Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
di lucmu (del 05/12/2006, in Casa, linkato 1158 volte)
Oggi il Consiglio Regionale ha approvato a maggioranza, con il voto contrario di Rifondazione Comunista, il Programma regionale per l’edilizia residenziale pubblica (Prerp) 2007-2009.
Avvio della ritirata del pubblico e apertura dell’edilizia residenziale pubblica sia ai criteri di gestione privatistici che direttamente al privato. Sembra essere questo il messaggio di fondo del centrodestra lombardo con l’approvazione del Prerp 2007-2009, che comporta un taglio secco delle risorse per le case popolari.
I numeri parlano chiaro. Il programma triennale precedente disponeva di quasi 1.200 milioni di euro complessivi, mentre ora si stanziano appena 512 milioni, comprensivi peraltro dei fondi statali. Una riduzione che colpisce quasi esclusivamente gli investimenti per la realizzazione e la riqualificazione degli alloggi, investimenti che scendono così dagli 810 milioni di prima ai miseri 233 di oggi.
Ci pare davvero incredibile che tutto questo possa avvenire esattamente nel momento in cui si sta marciando diritto verso una nuova emergenza abitativa, come rilevano tutti gli indicatori esistenti, nonché le segnalazioni dei sindacati inquilini e della stessa Anci Lombardia. Perché vi è una crescente insufficienza dell’offerta abitativa rispetto alla domanda, in particolare per quanto riguarda quella parte di edilizia destinata ai settori sociali più disagiati.
E non regge nemmeno la motivazione che non ci sarebbero i fondi. Beninteso, siamo consapevoli che c’è un problema di finanziamento dell’edilizia residenziale pubblica, ma poi basta spulciare velocemente il bilancio regionale per scoprire, per esempio, che per lo stesso periodo sono stati stanziati senza battere ciglio 470 milioni di euro per la nuova e superlativa sede amministrativa della Regione. No, non siamo di fronte a una semplice difficoltà oggettiva, bensì a una scelta politica ben precisa.
Scegliere la strada del ritiro dell’intervento pubblico è un grave errore politico che si ripercuoterà negativamente sulle fasce sociali più deboli. E così, ancora una volta, l’impeto privatizzatore di Formigoni ha la meglio sui bisogni sociali. Rifondazione Comunista si è opposta oggi e continuerà farlo, a partire dalla discussione del bilancio regionale, dove chiederemo nuovamente di destinare i fondi necessari alla realizzazione e riqualificazione delle case popolari.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui puoi scaricare l'Ordine del Giorno del Prc sulla partecipazione nei contratti di quartiere che è stato approvato oggi in aula
di lucmu (del 19/12/2006, in Casa, linkato 1061 volte)
Rifondazione Comunista esprime il suo pieno sostegno ai sindacati inquilini che oggi manifestano davanti al Consiglio Regionale, chiedendo che vengano destinati nuovi fondi all’edilizia residenziale pubblica.
Avevamo espresso voto contrario al Prerp 2007-2009 per le medesime ragioni che oggi portano i sindacati inquilini a scendere in piazza. Cioè, il taglio dei fondi per l’edilizia pubblica, che colpisce in maniera particolare e brutale gli investimenti per la realizzazione e la riqualificazione di alloggi popolari, ridotti di oltre il 70% rispetto al triennio precedente.
Tutti i dati disponibili, compresi quelli della stessa Regione ci segnalano che in Lombardia rischiamo un’emergenza abitativa, visto anche il crescente divario tra domanda e offerta di alloggi a canone accessibile. Eppure si taglia lo stesso, dicendo che non ci sono i soldi. E, allora, ci domandiamo come mai la Regione trovi soltanto 233 milioni per le case popolari di tutta la Lombardia, mentre per lo stesso periodo stanzi senza problemi mezzo miliardo di euro per la nuova e superlativa sede amministrativa voluta da Formigoni.
Come se non bastasse, poi a gennaio arriverà in Consiglio un progetto di legge della Giunta regionale che intende favorire la vendita di alloggi Erp attualmente non occupati. Un provvedimento che sembra fatto su misura per casi come quello milanese di piazzale Dateo e che comunque implicherà una riduzione ulteriore del patrimonio pubblico.
Riteniamo irresponsabile procedere sulla strada del ritiro del pubblico dalla questione abitativa. Per questo abbiamo presentato una serie di emendamenti al bilancio in discussione in Consiglio, al fine di aumentare gli stanziamenti per le case popolari. E se proprio non si trovano nuove risorse, allora si può fare anche qualche sacrificio, e rinunciare, per esempio, alla torre di vetro del presidente.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 18/01/2007, in Casa, linkato 1137 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 18 gennaio 2007 (pag. Milano)
“Dobbiamo ripensare se costruire le case popolari perché ai lombardi non servono”. Così parlò l’assessore regionale leghista, Boni, subito sostenuto dal suo collega padano Salvini. A sostegno di questa stupefacente tesi si citano autentiche falsità, come l’affermazione che l’80% delle case popolari lombarde sarebbero occupate da “abusivi o extracomunitari”, per poi finire con il consueto armamentario leghista sui soldi dei lombardi che verrebbero dati ai non lombardi. Beninteso, per essere considerati lombardi non basta vivere, lavorare e pagare le tasse in Lombardia, ma bisogna essere bianchi doc e comunque riuscire a dimostrare una prolungata residenza.
La solita boutade della Lega? In parte sì, perché è assai difficile immaginarsi una Regione Lombardia che blocchi veramente la costruzione di case popolari. Ma in parte no, perché viene enunciato un concetto che fornisce copertura ideologica ad un processo già in atto. Ebbene sì, perché proprio all’inizio di dicembre il Consiglio regionale ha approvato a maggioranza la riduzione del 75% dei fondi per la costruzione e riqualificazione di alloggi popolari per il prossimo quadriennio.
Che stiamo marciando verso una vera e propria emergenza casa lo dicono ormai tutti. Nella sola provincia di Milano si stima un fabbisogno di 100-140mila alloggi per i prossimi dieci anni, il mercato privato è sempre più inaccessibile per i redditi medio-bassi e, come se non bastasse, nel capoluogo la percentuale di abitazioni tenute vuote, spesso per motivi speculativi, raggiunge ormai l’8%. Insomma, al significativo aumento della domanda sociale di alloggi a basso costo, corrisponde una politica di riduzione tendenziale dell’offerta di case popolari, per non parlare della sempre più spinta introduzione di criteri privatistici nella gestione dell’edilizia residenziale pubblica.
In questa contraddizione sta la ragione di provvedimenti regionali come quello dell’obbligo di almeno cinque anni di residenza per poter accedere alle graduatorie, peraltro già bocciato dal Tar. E sta qui la ragione degli odierni proclami leghisti. Si tratta molto più banalmente –e cinicamente- di nascondere la verità e di accreditare la favola nera secondo la quale non ci sarebbero case popolari per i “lombardi”, perché a portargliele via ci sono gli “extracomunitari” e i “delinquenti”, che poi sarebbero quasi sempre la stessa cosa. Insomma, una bella guerra tra i poveri per l’accesso alla casa, libertà di fare affari per le immobiliari e, soprattutto, nessuno che chiami in causa le responsabilità del potere politico.
Non occorre essere dei geni per capire che discorsi e atti istituzionali del genere, oltre ad essere disgustosi di per sé, sono di un’estrema pericolosità politica e sociale, specie se applicati in una regione dove vivono ormai quasi 900mila migranti e dove la mobilità, in ingresso e in uscita, è tradizionalmente elevata. Ecco perché conviene non snobbare le continue uscite leghiste, che saranno pure rozze e minoritarie, ma che in fondo non sono altro che degli apripista per una politica che appartiene a settori ben più ampi e potenti del centrodestra -e a volte anche oltre- e degli affaristi del mattone. Ed ecco perché a sinistra la questione abitativa, o meglio del diritto alla casa per tutti e tutte, andrebbe finalmente collocato tra le priorità.
di lucmu (del 04/07/2007, in Casa, linkato 1222 volte)
La proposta di riforma dei canoni di locazione nelle case popolari lombarde, approvata oggi dalla Giunta regionale, incontra la nostra totale contrarietà. Il provvedimento non soltanto è iniquo in sé, poiché comporterebbe un aumento generale dei livelli d’affitto, colpendo in maniera particolare le fasce economicamente più deboli, ma si inserisce in quella politica di smantellamento dell’edilizia residenziale pubblica che sembra ormai predominare in Lombardia.
Infatti, è dall’inizio della legislatura che il centrodestra lombardo persegue una controriforma strisciante di tutta la normativa in materia, difficilmente leggibile e comprensibile per un non addetto ai lavori, visto il metodo a spizzichi e bocconi adottato. E così, un giorno si approva il piano triennale regionale, un altro si incentiva la vendita degli alloggi popolari vuoti e un altro ancora, come ieri, si interviene sull’edilizia convenzionata. E non finirà nemmeno con il provvedimento sui canoni d’affitto delle case popolari, poiché altre modifiche sono già annunciate per il futuro, come quella sulla vendita degli alloggi occupati.
Per capire meglio di cosa stiamo parlando, i diversi pezzi del puzzle vanno messi in relazione tra di loro. Per esempio, prima di Natale il Consiglio regionale ha approvato a maggioranza il Programma regionale per l’edilizia residenziale pubblica (Prerp) 2007-2009 che ha imposto un taglio brutale, nell’ordine del 75%, dei fondi per la manutenzione e la costruzione di case popolari. Cioè, per dirla con i numeri, dagli 810 milioni di euro del triennio precedente, si è scesi ai 233 milioni di quello odierno. Tutto chiaro? Non si costruiscono più case popolari, né si riesce a finanziare una manutenzione decente, ma in cambio si incentivano le dismissioni, si aprono le porte alle immobiliari private e si aumentano i canoni d’affitto. E, manco a dirlo, degli sprechi e delle tante consulenze dell’Aler nessuno sembra voler parlare.
Insomma, proprio quando il problema dell’accesso alla casa per i ceti popolari si fa sempre più esplosivo, specie nelle aree metropolitane, la Giunta Formigoni punta sulla dismissione dell’intervento pubblico e sull’aumento dei canoni di locazione nelle case popolari. Una scelta politica che consideriamo altamente irresponsabile e socialmente insostenibile.
Per questo ci opporremo in Consiglio al provvedimento sui canoni e chiediamo di nuovo che si apra invece una discussione organica e comprensibile sulla politica generale per la casa in Lombardia, con l’obiettivo del rilancio e della riqualificazione dell’edilizia residenziale pubblica e non della fuga verso il privato.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 27/10/2007, in Casa, linkato 1103 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 27 ott. 2007 (pag. Milano)
Rifondazione Comunista esprime il suo completo sostegno alle rivendicazioni dei sindacati inquilini che oggi manifestano sotto la sede di Regione Lombardia, in vista della discussione in Consiglio, martedì prossimo, dell’ennesimo progetto di legge di riforma della normativa sulle case popolari lombarde.
Il provvedimento voluto dal centrodestra sta provocando una diffusa inquietudine, se non aperta rabbia, tra gli inquilini delle case popolari, specie delle aree metropolitane, poiché prevede un aumento generalizzato dei canoni d’affitto per fasce di popolazione già ora in notevoli difficoltà economiche. E, francamente, non reggono le proiezioni e le cifre comunicate dalla Giunta Formigoni, che tentano di minimizzare l’impatto dei rincari, perché si dimenticano sistematicamente che gli inquilini delle case popolari non pagano soltanto il canone, ma altresì le spese, comprese quelle di amministrazione, nella più totale assenza di trasparenza da parte degli enti gestori.
A rendere poi l’aumento degli affitti oltremodo odioso è il fatto che il centrodestra chiede agli inquilini, cioè ai più deboli, di sborsare più quattrini, mentre mancano qualsiasi iniziativa e norma rispetto all’Aler e ai gestori comunali, tese ad impegnarli alla trasparenza e alla riduzione dei diffusi sprechi. In altre parole, tutto il peso della tanto invocata “sostenibilità economica” del sistema andrebbe a gravare sulle spalle dei locatari, mentre gli enti gestori andranno avanti come prima e, anzi, potranno determinare unilateralmente la quantità di spese da scaricare sugli inquilini stessi.
Ma il provvedimento non si limita a una semplice operazione di cassa, da riversare appunto integralmente sugli affittuari, bensì intende realizzare un ulteriore passo verso lo smantellamento dell’edilizia residenziale pubblica. Infatti, è prevista anche la vendita del 20% delle case popolari lombarde, cioè 34mila alloggi sugli attuali 170mila. Se a questo aggiungiamo che, un anno fa, la Regione ha tagliato del 75% i fondi per la costruzione e la manutenzione di case popolari, i conti sono presto fatti: gli inquilini pagheranno canoni più alti, spesso insopportabili rispetto alla loro condizione economica, e in cambio non riceveranno un bel niente, mentre l’offerta pubblica di alloggi per far fronte all’emergenza abitativa tenderà a ridursi drasticamente negli anni a venire. Visto che già oggi soltanto il 4% dei cittadini in graduatoria riesce ad accedere effettivamente alla casa popolare, l’effetto sarebbe devastante.
Tutto ciò ci pare socialmente irresponsabile e moralmente insostenibile. Per questo esprimiamo la nostra vicinanza ai cittadini delle case popolari e la nostra netta opposizione al progetto della Giunta Formigoni, battendoci in Consiglio per delle modifiche sostanziali.
allegato articolo versione pdf
di lucmu (del 30/10/2007, in Casa, linkato 1176 volte)
L’ennesimo provvedimento sulle case popolari, oggi approvato a maggioranza dal Consiglio Regionale, rappresenta un ulteriore passo verso la dismissione di una politica attiva da parte della Lombardia sul problema della casa.
Infatti, ora potrà essere alienato il 20% del patrimonio pubblico, cioé 34mila alloggi su 170mila, di fronte a una situazione che già oggi riesce a soddisfare soltanto il 4% della domanda. E, soprattutto, si introducono nuovi criteri per la determinazione del canone d’affitto, a partire da quello del valore di mercato dell’immobile, con un conseguente aumento generalizzato dei canoni, anche oltre il 200%, che peserà principalmente sulle fasce più deboli e residenti negli edifici più vecchi e degradati. E a tutto questo vanno aggiunte le spese varie a carico degli inquilini, comprese quelle di amministrazione, che ammontano a 1.300-1.500 euro.
Insomma, i cittadini più svantaggiati dovranno sborsare più quattrini, che spesso nemmeno hanno, e in cambio non riceveranno nulla. Anzi, agli enti gestori, Aler e comunali, non viene imposto nemmeno qualche obbligo serio per quanto riguarda la trasparenza e il risparmio, mentre difficilmente ci saranno fondi significativi per le manutenzioni, visto che si tratterà anzitutto di tappare i buchi causati dai drastici tagli - del 75% - attuati dalla Regione un anno fa.
Nonostante la maggioranza abbia infine accolto 8 emendamenti di Rifondazione (sui 39 complessivi), che, per esempio, impongono qualche consultazione con le organizzazioni sindacali degli inquilini e allargano la vigenza del canone sociale anche a stabili di proprietà pubblica finora non considerati (legge 25/80, leggi speciali ecc.), l’impianto di fondo della legge non cambia. Rimane integra la sua natura di semplice e miope operazione di cassa, da scaricare integralmente sulle spalle dei locatari. E rimane dunque confermato anche il nostro giudizio che si tratti di una riforma iniqua, immorale e inefficace.
Per questi motivi, oggi in Consiglio abbiamo espresso voto contrario e da domani appoggeremo le mobilitazioni delle organizzazioni sindacali degli inquilini, che immancabilmente si produrranno in vista dell’applicazione di questa legge sbagliata.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui puoi scaricare gli 8 emendamenti -firmati da Muhlbauer, Agostinelli, Squassina O. (Prc), Monguzzi (Verdi), Storti (PdCI), Squassina A. e Cipriano (Sd)- approvati.
di lucmu (del 21/12/2007, in Casa, linkato 1369 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 20 (pag. Milano) e su Liberazione del 21 dic. 2007
Un anziano prete si inerpica, candela in mano, sulle scale buie di un palazzo privo di elettricità e riscaldamento per accompagnare a casa i bambini che frequentano il suo oratorio. Succede da un po’ di tempo, non in qualche megalopoli del sud del mondo, ma nella moderna e europea Milano, capitale della moda eccetera, eccetera.
Il sacerdote si chiama don Piero e lo stabile in questione è una vecchia conoscenza delle cronache meneghine, cioè l’ex residence di via Cavezzali 11. Vi ricordate? Una lunga storia di abbandono, degrado e speculazioni immobiliari, con tutto il suo corollario delinquenziale. Nel febbraio del 2006 un vigilante privato vi uccise un cittadino marocchino, Abdel Khalek Nakab. Una morte liquidata in seguito come “accidentale”, anche se sarebbe più appropriato il termine “annunciata”, poiché era ormai prassi comune per le proprietà riscuotere gli affitti arretrati con le minacce e le violenze. Più avanti sono arrivati gli sgomberi e le operazioni di polizia, con l’obiettivo dichiarato di riportare la legalità eccetera. Ma, mentre la mano della legge è stata forte e visibile con l’ultimo anello della catena, le immobiliari e gli speculatori, veri responsabili della situazione, se la sono cavata con poco.
E così arriviamo al presente. Altri annunci di “ora cambia tutto”. Una nuova amministrazione che si insedia e i lavori di ristrutturazione che partono. Tuttavia, per quella vecchia vicenda del debito accumulato con l’Aem, oltre 100mila euro, perché gli amministratori di allora intascavano i soldi, alla fine di ottobre l’azienda energetica taglia luce e riscaldamento ai residenti.
Una situazione insostenibile, perché lì vivono intere famiglie, non solo estranee al problema del debito pregresso, ma assolutamente in regola con il pagamento dell’affitto e delle spese. E, quindi, il Prefetto e le autorità annunciano pubblicamente interventi per risolvere la questione, considerato altresì l’inverno alle porte.
Eppure, sono passati quasi due mesi da quel giorno e oggi le famiglie continuano a stare al buio e devono riscaldarsi con mezzi di fortuna.
Dove sono finite le promesse e gli impegni? Il Comune e il suo Sindaco, così pronti a riempire i loro comunicati stampa di parole come “sicurezza” e “attenzione ai quartieri popolari”, cosa fanno? Insomma, siamo alle solite, passate le bufere mediatiche e fatte le dichiarazioni incendiarie, tutto torna come prima, cioè all’abbandono, anticamera del degrado.
Chiediamo quindi alle istituzioni di intervenire con urgenza per ripristinare le condizioni minime di vivibilità nello stabile di via Cavezzali 11. Si faccia subito, prima delle feste, consentendo a quelle famiglie di passare almeno il Natale in santa pace.
di lucmu (del 12/02/2008, in Casa, linkato 1005 volte)
Rifondazione ha presentato oggi un’interrogazione urgente all’Assessore Scotti per sapere quando gli inquilini delle case popolari dovranno iniziare a pagare gli aumenti del canone, introdotti dalla legge regionale n. 27/2007, voluta e approvata dalla maggioranza di centrodestra.
Beninteso, noi continuiamo a batterci perché questi aumenti spropositati vengano sospesi e sosteniamo le richieste dei sindacati inquilini in tal senso. Tuttavia, l’assenza di trasparenza, da parte degli enti gestori, Aler e Comuni, e dell’Assessorato circa la data di applicazione dei nuovi canoni, rischia di aggiungere al danno anche la beffa. Infatti, gli aumenti decorrono dal 1° gennaio 2008 e quando verranno effettivamente applicati, gli inquilini saranno chiamati a pagare anche gli arretrati.
Allo stato, quasi nessun ente gestore ha ancora applicato la nuova norma. L’Aler di Milano, per esempio, aveva deciso di rinviare l’applicazione al 1° aprile 2008. Una situazione di incertezza generale che lascia ampi margini ai soliti rumors, i quali non a caso parlano di ulteriori e non meglio specificati rinvii.
A tutto questo va aggiunto che non c’è nemmeno chiarezza rispetto all’ammontare effettivo degli aumenti, poiché le stime ottimistiche propagandate dalla Giunta regionale risalgono a molti mesi fa, cioè al periodo precedente l’aggiornamento dell’anagrafe dell’utenza e del patrimonio.
Riteniamo assolutamente necessario che l’Assessorato e gli enti gestori chiariscano immediatamente e pubblicamente cosa intendono fare. Non vorremmo che, invece di riaprire il confronto con le rappresentanze degli inquilini e riconsiderare gli aumenti, ci si limitasse semplicemente a una operazione di marketing politico, rinviando l’applicazione dell’impopolare e ingiusto provvedimento a una data successiva alle elezioni. Perché se così fosse, allora saremmo di fronte a un’inaccettabile presa per i fondelli di decine di migliaia di persone e famiglie.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui puoi scaricare il testo dell’interrogazione
di lucmu (del 20/02/2008, in Casa, linkato 1059 volte)
Rifondazione Comunista e le altre forze politiche della Sinistra sostengono e aderiscono alla mobilitazione dei sindacati inquilini Sicet e Unione Inquilini, che si terrà oggi pomeriggio alle ore 16.00 davanti alla sede dell’Aler di Milano.
In Consiglio regionale, insieme alle rappresentanze degli inquilini, ci eravamo battuti fino in fondo per contrastare lo scempio della legge regionale n. 27, approvata alla fine di ottobre dell’anno scorso, che rappresenta un ulteriore e pericoloso passo verso lo smantellamento dell’edilizia residenziale pubblica in Lombardia.
Infatti, si prevede non soltanto un sostanzioso e generalizzato aumento degli affitti nelle case popolari, senza che agli enti gestori venga imposto alcun obbligo rispetto ai diffusi sprechi, ma altresì la vendita del 20% del patrimonio pubblico regionale, cioè 34mila alloggi sui 170mila totali. Se a ciò aggiungiamo che alla fine del 2006 sono stati tagliati drasticamente, nell’ordine di 500 milioni di euro, i fondi triennali per la costruzione e manutenzione di case popolari, si capisce bene che l’obiettivo finale di Formigoni sia la fuoriuscita da ogni politica pubblica per la casa, degna di questo nome.
La legge regionale e i conseguenti aumenti degli affitti sono entrati in vigore il 1° gennaio 2008, ma gli enti gestori ne hanno già rinviato l'applicazione. E all’incertezza circa il momento in cui scatteranno concretamente, va sommata quella sull’entità effettiva degli aumenti, poiché le ottimistiche stime del governo regionale risalgono al periodo precedente l’aggiornamento dell’anagrafe dell’utenza e del patrimonio.
Insomma, al danno degli aumenti spropositati dei canoni si aggiunge pure la beffa dell’assenza di trasparenza e certezza. Per questo chiediamo ancora una volta che la Giunta Formigoni sospenda gli aumenti e riapra immediatamente il confronto con le rappresentanze degli inquilini.
In secondo luogo, ribadiamo la nostra totale contrarietà alla dismissione del patrimonio pubblico, perseguita con un’operazione politica a tenaglia, che da una parte taglia gli investimenti e dall’altra svende il patrimonio esistente.
Infine, non possiamo che esprimere la nostra viva preoccupazione circa il fatto che il Partito Democratico abbia imposto la rottura dell’unità sindacale degli inquilini e che sponsorizzi ormai apertamente la politica della dismissione di Formigoni, chiedendo persino un aumento del numero di alloggi pubblici da mettere in vendita.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 22/02/2008, in Casa, linkato 1507 volte)
E’ una brutta sentenza, quella della Corte costituzionale che respinge il ricorso contro la norma regolamentare lombarda, sui cinque anni di residenza necessari per poter fare anche semplicemente domanda di una casa popolare.
Ed è una sentenza preoccupante, perché potrebbe aprire la strada a una differenziazione regionalistica nella disciplina dell’accesso alle case popolari, seppellendo così il principio che l’edilizia residenziale pubblica debba rispondere anzitutto alla funzione sociale di garantire il diritto alla casa alle persone e alle famiglie economicamente e socialmente più svantaggiate.
Il criterio discriminatorio della residenza agisce in Lombardia a diversi livelli. Anzitutto, vi sono i cinque anni per poter fare domanda, ma poi gli anni di residenza continuano a fare punteggio anche in graduatoria. In altre parole, anche dopo 10 anni le condizioni economiche dei soggetti contano di meno degli anni di residenza.
Ora Formigoni e la Lega esultano, ma per la Lombardia c’è poco da gioire. La nostra regione concentra oltre un quarto dell’immigrazione totale a livello nazionale e l’area metropolitana di Milano è segnata da una grande mobilità in ingresso e in uscita, anche di cittadini italiani. Insomma, quella norma discriminatoria non serve per affrontare le questioni sociali, ma soltanto per nascondere il fatto che in Lombardia non si costruiscono più case popolari, perché si preferisce fare l’affare con i privati.
Infatti, attualmente soltanto il 5% di coloro che riescono ad accedere alle graduatorie ottengono poi anche l’assegnazione di una casa popolare. E allora, è molto più comodo indicare nello straniero il “nemico” da battere, piuttosto che assumersi pubblicamente le proprio responsabilità di fronte ai cittadini.
Esprimiamo tutto il nostro sostegno alle organizzazioni dei lavoratori e degli inquilini, promotori del ricorso, che continueranno la loro battaglia, forse anche a livello dell’Ue. A questo proposito giova ricordare che il Commissario europeo Frattini, soltanto due giorni fa, aveva risposto a un’interrogazione di europarlamentari italiani, affermando che “qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità per la concessione dell'accesso a benefici sociali, come ad esempio ad alloggi sociali” è in contrasto con le direttive europee.
Ma, appunto, i governanti della regione italiana che si vorrebbe la più europea di tutte, dimostrano ogni giorno di più il loro provincialismo e la loro miopia.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui puoi scaricare il testo completo dell’ordinanza della Corte Costituzionale
|