Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
di lucmu (del 13/12/2010, in Movimenti, linkato 1128 volte)
Appello del comitato milanese 16 ottobre
 
LA SFIDUCIA AL GOVERNO BERLUSCONI E’ LA PREMESSA PER CAMBIARE QUESTA SOCIETA’ INGIUSTA
Martedì 14 dicembre, il parlamento discuterà della possibile (e per noi auspicabile) sfiducia al Governo Berlusconi.
Vogliamo che in quella giornata la voce di chi rifiuta l’idea di società ingiusta, diseguale e autoritaria che questo governo da tempo sta cercando di imporre, si alzi forte e chiara.
La voce degli studenti, degli insegnanti, dei ricercatori che da mesi si oppongono ad una controriforma che distrugge la scuola pubblica, che crea un’università di classe.
La voce delle lavoratrici e dei lavoratori che lottano contro i licenziamenti, le dismissioni, la cancellazione dei diritti, contro un’idea di competizione che li vuole schiavi.
La voce dei migranti che oltre ad esser sfruttati vengono truffati e poi espulsi.
La voce di coloro che operano nel mondo dell’informazione, della cultura, penalizzati dalla politica dei tagli di questo governo.
La voce di chi, sul territorio, lotta contro la speculazione e si oppone alla privatizzazione dei beni comuni.
La voce di chi difende la democrazia.
Vogliamo che si senta forte e chiara la voce della parte migliore di questo paese.
Per questo invitiamo chi non si rasse
gna alla barbarie, all’intolleranza, alla precarietà, alla cancellazione dei diritti, a fare di martedì 14 dicembre una giornata di mobilitazione generale e a partecipare alle iniziative che si svolgeranno a Milano, a partire da quelle degli studenti in concomitanza con la discussione in parlamento.
 
 
 
Con lo sgombero de “La bottiglieria occupata” di via Savona 18, la città non ha guadagnato proprio nulla. Gli unici a guadagnarci, forse, sono l’ossessionato De Corato e  qualche politico leghista che lo rincorre, che così possono fare un altro comunicato stampa e non parlare dello stato disastrato della loro amministrazione cittadina.
Milano non ci guadagna nulla in questa vicenda, perché i centri sociali non nascono dal nulla, ma dai problemi non risolti, dall’assenza totale di spazi sociali e dalla voglia di non rassegnarsi a un presente senza futuro.
È un illuso chi pensa che sgomberando i luoghi si eliminino anche le persone e le loro volontà. Non era stato così con lo sgombero di quattro mesi fa del Lab Zero, che appunto aveva portato a una nuova e più partecipata occupazione, e non sarà così nemmeno adesso. E, peraltro, non era stato così neanche nel caso dello sgombero vigliacco di Cox 18, anzi.
Ma De Corato non fa parte degli illusi. No, lui fa parte dei furbetti, che di fronte al bilancio fallimentare del governo cittadino, provano a cambiare discorso. Insomma, perché perdere tempo con quisquilie come il Seveso che finisce in metropolitana o il penoso spettacolo dei battibecchi istituzionali sulle aree dell’Expo, se possiamo inventarci una bella guerra dal vivo con un pezzo della città?
Ebbene sì, perché questo è l’obiettivo: produrre confusione, conflitto, caos. La solita, vecchia storia del costruire tensione, per poi invocare l’ordine, che il vecchio ex-neofascista conosce a memoria e che i meno vecchi leghisti hanno evidentemente imparato in fretta.
Ma a questo punto, chiediamo a tutti di giocare a carte scoperte. Stiamo entrando in campagna elettorale, la situazione sociale disegnata dalla crisi è quella che è e gran parte della politica si occupa soltanto di se stessa. Cosa vogliamo fare? Innescare una guerra in città?
Lo chiediamo con la massima serenità e serietà, perché i segnali ci preoccupano. C’è il possibile sgombero a breve del centro sociale Sos Fornace alle porte di Milano, sgradito al traballante Sindaco ciellino di Rho, e c’è la situazione incerta del Conchetta.
Chiediamo ai responsabili dell’ordine pubblico di non assecondare gli interessi politici o personali di alcuni esponenti del centrodestra, specie in campagna elettorale, e dunque di sospendere gli sgomberi dei centri sociali, a partire dalla Fornace e da Cox 18.
Da parte nostra, esprimiamo solidarietà e sostegno ai centri sociali milanesi, minacciati ormai quotidianamente dal vicesindaco De Corato e da qualche suo seguace dell’ultima ora.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
Ieri notte in piazza Duomo, nella Milano che vorrebbe essere europea, è andato in scena quel famigerato “botellón”, che aveva agitato il sonno del vice del sindaco e, di conseguenza, fatto diventare rovente il telefono del Questore.
Premettiamo subito, per la cronaca, che il botellón si è tenuto come programmato, alla presenza di qualche centinaio di giovani, che non ci sono stati incidenti, che nessuno si è fatto male e che nulla è stato rotto. E questo, nonostante il dispendioso, ingiustificato e grottesco stato d’assedio in piazza Duomo, chiesto e ottenuto dal vice del sindaco.
Ma andiamo con ordine, perché vale la pena descrivere le scene da avanspettacolo che si sono viste ieri sera nella piazza più importante e rappresentativa di Milano, grazie alla regia dell’eterno vice del sindaco. E non solo vale la pena, ma è assolutamente necessario, perché se non l’avessi visto con i miei occhi, non ci crederei.
I ragazzi e le ragazze di Milano Movida volevano realizzare semplicemente una pacifica provocazione, per dire che gli spazi pubblici servono anche -e forse anzitutto- per essere vissuti dalle persone. Un problema sentito particolarmente dai giovani, che a Milano vengono spesso trattati come un fastidioso problema e come alieni.
E la forma scelta era quella del botellón, cioè quel ritrovo in piazza, di iberiche origini, che consiste nella riunione in un luogo pubblico di tanti giovani per bere, cantare e stare insieme. Insomma, nulla di scandaloso o violento, ci pare. Ma, appunto, il nostro vice la vede in maniera diversa o, forse, semplicemente non ci vede più, consumato com’è dal rancore e dall’odio verso quelli e quelle che non sono come vorrebbe lui, specie se giovani.
E così, ha imposto ai responsabili dell’ordine pubblico di trattare il botellón come un’emergenza terrorismo. Risultato? Quello più ovvio e senz’altro degno del miglior Monty Python: chiusura della stazione della metropolitana di Duomo, checkpoint in ogni angolo d’accesso alla piazza, presidiati da reparti mobili della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri, e gruppi di turisti perquisiti, disorientati e convinti che ci fosse un allarme bomba.
Per quanto mi riguarda, sono arrivato in zona verso le 22.30, in tempo per assistere a una delle scene inziali, di fronte alla quale non sapevo bene se ridere o piangere. Due ragazze e un ragazzo respinti al checkpoint dei carabinieri vicino all’angolo con via Palazzo Reale, perché muniti di bicchieri di plastica (le ragazze) e di due lattine di birra (il ragazzo). Secondo i militari era vietato transitare per piazza Duomo con bicchieri di plastica.
Ho chiesto spiegazioni ai militari, informandoli che non esisteva alcuna ordinanza, legge o norma che vietasse i bicchieri di plastica in piazza Duomo. E che, anzi, un tal divieto rappresentava un abuso di potere. La reazione dei militari era illuminante: il primo si è irrigidito, non sapendo bene cosa dire, al secondo è scappato da ridere. Conclusione: “parli con i responsabili di piazza”.
Alla fine, dopo varie discussioni con funzionari della Questura ed ufficiali dei Carabinieri, siamo giunti alla ovvia conclusione che ci si atteneva alla legge italiana e non alle fantasie. Cioè, ordinanze del Sindaco Moratti alla mano, no alle bottiglie di vetro e alle lattine e sì invece a bicchieri e bottiglie di plastica.
A questo punto, al nostro checkpoint è successo la seguente cosa: sotto lo sguardo vigile del reparto mobile dei Carabinieri, il ragazzo ha versato il contenuto delle sue due lattine di birra nei bicchieri di plastica delle due ragazze e, con i bicchieri pieni di birra in mano, ha potuto fare finalmente il suo ingresso in piazza Duomo.
Beninteso, scene simili si sono verificate anche agli altri checkpoint, compreso il blocco di ragazzi perché muniti di chitarra (“siccome questo è un botellón e siccome le chitarre servono per il botellón, allora non possono passare”). Comunque sia, alla fine in piazza Duomo c’erano 2-300 giovani che bevevano birra, chiacchieravano tranquillamente e suonavano la chitarra.
In altre parole, il vice del sindaco, cioè l’On. De Corato, ha fatto mobilitare inutilmente e a spese dei contribuenti un numero abnorme di forze dell’ordine, chiuso la metropolitana di Duomo, cosa riuscita nemmeno al Seveso, e diffuso il panico tra i turisti, unicamente per motivi politici e personali e pretendendo persino dalla Questura e dai Carabinieri di violare la legge e le stesse ordinanze comunali.
Per fortuna, le forze dell’ordine sono più serie del vice del sindaco e, aggiungiamo, anche dotate di quel senso del ridicolo che invece manca completamente a De Corato.
Di ieri sera mi rimane soprattutto un’immagine, che forse riassume il senso di tutta la serata. Quella del militare dei reparti mobili dei Carabinieri che non riesce proprio a trattenere il suo sorriso di fronte alla palese assurdità della situazione.
Ed è stato quel sorriso, unito a quello dei ragazzi e delle ragazze, che ha seppellito l’idiozia e l’odio di un uomo che dopo 13 anni di vicesindaco dovrebbe cambiare mestiere.
 
 
Puntuale come un orologio svizzero, non appena il Sindaco di Rho, il ciellino Roberto Zucchetti, si trova in difficoltà politiche, ecco che spunta lo sgombero del centro sociale Sos Fornace.
Infatti, ai ragazzi e alle ragazze, da fonti attendibili, è stato fatto arrivare il messaggio che ormai è questione di poco, forse soltanto di giorni, se non di ore. E guarda un po’, proprio adesso, alla vigilia della manifestazione unitaria di sabato 9 ottobre contro l’Accordo di Programma sull’area ex-Alfa, firmato da Zucchetti, e della seduta del Consiglio Comunale di Rho del 12 ottobre, che si annuncia infuocata, poiché dovrà decidere se ratificare o meno la firma del Sindaco.
E così, ancora una volta, la Fornace finisce nel mirino del malgoverno cittadino, non perché nell’area dismessa occupata dai giovani si faccia rumore o musica o si beva la birra, come vorrebbe la vulgata ufficiale, bensì perché il centro sociale è sempre stato attivo sulle questioni che riguardano il territorio e, in più occasioni, con le sue puntuali denunce, ha messo in serio imbarazzo la giunta ciellino-leghista che governa Rho.
Se non vi ricordate, ecco un esempio per tutti: la vicenda della soppressione dei treni pendolari, decisa in una riunione al Pirellone del marzo 2009, anche grazie all’incredibile negligenza del Sindaco di Rho. Ebbene, a mobilitarsi per prima fu proprio la Fornace e un imbarazzato Zucchetti dovette persino presentarsi al banchetto del centro sociale per firmare la petizione contro la soppressione.
Allora, Zucchetti, ciellino come chi comanda al Pirellone, aveva preferito non disturbare i suoi capi politici, piuttosto che occuparsi degli interessi del suo territorio. Un po’ com’è successo qualche settimana fa con l’accordo sull’area ex-Alfa, che egli ha firmato, ignorando bellamente le indicazioni del Consiglio comunale.
Anche un anno fa Zucchetti volle la testa della Fornace, un po’ per vendetta, ma soprattutto per deviare l’attenzione dal suo malgoverno. E ora, evidentemente, ha deciso di riprovarci, con l’aggravante di voler alzare la tensione in città alla vigilia di due appuntamenti molto importanti.
Esprimiamo la nostra completa solidarietà alla Fornace di Rho e chiediamo ai responsabili dell’ordine pubblico di non prestarsi ai giochini politici di un amministratore in difficoltà.
Ma invitiamo anche le forze politiche e i consiglieri comunali del centrodestra rhodense, molti dei quali si dichiarano scettici o persino contrari all’Accordo di Programma sull’ex-Alfa, di dare il loro contributo affinché non si realizzino interventi di forza contro la Fornace e si riporti invece la questione dello spazio sociale sul terreno del confronto civile con l’amministrazione comunale.
Da parte nostra, saremo a fianco dei ragazzi e delle ragazze della Fornace e ribadiamo il nostro impegno per la piena riuscita della manifestazione unitaria di sabato prossimo contro lo sciagurato Accordo di Programma sull’area ex-Alfa.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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COMUNICATO DEL CENTRO SOCIALE SOS FORNACE:
 
FORNACE PROSSIMA ALLO SGOMBERO: PRONTI A RESISTERE!
MARTEDÌ ASSEMBLEA PUBBLICA ANTISGOMBERO
 
Da fonti certe abbiamo appreso che entro la fine di questa settimana verrà tentato lo sgombero del Centro Sociale SOS Fornace. E' evidente il malcelato tentativo di alzare il livello della tensione in vista del corteo di sabato 9 ottobre contro il Piano Alfa e in difesa del territorio, per spaccare l'ampio fronte - dall'opposizione sociale a quella consigliare - che scenderà in piazza unito nel denunciare la "prima pietra" di Expo 2015, madre di tutte le speculazioni sul territorio. Questo tentativo arriva inoltre una settimana dopo la nostra denuncia dell'imbarazzante comportamento di Fiera Milano che, a dispetto della scintillante immagine che propone di sè, produce sul territorio del quale si vanta di essere vetrina, solo precarietà e disoccupazione, come dimostra la recente vicenda degli 85 lavoratori lasciati a casa.
La giunta comunale, più volte dichiaratasi a favore dello sgombero della Fornace, vuole evidentemente coprire con questo provvedimento il fallimento del modello della città vetrina, sotto gli occhi di tutti in termini di servizi pubblici dismessi e beni comuni espropriati, col favore degli speculatori di CL e la copertura politica di chi, come la Lega Nord, della difesa del territorio si riempe la bocca ma nei fatti è complice del saccheggio.
Questa ennesima minaccia non è solo un attacco a uno spazio sociale, ma ai percorsi autorganizzati e all'intera opposizione sociale del territorio che esprimono una voce critica e contrastano una ricostruzione della metropoli imposta da chi sta sfruttando la crisi per aumentare i propri profitti.
Invitiamo perciò tutti i solidali a un'assemblea pubblica che si terrà in Fornace martedì 5 ottobre alle 21:30 per preparare la resistenza allo sgombero. Portate sacchi a pelo e coperte, si dorme all'interno dello spazio per difenderlo.

Martedì 5 Ottobre - h. 21:30
ASSEMBLEA PUBBLICA CONTRO LO SGOMBERO
SOS Fornace - Rho, via S. Martino 20
 
Mercoledì 6 ottobre - h. 5:00
PRESIDIO E COLAZIONE ANTISGOMBERO
SOS Fornace - Rho, via S. Martino 20
 
Giovedì 7 ottobre - h. 5:00
PRESIDIO E COLAZIONE ANTISGOMBERO
SOS Fornace - Rho, via S. Martino 20
 
Venerdì 8 ottobre - h. 5:00
PRESIDIO E COLAZIONE ANTISGOMBERO
SOS Fornace - Rho, via S. Martino 20
 
Sabato 9 ottobre - h. 9:30
CORTEO CONTRO IL PIANO ALFA
IN DIFESA DEL TERRITORIO
Rho - Stazione FS
 
 
Pochi giorni fa la Corte d’Appello di Genova ha pubblicato le motivazioni della sentenza del 18 maggio scorso, con la quale, in sede di giudizio di secondo grado, sono stati condannati diversi alti funzionari delle forze dell’ordine per le violenze commesse alla scuola Diaz, a Genova, il 21 luglio del 2001.
Cliccando sull’icona in fondo a questo testo puoi scaricare la versione integrale delle motivazioni. È un documento corposo, lungo ben 313 pagine, ma vale la pena darci un’occhiata, poiché ribadisce con forza anche in sede giudiziaria quello che in fondo sappiamo da sempre. Cioè, che l’infame massacro della Diaz era conseguenza diretta degli ordini ricevuti da Roma.
Consiglio, in particolare, la lettura di un passaggio che trovate a pagina 299 e che suona così:
 
La Corte, nella valutazione complessiva dei fatti, ritiene di non obliterare la circostanza, emersa chiaramente in causa fin dalle prime emergenze e confermata nell’ulteriore corso processuale, secondo la quale l’origine di tutta la vicenda è individuabile nella esplicita richiesta da parte del Capo della Polizia di riscattare l’immagine del corpo e di procedere a tal fine ad arresti, richiesta concretamente rafforzata dall’invio da Roma a Genova di alte personalità di sua fiducia ai vertici della Polizia che di fatto hanno scalzato i funzionari genovesi dalla gestione dell’ordine pubblico. Certo tale pressione psicologica non giustifica in nulla la commissione dei reati né l’eventuale malinteso spirito di corpo che ha caratterizzato anche successivamente la scarsa collaborazione con l’ufficio di Procura (riconosciuta anche dal Tribunale), ma consente, nell’ambito dell’ampio divario fra le misure edittali della pena, di optare per la quantificazione della pena base nel minimo.”
 
Detto in italiano più corrente: l’ordine venne dall’allora Capo della Polizia, Gianni De Gennaro, e successivamente ci furono pure depistaggi e insabbiamenti. Insomma,  esattamente quello che il movimento sostiene da nove anni, ma che i vari Governi succedutisi da allora anni hanno sempre negato, garantendo anzi protezioni e promozioni ai responsabili delle violenze.
Buona lettura!
 
clicca sull’icona qui sotto per scaricare la motivazione e il dispositivo (1,6 Mb):
 

Scarica Allegato
 
Oggi sono nove anni esatti dal giorno in cui un proiettile esploso dalle forze dell’ordine rubò la vita a Carlo Giuliani.
Il luogo era Genova, piazza Alimonda per la precisione, e il contesto le manifestazioni contro il G8 del 2001.
Il 20 luglio era il giorno in cui la sospensione dello stato diritto e la feroce repressione del dissenso, preparata da tempo dal Governo e dai vertici delle forze dell’ordine, prese corpo, si fece materia, si trasformò in violenza e sangue.
Quella mattina a Genova scesi in piazza con animo inquieto, perché sapevamo del clima che si stava costruendo nelle caserme e nelle questure e perché le settimane precedenti erano state segnate da un crescendo di provocazioni e minacce.
Avevamo persino chiesto, in occasione dell’incontro tenutosi alla fine di giugno a Roma, presso la Farnesina, tra la delegazione del Genoa Social Forum (Gsf) e quella del Governo, che le forze dell’ordine in servizio di piazza durante il G8 fossero disarmate. Infatti, c’era stato il precedente delle contestazioni di Goteborg, dove la polizia della civile Svezia sparò sui manifestanti.
E mi ricordo, come se fosse ieri, le parole pronunciate da Gianni De Gennaro, allora Capo della Polizia, che con un sorriso tra il rassicurante e il beffardo ci ripose che non ce n’era bisogno, perché “finché ci sono io, mai e poi mai la polizia italiana userà le armi da fuoco in una manifestazione”.
Ovviamente, non ci eravamo fidati delle sue parole, ma dall’altra parte la manifestazione del 19 luglio, dedicata alla solidarietà con i migranti, era andata bene. C’era tanta gente e nessun intervento repressivo o incidente. E anche le manifestazioni del 20 luglio, con le sue “piazze tematiche” e il suo assedio della zona rossa, in fondo erano state autorizzate dalla Questura. Ebbene sì, perché bisogna sempre ricordarlo, tutte quelle iniziative erano state comunicate con largo anticipo alla Questura di Genova e quest’ultima non aveva preso alcun provvedimento ostativo!
Ma, appunto, quel 20 luglio tutto cambiò.
Io stavo con il mio sindacato, il SinCobas e la Confederazione Cobas, impegnati allora in un complesso –e poi infruttuoso- tentativo di unificazione, e con la rete Network per i diritti globali, che comprendeva anche il grosso dei centri sociali, esclusi i Disobbedienti.
Insomma, per farla breve, la nostra “piazza tematica”, cioè il nostro punto di assedio alla zona rossa, era in piazza Paolo da Novi. Ma non saremmo mai riusciti a fare quello che era in programma.
Era mattina, stavo raggiungendo il punto di concentramento, ma la piazza di fatto era già occupata da un nutrito gruppo di black block e accerchiata da ingenti forze di polizia e carabinieri.
Quello che successe dopo aveva dell’allucinante. I black erano lì da tempo e in santa pace avevano preparato le loro molotov, nel disinteresse totale delle forze dell’ordine, ma non appena i manifestanti del Network presenti in piazza raggiunsero un certo numero, iniziò l’aggressione da parte di polizia e carabinieri in assetto antisommossa.
Non c’era nulla da fare, non potevamo aspettare il grosso dei manifestanti, eravamo praticamente chiusi in piazza e così improvvisammo un corteo per uscire e allontanarci in direzione mare.
Ce la facemmo, dopo qualche ora, grazie a un minimo di organizzazione e l’esperienza di alcuni. Eravamo fuori, salvi, senza troppe teste spaccate.
Ma la mattina era soltanto l’inizio, purtroppo. Si erano poi messi a manganellare persino gli iper-pacifici presidi di Attac e dei lillipuziani. Infine, il pomeriggio, arrivò il corteo dei Disobbedienti. Carlo si trovava lì.
Quel corteo fu attaccato dalle forze dell’ordine sul percorso autorizzato, in via Tolemaide, e fu aggredito con violenza estrema. Tra i tanti punti di scontro c’era anche piazza Alimonda. Lì, uno sparo proveniente da un mezzo dei carabinieri, un Defender, ammazzò Carlo Giuliani.
In quel momento, io mi trovavo in zona piazzale Kennedy, insieme a moltissima gente, proveniente da diverse piazze tematiche della giornata. C’era agitazione, disorientamento, rabbia. E poi arrivarono le prime notizie, cioè che la polizia avrebbe ucciso un manifestante, anzi forse addirittura due o tre.
Alla fine si capì che era uno e che si chiamava Carlo.
Ma potevano essere di più, va detto, per non dimenticarlo, perché in quel giorno in diversi luoghi di Genova le forze dell’ordine usarono le armi da fuoco.
Un ragazzo ucciso! Non volevamo crederci e la rabbia montava. Molti lì in piazza, dove mi trovavo io, volevano partire per un corteo spontaneo, altri gridavano, altri ancora avevano paura o semplicemente non sapevano che fare. Allora improvvisammo un’assemblea, per tenere ferma la gente, per parlare, per cercare di gestire la situazione. Quel giorno feci diverse assemblee in diversi luoghi.
Si discusse anche del corteo del giorno dopo, del 21 luglio, se confermarlo o se rinunciare. In realtà, pochissimi nel Gsf dicevano di non farlo. E anche dalle città giungeva notizia che la gente voleva partire lo stesso per Genova, anzi forse più di prima. L’indignazione era più forte della paura.
Mi ricordo di Tom Benetollo, il compianto Presidente dell’Arci. Alcuni, di quelli che erano impegnati a “prendere le distanze” dai manifestanti di Genova, invece che dalla violenza repressiva, pensavano che egli avrebbe ritirato la sua organizzazione dalla manifestazione del 21, rompendo così l’unità del Gsf. Ma si sbagliarono di grosso, perché Tom fece il contrario. Nel suo caso, infatti, all’indignazione per la repressione e l’omicidio di Carlo si aggiunse anche la statura politica e morale, nonché la capacità di leggere la gravità dell’accaduto.
Quello che successe poi il 21 luglio lo sanno tutti e tutte. Un enorme corteo aggredito con violenza e disperso a suon di botte e sangue. Poi le torture di Bolzaneto e la sera l’infame massacro della Diaz.
In questi ultimi mesi alcune verità hanno trovato la via per emergere anche nelle aule dei tribunali: Bolzaneto, Diaz, il ruolo di altri dirigenti della Polizia di Stato, compreso De Gennaro. Ma tutti sono ancora al loro posto, anzi, nel frattempo erano stati pure promossi. Nemmeno una sospensione temporanea, in nome della decenza. No, niente, nulla, nada.
La loro impunità e il castello di complicità, persino bipartisan, che protegge la cricca di Genova è la miglior prova che la sospensione dello stato di diritto praticato nelle giornate del 20 e del 21 luglio 2001 non fosse un incidente di percorso, ma una decisione assunta ai massimi livelli dello Stato.
E poi, ci sono delle verità che non hanno nemmeno visto l’ombra di un tribunale. Fatti e dolori ai quali in nove anni non è stato concesso nemmeno la dignità di poter vedere un processo regolare. No, niente processo per l’omicidio di Carlo Giuliani.
Oggi, non c’è nemmeno certezza su chi abbia premuto il grilletto su quel Difender. Il carabiniere di leva Mario Placanica è colui che di solito viene indicato come il responsabile, ma in realtà non c’è la certezza e ci sono dei dubbi.
Lo Stato ha assassinato Carlo e non c’è nemmeno un processo.
Carlo è troppo ingombrante, perché riassume l’essenza di quello che accadde in quei giorni a Genova: la voglia di vita e di futuro di decine di migliaia di ragazzi e ragazze e la violenza senza freni di uno Stato schierato a difendere con ogni mezzo gli interessi e i privilegi di pochi.
Oggi pomeriggio sarò in piazza Alimonda, come tutti gli anni. Dall’altra parte, non saprei in che altro luogo stare il 20 luglio, non dopo il 2001. Ci sarò con la memoria di quei giorni, che mi hanno segnato più di quanto solitamente ammetto, e soprattutto con la convinzione che il rispetto della memoria è imprescindibile per poter sognare il futuro.
 
 
Il peggior Sindaco che la città di Rho abbia mai avuto, il ciellino Roberto Zucchetti, ha un disperato bisogno di risollevare la sua malmessa immagine e di far dimenticare le sue magagne e il suo fallimento amministrativo.
Questa e non altro è la spiegazione della campagna di accuse e provocazioni tesa ad imporre al Prefetto di Milano la decisione dello sgombero del centro sociale Sos Fornace.
E pur di ottenere il suo obiettivo, Zucchetti non esita nemmeno ad oltrepassare il confine della decenza, dichiarando pubblicamente “se qualche cittadino arrabbiato … prende una tanica di benzina e dà fuoco, è solo colpa delle istituzioni”.
Un’indecenza che rasenta l’istigazione a delinquere, peraltro in un territorio talmente segnato dalle infiltrazioni della ‘ndrangheta che quattro militari della locale stazione dei Carabinieri risultano indagati per concorso in associazione mafiosa.
Zucchetti vuole uno sgombero il cui unico beneficiario sarebbe lui stesso, considerato che en passant eliminerebbe anche dei fastidiosi oppositori politici.
Infatti, in questi anni, i ragazzi e le ragazze della Fornace hanno puntualmente denunciato i suoi affari e le sue incompetenze, dalla vicenda della soppressione dei treni pendolari fino al conflitto di interessi, per essere gentili, in occasione del varo del Pgt in giunta comunale.
Da parte mia, ribadisco la mia completa solidarietà ai ragazzi e alle ragazze della Fornace di Rho e auspico che il Prefetto voglia riconfermare il suo ruolo istituzionale, rimandando al mittente le indebite pressioni di Zucchetti.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
IMPORTANTE:
per discutere delle minacce di sgombero e sul che fare, la Fornace ha convocato per stasera un’assemblea a livello metropolitano. Ecco le coordinate:
lunedì 19 luglio - ore 21:00
ASSEMBLA METROPOLITANA
via San Martino 20 – Rho
 
 
di lucmu (del 07/07/2010, in Movimenti, linkato 871 volte)
Ghe pensi mi ha esclamato Silvio Berlusconi e oggi sono volati i manganelli sulle teste dei terremotati aquilani che manifestavano in 5mila a Roma.
Certo, il Cavaliere non avrà pensato all’Aquila quando l’aveva detto. O meglio, non solo agli ingrati aquilani, che non apprezzano a sufficienza la sua generosità e quella di Bertolaso. No, lui ha tanti altri problemi a cui pensare, da Fini alla figuraccia berlusconian-leghista su Brancher, dalla manovra economica fino alla legge-bavaglio.
Ma, quanto successo oggi, riassume forse meglio di ogni altra cosa la situazione complessiva, lo stato della nazione. Quando dei terremotati che protestano, peraltro con solide ragioni, ottengono dal Governo come unica risposta cariche e manganellate, allora qualcosa non funziona più.
Non so voi, io quando ho sentito la notizia, ho pensato a Genova. Nel 2001 era diverso, ovviamente, lì avevano ammazzato Carlo e sospeso per giorni lo stato di diritto. Ma, chissà perché, io ho pensato lo stesso a Genova. Questione di stomaco, o di naso, fate voi.
Solidarietà ai terremotati de L’Aquila.
 
 
La condanna in appello a un anno e quattro mesi di reclusione di Gianni De Gennaro, capo della polizia ai tempi del G8 di Genova, e a un anno e due mesi di Spartaco Mortola, nel 2001 capo della Digos genovese, è un buona notizia, perché infrange finalmente il tabù dell’intoccabilità del potente ex-capo della polizia.
Se il Governo vuole mantenere un minimo dignità e rispetto per lo stato di diritto, allora deve sospendere immediatamente De Gennaro e Mortola dai loro rispettivi e delicati incarichi, cioè capo del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) e vicequestore di Torino.
Certo, De Gennaro è stato condannato per i suoi tentativi di insabbiamento della verità sul massacro alla scuola Diaz, nello specifico per l’istigazione alla falsa testimonianza nei confronti dell’allora questore di Genova, Francesco Colucci, e non per il suo ruolo di massimo responsabile della repressione, delle violenze e degli abusi consumatisi nei giorni del G8 del 2001.
Quel suo ruolo, infatti, non sarà mai oggetto di processi finché De Gennaro continuerà a godere delle forti e trasversali protezioni politiche ed istituzionali, che avevano portato all’affossamento della commissione d’inchiesta parlamentare durante il Governo Prodi e che oggi fanno sì che tutti i colpevoli degli abusi del 2001 siano difesi a spada tratta dal Governo Berlusconi.
Tuttavia, è stato infranto un tabù e comunque vada a finire in Cassazione, oggi la verità ha avuto una possibilità. Sta a noi mantenere viva la memoria e non smettere di batterci per rompere il muro di silenzio istituzionale che continua a proteggere i colpevoli della sospensione della democrazia in quel luglio genovese.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
Fa davvero impressione l’ottusità di uomini come il vicesindaco De Corato, che proprio non ce la fanno a trovare modi diversi dagli sgomberi, dalle minacce e dai divieti per rapportarsi a quelle parti della città che non sono come loro vorrebbero.
La parole del vicesindaco De Corato o del Presidente del Consiglio di Zona 6, Girtanner, anche lui di provenienza An, espresse in merito allo sgombero di Lab Zero, in Ripa di Porta Ticinese 83, sono semplicemente penose nella loro pochezza.
Secondo Girtanner, un vero signore, gli occupanti, in gran parte studenti, “erano paragonabili ai loro cani”, mentre De Corato si diletta nel suo sport preferito, cioè facendo la lista dei luoghi a lui politicamente sgraditi e dunque da eliminare militarmente in vista della campagna elettorale.
Quanto allo svolgimento dello sgombero di Lab Zero di questa mattina, c’è da evidenziare soltanto la teatralità politica dell’azione delle forze dell’ordine, intervenute con palese sproporzione di uomini e mezzi e con l’aggiunta di qualche inutile distruzione di cose all’interno dello stabile.
Insomma, siccome la premessa era che lì dentro c’erano dei soggetti pericolosi, allora bisognava pure giustificarla, mobilitando mezzo esercito. E visto che poi tutto si è svolto senza incidenti, essendo evidentemente i soggetti pericolosi un po’ meno pericolosi di quanto gridato ai quatto venti, allora a De Corato non è rimasto altro che la miseria di riesumare per l’ennesima volta la storia familiare di Valerio Ferrandi, che non c’entra nulla, ma che in cambio fa audience.
Detto diversamente, un’altra giornata da dimenticare nella grigia Milano del centrodestra, che oggi ha perso un altro spazio sociale.
Da parte nostra, continuiamo a batterci perché a Milano possano esistere e crescere gli spazi sociali, perché riteniamo che essi siano un sano antidoto contro la desertificazione culturale e sociale che tanto piace al Sindaco e al suo vice.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
 
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