Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 6 aprile 2007 (pag. Milano)
Hanno iniziato i leghisti con le ronde anti-rom e oggi scendono in campo anche i primi post-fascisti di An, mentre scalpitano numerosi pure esponenti di Forza Italia. La Casa delle Libertà meneghina, visti l’avvicinarsi delle elezioni amministrative di maggio e i tanti fallimenti collezionati dalla Giunta Moratti, sposta il suo baricentro sempre più a destra, dove regna sovrana la demagogia xenofoba.
Demagogia e giochi sporchi, di questo si tratta. E per capirlo è sufficiente riepilogare la triste odissea della settantina di rom, di cui trenta bambini, sgomberati da via Ripamonti in autunno, senza che qualcuno avesse pensato a sistemazioni alternative. Così se ne era fatto carico il solito don Colmegna, prima che il Sindaco di Opera offrisse la sua disponibilità. Ma a questo punto, apriti cielo, e le stesse forze politiche, cioè Lega e An, che qui urlavano “fuori i rom da Milano”, passavano al pogrom prenatalizio di Opera. Tende della protezione civile incendiate e oltre un mese di presidio, insulti e minacce hanno alla fine portato alla cacciata dei rom, che così sono ritornati in città. Per loro si parla di Parco Lambro, in base a un accordo condiviso anche dalla Giunta Moratti, ma i soliti noti, cioè Lega e An, sono già pronti al replay.
Il gioco è scoperto, ma si fa sempre più pericoloso, poiché il precedente di Opera ha consegnato all’estrema destra la sensazione di impunità. E così le “passeggiate” ad uso e consumo di giornali e televisioni rischiano di trasformarsi in nuovi atti di violenza di stampo razzista. Rifondazione Comunista, ai tempi di Opera, aveva denunciato con forza l’accondiscendenza delle autorità preposte alla tutela dell’ordine pubblico. Forse ora lo stesso Prefetto Lombardi si accorge degli effetti perversi degli errori fatti in quella occasione. Ma non bastano più le dichiarazioni ai media ed è giunto il momento dei fatti, cioè di un messaggio chiaro e deciso contro questa folle corsa al nuovo squadrismo. I rom sono esseri umani come tutti quanti e quindi hanno il sacrosanto diritto di vedersi tutelate dalle autorità le loro libertà civili e la loro sicurezza personale.
Ci sarebbe piaciuto appellarci non al Prefetto, ma alla politica. Ci pare, tuttavia, che le involuzioni demagogiche di chi amministra Milano da oltre 15 anni non lascino molto spazio. Anzi, le baraccopoli e il degrado cresciuti in questo lungo periodo di malgoverno della città, alla fine sembrano fare comodo a taluni politici senza scrupoli. Meglio scaricare le proprie responsabilità sullo sfigato di turno, facendo finta di non sedere a Palazzo Marino. Oggi tocca ai rom, compresi i bambini. Domani chissà.
Il gruppo consiliare regionale di Rifondazione Comunista aderisce e sarà presente alla manifestazione convocata per domani a Milano dal “Comitato promotore contro la legge regionale n.6”.
Non avevamo votato la legge regionale n. 6/2006 un anno fa, perché la ritenevamo una legge speciale, per alcuni aspetti di dubbia legittimità costituzionale, orientata non tanto a regolamentare un settore commerciale, ma piuttosto a provocare la chiusura massiccia dei phone center. Peraltro, il dibattito politico e istituzionale era nato sotto la spinta della Lega Nord e di An, i quali sostenevano la necessità di una legge ad hoc perché individuavano nei phone center un “ luogo di aggregazione di immigrati ” e quindi di per sé meritevole di controlli e norme particolari.
Un anno dopo, le nostre obiezioni e posizioni hanno trovato conferma nella realtà. La legge regionale è semplicemente inapplicabile, se non al prezzo dell’eliminazione forzosa di un intero settore commerciale e con esso di un prezioso servizio per i lavoratori immigrati presenti nella nostra regione. Infatti, non soltanto il 90% dei quasi 2.700 phone center risultano non in regola con la nuova norma restrittiva, ma anche l’85% dei Comuni lombardi, compresa Milano, non ha adempiuto agli obblighi imposti dalla legge regionale. Lo stesso TAR della Lombardia, sezione di Brescia, accogliendo un ricorso dei gestori di phone center, ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale.
Di fronte a questa situazione, Rifondazione Comunista e tutta l’Unione avevano chiesto in Consiglio regionale il rinvio di un anno dell’entrata in vigore della legge, al fine di evitare il precipitare della situazione e di poter riesaminare con serenità il merito della legge, di concerto con gli enti locali e le associazioni di categoria. Una proposta di buon senso e di buon governo, ma ciononostante respinta dalla maggioranza formigoniana sotto il ricatto leghista.
Infine è stata gettata la maschera. Non si trattava e non si tratta di regolamentare un’attività commerciale, bensì di muovere guerra a dei luoghi, “colpevoli” di essere gestiti e frequentati anzitutto da cittadini immigrati. Un provvedimento insensato, immorale e intriso di demagogia razzista, che assesta un nuovo colpo alla convivenza nella regione che da sola concentra un quarto dell’immigrazione nazionale.
I consiglieri regionali di Rifondazione sostengono tutte le opposizioni alla legge xenofoba sui phone center e per questo domani saranno al fianco dei manifestanti. E rinnoviamo il nostro appello al buon senso e alla ragionevolezza, in primis al Comune di Milano, perché le istituzioni non si arrendano al razzismo della Lega Nord.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Stanno arrivando le prime segnalazioni di chiusure forzate di phone center in base alla legge regionale entrata in vigore oggi. Per ora si tratta di notizie frammentarie provenienti da fuori Milano. Ma cresce la preoccupazione anche in città, dove si trovano quasi 700 centri di telefonia fissa, poiché le dichiarazioni provenienti dal Comando della Polizia locale e dall’Assessore alle attività produttive di Milano, Maiolo, non fanno purtroppo sperare in bene.
Chiediamo ancora una volta un semplice atto di buon senso e buon governo. È inutile, e anche un po’ ipocrita, invocare il rispetto della legalità, quando il primo a non rispettare la legge regionale in questione è stato il Comune di Milano, insieme al restante 85% dei comuni lombardi.
Infatti, l’articolo 7 della legge regionale 6/2006 ha imposto ai Comuni di realizzare atti di governo del territorio al fine di individuare le aree dove i phone center possono essere aperti. In assenza di tali provvedimenti è vietata non solo l’apertura di nuovi centri, ma anche la rilocalizzazione di quelli esistenti. In altre parole, un phone center milanese che nell’ultimo anno avesse voluto adeguarsi alle norme restrittive delle legge e che per fare questo avesse dovuto spostarsi in una nuova sede, semplicemente non poteva farlo a causa delle inadempienze del Comune. E non si tratta di casi isolati, visto che il rispetto della normativa regionale comporta spesso l’impossibilità di mettersi in regola negli spazi attualmente occupati.
Prima di chiedere agli altri di adeguarsi alla legge, la pubblica amministrazione dovrebbe fare il primo passo, soprattutto quando le proprie inadempienze non vengono pagate in prima persona, ma da altri. Insomma, un Comune non rispetta la legge e a pagare il conto è il phone center che viene chiuso! C’è qualcosa di profondamente immorale in tutto questo.
Le intemperanze xenofobe di Salvini, in cerca di pubblicità in vista del 26 marzo, le comprendiamo, anche se le riteniamo aberranti. Ma auspichiamo vivamente che il sindaco Moratti e l’assessore Maiolo non vogliano seguire la sua strada e che si adoperino per fermare questo gioco al massacro, mettendo in campo la politica, il buon senso e la ragionevolezza.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
C’è davvero da chiedersi dove arriveremo di questo passo. L’Assessore regionale al Territorio, Boni, sembra essersi ormai completamente dimenticato delle sue funzioni e responsabilità istituzionali, per dedicarsi a tempo pieno alla campagna politica della Lega contro gli immigrati.
Infatti, l’emendamento alla legge regionale sul governo del territorio (l.r. n.12), annunciato oggi alla stampa, ma non ancora alla competente commissione consiliare, ha il palese e unico obiettivo di impedire ai cittadini di fede islamica di poter esercitare la libertà di culto. Anzi, cerca in maniera particolare di impedire la costruzione di un nuovo centro culturale in via Padova a Milano e lo spostamento della moschea di viale Jenner, che da anni tenta di trasferirsi in luogo più idoneo, senza però riuscirci a causa del veto degli amministratori milanesi.
Già un anno fa, in occasione di un’altra modifica della legge 12, l’assessore Boni aveva imposto una prima norma contro i luoghi di culto. Quella modifica e l’odierno emendamento sono palesemente illegittimi, in quanto violano i principi costituzionali in materia di libertà religiosa. E sono stati sempre l’assessore Boni e la Lega Nord a guidare la crociata per la chiusura massiccia dei phone center, che ha portato alla poco edificante seduta del Consiglio regionale di martedì scorso.
Evidentemente, la Lega Nord, in forte crisi di consenso nelle aree metropolitane, sta cercando di risalire la china, caratterizzandosi sempre di più come forza xenofoba. Una sorta di lepenismo in salsa padana, insomma. Tutto ciò è preoccupante in sé, ma diventa ancora più inaccettabile se la campagna di inciviltà e di odio viene condotta abusando con regolarità delle istituzioni e delle leggi.
Facciamo ancora una volta appello alla coscienza democratica e civile delle forze moderate del centrodestra lombardo perché pongano fine a questo scempio, che ormai sta superando ogni limite. Boni scelga se fare l’assessore o il Le Pen padano. Tutte e due le cose insieme non sono possibili.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Rifondazione Comunista, insieme a tutta l’Unione, aveva chiesto a Regione Lombardia di prorogare l’entrata in vigore della legge regionale sui phone center, prevista per il 22 marzo prossimo. Era una proposta di buon senso e di buon governo, ma la maggioranza di centrodestra si è compattata attorno all’estremismo xenofobo della Lega Nord, respingendo ogni ipotesi di proroga in sede di IV Commissione consiliare, nella giornata di ieri.
E’ di poche ore fa, invece, la notizia che il TAR di Brescia ha accolto il ricorso di un gestore di phone center, al quale era stata imposta la chiusura in base alla legge regionale. Secondo il tribunale, infatti, ci sono dubbi di legittimità costituzionale ‘nella parte in cui regola in modo dettagliato l'attività in questione imponendo ai centri... già operanti l'onere di adeguamento delle strutture in un termine non ulteriormente prorogabile’.
Questa sentenza dà ragione a quanti, noi compresi, da tempo sostengono che la legge regionale impone delle norme speciali e discriminatorie a un settore commerciale, soltanto perché gestito e frequentato prevalentemente da cittadini immigrati. Chiediamo dunque ancora una volta che la parte moderata del centrodestra regionale torni alla ragione, sottraendosi al ricatto dei razzisti della Lega Nord, il cui unico obiettivo è la chiusura massiccia dei phone center lombardi.
Martedì 13 marzo il Consiglio regionale affronterà definitivamente la questione della richiesta di proroga. C’è ancora tempo per modificare l’insana decisione presa ieri in Commissione. Noi ci impegneremo in tal senso, ma se il centrodestra lombardo dovesse confermarsi ostaggio della Lega, allora saremo pronti a sostenere tutti i ricorsi contro una normativa illegittima e discriminatoria.
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui sotto puoi scaricare la sentenza del TAR sezione di Brescia
Articolo di Luciano Muhlbauer e Osvaldo Squassina, pubblicato su il Manifesto del 21 febbraio 2007 (pag. Milano)
Oggi il Consiglio Regionale ha deciso di affrontare con urgenza la questione della proroga per l’entrata in vigore della legge regionale sui phone center (l.r. 3 marzo 2006, n.6), prevista per fine marzo. La competente commissione consiliare avvierà dunque la discussione entro e non oltre la prima settimana di marzo.
In Lombardia esistono quasi 3.000 phone center, di cui ben 700 si trovano a Milano. Ebbene, la grandissima maggioranza di loro rischia la chiusura immediata qualora tra un mese entrasse in vigore la legge.
Rifondazione Comunista non l’aveva votata un anno fa, perché riteniamo inaccettabile e illegittimo che vengano stabilite regole speciali per un determinato settore commerciale, semplicemente perché utilizzato da cittadini immigrati. Ma, come se non bastasse, quella legge si è dimostrata anche inapplicabile. Infatti, un phone center che volesse mettersi in regola con la legge dovrebbe, in buona parte dei casi, trovarsi una nuova sede, poiché non dappertutto si possono fare le opere edilizie richieste. Ma, e sta qui l’inghippo, l’articolo 7 vieta ogni ‘rilocalizzazione’ o nuova apertura fino all’adozione, da parte del comune di competenza, di una serie di atti specifici di Pgt. Ovviamente, gran parte dei comuni lombardi non l’ha fatto.
Oggi, non abbiamo preteso di ridiscutere la legge, ma semplicemente di compiere un atto di buon senso e di buon governo, evitando che i ritardi burocratici della pubblica amministrazione si scarichino sui cittadini più deboli, attraverso un’ondata di chiusure forzate.
Non è stato possibile far votare una proroga nell’odierna seduta, ma il fatto che la maggioranza abbia accettato di riaprire la discussione rappresenta un piccolo passo avanti che noi valutiamo positivamente.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberamente di gennaio-febbraio 2007
Porrajmos, è un termine poco conosciuto, anche a sinistra, che indica la persecuzione e lo sterminio delle popolazioni sinti, rom e camminanti attuato dal Terzo Reich. Nel campo di concentramento di Auschwitz esisteva una sezione specifica riservata a loro, lo Zigeuner Lager. Non si sa con esattezza quante fossero le vittime dell’olocausto zingaro, perché le ricerche storiche vi hanno dedicato pochissima attenzione, ma le stime vanno da un minimo di 500mila fino ad oltre un milione di uomini, donne e bambini.
Ci pare utile e necessario partire da questo promemoria, per ricordare che i rom e i sinti rappresentano una storica minoranza europea –e italiana-, così come storica è l’ostilità e la discriminazione che subiscono. Attualmente sono oltre 10 milioni i rom e sinti che vivono negli stati membri dell’UE. Insomma, non si tratta di “invasori” giunti dal nulla, anche se vengono trattati come se fossero un corpo estraneo, con l’aggiunta dell’accusa di essere intrinsecamente ladri e delinquenti. Dalle nostre parti probabilmente la pensa così la maggioranza dei cittadini, compresa buona parte degli elettori di sinistra.
Oggi nell’area milanese la situazione si è fatta critica, come ha evidenziato inequivocabilmente l’infamia di Opera, iniziata con il pogrom pre-natalizio e finita con la cacciata delle famiglie rom. A Opera si è definitivamente oltrepassata la soglia di allarme, poiché i razzisti della Lega e di An sono riusciti a coagulare consenso popolare, a imporre la loro volontà a un Prefetto inetto e, soprattutto, a portare a casa una vittoria. D’ora in poi, e non ci vuole molto per capirlo, tenteranno di replicare il modello ovunque.
Ma come si è potuti arrivare a questo punto? Certo, c’è un clima generale di ostilità verso il “diverso” e le destre lo cavalcano da tempo, amplificandolo. E il “nomade” è indubbiamente l’obiettivo più facile. Ma vi è anche una base materiale sulla quale si innestano le campagne no-rom, costituita da una prolungata negligenza da parte delle istituzioni e, soprattutto, dal predominio della filosofia del “campo nomadi”.
In fondo, il paradosso dovrebbe saltare agli occhi. Cioè, popolazioni che in larghissima parte e da tempo non praticano più il nomadismo vengono riunite in campi “di sosta” e “di transito”. Vari organismi dell’UE hanno ripetutamente denunciato questa pratica tutta italiana, sollecitando un deciso cambio di rotta. Citiamo qui soltanto l’ultimo richiamo europeo in ordine di tempo, quello dell’ECRI pubblicato il maggio scorso, che parla di “relegazione forzata di molti Rom e Sinti in campi nomadi” e raccomanda politiche che si pongano l’obiettivo “dell’eliminazione dei campi nomadi”.
Tuttavia, in Italia poco o nulla si è mosso finora. Negli anni Ottanta molte regioni adottarono leggi, ispirate alla “tutela delle popolazioni nomadi”, ma che contribuirono all’istituzionalizzazione dei campi. Anche la Lombardia ne ha una, ma non la applica, in base all’edificante principio del “neanche un soldo ai rom”. E così a Milano e in tutta la regione i comuni istituivano “campi”, ma senza le azioni positive e le risorse finanziarie della legge regionale.
Nel corso degli ultimi due decenni la situazione si è aggravata con l’arrivo di nuove popolazioni rom in fuga dal conflitto nell’ex-Jugoslavia e dalla situazione di miseria ed esclusione che vivono in Romania. A Milano e dintorni i campi esistenti sono cresciuti e un po’ ovunque sono sorti nuovi campi abusivi. Le istituzioni, in primis il comune capoluogo, sono rimaste sostanzialmente a guardare, limitandosi a qualche comunicato stampa di fuoco, uno sgombero qui e là e poi tutto avanti come prima. Il risultato di tale non politica, chiamata da taluni “tolleranza zero”, è sotto gli occhi di tutti: i cosiddetti “campi” altro non sono che dei ghetti e delle baraccopoli, dove predomina il degrado urbano e sociale.
La verità è che i “campi” e il degrado che li circonda sono figli di una politica sbagliata e non del cultura rom. In alcune regioni italiane, come in Toscana, se ne sono accorti e ora stanno sperimentando delle politiche alternative. In Lombardia, invece, non se ne può nemmeno parlare. Anzi, qualche dirigente milanese dei Ds ha addirittura sentito il bisogno di una pubblica autocritica del “buonismo” della sinistra. Come se a Milano ultimamente avesse governato la sinistra…
Opera ci dice che occorre reagire in fretta, anzitutto contro le ignobili e pericolose campagna d’odio di Lega e soci, ma soprattutto trovando il coraggio e la lungimiranza di definire una politica di fuoriuscita dalla logica dei “campi”.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 13 febbraio 2007
A Opera abbiamo perso. Ha perso la sinistra, la democrazia e la decenza. E ha vinto il razzismo della Lega Nord e dei gruppi neofascisti. Questa è la realtà e non nascondiamoci dietro giri di parole o rimozioni.
I settanta rom, di cui oltre 30 bambini, ospitati temporaneamente a Opera, periferia sud di Milano, se ne sono andati anzitempo e non torneranno più. La Casa della Carità, che gestiva la tendopoli, si è infine arresa, “stufa di subire l’ostilità, la violenza e l’arroganza di chi presidia il campo”.
Il generoso corteo per la democrazia e contro il razzismo che sabato scorso ha attraversato Opera è arrivato troppo tardi. Così come a nulla erano servite le ripetute richieste del sindaco, Ramazzotti, di sgomberare l’abusivo presidio anti-rom. Il Prefetto di Milano, Lombardi, uomo palesemente inadatto a coprire tale incarico, ha continuato a fare orecchie da mercante, come del resto faceva sin dal principio.
Il tutto era iniziato alla vigilia di Natale, quando un nutrito gruppo di cittadini operesi, guidato e incitato da esponenti della Lega e di An, aveva dato alle fiamme le tende della protezione civile, destinate ad ospitare fino alla fine di marzo le famiglie rom precedentemente sgomberati dalle baracche di via Ripamonti, nel comune di Milano. Nuove tende sono state poi rimontate e il 29 dicembre sono arrivati i rom, accolti da lanci di oggetti e cori razzisti. Un presidio permanente, successivamente attrezzato con un bar artigianale e bagni chimici, è stato montato all’ingresso del campo. Militanti della Lega, di An e di gruppi dell’estremismo neofascista milanese si sono incaricati a tenerlo in vita. Borghezio e suoi deliri sono diventati ospiti fissi.
Le famiglie rom, inclusi i bambini, subivano quotidianamente insulti, i volontari che si recavano al campo venivano minacciati e chiunque si permetteva di dissentire, compreso il parroco e l’arcivescovo, veniva apostrofato in malo modo. Nessuno è mai intervenuto contro gli istigatori e i responsabili del pogrom pre-natalizio, le denunce presentate alle autorità di pubblica sicurezza non hanno avuto seguito e le forze dell’ordine presenti al campo stavano a guardare.
La sconfitta di Opera pesa e peserà ben oltre Opera, poiché da oggi leghisti e neofascisti si sentiranno autorizzati a replicare il modello e c’è da aspettarsi che le tante campagne anti-rom, xenofobe, islamofobiche e securitarie, di cui è disseminato il territorio, ne escano rinvigorite.
Tuttavia, sarebbe un errore prendercela soltanto con l’inettitudine di Prefettura e Questura, perché a Opera i razzisti e i neofascisti hanno potuto vincere anche grazie al consenso attivo di centinaia di cittadini, mentre noi della sinistra, come un pugile suonato, ci abbiamo messo un mese e mezzo per articolare una prima risposta di piazza.
Le destre godono oggi di nuovi spazi, perché riescono a fornire a una società metropolitana attraversata da insicurezze, precarietà e degrado un nemico semplice, alla portata di tutti: il rom, l’islamico, il clandestino, l’abusivo e chi più ne ha, più ne metta. Sono le destre a governare questi territori da lunghi anni e ad aver abbandonato le tante periferie al loro destino, eppure sono sempre loro che ora organizzano molto malcontento. Paradossale, si direbbe, ma funziona lo stesso, perché la sinistra, in tutte le sue articolazioni, ha perso radicamento territoriale e sociale organizzato e fatica terribilmente a offrire risposte credibili al disagio, mentre sempre più “riformisti” cercano riparo nella subalternità.
La sconfitta di Opera è un campanello d’allarme molto serio. Guai a sottovalutarlo e proseguire come se niente fosse.
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 9 febbraio 2007 (pag. Milano)
Esprimiamo la nostra piena solidarietà con i cittadini e le cittadine di Opera (Mi), che hanno convocato per sabato prossimo una manifestazione per la democrazia e contro la violenza e l’intolleranza.
È passato più di un mese da quando sono state date alle fiamme le tende della protezione civile, destinate ad ospitare temporaneamente gli uomini, le donne e i bambini rom precedentemente sgomberati dalle baracche di via Ripamonti, nel comune di Milano. La gravità di quanto avvenuto alla vigilia di Natale, un vero e proprio pogrom, non poteva sfuggire a nessuno, eppure la reazione civile, politica e istituzionale è stata al di sotto di ogni necessità.
I responsabili e gli ispiratori del rogo di dicembre non sono stati chiamati a rispondere dei loro vili atti. La Prefettura di Milano ha omesso sistematicamente di intervenire contro quel “presidio” permanente anti-rom, nel frattempo attrezzato con bar e bagni chimici e tenuto in vita da esponenti della Lega, An e gruppi militanti neofascisti. Le minacce contro chiunque osasse manifestare dissenso rispetto all’isteria razzista si sono fatte quotidiane. A Opera oggi c’è paura.
E così non si tratta più di una questione operese e nemmeno della semplice “questione rom”. Oggi a Opera, l’incessante ed eterodiretta campagna razzista ha messo in seria discussione l’agibilità democratica.
Non è tollerabile che il Prefetto di Milano continui a guardare dall’altra parte, rifiutandosi di ristabilire la legalità e di tutelare le libertà civili e politiche di quei tanti cittadini operesi che sono stanchi delle scorribande leghiste e neofasciste. Accettare che a Opera si continui così, significa costruire i presupposti perché razzisti, neofascisti e violenti si sentano liberi di poter replicare il modello ovunque.
Ora alcuni cittadini di Opera hanno vinto la loro sacrosanta paura, hanno formato un comitato per la solidarietà e contro il razzismo e hanno deciso di reagire. Hanno tutto il nostro appoggio e come gruppo consiliare regionale di Rifondazione saremo presenti sabato mattina insieme a loro. E ci auguriamo che il Prefetto si assuma finalmente le sue responsabilità oppure che ne tragga le inevitabili conseguenze.
Articolo di Luciano Muhlbauer e Francesco Prina (cons. reg. Margherita), pubblicato su il Manifesto del 3 febbraio 2007 (pag. Milano)
Quello che accade fuori città, anche se a due passi, spesso non trova l’attenzione della stampa milanese. E così quasi nessuno si è curato di una vicenda che si trascina da qualche mese a Magenta e che ora rischia di trasformarsi in un poco edificante caso. Infatti, per domenica 4 febbraio la Lega Nord ha annunciato un presidio “contro la moschea abusiva”, con tanto di reclamizzata presenza dell’Assessore regionale al Territorio, Boni.
Ma riepiloghiamo i fatti. Tutto inizia con la decisione di un gruppo di operai immigrati di affittare regolarmente un capannone per svolgervi attività culturale e, occasionalmente, per pregare. Nulla di strano, ma quegli operai hanno il torto di essere musulmani e la Lega Nord non perde l’occasione per scatenare una sorta di crociata dal titolo “No alla moschea”, condita con la solita fraseologia islamofobica e razzista. Sul muro di cinta del capannone appare persino la scritta “Bossi vi ucciderà”.
Il Sindaco di Magenta, Del Gobbo, evidentemente preoccupato delle imminenti elezioni amministrative, decide di cavalcare la campagna leghista. Da allora è stato un susseguirsi di visite dei vigili urbani, i quali, regolamenti edilizi alla mano, hanno fatto piovere multa su multa. Siamo ormai arrivati a quota 23.
Ad opporsi alla campagna d’odio leghista c’è il Comitato Intercomunale per la Pace del magentino. Impegno civile evidentemente mal digerito dal centrodestra locale, che nella seduta del consiglio comunale del 31 gennaio scorso ha votato la fuoriuscita del Comune di Magenta dal Comitato. In realtà, una decisione senza effetto pratico, dal momento che la giunta Del Gobbo non ne aveva mai sostenuto alcun progetto. Ma si sa, la vendetta è vendetta.
E così arriviamo all’annunciato presidio di domenica. Sappiamo bene che le campagne elettorali comportano anche un innalzamento dei toni polemici, ma trasformare un tranquillo luogo di ritrovo in “moschea abusiva” e seminare odio tra la cittadinanza, con tanto di copertura politica di un assessorato regionale, ci pare superi ogni limite di decenza e sopportabilità.
Siamo certi che domenica nessuno raccoglierà la provocazione leghista, ma forse è ora che qualcuno si assuma qualche responsabilità. Ci riferiamo in particolare al Sindaco di Magenta e al Presidente Formigoni, i quali di accoglienza parlano spesso, salvo poi smentirsi sistematicamente nei fatti.
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