiche peggiorative da parte di settori della maggioranza.
Con i nostri emendamenti vogliamo limitare l'impatto negativo del provvedimento sul territorio, impedire che siano compromesse attività produttive esistenti nelle aree metropolitane e introdurre correttivi che aumentino l'offerta di alloggi per i redditi medio-bassi.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
qui sotto puoi scaricare il testo della proposta di legge e i nostri emendamenti presentati
 

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Il 1° luglio le forze dell’ordine hanno sgomberato l’ex-cinema Apollo di Monza, occupato alcuni giorni prima dagli attivisti del Foa Boccacccio. Era una spazio abbandonato da tempo e lasciato all’incuria e il Sindaco di Monza, il leghista Mariani, aveva persino dichiarato in Consiglio comunale che intendeva dialogare con gli occupanti. Eppure, lo sgombero è arrivato lo stesso, in tempo record e nei soliti modi. Neanche una parola, ovviamente, sul degrado a cui è stato così riconsegnato l’ex-cinema Apollo oppure sulla mancanza di spazi sociali a Monza. Anzi, il deputato monzese della Lega, Grimoldi, non ha trovato di meglio che esclamare che “i Comuni devono essere quanto mai intransigenti nei confronti di chi rappresenta per le nostre comunità un elemento di disturbo e disordine sociale”. Cioè, per tradurlo in italiano corrente, nei confronti di chi non la pensa come loro...
Sabato 11 luglio, alle ore 15.00, con partenza da  p.zza Castello (retro Stazione FS di Monza) a Monza, si terrà una manifestazione cittadina in protesta contro lo sgombero e per uno spazio sociale a Monza.
Pensiamo sia utile e importante esserci e sostenere la battaglia dei ragazzi del Boccaccio.
Qui di seguito riproduciamo l’appello per la manifestazione, con le coordinate per aderirvi:
 
 
MANIFESTAZIONE CONTRO LO SGOMBERO DEL BOCCACCIO, PER UNO SPAZIO SOCIALE A MONZA 
 
Sabato 11 luglio, ore 15.00, p.zza Castello (retro Stazione FS di Monza), Monza
 
Sabato 27 giugno abbiamo riaperto alla cittadinanza l’ex Apollo di via Lecco. Con questo atto ritrovavano casa, dopo un anno, i mille progetti della FOA BOCCACCIO. Musica, cinema, teatro, politica e cultura dal basso avrebbero riempito uno spazio in disuso, uno dei tanti presenti in città. Dopo pochi giorni di occupazione, mercoledì 1 luglio, l’intervento violento della forze dell’ordine sgomberava lo stabile. Successivamente, il corteo spontaneo di protesta della FOA BOCCACCIO veniva ripetutamente caricato a suon di manganellate da Polizia e Carabinieri. Manifestanti a viso scoperto e senza alcun tipo di protezione o arma di offesa venivano ripetutamente colpiti.
Questa è stata la risposta delle istituzioni alla nascita di uno spazio sociale in città: chi governa Monza da tempo ha dichiarato guerra agli spazi di aggregazione con ordinanze e divieti, quando poi si parla di spazi sociali autogestiti subentra anche l’intervento violento degli uomini in divisa. Questa grave situazione ha tramutato Monza in una città dormitorio, assolutamente incapace di sviluppare politiche rivolte ai giovani ed in generale politiche sociali e culturali in grado di soddisfare le esigenze della cittadinanza.
La rinascita della FOA BOCCACCIO, all’interno di uno dei tanti spazi disponibili in città che possono ospitarne le attività, costituiva una valida risposta a questo clima di appiattimento culturale e di mancanza di prospettive. Lo sgombero costituisce quindi un atto gravissimo di repressione nei confronti di chi ha deciso, ormai da sette anni a questa parte, di impegnarsi perché a Monza esista uno spazio libero dove costruire progetti di socialità e aggregazione svincolati da logiche di profitto e basati su valori fondanti quali antifascismo e antirazzismo. Abbiamo deciso di investire tempo ed energie per fare della cultura uno strumento di crescita e di analisi del mondo circostante: questo è chiaro se si considerano le centinaia di iniziative organizzate in questi sette anni. Cultura significa approfondimento e per questo fa paura a chi ci governa, che preferisce affrontare la realtà servendoci un bel pacchetto sicurezza, insieme di leggi liberticide e securitarie.
Abbiamo ricevuto tantissimi attestati di solidarietà che condannano l’operato di chi ci ha voluto sgomberare e siamo decisi a rilanciare sin da subito il percorso che ci porterà ad aprire un nuovo spazio sociale a Monza. Questo è il senso del corteo di sabato: rivendicare con forza la necessità di uno spazio autogestito a Monza e protestare contro lo sgombero. Per quanto ci riguarda è “illegale” che esistano in città decine di aree in disuso piuttosto che occuparne una provando a restituirla ad uso sociale.
Crediamo quindi necessario scendere in piazza contro lo sgombero e contro le politiche di questa Giunta, che hanno creato un clima soffocante in città, non solo nei confronti del Boccaccio, ma anche di tutti i giovani monzesi. Il Sindaco ha recentemente aperto le porte di un dialogo: chiediamo che sia reale e concreto, e non una farsa come il confronto che abbiamo avuto un anno fa con il suo assessore Sassoli, prima dello sgombero della sede di via Boccaccio 6.
Scendiamo in piazza per dimostrare che centinaia di ragazzi e ragazze aspettano il BOCCACCIO e che l’ex cinema Apollo è lo spazio adatto per il nostro progetto: noi vogliamo aprire una vertenza pubblica riguardante lo stabile da anni bloccato in uno stato di abbandono. Uno spazio nato per essere polo culturale, ora chiuso, sottratto al pubblico utilizzo. Lì dentro vogliamo dare vita ai nostri progetti, interagendo con un quartiere che ha dimostrato di non voler vedere quello stabile abbattuto per lasciare spazio a nuovi palazzi.
Scendiamo in piazza in solidarietà con tutte le altre realtà autogestite che sono in lotta, con tutti i collettivi in cerca di spazi di agibilità nella metropoli milanese (e non solo), perché ciò che accade a Monza è specchio di un contesto più ampio di attacco a chi promuove valori alternativi a quelli della Destra al governo.
Scendiamo quindi in piazza anche in solidarietà con tutti gli arrestati nel corso dell’operazione repressiva degli ultimi giorni di avvicinamento al G8 dell’Aquila: gli arrestati per gli scontri al G8 di Torino, 21 studenti che si sono messi in gioco contro un modello universitario sempre più inaccettabile e tutti i manifestanti fermati nel corso della giornata di mobilitazione a Roma (martedì 7). La loro lotta è anche la nostra.
Per tutti questi motivi invitiamo le realtà autogestite, i collettivi, le associazioni, gli artisti, le forze politiche ed i singoli a partecipare al corteo di sabato 11, per sostenere la lotta del BOCCACCIO, la sua storia ed i suoi contenuti ed in generale la lotta di tutti gli spazi autogestiti che quotidianamente sono sotto attacco.
 
Per info e adesioni boccaccio@autistici.org
 
FOA BOCCACCIO 003
 
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Nell’odierna seduta del Consiglio è naufragato ingloriosamente, come ampiamente prevedibile, anche l’ultimo tentativo di salvare la faccia a Formigoni e di approvare in ogni modo il cosiddetto “piano casa”. Dunque, ormai è ufficiale, se ne discuterà martedì 14 luglio.
Stamattina la maggioranza le ha provate tutte, presentando una richiesta di procedura d’urgenza e facendo persino saltare la discussione sul provvedimento più corposo, già inserito nell’ordine del giorno. Ma poi la montagna ha partorito il classico topolino e, appena due ore dopo la presentazione alla presidenza dell’assemblea, i capigruppo di Pdl e Lega hanno ritirato la richiesta d’urgenza, prima che fosse messa ai voti.
Insomma, ancora una volta hanno fatto tutto da soli, in piena continuità con gli imbarazzanti pasticci delle ultime settimane.
Infatti, il “piano casa” di Formigoni era stato programmato una prima volta per il Consiglio del 1° luglio, ma poi non se n’era fatto niente, visto che alcuni giorni prima in Commissione il relatore di maggioranza, il forzista Bordoni, aveva presentato numerosi emendamenti, non concordati con la Lega, che stravolgevano il provvedimento. Poi la discussione era stata riprogrammata per oggi, 7 luglio, ma la seduta di Commissione di giovedì scorso non è riuscita a licenziare il testo, causa boicottaggio di alcuni consiglieri del Popolo della Libertà. Ne sono seguiti il diktat di Formigoni, il ritiro di tutti gli emendamenti del centrodestra e il maldestro tentativo di forzare la mano al Consiglio.
In tutti questi passaggi – è bene ricordarlo - nemmeno una delle proposte emendative delle opposizioni è mai stata discussa. Anzi, nella giornata di ieri, esse sono state tutte pregiudizialmente respinte dalla maggioranza.
Chiusa la fase acuta dei pasticci e dei litigi di maggioranza, auspichiamo che, in vista del seduta di Consiglio del 14 luglio, la discussione possa tornare finalmente nei luoghi deputati ed essere affrontata con trasparenza.
Da parte nostra, presenteremo tutti gli emendamenti che la Commissione non ha voluto nemmeno affrontare, perché le troppe manovre e manovrine all’ombra del Pirellone hanno solo rafforzato la nostra convinzione che quel “piano” debba cambiare radicalmente.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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