Blog di Luciano Muhlbauer
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
I capi del Pdl e della Lega di Milano, il Sindaco e il Vicesindaco del capoluogo lombardo e tutti gli altri illustri esponenti delle istituzioni locali e nazionali, che in queste ultime settimane hanno animato l’incredibile gazzarra sulle 25 case ai rom di via Triboniano, dovrebbero semplicemente chiedere scusa ai cittadini e alle cittadine.
Lo farebbero, se gli fosse rimasto ancora un briciolo di dignità, perché la realtà che sta emergendo, dopo settimane di politica politicante ed urlante, ci consegna la fotografia di un’ignobile montatura elettorale, fatta da bugie, prese per i fondelli e violazioni di regole ed accordi sottoscritti.
L’ultimo atto di questa imbarazzante e disgustosa commedia l’abbiamo letto stamattina su il Giorno di Milano, che accanto al solito ritornello decoratiano del “verranno sgomberati”, riporta le dichiarazioni del Prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, il quale dichiara, invece, che il campo di via Triboniano non verrà sgomberato. Anzi, trattandosi di un campo regolare e non abusivo, sgomberarlo “sarebbe come intervenire in una casa privata; si commetterebbe reato”. In altre parole, bisogna trovare soluzioni concordate.
E bene ha fatto, dunque, la Casa della Carità a pubblicare sul suo sito web finalmente la dettagliata e documentata cronistoria degli ultimi mesi. Nulla di nuovo, beninteso, nel senso che non rivela certo segreti, ma in cambio mette in fila quei fatti, coperti e nascosti da settimane di fango.
Infatti, i 25 (venticinque) appartamenti non sono stati sottratti ai milanesi in graduatoria per una casa popolare, poiché vuoti, abbandonati e bisognosi di ristrutturazione. E quindi, la Giunta regionale ha deliberato il 5 agosto scorso, all’unanimità, dunque Lega compresa, di toglierli da patrimonio Erp dell’Aler. La ristrutturazione sarebbe stata gestita dal Comune di Milano e finanziata da un apposito stanziamento di 300mila euro del Ministro Maroni.
Riassumiamo. Il Triboniano è un campo comunale e regolare e suoi residenti sono regolari e quindi non possono essere sgomberati. Quindi, volendo liberare l’area, visto che si trova sulla traiettoria dell’Expo, il Comune, la Regione e il Ministero degli Interni, gestiti tutti quanti dalle stesse forze politiche, cioè Pdl e Lega, hanno deciso di concordare con la Casa della Carità un piano, al fine di trovare soluzioni alternative e negoziate per le 104 famiglie riconosciute del Triboniano.
A tal fine, sono già stati firmati, dai rappresentanti del Sindaco e del Ministro, alcuni accordi, relativi all’ingresso negli appartamenti dei primi 11 nuclei familiari.
Ma poi, qualcuno si è ricordato della campagna elettorale e del bilancio disastroso dell’amministrazione Moratti e ha pensato bene di riesumare un po’ di campagna razzista contro i rom, che funziona sempre.
A questo punto, però, il re è nudo e non rimangono che due strade. La prima ci porta fuori dalla democrazia e dalla Costituzione e consiste nel fissare formalmente il principio che in Italia c’è un’etnia a cui è inibito l’accesso ad alcuni servizi e diritti. La seconda è quella di porre fine alla gazzarra, assumersi le proprie responsabilità e trovare delle soluzioni.
La scelta sta unicamente alla Moratti, a De Corato e a Maroni.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
L’intervento violento da parte delle forze dell’ordine contro la protesta dei migranti a Brescia, con tanto di fermi e feriti, tra immigrati, italiani e persino giornalisti, è assolutamente ingiustificato e ingiustificabile.
Non esiste soluzione militare ai problemi sollevati dai migranti a Brescia e a Milano.
Può piacere o meno che dei lavoratori immigrati salgano su una gru a Brescia o su una ciminiera a Milano, ma il loro gesto non è il frutto di un improvviso attacco di follia, bensì la conseguenza dei problemi mai risolti e della disperazione umana che ne deriva.
Chiediamo pertanto ai responsabili dell’ordine pubblico delle due città e, soprattutto, al Ministro degli Interni, che in queste ore appare come il vero ispiratore dell’atto di forza, di sospendere le operazioni di Brescia e di non avviarle a Milano e di riaprire, invece, il confronto sul merito dei problemi, che riguardano molte migliaia di persone.
Esprimiamo la nostra solidarietà ai lavoratori immigrati, costretti da sanatorie truffe, leggi fallimentari e disfunzioni burocratiche a un’esistenza di clandestinità o di lavoro nero.
Ed esprimiamo solidarietà a quanti e quante sono stati colpiti dall’odierno intervento repressivo, in particolare ai collaboratori dell’emittente bresciana Radio Onda d’Urto, che sin dall’inizio della vertenza garantisce l’informazione sulla protesta a Brescia.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
per aggiornamenti sulla situazione a Brescia, ti consigliamo di seguire il sito di Radio Onda d’Urto: www.radiondadurto.org
 
cliccando sull’icona qui sotto, puoi scaricare l’appello a sostegno della lotta dei migranti che si trovano sulla ciminiera in via Imbonati a Milano:
 

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L’odierna espulsione coatta di Mohamed, cittadino egiziano, fermato lunedì scorso in occasione di un pacifico presidio davanti al Consolato d’Egitto di Milano, è avvenuta con procedure irritualmente veloci e senza che il suo avvocato potesse fornirgli l’assistenza dovuta.
Questa espulsione, come già le nove precedenti di cittadini stranieri fermati al presidio di Brescia, si configura pertanto non come una “riaffermazione del principio della legalità”, come sostiene il Vicesindaco De Corato, ma piuttosto come un atto di rappresaglia politica dello Stato contro quanti stanno denunciando la sanatoria truffa.
Invitiamo pertanto Prefetto e Questore di Milano ad ignorare la richiesta di De Corato, che oggi chiede di fermare ed espellere anche i cittadini stranieri che protestano in via Imbonati a Milano, e a favorire invece una soluzione pacifica e concordata, che non solo è possibile, ma anche necessaria, a fronte del gran numero di lavoratori stranieri truffati.
Al Vicesindaco De Corato piace giocare alla guerra, specie sulla pelle degli altri, ma qui occorre partire dalla consapevolezza che il problema sollevato dalle proteste di Brescia e Milano è reale e coinvolge migliaia di lavoratori immigrati e che non esistono soluzioni militari a un problema di equità e giustizia.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
De Corato sbaglia su tutta la linea. Così come ieri non c’è stata alcuna “fuga” dall’ospedale San Paolo, oggi non c’è alcun bisogno di buttare benzina sul fuoco, invocando show down drammatici in via Imbonati. Anzi, proprio oggi è il momento di sostenere il dialogo aperto tra rappresentanti degli immigrati che protestano, associazioni e Prefettura.
Riteniamo irresponsabile che amministratori pubblici propongano ricostruzioni fantasiose su quello che è avvenuto ieri all’ospedale San Paolo, soltanto per rendere più difficile e, forse, sabotare il confronto in atto in Prefettura.
Infatti, ieri non è successo assolutamente nulla che potesse assomigliare a una “fuga”. Nei confronti dell’immigrato ricoverato al pronto soccorso del San Paolo non vi era alcun provvedimento restrittivo da parte delle autorità competenti e la sua dimissione, secondo quanto ribadito dall’ospedale, è avvenuta rispettando tutte le procedure. Insomma, il tutto è avvenuto nel pieno rispetto della legalità.
Da parte nostra, confidiamo negli accertamenti che la magistratura eventualmente vorrà fare rispetto alla vicenda del San Paolo.
Rinnoviamo pertanto il nostro appello alle istituzioni di favorire e sostenere il confronto in atto, sottoposto a scossoni e tensioni ogniqualvolta si intravede un passo in avanti.
E non lo diciamo per buonismo, ma perché dovrebbe essere interesse condiviso, anzitutto da parte di chi occupa posizioni di responsabilità, accertare i casi di truffa nell’applicazione della sanatoria ed evitare che in via Imbonati qualcuno si faccia male.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
La convalida del provvedimento di trattenimento presso il Cie (ex-Cpt) di via Corelli per Abdelkader, il ragazzo marocchino sceso ieri dalla ciminiera di via Imbonati, purtroppo non sorprende.
È come se si dovesse pagare una tassa a quegli esponenti politici della destra, come il vicesindaco De Corato o il Presidente del Consiglio regionale Boni, che reclamano da tempo una sanzione esemplare per chi osa protestare contro una sanatoria che ha truffato migliaia di lavoratori e lavoratrici immigrati.
Esponenti politici, beninteso, che sanno essere duri e implacabili con i deboli, ma che si mostrano troppo spesso accondiscendenti verso i poteri forti e i mille intrallazzi berlusconiani.
Chiediamo alle istituzioni e al Ministero degli Interni di non dare ascolto agli sciacalli e, dunque, di non procedere ad una espulsione lampo, che sarebbe a tutti gli effetti un atto di vendetta.
Ebbene sì, perché ripetere nel caso di Abdelkader l’espulsione lampo del cittadino egiziano conosciuto come Mimmo, espulso in maniera coatta prima ancora che il suo ricorso, regolarmente depositato, potesse essere discusso, sarebbe non una dimostrazione di forza, bensì di debolezza.
Non occorrono vendette, che sanno tanto di ipocrisia, bensì un gesto che dimostri che le istituzioni vogliano affrontare la squallida vicenda delle truffe ai danni di tantissimi lavoratori immigrati e non mettere la polvere sotto il tappeto.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
di lucmu (del 09/12/2010, in Migranti&Razzismo, linkato 1160 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 9 dicembre 2010, nell’ambito del dibattito “Dopo la gru”, che ha già visto gli interventi di Alessandro Dal Lago (7 dic.) e Annamaria Rivera (8 dic.).
 
C’è il dopo-gru, ma a questo punto, c’è anche il dopo-Mohamed Fikri, cioè quel giovane operaio passato in un batter d’occhio dalla condizione di marocchino-mostro da prima pagina a quella di vittima di uno spiacevole errore di traduzione, degno tutt’al più della pagina 12 di la Repubblica e 22 del Corsera.
Certo, due vicende molto diverse tra di loro, ma che in fin dei conti raccontano la medesima storia: quella del rapporto irrisolto -e pertanto pericoloso- della società italiana con la sua componente immigrata. E, aggiungiamo, quella del rapporto altrettanto irrisolto tra progetti politici della sinistra, intesa in senso lato, e questione migrante.
Rapporti complessi, beninteso, dove realtà reale e realtà percepita si mescolano e sono in perenne conflitto tra di loro, con l’aggravante che sul mercato del consenso la seconda costituisce merce preziosissima che prevale sulla prima.
Ma partiamo dalla realtà reale, non tanto in omaggio all’ottimismo biblico del “la verità vi farà liberi”, ma soprattutto perché non vi può essere progetto di cambiamento, e nemmeno sogno o immaginario, che non assuma la materialità delle condizioni di esistenza e delle relazioni sociali come punto imprescindibile di partenza.
E la realtà ci dice alcune cose fondamentali. Primo, la società multietnica, multiculturale eccetera non è un disegno politico o un complotto, bensì un dato di fatto, che si sostanzia nella presenza nel nostro paese di 5 milioni di uomini e donne immigrati e in un 10% del totale dei lavoratori dipendenti (il 16% in Lombardia).
Secondo, questa nuova presenza è un dato irreversibile. Ne è prova inconfutabile, sebbene ampiamente ignorata, l’avvento della cosiddetta seconda generazione, cioè i figli e le figlie di genitori immigrati, nati e/o cresciuti qui. A Milano, ad esempio, prendendo in considerazione soltanto quanti regolarmente residenti, gli stranieri rappresentano il 15,3% dei milanesi, ma se ci limitiamo alla fascia d’età tra 0 e 17 anni, allora la percentuale sale al 21%. Chiaro?
Insomma, la realtà reale consiglierebbe a chiunque di impegnarsi per l’integrazione o, come preferiamo noi, l’inclusione, visto che, dati alla mano, il futuro si costruisce insieme oppure il futuro si annuncia molto difficile. Eppure, chi esercita responsabilità pubbliche e chi gestisce l’informazione mainstream tende a fare l’esatto contrario, come si è visto anche nei nostri casi di riferimento.
Mohamed Fikri era stato immediatamente espropriato del suo nome e cognome e trasformato in “marocchino” o “extracomunitario” assassino. Con rapidità incredibile sono spuntati gli idioti con i loro cartelli, immediatamente ripresi e rilanciati da schiere di giornalisti, che invocavano la cacciata di marocchini e simili dalla Padania. Un clima nauseabondo, dove l’importante era poter inveire contro “gli extracomunitari”, mentre il destino di Yara e la sofferenza della famiglia erano ridotti a mero contorno.
La protesta sulla gru di Brescia e quella sulla ciminiera a Milano, invece, un qualche risultato positivo l’ha prodotto, aprendo una finestra sulla realtà reale e svelando a un paese disattento e disinformato cosa fosse quella tanto chiacchierata sanatoria per badanti del 2009. Cioè, un grande inganno, fatto di speranze frustrate, di operai travestiti da badanti per tentare di fuoriuscire dal ricatto della clandestinità e del lavoro nero, di imprenditori e intermediari truffatori e di un Ministro degli Interni ingannevole, che prima dice una cosa e poi fa fare il contrario al suo capo della polizia.
Insomma, una finestra troppo scomoda perché potesse rimanere aperta troppo a lungo. Andava chiusa e bisognava anche punire in maniera esemplare chi aveva osato rompere il silenzio. Per questo ci sono state le espulsioni lampo, in un momento dove nella realtà reale le espulsioni sono praticamente ferme causa mancanza fondi, come denunciato, nel disinteresse generale, dal capo dei giudici di pace di Milano, Dattolico, il 1° settembre scorso.
Le proteste della gru e della ciminiera potevano essere gestite meglio? Si poteva evitare qualche espulsione-rappresaglia? Probabilmente sì, ma questo non avrebbe cambiato il dato di fondo, cioè l’indifferenza diffusa e la manifesta impermeabilità del potere.
Il punto è che non esiste ancora una visione politica della sinistra che includa la questione migrante, che la assuma come parte integrante e fondante della propria identità e progettualità e che, dunque, la traduca in azione politica incisiva. Continua, invece, a prevalere l’oscillazione tra due estremi, ambedue perdenti: la subalternità al discorso della destra e la sterile invocazione ideologica.
Per tentare di rimettere in connessione tra di loro la realtà reale e quella percepita, occorre anzitutto mettere in connessione tra di loro i soggetti sociali, le loro lotte e i loro discorsi e percorsi per uscire dalla crisi. Cioè, gli operai metalmeccanici, gli studenti, i movimenti in difesa dei beni comuni e, ovviamente, i movimenti dei migranti.
Questa ci pare l’unica strada realista, il resto rischia semplicemente di confermare e aggravare la miseria dell’esistente.
 
 
“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, sulla free press eretica MilanoX, n° xxvii del 24 marzo 2011.
 
A Milano l’è dura non soltanto per chi vuole fare musica e cultura indipendente, ma anche per chi si guadagna da vivere vendendo il kebab. Infatti, mentre dei primi si occupa il vice del sindaco, dei secondi si prende poco amorevolmente cura la Lega, che gli immigrati non gli sopporta proprio, né quando non lavorano, né quando lavorano.
L’ultima trovata in ordine di tempo si chiama progetto di legge n. 85, depositato in Consiglio regionale il 9 marzo scorso, ma il vice del presidente, il leghista Gibelli, preferisce la dizione meno prosaica di “legge Harlem”. L’obiettivo della proposta è enunciato chiaramente sin dalle prime righe della relazione di accompagnamento: “La normativa, per ragioni di ordine pubblico e di sicurezza, prevede fra le altre cose la possibilità per i Comuni di evitare l’addensamento di negozi extracomunitari nella medesima zona”.
L’ordine pubblico e la sicurezza non c’entrano niente, ovviamente, ma è l’unica maniera per tentare di giustificare delle norme speciali e discriminatorie per alcuni settori commerciali, selezionati in base al numero di titolari di cittadinanza o origine straniera. D’altronde, quei motivi furono invocati già al tempo della razzista legge regionale contro i phone center, approvata quasi all’unanimità dal Consiglio regionale nel 2006 e dichiarata totalmente illegittima dalla Corte Costituzionale due anni dopo, ma che nel frattempo aveva rovinato economicamente un sacco di gente.
Ma inutile cercare coerenza nel discorso della Lega. A Roma, in nome della libertà di iniziativa economica, plaudono a Marchionne e sostengono la revisione dell’art. 41 della Costituzione, ma qui proclamano la necessità di “limitare talune libertà” nel caso di kebaberie e parrucchieri cinesi. Oppure, allo stesso Pirellone, la Lega ha dato il via libera al progetto di un mega centro commerciale sull’area ex-Alfa, destinato a mettere in crisi l’italianissimo commercio al dettaglio di Rho.
Anzi, a ben guardare la coerenza c’è: non gliene frega niente dei lavoratori, dei consumatori e dei negozi di vicinato, ma soltanto delle loro poltrone e, quindi, dagli all’immigrato per raccattare un po’ di voti. E così, proprio quando il kebab entra nel paniere Istat, la Lega pretende che esca da Milano.
 
per leggere MilanoX on line: www.milanox.eu/archivio/
 
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il testo originale della “legge Harlem”, cioè il pdl n. 85 del 9 marzo 2011
 

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Capitano dei momenti in cui la statura morale e politica di chi governa il paese si rispecchia e si riassume fedelmente in un atto o in una decisione. E questo è senz’altro il caso di quanto avvenuto ieri nella riunione n. 143 del Consiglio dei Ministri, che ha pensato bene di reagire alla sempre più incalzante crisi politica nella maniera più misera ed vigliacca possibile, prendendosela con i migranti.
Ci sono diverse misure nel decreto-legge, come il ripristino della procedura di espulsione coattiva immediata (in realtà già in vigore oggi…) o l’espulsione per motivi di ordine pubblico anche di cittadini comunitari, e c’è pure l’annuncio di un accordo con il Comitato transitorio di Bengasi in tema di flussi migratori, giusto per tornare ai bei tempi di Gheddafi. Tuttavia, il provvedimento simbolo è sicuramente il prolungamento del periodo massimo di detenzione amministrativa nei Cie (ex-Cpt) per immigrati non in regola con il permesso di soggiorno, da 6 a 18 mesi!
Un provvedimento infame non soltanto perché stabilisce che delle persone possano essere private della libertà personale fino a un anno e mezzo senza aver commesso o essere accusati di aver commesso un reato (perché altrimenti vai in carcere e non nel Cie), senza subire un processo e senza nemmeno vedere un giudice vero, poiché è sufficiente l’atto di convalida da parte di un giudice di pace, ma anche perché è un provvedimento assolutamente inutile ai fini che dichiara di voler perseguire, cioè facilitare ed accelerare le espulsioni di clandestini.
Infatti, a sbugiardare il Ministro Maroni c’è anzitutto il precedente del “pacchetto sicurezza” del 2009, che introdusse il reato di clandestinità (nel frattempo bocciato dall’Europa) e innalzò il periodo di detenzione nei Cie a 6 mesi, ottenendo però come unico effetto concreto la drastica riduzione del numero di espulsioni, come aveva denunciato in splendida solitudine Il Sole 24 Ore l’anno scorso (vedi il nostro articolo Cie (ex-Cpt) via Corelli: i dati dei giudici di pace sbugiardano Lega e De Corato).
Ma poi c’è anche la più elementare matematica a contraddire la tesi leghista, visto che è palese che l’allungamento del periodo medio di permanenza dei trattenuti nelle strutture tenderà a ridurre l’offerta complessiva di posti liberi nel sistema Cie in un dato intervallo di tempo. A meno che, ovviamente, il Governo non voglia costruire nuovi Cie in giro per l’Italia, ma di tutto questo attualmente non c’è traccia.
Insomma, quella di ieri è soltanto una triste e misera farsa, uno spettacolo vigliacco allestito ad uso e consumo di una Lega uscita malconcia dalla prova elettorale, ma che non inciderà minimamente sui problemi del paese e nemmeno sulle dinamiche migratorie, ma che in cambio arreca un’ulteriore offesa allo stato di diritto, ai principi costituzionali e ai diritti umani.
Berlusconi, Bossi e La Russa pensano di salvare così il loro potere e i loro affari, riproponendo cioè la collaudata macchina della paura e del rancore. C’è da augurarsi che gli italiani e le italiane non ci ricaschino, così come non ci sono ricascati alle ultime amministrative, ma che, anzi, rimandino rumorosamente al mittente l’infamata di ieri.
 
Luciano Muhlbauer
 
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il testo completo dello schema di decreto-legge recante “Disposizioni urgenti per la completa attuazione della Direttiva 2004/38/CE e per il recepimento della Direttiva 2008/115/CE”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 giugno 2011
 

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di lucmu (del 14/09/2011, in Migranti&Razzismo, linkato 1466 volte)
Sono passati tre anni da quella domenica mattina, quando Milano si svegliò con la notizia che un giovane di 19 anni era stato ammazzato a sprangate in via Zuretti. Si chiamava "Abba" Abdoul Guibre, viveva nella vicina Cernusco sul Naviglio e la sua famiglia era originaria del Burkina Faso. I suoi assassini, padre e figlio, lo avevano inseguito e aggredito perché aveva sottratto due biscotti nel loro bar.
Al processo gli accusati avrebbero tentato di attenuare le loro responsabilità dicendo che erano convinti che fosse stato rubato anche l’incasso della notte, ma i testimoni si sarebbero ricordati soprattutto delle grida a sfondo razzista, tipo “negri di merda”.
Tre anni sono un tempo breve, eppure quel 14 settembre sembra lontano. Certo, una volta tanto la giustizia è stata celere, con il primo grado nel 2009 e la sentenza d’appello l’anno successivo, ma il punto ci pare un altro. Cioè, è il clima che si respira ad essere lontanissimo da quello che faceva da contorno all’omicidio di Abba e che, anzi, lo aveva ispirato almeno in parte.
Molti forse non si ricordano, o preferiscono non ricordarsi, delle tante parole e considerazioni profuse in quei giorni nei bar, in rete e negli studi televisivi. C’era, per esempio, quel consigliere comunale del centrodestra che parlava di “eccesso di legittima difesa” oppure vi erano quei commenti in rete che dicevano “noi” e “loro”, come se fossimo in guerra e, si sa, in guerra si muore.
Ma soprattutto c’erano i troppi “ma” e “però” che accompagnavano le condanne e il fastidioso ritornello “il razzismo non c’entra” che obbligatoriamente precedeva ogni dichiarazione ufficiale. Una questione, beninteso, che non riguardava soltanto il centrodestra, ma anche molta parte del centrosinistra. Ascoltate cosa dichiarò l’allora Presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, il giorno dopo l’omicidio: “non ho mai inteso dare una connotazione razzista a questo episodio, …è stata una spedizione punitiva, ma non perché il ragazzo era di colore, ma perché aveva rubato”.
In quei giorni furono in pochi a cercare di non annegare nell’ipocrisia dilagante. Ci furono sicuramente l’associazionismo, i movimenti e pezzi sostanziosi della sinistra politica, che promossero una manifestazione di piazza il 20 settembre, ma anche una parte importante del mondo cattolico. Anzi, fu l’Avvenire, il quotidiano dei vescovi, a scagliarsi contro l’autoassoluzione e a porre la domanda più importante: “Se a insinuarsi nel bar fossero stati tre ragaz­zi bianchi, come sa­rebbe andata?”.
Alla fine, comunque, i portavoce dell’establishment si attestarono sulla tesi della “rissa finita male”, dei “baristi balordi” e dei “futili motivi”. Tesi comodissima e tranquillizzante, nonché già ampiamente sperimentata a Milano, come nel caso dell’omicidio fascista di Dax. Neanche i giudici se la sentirono di tirare in ballo il razzismo e condannarono padre e figlio a 15 anni e 4 mesi, confermati in appello, per omicidio volontario aggravato da motivi abietti e futili.
Oggi sono passati tre anni e, appunto, a Milano il clima è molto diverso. Le campagne d’odio della destra non tirano più e “zingaropoli islamica” era miseramente naufragata in campagna elettorale. Tutto bene dunque? Non esattamente, perché se da una parte i primi 100 giorni di amministrazione Pisapia hanno ri-dimostrato che la famosa “percezione di insicurezza” e l’isteria xenofoba erano indotti dalla politica, dall’altra parte sarebbe da miopi e illusi pensare che sia sufficiente vincere delle elezioni per rovesciare un’egemonia culturale.
Anzi, la crisi e le sue conseguenze sociali, in assenza di alternative, ripropongono drammaticamente il terreno di coltura della xenofobia e del razzismo, come ci ricordano peraltro le vicende del nostro continente, dalla Norvegia all’Ungheria.
Ricordare Abba e la sua vicenda tre anni dopo è, dunque, non soltanto un atto dovuto alla nostra umanità e alla memoria collettiva di Milano, ma anzitutto un’occasione per non abbassare la guardia e rammentarci del futuro.
 
di Luciano Muhlbauer
  
Questo articolo è stato ripreso e pubblicato anche dalla free press on line MilanoX, il 14 settembre, e dal quotidiano il Manifesto, nell’edizione del 15 settembre (con il titolo: “Pensare Abba per guardare al futuro”).
  
 
di lucmu (del 16/04/2013, in Migranti&Razzismo, linkato 1524 volte)
In questi giorni tutti i riflettori sono puntati sui palazzi romani, ma se vogliamo cogliere l’aria che tira, o che potrebbe tirare se non stiamo attenti, occorre volgere lo sguardo a quello che succede sotto casa. Questo vale in generale e sicuramente vale per Milano, dove in questi giorni assistiamo al triste ritorno della politica della caccia al rom.
Non è una questione di poco conto, perché prima della “primavera milanese” e della “rivoluzione arancione”, cioè prima di Pisapia, che poi sono soltanto due anni fa, le ossessive compagne xenofobe e securitarie, che di solito raggiungevano il loro apice quando di mezzo c’erano i rom, costituivano uno dei principali ingredienti del discorso politico e culturale dominante. Anzi, la continua produzione e riproduzione di un capro espiatorio da incolpare e di un nemico facile da indicare ha costituito per anni una vera e proprio macchina del consenso per le destre, nonché la base per diverse carriere politiche individuali. Vi ricordate di Opera, ad esempio, dove un’ignobile campagna contro alcuni rom sfollati, comprensiva di rogo della tenda della protezione civile, valse al leghista Ettore Fusco addirittura l’elezione a Sindaco?
Già, forse ce n’eravamo dimenticati in questi due anni di Pisapia. E forse ci eravamo persino illusi un po’. E questo spiega anche, forse, perché alcuni fattacci di questi giorni non abbiano trovato l’eco mediatico e l’allarme politico che invece avrebbero meritato.
Ma andiamo con ordine. Primo, una settimana fa circa era esploso in rete il caso “piano rom” del Comune di Milano, cioè siti e pagine facebook sono stati letteralmente inondati da insulti di stampo razzista. L’accusa, per dirla in un italiano più o meno accettabile, era di regalare i soldi del Comune ai rom, invece che usarli per dare una casa agli italiani. De Corato e i postfascisti dei Fratelli d’Italia l’hanno tradotto con lo slogan “Ai milanesi alzate l'Imu, ai rom date la casa”.
In realtà, l’accusa è una frottola, poiché non si tratta di soldi del Comune, bensì di fondi vincolati del Ministero, stanziati a suo tempo dall’allora Ministro e attuale Presidente lombardo, Roberto Maroni. In altre parole, quei fondi si devono usare per progetti destinati ai rom oppure non si possono usare. Punto e a capo.
Il secondo fattaccio è accaduto ieri sera in via Dione Cassio, lato viale Ungheria, dove si trova un campo rom irregolare. Contro quell’insediamento c’erano già state delle provocazioni nei giorni precedenti, ma ieri i neofascisti della Fiamma Tricolore hanno organizzato addirittura una manifestazione, che sarebbe più corretto definire un assedio (per un racconto dei fatti di ieri, rinvio al comunicato degli attivisti del Gruppo sostegno Forlanini, che potete trovare in fondo all’articolo). Comunque, anche in questo caso, la motivazione ufficiale della campagna anti-rom è puramente strumentale, poiché lo sgombero di quel campo è programmato da tempo per la fine del mese corrente.
Ecco dunque i fatti, gravi in sé, ma soprattutto indicativi di qualcosa che sta cambiando in città. Nulla di spontaneo, beninteso, ma un’azione politica consapevole, tesa ad indirizzare il malcontento verso i lidi tipici delle destre. E, come prevede lo schema classico, a dirigere l’orchestra è la destra istituzionale e suoi organi di stampa e a fornire la manovalanza sono i neofascisti e i gruppi militanti.
Quindi, guai a sottovalutare quello che succede, perché in realtà è iniziata la campagna politica delle destre, ringalluzzite dopo la vittoria alle elezioni regionali, per riprendersi anche Milano tra qualche anno. E faranno campagna a modo loro, con i loro mezzi, che sono quelli di sempre. Quello che, però, non è uguale a prima, quello che è cambiato, è il clima in città e il rapporto tra città e amministrazione.
Beninteso, nulla di definitivo, Pisapia gode ancora del consenso maggioritario, ma è un consenso che ha perso l’entusiasmo e c’è un’amministrazione che ha perso spinta e vigore. Gli indizi in questo senso sono tanti e iniziano a diventare troppi, dalla gestione del caso Boeri fino al rapporto sempre più teso con i dipendenti comunali, passando per la Sea o per la politica troppo blanda in materia di spazi sociali.
Insomma, qualcosa sta cambiando in città, il vento non è più quello di due anni fa e quello che sta accadendo ai rom parla di qualcosa di più ampio. Certo, è cambiato anche il contesto generale, gli effetti dei tagli imposti dalle politiche d’austerità sono nefasti e la crisi aggredisce le condizioni di esistenza delle persone, ma l’amministrazione, da parte sua, si è chiusa troppo su sé stessa e ora rischia di venire risucchiata dalla gestione dell’esistente.
Ma appunto, nulla di definitivo, a patto che si reagisca da subito. Anzitutto, non tollerando che riprendano le scorribande razziste organizzate dalle destre e, soprattutto, rimettendo -o mettendo- in moto una politica di cambiamento a livello comunale. E questo riguarda chi governa la città, ma anche tutti e tutte noi.
 
Luciano Muhlbauer
 
 
 
Comunicato del Gruppo sostegno Forlanini sui fatti del 15 aprile:
 
Questo pomeriggio, alle 18,30, si è tenuta una seconda manifestazione promossa ancora una volta da organizzazioni collaterali alla Fiamma Tricolore in prossimità dell'insediamento di via Dione Cassio, sul lato di viale Ungheria, dopo quella di venerdì scorso.
La manifestazione non era stata autorizzata, ma è di fatto stata esplicitamente tollerata dalle forze dell'ordine nel suo avvio e nel suo sviluppo (prima con un blocco stradale, poi con vari tentativi di corteo, poi con le scorribande isolate verso il campo dal lato di viale Ungheria e successivamente con un vero e proprio assalto fino ai confini dell'insediamento, con il lancio di sassi all'interno del campo, che ha causato il ferimento di un abitante e comprensibile ansia negli abitanti).
La gestione della piazza da parte delle forze dell'ordine è stata assolutamente approssimativa e insipiente, lasciando ampio varco alle iniziative dei manifestanti, tra i quali stavolta hanno fatto ampia mostra di sé slogan fascisti (“Boia chi molla” ecc.), saluti romani, esibizione di magliette coll'effigie del duce.
Stigmatizziamo fortemente questa pessima gestione dell'ordine pubblico: ci era stato assicurato che non sarebbe stata autorizzata alcuna manifestazione, specie dopo la prima, del 12, che aveva già avuto caratteri molto preoccupanti già segnalati, e dopo in particolare il tentativo di attacco al campo, con bottiglie incendiarie, verificatosi nella notte tra il 12 e il 13 aprile, che abbiamo denunciato.
Ci preoccupa molto la sottovalutazione di questo evento, che sappiamo esser stato attribuito da alcune interpretazioni, anche delle forze dell'ordine – più che agli esiti della manifestazione neofascista di poche ore prima, in cui si era invocato il diritto dei cittadini a farsi giustizia da soli – agli strascichi di un incidente stradale pur grave che era avvenuto nei pressi del campo in via Dione Cassio il pomeriggio del 12 e che è stato pretestuosamente messo a carico di ospiti del campo, mentre neanche dai controlli della Polizia locale risulta un loro reale coinvolgimento.
Il ripetersi di episodi in cui si tenta, si esibisce o si mette in opera l'attacco violento fa capire da quale parte, in realtà, vengono l'insicurezza e la minaccia che si addebitano agli abitanti del campo; ci sono forze razziste e neofasciste che stanno investendo potentemente sulla questione, soffiando sul fuoco del disagio e dell'emarginazione, e che non sono adeguatamente contrastate dalle forze dell'ordine, che pure avrebbero tutti i titoli per intervenire e prevenire, come anche oggi sarebbe potuto succedere, con la proibizione della manifestazione.
Ci è giunta notizia che nella giornata del 16 potrebbero ripetersi, anche in prossimità del campo, nuove manifestazioni. Chiediamo che non vengano assolutamente autorizzate né tollerate, per evidentissimi motivi.
Per parte nostra, insisteremo - insieme colle altre associazioni che lavorano nel campo - sulla strada dell'inclusione sociale, della democrazia e dell'antirazzismo, che sappiamo essere quella che meglio tutela i diritti civili e sociali di chiunque viva in un territorio, sia esso italiano o straniero.
Sollecitiamo i poteri pubblici - a partire dal Comune, i cui progetti di inclusione sociale, che stanno per avviarsi, ci sembrano muoversi nella direzione giusta -, le forze politiche e sociali e i titolari della gestione dell'ordine pubblico e della convivenza a perseguire insieme a noi, con fermezza, quella strada.
 
Milano, 15.4.2013
Gruppo sostegno Forlanini
 
 
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