Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
La prospettiva che l’Innova Service, azienda attiva sul sito dell’ex Alfa Romeo, possa licenziare 62 dipendenti sui 70 complessivi, senza che Regione, Provincia e Prefettura dicano o facciano alcunché, è semplicemente inaccettabile e raccapricciante.
Lo sarebbe comunque, ma lo è in maniera particolare nel caso di una società come la “Innova Service”, che da quando è attiva sul sito ha brillato anzitutto per la totale assenza di trasparenza e serietà e per i ripetuti ed accertati comportamenti illegittimi in materia di lavoro, nonché per il coinvolgimento di suoi dirigenti e proprietari in loschi affari ed indagini giudiziarie, come quelle relative alle cimici ritrovate l’anno scorso nell’ufficio del city manager del Comune di Milano, per le quali proprio in questi giorni si sono chiuse le indagini, con la conferma delle pesanti accuse nei confronti degli indagati.
Tutto questo è comprensibilmente sconosciuto al largo pubblico, ma non certamente alle istituzioni. La sanno in Regione e in Provincia e il Prefetto Lombardi era persino intervenuto in prima persona all’inizio dell’anno, incontrando più volte anche i lavoratori e diversi rappresentanti istituzionali, tra cui il sottoscritto, quando “Innova Service” licenziò illegittimamente due delegati sindacali dello Slai Cobas, poi reintegrati dal giudice.
Anzi, è uno scandalo di per sé che una società come “Innova Service” potesse per così lungo tempo gestire le portinerie –e dunque gli accessi- di un sito come l’ex Alfa.
Quella società ha sempre avuto un unico obiettivo: liberarsi dei suoi lavoratori e delle sue lavoratrici. Infatti, sono tutti ex-operai dell’Alfa e pertanto sindacalizzati e poco disposti a chiudere occhi ed orecchie. E anche questo le istituzioni lo sanno benissimo.
Ecco perché è raccapricciante il silenzio di questi giorni. E se questo dovesse proseguire, se le istituzioni dovessero assistere immobili al licenziamento di massa dei 62, allora dovremmo concludere che siano corresponsabili e che, anzi, faccia comodo a qualcuno di liberarsi di una presenza troppo vigile, considerati i troppi appetiti speculativi sull’area.
Non vogliamo credere che sia così e chiediamo pertanto a Regione e Provincia e allo stesso Prefetto Lombardi di battere un colpo e di attivarsi immediatamente per la salvaguardia del posto di lavoro dei 62, che svolgono un lavoro che va svolto comunque.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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di seguito, il comunicato dello Slai Cobas di Arese:
 
ACCORDO DI PROGRAMMA  AREA ALFA:
TUTTI I LAVORATORI FUORI DAI COGLIONI
NESSUN LAVORATORE ALFA DEVE RESTARE NEL SITO
NESSUNA LAVORAZIONE INDUSTRIALE DEVE PERMANERE
TUTTO DEVE ESSERE LASCIATO LIBERO PER LE SPECULAZIONI
 
L'accordo di programma bocciato dalla giunta comunale di Rho è fermo ma cominciano ad andare avanti i progetti  studiati a tavolino  per fare piazza pulita dei lavoratori occupati in quel poco  di lavorazioni  e società che si erano insediate  in tutti questi anni di speculazioni.
Nei giorni scorsi, tramite l' Associazione padronale delle Piccole Industrie (Confapi), ABP ci ha fatto sapere che intende licenziare tutti i 70  lavoratori ex Fiat assunti nel sito Alfa  a seguito delle lotte e delle obbligazioni occupazionali in capo alla suddetta proprietà.
E in modo arrogante, senza attendere l'incontro già programmato per il giorno 11 novembre, una settimana fa ci ha comunicato di aver già avviato la procedura di licenziamento/mobilità per 62 lavoratori su 70 dipendenti di Innova Service, azienda spionistica  assoldata da ABP e dai proprietari dell'area per provocare e liquidare tutti i lavoratori ex Alfa.
Non tira  buon vento neanche nelle rimanenti società  (Green fluff, Caris, Isa, ecc ) dove ci sono avvisaglie di dismissione.
Per quanto riguarda i cassa integrati Fiat a tuttoggi non c'è ancora stata nessuna convocazione da parte della Regione Lombardia per dare corso ad un progetto di reinserimento nell'area Alfa.
Questo vuole dire che, secondo Lorsignori, non solo nell'area Alfa non si deve parlare di nuova occupazione industriale/produttiva, ma che anche quella esistente deve scomparire.
Così ha fatto la Fiat, portando a Torino le lavorazioni del Centro Stile e dei motori Powertrain e mettendo in Cigs tutti i lavoratori, in quanto anche lei è partecipe al bottino di speculazioni.
Così stanno cominciando a fare   anche gli altri proprietari i quali, per concretizzare centri commerciali, alberghi, centri  residenziali, ecc, ecc, cominciano a smantellare quel poco di lavorazioni produttive e servizi che si era consolidato in tutti questi anni.
 
BASTA SPECULAZIONI
FERMIAMO I LICENZIAMENTI
 
Formigoni, Provincia e Sindaci non possono continuare a stare zitti mentre si va a consumare questo ultimo delitto a danno di centinaia di lavoratori che verranno costretti alla disoccupazione e privati di un salario per poter tirare avanti le proprie famiglie.
Invece di riempirsi la bocca sulla bontà occupazionali di questo accordo di programma, cosa hanno da dire rispetto a quello che realmente sta andando avanti contro i lavoratori?
 
Giovedì 11 novembre 2010 ore 9.30
davanti all'ALFA ROMEO di ARESE
ASSEMBLEA PUBBLICA
 
MOBILITIAMOCI E ORGANIZZIAMOCI PER:
Mantenimento e sviluppo delle lavorazioni esistenti.
Seri progetti industriali e occupazionali.
Ritiro dei licenziamenti/mobilità.
Rioccupazione dei cassintegrati Fiat.
Lavoro per i disoccupati e i giovani di tutti i comuni della zona.
 
Arese 10.11.2010
 
SLAI COBAS ALFA ROMEO
 
 
“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, su MilanoX n° xx del 11 novembre 2010, la free press eretica in distribuzione a Milano.
 
Quando, qualche anno fa, il governo De Villepin annunciò l’introduzione dei contratti di prima assunzione (Cpe), in Francia successe il finimondo e milioni di studenti e lavoratori scesero in piazza. Qui da noi, invece, quando due settimane fa il Ministro Sacconi, in seguito a un accordo con le parti sociali, ha annunciato gongolante che il contratto di apprendistato diventerà “l’ingresso tipico dei giovani nel mercato del lavoro”, è successo assolutamente nulla. Anzi, quell’accordo l’ha firmato pure la Cgil.
Ma, in fondo, perché stupirsi? Non aveva fatto troppo rumore nemmeno l’approvazione in Parlamento del famigerato “collegato lavoro” –quello che sostituisce la legge con l’arbitrato nelle cause di lavoro per i neoassunti, tanto per intenderci-, del quale l’accordo in questione è figlio legittimo.
Eppure, di materia per reagire o perlomeno preoccuparsi seriamente ce ne sarebbe a volontà, poiché la nuova normativa non solo definisce una sorta di contratto di prima assunzione in salsa italica, con annesso salario di ingresso, ma en passant riduce pure di un anno l’obbligo scolastico. Infatti, sarà possibile fare l’apprendista a 15 anni e assolvere l’ultimo anno di obbligo lavorando.
Comunque, per quanti volessero documentarsi meglio, consigliamo di consultare i testi normativi, tutti reperibili on line. La cosiddetta “legge Biagi”, anzitutto, cioè il d.lgs. n. 276/2003, che negli articoli dal 47 al 50 definisce le tre tipologie di apprendistato. Poi, il “collegato lavoro” (art. 48, c. 8) del 19 ottobre e l’intesa “per il rilancio dell’apprendistato” del 27 ottobre. Infine, per la cronaca, segnalo che in Lombardia tutto questo è già stato anticipato dall’accordo Formigoni-Sacconi-Gelmini del 27 settembre.
Ma, tornando al nostro problema iniziale, perché nel paese in cui si parla in permanenza delle leggi che riguardano una singola persona, quelle che riguardano, invece, il futuro lavorativo ed esistenziale di un’intera generazione non costituiscono terreno di battaglia politica nemmeno per buona parte dell’opposizione?
La risposta se la dia ognuno e ognuna da sé, ma nella consapevolezza che se non rovesciamo l’ordine delle priorità, non andremo da nessuna parte.
 
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il testo integrale dell’intesa sull’apprendistato del 27 ottobre 2010
 

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Sacconi non si ferma e con lui nemmeno il resto del centrodestra. Il governo e la coalizione sono in crisi, litigano e si fanno la guerra, ma quando si tratta di fare a pezzi i già malmessi diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, allora berlusconiani, finiani e leghisti sono tutti d’accordo. Anzi, su questo punto sono d’accordo pure pezzi importanti di quanti, in teoria, dovrebbero scatenare il finimondo, perché oppositori politici o sindacalisti.
E così, dopo soltanto qualche settimana dall’approvazione del collegato lavoro e mentre si sviluppa senza soste l’offensiva di Marchionne, Bonanni e Sacconi per far fuori con ogni mezzo la Fiom e piegare gli operai metalmeccanici, Sacconi ha formalizzato il progetto governativo di eliminare lo Statuto dei Lavoratori (cioè, quella legge che stabilisce, tra l’altro, il divieto di licenziamento senza giusta causa) e di sostituirlo con uno “Statuto dei Lavori”.
Infatti, giovedì scorso, 11 novembre, il Ministro del Lavoro e della Politiche Sociali, Maurizio Sacconi, ha mandato alle parti sociali una lettera, una relazione e una bozza di legge, intitolata “Delega al Governo per la predisposizione di uno Statuto dei lavori”.
In allegato potete scaricare in formato pdf la versione originale della lettera, della relazione e della bozza di legge delega.
Qui di seguito, invece, riportiamo soltanto il breve articolato della bozza di legge delega, composta da soli due articoli, che però parlano più che chiaro. O meglio, sono una sintesi del peggior pensiero padronale e liberista del nostro tempo, una sorta di Pomigliano per tutti, comprensiva di deroghe elevate al rango di legge e di privatizzazione degli ammortizzatori sociali.
Insomma, leggetevi la bozza e i testi allegati, perché questa volta, davvero, non occorre essere giuslavoristi o legislatori per capire quello che c’è scritto.
 
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Delega al Governo per la predisposizione di uno Statuto dei lavori
 
Articolo 1
Delega al Governo per la predisposizione di uno Statuto dei lavori
 
1. Al fine di incoraggiare una maggiore propensione ad assumere e un migliore adattamento tra le esigenze del lavoro e quelle della impresa, il Governo è delegato a emanare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni, anche di carattere innovativo, volte alla redazione di un testo unico della normativa in materia di lavoro denominato Statuto dei lavori.
 
2. La delega di cui al comma 1 deve essere esercitata in conformità agli obblighi derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro e nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
 
a)       razionalizzazione e semplificazione con l’obiettivo di ridurre almeno del 50 per cento la normativa vigente anche mediante abrogazione delle normative risalenti nel tempo, prevedendo un nuovo regime di sanzioni, in particolare di tipo premiale, che tengano conto della natura sostanziale o formale della violazione e favoriscano la immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita;
 
b)      identificazione di un nucleo di diritti universali e indisponibili, di rilevanza costituzionale e coerenti con la Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, applicabili a tutti i rapporti di lavoro dipendente e alle collaborazioni a progetto rese in regime di sostanziale monocommittenza;
 
c)       conseguente identificazione della rimanente area di tutele con possibilità per la contrattazione collettiva di una loro modulazione e promozione nei settori, nelle aziende e nei territori, anche in deroga alle norme di legge, valorizzando il ruolo e le funzioni degli organismi bilaterali. Nell’esercizio di questa capacità la contrattazione collettiva tiene conto, in particolare, dei seguenti indici:
 
·         andamento economico della impresa, del territorio o del settore di riferimento con particolare riguardo alle crisi aziendali e occupazionali, all’avvio di nuove attività, alla realizzazione di significativi investimenti e ai più generali obiettivi di incremento della competitività e di emersione del lavoro nero e irregolare;
·         caratteristiche e tipologia del datore di lavoro anche con riferimento a parametri dimensionali della impresa non legati al solo numero dei dipendenti;
·         caratteristiche del lavoratore con specifico riferimento alla anzianità continuativa di servizio, alla professionalità o alla appartenenza a gruppi svantaggiati;
·         modalità di esecuzione della attività lavorativa autonoma e coordinata con un solo committente, con particolare riferimento all’impegno temporale e al grado di autonomia del lavoratore;
·         finalità del contratto con riferimento alla valenza formativa o di inserimento al lavoro.
 
d)      riordino della regolazione delle tutele nel mercato del lavoro con riferimento ai servizi di orientamento e collocamento al lavoro e ad attività di formazione secondo percorsi per competenze in ambiente produttivo, certificabili negli esiti, coerenti con i fabbisogni professionali rilevati;
 
e)       estensione, su base volontaria od obbligatoria e mediante contribuzioni corrispondenti alle prestazioni, degli ammortizzatori sociali senza oneri aggiuntivi di finanza pubblica.
 
3. I principi e criteri direttivi di cui al comma 2 potranno essere integrati da un avviso comune reso al Governo dalle associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su scala nazionale entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
 
 
Articolo 2
Disposizioni concernenti l’esercizio della delega di cui all’articolo 1
 
1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, deliberati dal Consiglio dei Ministri e corredati da una apposita relazione sono trasmessi alle Camere, una volta sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori e prestatori di lavoro, per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti entro la scadenza del termine previsto per l’esercizio della relativa delega.
 
2. In caso di mancato rispetto del termine per la trasmissione, il Governo decade dall’esercizio della delega. Le competenti Commissioni parlamentari esprimono il parere entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Qualora il termine per l’espressione del parere decorra inutilmente, i decreti legislativi possono essere comunque adottati. Qualora il termine previsto per il parere delle Commissioni parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega o successivamente, quest’ultimo è prorogato di sessanta giorni.
 
3. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, il Governo può adottare eventuali disposizioni modificative e correttive, comprensive della possibilità di adottare un testo unico delle disposizioni in materia di lavoro, con le medesime modalità e nel rispetto dei medesimi criteri e princìpi direttivi.
 
cliccando sull’icona qui sotto, puoi scaricare la lettera di Sacconi, la relazione e la bozza di legge delega
 

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“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, su MilanoX n° xxi del 18 novembre 2010, la free press eretica in distribuzione a Milano.
 
Trent’anni fa all’Alfa Romeo di Arese lavoravano in 20mila, poi lo Stato cedette l’Alfa, quasi a gratis, alla Fiat, la quale avviò subito lo smantellamento dello stabilimento. Fu così che cominciò quella desertificazione produttiva, che fa oggi dell’area ex-Alfa uno dei più ambiti bocconi per la speculazione.
Ovviamente, le istituzioni si erano sempre riempite la bocca con i progetti di reindustrializzazione. Formigoni ne firmò uno in pompa magna nel 2005, alla vigilia di una delle sue numerose rielezioni, ma poi non se ne fece nulla. Anzi, nel 2010 Formigoni ha sostituito il vecchio piano con uno nuovo, dove le attività produttive spariscono, ma in cambio ci sono un centro commerciale, parcheggi per l’Expo e un po’ di edilizia residenziale.
Eppure, sul sito ex-Alfa c’è ancora chi lavora. Qualcuno per la Fiat, anche se la maggior parte è in cassa, ma anche per altre aziende insediatesi negli anni. In teoria, tutte le aziende presenti dovevano assumere anche operai ex-Alfa, ma questo avvenne soltanto in parte. Gli ex-alfisti sono invece tanti alla Innova Service, che ne impiega 70.
La Innova è un’azienda un po’ strana, o meglio, strano è che quella azienda avesse ottenuto certi appalti, come quello della vigilanza degli ingressi, visto che i suoi proprietari e dirigenti vengono regolarmente coinvolti in storie losche, compresa quella della cimice al Comune di Milano. “Azienda spionistica”, la chiamano infatti i suoi dipendenti, organizzati dallo SlaiCobas.
L’illegalità la fa da padrona anche nei rapporti di lavoro in quella strana azienda: truffe ai danni dell’Inps, il licenziamento di due delegati sindacali, poi reintegrati dal giudice, fino all’epilogo provvisorio di questi giorni: il licenziamento di 62 dipendenti.
Insomma, l’eliminazione di ogni residuo di lavoratore sindacalizzato dall’area sembra ormai la missione della Innova. Uno scandalo in sé, ma ciò che fa più specie è il silenzio di tomba di Regione, Provincia e Prefettura. Tutti sanno tutto sugli affari sporchi della Innova, eppure tutti tacciono sui licenziamenti. Forse perché fa comodo che non ci siano occhi ed orecchie aperti quando arriva la speculazione?
 
 
“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, su MilanoX n° xxii del 26 novembre 2010, la free press eretica in distribuzione a Milano.
 
Del “collegato lavoro” avevamo già parlato in questa rubrica. Ora ci torniamo, perché la legge n. 183/2010 è entrata in vigore il 24 novembre.
E qui e ora non vogliamo parlare dell’intero minestrone di fregature, ma concentrarci invece sulla novità più micidiale, perché immediatamente operativa. Si trova all’articolo 32 e prende di mira i tempi di impugnazione dei contratti di lavoro precari (a termine, somministrato, interinale, a progetto ecc.).
Per capirci, fino all’entrata in vigore del “collegato”, un precario o una precaria poteva impugnare un contratto ritenuto illegittimo e quindi chiedere l’assunzione a tempo indeterminato o un risarcimento monetario anche molto tempo dopo la fine del rapporto di lavoro.
Ora, invece, tutto cambia e con una salto mortale giuridico la fine del periodo di lavoro temporaneo viene equiparata al licenziamento del lavoratore a tempo indeterminato. In altre parole, se vuoi impugnare il contratto precario, devi farlo entro 60 giorni dalla sua scadenza e poi procedere, entro altri 270 giorni, al deposito del ricorso in tribunale.
Ma la fregatura non finisce qui, perché questo principio non si applica soltanto al futuro, ma anche al passato. Cioè, se vuoi impugnare un contratto relativo a un periodo di lavoro antecedente il “collegato”, allora devi farlo entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, cioè entro il 23 gennaio 2011.
Infine, anche se alla fine riesci ad avere ragione in tribunale, l’eventuale risarcimento non sarà più proporzionale al danno subito, ma potrà arrivare al massimo a 12 mensilità di retribuzione.
Insomma, considerato che la grande maggioranza dei contratti precari presentano delle illegittimità e che di solito, per vari motivi, un precario non è molto tempestivo nell’impugnazione, questa norma equivale a un condono preventivo e permanente.
Conclusione? Se sei un precario e stavi pensando di impugnare un contratto, presente o passato, allora corri subito a uno sportello o da un’organizzazione sindacale (sicuramente Cub, Usb, Fiom, Cgil). E soprattutto, dillo anche ai tuoi conoscenti precari, perché non soltanto vogliono fregarti, ma pure senza dirtelo.
 
 
“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, su MilanoX n° xxiii del 3 dicembre 2010, la free press eretica in distribuzione a Milano.
 
Questa settimana non ci occupiamo di storie precarie o operaie, come siamo soliti, bensì di chi esercita la professione medica. Non siamo esperti in materia, beninteso, ma alcune cose importanti le sappiamo. Per esempio, che ogni medico, facendo un lavoro molto particolare e di grande responsabilità umana e sociale, deve fare un solenne giuramento, detto di Ippocrate, che rappresenta una sorta di elenco dei principi deontologici ed etici della professione.
E così, tra le altre cose, il medico giura “di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologica” e “di osservare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato”.
Detto in altre parole, se un medico assiste un cittadino immigrato, anche se non è in regola con il permesso di soggiorno e da lunghi giorni protesta in cima a una torre in via Imbonati, allora fa semplicemente il suo lavoro.
E se poi, dopo una notte di osservazione presso il pronto soccorso e dopo aver accertato che non vi erano più motivi per tenerlo ricoverato, non essendo peraltro in corso alcun provvedimento restrittivo da parte delle autorità di pubblica sicurezza, il medico dispone le dimissioni del cittadino immigrato, allora, ancora una volta, fa il suo mestiere.
Eppure, il dott. Andrea Crosignani, cioè il medico dell’ospedale San Paolo che ha fatto semplicemente il suo lavoro, si è trovato improvvisamente sbattuto in prima pagina, grazie a un comunicato stampa della Questura di Milano, che lo informava con questo curioso mezzo, che su di lui erano in corso indagini per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Un’accusa che non ha né capo, né coda, ma tant’è.
Bel posto questa Italia, dove chi spaccia le sue amichette per nipotine di Mubarak fa il capo del governo e chi, invece, fa bene il suo lavoro rischia un procedimento penale.
Da parte nostra, per quello che possiamo, rendiamo omaggio ai medici e ai paramedici che fanno il loro lavoro, da Gino Strada fino ad Andrea Crosignani.
 
 
di lucmu (del 09/01/2011, in Lavoro, linkato 1159 volte)
E dopo l’Epifania, che tutte le feste le porta via, ricominciamo da dove abbiamo lasciato. Anzi, riprendiamo un po’ peggio, perché qualcuno, cioè Marchionne & C., non si è fermato nemmeno durante le feste, utilizzando le vigilie di natale e capodanno per proseguire sulla strada tracciata sin dal referendum-ricatto di Pomigliano e per firmare nel giro di una sola settimana gli accordi di Mirafiori (23 dicembre) e di Pomigliano (29 dicembre).
Voglio qui evitarci l’analisi dettagliata dei due contratti, perché in questi giorni se ne riescono a recuperare a volontà sulla stampa o nella rete, ma soprattutto perché è utile concentrarci su alcune considerazioni.
Primo, vi è una differenza, un salto di qualità tra l’accordo separato di Pomigliano del giugno scorso e i due accordi separati firmati ora. Quello di sei mesi fa contava poco più di 20 pagine e nella sua forma non si configurava come un contratto di lavoro, mentre gli accordi attuali, ben più corposi e dettagliati, si configurano invece come contratti di lavoro a tutti gli effetti, con l’aggravante che non derogano più al contratto nazionale, ma molto più banalmente lo disapplicano, lo sostituiscono e lo cancellano.
Secondo, per quanto riguarda gli effetti sulle condizioni di lavoro per gli operai e le operaie, sostanzialmente si conferma quanto già contenuto nell’accordo di Pomigliano di sei mesi fa, cioè ritmi intensificati, pause ancora più ridotte, aumento dell’orario di lavoro e dello straordinario obbligatorio, assenze per malattie non necessariamente retribuite ecc.
Terzo, in relazione ai diritti sindacali e democratici dei lavoratori, invece, si registra un’ulteriore e gravissima stretta, già presente allo stato embrionale nell’accordo di giugno, ma ora esplicitata e formalizzata, sia per Pomigliano, che per Mirafiori. Infatti, oltre a confermare l’incredibile principio che un lavoratore che sciopera può essere sanzionato, si è aggiunta addirittura l’abolizione tout court delle elezioni dei rappresentanti sindacali e l’espulsione dall’azienda di quei sindacati (leggi: Fiom e sindacati di base) che non firmano il contratto di Marchionne.
In altre parole, secondo quei due accordi (vedi accordo Mirafiori e accordo Pomigliano), gli operai non potranno più scegliere i loro “rappresentanti” mediante il voto, ma questi verranno nominati dalle organizzazioni sindacali scelti da Marchionne. Insomma, democrazia abolita e sindacato trasformato in guardiano del padrone. Né più, né meno.
Quarto, il fatto che siamo passati nel giro di soli sei mesi da Pomigliano a Mirafiori, cuore anche simbolico della Fiat in Italia, e che in questi giorni si sia scatenata una campagna mediatica e d’opinione senza precedenti a favore dell’approccio Marchionne-Bonanni-Governo, dimostra definitivamente che Pomigliano non era un’eccezione alla regola, ma l’inizio dell’assalto alle regole stesse. In Fiat, nelle relazioni sindacali di tutto il paese e nella legislazione del lavoro.
Beninteso, lo ribadiamo ancora una volta, non si tratta di un complotto, bensì di una convergenza di interessi, diversi tra di loro, attorno un obiettivo ritenuto capace di scardinare l’insieme di quel sistema di diritti e regole conquistato dai lavoratori nel passato recente.
Ebbene, stando così le cose, appaiono ancora più gravi i balbettii, se non le posizioni apertamente favorevoli ai progetti di Marchionne & C., che si registrano in diversi e non indifferenti settori dell’opposizione, a partire dal Pd e nella stessa Cgil.
Il 13 e il 14 gennaio prossimi gli operai e le operaie di Mirafiori voteranno nel referendum-ricatto imposto da Marchionne, il quale ha già fatto sapere che o votano come vuole lui oppure chiude la fabbrica. E, ovviamente, in omaggio allo spirito dell’accordo sottoposto a referendum, i lavoratori appena rientrati dall’ennesimo periodo di cassa integrazione non potranno fare neanche mezza assemblea prima del voto, giusto per informarsi e discutere con i colleghi. No, niente assemblee in fabbrica, sono cose inutili. Così hanno deciso Fim, Uilm e Fismic di comune accordo con la Fiat.
Insomma, un referendum che assomiglia maledettamente a una pistola puntata alla tempia e che non potrà certo essere nobilitato da “firme tecniche” ex post, come aveva chiesto Susanna Camusso.
Da parte mia, ritengo che attorno alla battaglia della Fiom, che è appunto questione generale, debba svilupparsi il massimo di convergenza di interessi nostra, cioè di quei movimenti e quelle forze sindacali e politiche che ritengono che l’uscita dalla crisi non stia nella svendita dei diritti e delle libertà di chi lavora.
E questo significa, anzitutto, mobilitarsi subito, non lasciare da soli gli operai e le operaie che non si vogliono far imbavagliare e, molto concretamente, lavorare sin da subito per la piena riuscita della giornata di mobilitazione del 28 gennaio prossimo, giorno per il quale la Fiom ha proclamato lo sciopero generale di otto ore dei metalmeccanici.
Ci saranno manifestazioni regionali in tutta Italia il 28 (in Lombardia a Milano) e c’è anche l’appello rivolto dalla Fiom a tutto lo schieramento del 16 ottobre scorso di esserci. I primi riscontri positivi ci sono già (sindacalismo di base, Uniti contro la crisi, appelli vari ecc.), ma il tempo è poco e l’avversario è potente.
Quindi, molto semplicemente, non stiamo a guardare e diamoci una mossa.
 
 
Abbiamo già argomentato su questo blog la necessità di generalizzare lo sciopero dei metalmeccanici di venerdì 28 gennaio, proclamato dalla Fiom. E sicuramente lo faremo ancora, comunque vada il referendum-ricatto di Mirafiori di questi giorni. Ma per poter generalizzare lo sciopero ci vuole anche e anzitutto la possibilità materiale e giuridica di poter scioperare nelle altre categorie.
E, premetto subito, che questa possibilità c’è, sia nel settore privato, che in quello pubblico. Ma ecco il riepilogo della situazione ad oggi, perché tutti quelli e tutte quelle che vogliono partecipare anche individualmente allo sciopero (diritto peraltro previsto dalla Costituzione) e/o promuovere lo sciopero sul proprio posto di lavoro abbiano a disposizione almeno le informazioni essenziali.
 
Allo stato, risulta proclamato lo sciopero generale nazionale - cioè per tutte le categorie pubbliche e private - per l’intera giornata del 28 gennaio da parte della Confederazione Cobas e dell’Usi-Ait (vedi anche l’allegato).
Inoltre, per completezza di informazione, segnalo che esistono per il 28 anche delle specifiche proclamazioni di sciopero per il comparto Scuola (Cobas Scuola e Cub) e per il comparto Università (Cub), nonché delle proclamazioni territoriali (valide sempre per tutte le categorie sul territorio provinciale), come quella dell’Usb di Livorno.
Per quanto riguarda invece le varie categorie della Cgil, non risulta al momento indetto alcuno sciopero e, visti i tempi tecnici e procedurali necessari, specie nel pubblico impiego, è assai improbabile che questo scenario cambi.
Comunque, per essere aggiornati quasi in tempo reale sugli scioperi e per informarvi su eventuali interventi limitativi nei confronti degli scioperi proclamati -che ad oggi tuttavia non risultano-, per quanto riguarda i settori, gli enti e le aziende sottoposte alla regolamentazione di cui alla legge n. 146/2000, vi consiglio vivamente il sito della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (nell’elenco che troverete lì ci sono anche degli scioperi nelle ferrovie promossi dalle oo.ss. confederali, ma si tratta di coincidenze temporali e non c’entrano nulla con la generalizzazione dello sciopero della Fiom e delle sue motivazioni).
 
Da un punto di vista formale e giuridico, tutti i lavoratori e le lavoratrici dipendenti sono dunque “coperti” da proclamazioni di scioperi nelle categorie pubbliche e private. Tuttavia, attenzione, perché quest’affermazione generale va poi rapportata alla realtà concreta.
 
Quindi, eccovi alcune avvertenze e sottolineature:
 
- le proclamazioni di sciopero generale per il 28 gennaio prevedono l’esclusione delle aziende del trasporto locale e ferroviario. Questo è dovuto al fatto che la normativa in materia di limitazione del diritto di sciopero è particolarmente complessa ed incisiva nel settore trasporti. Quindi, i lavoratori di quei settori NON sono coperti dalle proclamazioni di sciopero già effettuate;
 
- se lavorate in un ente o in un’azienda dove ci sono dei servizi o attività classificate come servizi minimi essenziali, ai sensi della 146, informatevi prima sulle modalità dello sciopero;
 
- in tutti i comparti del pubblico impiego, fermo restando quanto detto sui servizi minimi essenziali, siete coperti anche individualmente dalle proclamazioni generali.
Tuttavia, anche qui, abbiate cura anzitutto che la vostra amministrazione sia a conoscenza delle proclamazioni (vedi allegato), cosa che dovrebbe in teoria essere, ma la realtà è a volte diversa, specie nelle realtà più piccole o periferiche.
E, in secondo luogo, laddove ci sono delegati sindacali o sindacati interni, anche diversi da quelli che hanno proclamato lo sciopero generale, che però sostengono lo sciopero del 28, è utile che questi facciano una comunicazione formale di adesione all’amministrazione, anche al fine di comunicare un’eventuale specifica articolazione dello sciopero. Questo è importante perché, ad esempio, la proclamazione nazionale dice “per l’intera giornata” e quindi l’amministrazione potrebbe trattenervi in busta paga 8 ore, anche nel caso che il vostro orario normale di venerdì è di sole 4 ore, come in diversi enti pubblici. E questa comunicazione sindacale interna va inviata alla direzione del personale 10 giorni prima dello sciopero, cioè entro lunedì 17 gennaio;
 
- come detto, lo sciopero generale copre tutte le categorie del privato, ma siccome la situazione è quella che è dal punto di vista dei diritti (in fondo con Marchionne piove un po’ sul bagnato) e la precarietà è ovunque, informatevi, verificate e, se avete qualche dubbio, contattate qualche delegato o sindacato di cui vi fidate e/o che ha proclamato lo sciopero per il 28.
 
Insomma, generalizzare lo sciopero si può, perché ci sono le proclamazioni e la copertura formale e giuridica. E lo possono fare anche i lavoratori, delegati o settori sindacali della Cgil che pensano davvero che la Fiom non vada lasciata da sola.
 
In allegato, cliccando sull’icona qui sotto, potete scaricare le proclamazioni dello sciopero generale della Confederazione Cobas e dell’Usi-Ait.
 
Ci vediamo il 28 gennaio!
 
Luciano Muhlbauer
 

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Marchionne ha vinto, ma non ha stravinto e tanto meno convinto. Niente plebiscito, niente trionfi. Nonostante il referendum fosse un ricatto bello e buono (o fai come dico io oppure ti chiudo la fabbrica), nonostante il tifo per il sì di governo, mezza opposizione e buona parte del sistema mediatico e, infine, nonostante una partecipazione al voto massiccia, di oltre il 94% degli aventi diritto, il sì ha prevalso soltanto di misura, cioè con uno striminzito 54%, e grazie all’apporto determinante del voto degli impiegati.
Infatti, quel 54% andrebbe depurato dal voto degli impiegati, il cui seggio ha visto un’affermazione bulgara dei sì (421 sì, 20 no), anche in considerazione del fatto che a Mirafiori gli impiegati sono toccati soltanto marginalmente dalle “innovazioni” di Marchionne e, soprattutto, che svolgono spesso mansioni di capi.
Ebbene, senza quel plebiscito nel seggio degli impiegati, il sì non ce l’avrebbe fatta, come dimostrano i numeri: hanno votato 5.119 lavoratori (il 94,2% degli aventi diritto), i sì sono  stati 2.735 (54,05%), i no 2.325 (45,95%) e le schede bianche e nulle 59.
In particolare, il no ha vinto in tutti i quattro seggi del reparto montaggio (complessivamente 1.576 no e 1.382 sì) e in uno dei due seggi del reparto lastratura. In altre parole, il voto negativo è stato più forte proprio laddove l’intensità del lavoro è maggiore e dove l’accordo incide maggiormente sulle condizioni di lavoro.
Insomma, sette mesi dopo il primo referendum-ricatto di Pomigliano, quando i sì prevalsero con il 62%, anche in quel caso con il contributo decisivo del seggio di impiegati e capi, l’offensiva degli amerikani Marchionne ed Elkann sembra perdere vigore persuasivo, mentre continua invece in piedi la resistenza di quella Fiom -e dei sindacati di base presenti nel gruppo Fiat-, data per spacciata già tante volte, derisa dai “modernizzatori” del Pd, attaccata e insultata dai Sacconi e dai Bonanni e messa sul banco degli accusati persino nella stessa Cgil.
Con questo non vogliamo ovviamente cantare vittoria, che sarebbe una sciocchezza da apprendisti stregoni. La crisi picchia duro, la precarietà, la cassa integrazione e la disoccupazione sono in agguato dappertutto e il fronte di quelli che pensano che questo sia il momento per poter osare il tutto e subito, cioè la cancellazione dei diritti e delle libertà dei lavoratori e delle lavoratrici, è ampio, potente e trasversale.
Ma guardare alla realtà per quella che è, prendere atto che delle volte dire di no ai ricatti non è solo necessario e giusto, ma anche e soprattutto possibile, è un esercizio di sano realismo, che deve animarci a moltiplicare i nostri sforzi per generalizzare lo sciopero dei metalmeccanici del 28 gennaio.
Infatti, quella di Mirafiori è stata una battaglia fondamentale, che peralto ha pesato integralmente sulle spalle degli operai e delle operaie della Fiat di Mirafiori, ma in fondo, in un senso o nell’altro, non è che un inizio. Insomma, la strada è ancora lunga e faticosa, ma Pomigliano prima e Mirafiori ora ci dicono che possiamo e dobbiamo percorrerla.
 
Luciano Muhlbauer
 
Cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il testo integrale dell’accordo separato su Mirafiori, oggetto del referendum-ricatto del 13-14 gennaio e firmato il 23 dicembre scorso tra Fiat Group Automobiles S.p.A. e Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Associazione Capi e Quadri Fiat.
 

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di lucmu (del 22/01/2011, in Lavoro, linkato 1048 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 22 gennaio 2011 con il titolo “Mirafiori, un no che pesa”.
 
Nella politica e nella vita esistono meteore e fatti costituenti. Pomigliano e Mirafiori appartengono indubbiamente alla seconda fattispecie. Con essi, molto semplicemente, è cambiato il quadro entro il quale dobbiamo ragionare, progettare ed agire.
Certo, per molti versi è piovuto sul bagnato, perché una moltitudine di lavoratori e lavoratrici, tra precarietà, outsourcing e polverizzazione dell’impresa, sta vivendo da molto tempo quanto Marchionne pretende oggi dagli operai. Ma, come insegnano i classici, ci sono dei momenti in cui l’accumulo di quantità si traduce in un salto di qualità e quanto sta avvenendo in Fiat rappresenta e incarna esattamente questo.
Mettere in discussione l’insieme dei diritti e delle libertà conquistati dai lavoratori negli anni ’60-’70, o persino quelli codificati nella Costituzione repubblicana, non in un qualche sottoscala di periferia, ma al centro, in un luogo simbolico e sfidando sulla pubblica piazza la più combattiva categoria sindacale, significa innescare una valanga che tende a travolgere e ridisegnare tutto.
Infatti, a soli sei mesi dal referendum di Pomigliano, la cosiddetta “eccezione” è sbarcata a Mirafiori e domani toccherà, come ha subito chiarito Marchionne, anche a Cassino e Melfi. Peraltro, nel frattempo l’accordo capestro è pure peggiorato, considerato che ora l’abolizione dell’elezione dei delegati sindacali e l’espulsione dalla fabbrica dei dissidenti, cioè di Fiom e sindacati di base, sono norma contrattuale.
L’operazione di Marchionne, inoltre, era fuoriuscita quasi subito dai confini Fiat, trasformandosi in richieste sempre più diffuse di derogare al contratto nazionale e sfociando il 29 settembre scorso in un apposito accordo nazionale tra i ligi Fim e Uilm e Federmeccanica. Ma non era che l’inizio.
E così, all’indomani del referendum-ricatto di Mirafiori, il Ministro Sacconi ha precisato che il contratto aziendale “non è tanto deroga al contratto nazionale, ma legittima uscita da esso”. Poi, il giorno dopo, Federmeccanica, in accordo con Confindustria, ha chiesto pubblicamente ai sindacati di introdurre il principio della “alternatività” tra contratto aziendale e nazionale.
In altre parole, la valanga sta travolgendo anche i contratti separati di chi, come Cisl e Uil, ha pensato di poter cavalcare la tigre. A meno che, ovviamente, Bonanni non fosse sin dall’inizio pienamente consenziente rispetto alla riduzione dei sindacati a semplici strutture di vigilanza dell’azienda. Ma in tal caso, dovrebbe spiegarlo ai suoi iscritti.
Insomma, siamo all’idea della tabula rasa. Niente più diritti e libertà sul luogo di lavoro e niente contrattazione collettiva, ma soltanto contratti individuali e comando esclusivo del padrone. Una concezione totalitaria dell’impresa, che non tollera rappresentanza autonoma del lavoro, conflitto e democrazia, e che gode del tifo militante del Governo Berlusconi, il quale si appresta a varare la revisione dello Statuto dei Lavoratori.
Con quella concezione non si può trattare o mediare. In gioco è il modello sociale - e non solo - per il dopo-crisi e, pertanto, il pareggio non è previsto. Così stanno le cose, altro che la lotta di classe non c’è più, e far finta di non capirlo è di una miopia tremenda.
Eppure, sebbene il fronte sociale e politico pro-referendum fosse talmente ampio e trasversale da sembrare invincibile, l’offensiva di Marchionne ha trovato una resistenza straordinaria e sorprendente proprio nei soggetti più ricattati, perché in cassa integrazione e minacciati di chiusura della fabbrica, cioè gli operai e le operaie di Pomigliano e Mirafiori. Anzi, nonostante la pistola puntata e una campagna mediatica senza precedenti, il “no” di Mirafiori è stato ancora più rumoroso di quello di Pomigliano.
Ed è stata quella resistenza operaia, con il suo carico di dignità e determinazione, ad aver cambiato a sua volta il quadro generale. Non solo ha rimesso al centro del dibattito politico il lavoro e la questione sociale, diradando per un attimo i fumi tossici del bunga bunga, ma ha anche provocato, anzitutto grazie all’azione limpida ed intelligente della Fiom, una convergenza di lotte e movimenti, a partire da quello degli studenti. Insomma, ha agito da centro di gravità, favorendo l’emergenza di un possibile fronte sociale alternativo.
Oggi e qui la possibilità di definire un modello, un percorso e una pratica alternativi passa necessariamente da lì. E, aggiungiamo, da lì passano anche le strade per rifare una sinistra politica all’altezza della situazione.
Per questo è importante e prezioso il seminario/meeting nazionale di “Uniti contro la crisi” che inizia oggi al Cso Rivolta di Marghera (Ve). Ma soprattutto è fondamentale e decisivo lavorare per la riuscita e la generalizzazione dello sciopero nazionale dei metalmeccanici del 28 gennaio, proclamato dalla Fiom, utilizzando a questo fine anche le proclamazioni di sciopero di tutte le categorie promosse dai sindacati di base.
 
 
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