Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Venerdì 28 gennaio c’è lo sciopero generale dei metalmeccanici, proclamato dalla Fiom il 29 dicembre scorso, all’indomani dell’accordo separato di Mirafiori. Ci saranno manifestazioni regionali in tutta in Italia. In Lombardia, il corteo si terrà a Milano, con partenza alle ore 9.30 da Porta Venezia, per terminare in piazza Duomo, dove interverrà anche Maurizio Landini.
Ma venerdì in piazza non ci sarà soltanto la Fiom e neanche i soli metalmeccanici. Ahinoi, non è ancora lo sciopero generale e generalizzato che ci vorrebbe e che la Cgil –e tutte le sue categorie- non ha voluto e non intende tuttora promuovere, ma i metalmeccanici non saranno soli. Diversi soggetti, sindacali e di movimento, si sono infatti assunti la responsabilità di estendere e generalizzare la mobilitazione, perché di fronte a un attacco generale ci vuole una risposta generale.
 
Questa è in estrema sintesi la situazione (mi scuso in anticipo per eventuali dimenticanze):
 
Scioperi
Nella categoria dei metalmeccanici lo sciopero nazionale è stato proclamato anche da Usb e Cub. Lo Slai Cobas l’ha fatto in alcuni stabilimenti.
Inoltre, esistono specifiche proclamazioni di sciopero nei comparti Scuola e Università, da parte di Cobas Scuola e Cub (che ha proclamato lo sciopero anche tra i bancari).
Ma soprattutto ci sono le proclamazioni di sciopero generale di tutte le categorie (ad esclusione dei trasporti) di Confederazione Cobas, Usi-Ait e Cib-Unicobas (per maggiori dettagli, anche tecnici, rinviamo al nostro articolo del 13 gennaio scorso), che hanno dunque fornito la “copertura” necessaria affinché anche altre strutture sindacali e singoli  delegati o lavoratori potessero promuovere lo sciopero sul proprio posto di lavoro e/o territorio. Cosa che è avvenuta, anche a Milano, sebbene non siamo ovviamente in grado, data la frammentarietà della situazione, di poter fornire un quadro dettagliato.
 
Mobilitazione – la piazza milanese
La mobilitazione per la giornata del 28 va ben oltre i metalmeccanici, come aveva peraltro proposto la stessa Fiom sin dal 29 dicembre, coinvolgendo settori del sindacalismo di base (ovviamente, ci sono anche lavoratori e delegati della Cgil, ma nessuna categoria della Cgil ha invitato a scioperare!) e, soprattutto, dei movimenti (Uniti contro la crisi, studenti, centri sociali, associazioni, singoli cittadini).
Per quanto riguarda la piazza milanese, l’appuntamento principale, anche se non unico, è il corteo che partirà alle 9.30 da P.ta Venezia, per concludersi poi in piazza Duomo con un comizio finale, che prevede diversi interventi, compreso quello di Landini.
In P.ta Venezia ci saranno ovviamente gli operai della Fiom da tutta la Lombardia e ci sarà la maggioranza dei lavoratori del sindacalismo di base che domani scioperano (diversi luoghi di lavoro di Usb, Conf. Cobas, Slai Cobas, SiCobas), in buona parte presenti nello spezzone degli autoconvocati deciso nell’assemblea tenutasi al liceo Carducci il 25 gennaio, che al termine del comizio proseguirà fino a p.zza Santo Stefano. Ci saranno, inoltre, la Rete Studenti di Milano, San Precario, diversi centri sociali, gruppi di precari e insegnanti ecc.
Per completezza di informazione, vi segnaliamo altri due appuntamenti per la mattinata del 28 gennaio, convocati in luogo diverso dalla manifestazione di P.ta Venezia:
- la Cub organizza un presidio ad Arcore, davanti alla Villa S. Martino, a partire dalle ore 10.00;
- il Coordinamento dei Collettivi Studenteschi ha organizzato un corteo con appuntamento alle ore 9.30 in L.go Cairoli.
 
Ci vediamo in piazza domani!
 
Luciano Muhlbauer
 
 
di lucmu (del 25/01/2011, in Lavoro, linkato 1040 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale online Paneacqua il 25 gennaio 2011 con il titolo “L’Ilo smentisce Marchionne e Sacconi”.
 
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) ha pubblicato in questi giorni il suo rapporto annuale sulle tendenze globali dell’occupazione. Si tratta ovviamente di un’analisi dei grandi numeri e degli andamenti di fondo, ma ciononostante ci pare legittimo e utile confrontare alcune sue conclusioni con il discorso ed i postulati del modello Marchionne. In fondo, anche quest’ultimo pretende di essere generale e globale.
Ci riferiamo in modo particolare alla promessa, ben presente nella discussione attorno al referendum sull’accordo di Mirafiori, di miglioramenti salariali per gli operai. Infatti, anche i più decisi fautori del “sì” si rendevano conto che in ultima analisi non era sufficiente, soprattutto nel dibattito pubblico fuori dalla fabbrica, il ricorso al ricatto del mangiare la minestra o saltare la finestra, ma che occorreva anche offrire, o perlomeno evocare, qualche contropartita. E così, a Mirafiori e dappertutto, si cominciava a raccontare che la strada indicata da Marchionne non solo avrebbe garantito l’occupazione, ma altresì aumenti salariali.
I più spregiudicati sono stati, per ovvi motivi, i capi di Cisl e Uil, che hanno sostenuto addirittura che l’accordo separato di Mirafiori, firmato il 23 dicembre scorso, avrebbe garantito già di per sé un miglioramento salariale. Una balla bella e buona, che sta in piedi soltanto ricorrendo a qualche disinvolta acrobazia matematica. Infatti, basta far finta che la contrattazione aziendale di secondo livello e le relative voci salariali integrative, tipo i premi risultato, non siano mai esistiti ed aggiungere al conto invece la monetizzazione dei 10 minuti di pausa cancellati e l’aumento degli straordinari obbligatori e, guarda un po’, il gioco è fatto.
Non a caso, il Ministro Sacconi e lo stesso Marchionne sono più cauti sul punto, collocando i promessi aumenti salariali (o “partecipazioni agli utili”) nel futuro, quando gli impianti saranno pienamente sfruttati, la produttività sarà al massimo e, ovviamente, le automobili prodotte verranno vendute sul mercato.
Ancora più cauti sono taluni economisti non proprio maldisposti nei confronti delle tesi di Marchionne, come il prof. Paolo Manasse, che nel suo intervento su Lavoce.info sostiene che il piano Fiat porterà nel breve periodo ad una riduzione del salario reale (“dovuta al peggioramento della posizione contrattuale dei lavoratori”), ma poi nel medio periodo, in virtù dell’accresciuta produttività del lavoro, ci potrà essere un aumento del salario reale.
Insomma, tralasciando qui Bonanni, che ricorda piuttosto il famoso venditore di automobili usate dei telefilm americani, tutti stanno riesumando la promessa che fu del principale antenato dell’attuale crisi, cioè del neoliberismo rampante degli ’80: accettate i sacrifici oggi e domani sarete ricompensati. Sappiamo tutti com’è andata a finire.
O, per dirla in termini più scientifici, fate aumentare all’azienda la produttività del lavoro, mediante l’allungamento dell’orario di lavoro (il taglio delle pause, aumento delle ore straordinarie obbligatorie ecc.) e ritmi più intensi (la nuova metrica del lavoro Ergo-Uas), e domani guadagnerete come tedeschi.
Ma quanto è credibile questa promessa? A nostro modo di vedere, molto poco. E non lo diciamo in virtù dei precedenti poco edificanti in tema di promesse, ma guardando ad alcuni dati empirici e facendo un ragionamento.
I dati empirici ce li fornisce proprio il rapporto 2011 dell’Ilo, che disegna un quadro tutt’altro che rassicurante, poiché conferma che i segni di ripresa che alcuni indicatori macroeconomici, come il Pil, hanno mostrato su scala globale nel 2010, non si sono affatto tradotti in una ripresa analoga dell’occupazione, così come il ritorno della produttività del lavoro a valori positivi non si è tradotto in aumenti salariali. E questo vale soprattutto per le economie più sviluppate, come quelle europee.
Per dirla con le parole del rapporto Ilo: “il ritardo della ripresa del mercato del lavoro è dimostrata non soltanto dallo scarto fra crescita del prodotto e crescita dell’occupazione, ma anche dalla mancata corrispondenza, in numerosi paesi, fra gli aumenti di produttività e la crescita dei salari reali. Ciò può influire negativamente sulle future prospettive di ripresa a causa dei forti legami esistenti fra la crescita dei salari reali, i consumi e gli investimenti”.
Appunto. E c’è poco di cui meravigliarsi, aggiungiamo noi, poiché è assolutamente illusorio pensare che l’aumento della produttività del lavoro si traduca automaticamente, di per sé, in un vantaggio per il lavoratore, in termini salariali o di riduzione del tempo di lavoro. Perché questo accada, sul piano locale o globale, c’è infatti bisogno che i lavoratori possano organizzarsi, negoziare collettivamente e dunque contendere la destinazione del vantaggio.
In presenza di una polverizzazione estrema dei lavoratori in tante individualità solitarie, da un punto di vista negoziale, prevarrà ancora una volta e, anzi, in maniera più brutale rispetto al periodo pre-crisi la logica del livellamento al ribasso, tipica dell’era della globalizzazione.
Ed eccoci al punto vero, che i Sacconi e i Marchionne hanno sempre tenuto ben presente, anzi in primo piano. Per questo a Pomigliano e Mirafiori non si trattava di negoziare i ritmi, gli orari e la metrica, ma di eliminare il negoziato stesso. Per questo al Governo non interessa favorire una mediazione, ma piuttosto sconfiggere le organizzazioni sindacali indipendenti e tutte le leggi che in qualche modo tutelano il lavoratore, a partire dallo Statuto dei Lavoratori.
Ed ecco perché la resistenza della Fiom e dei sindacati di base non è un capriccio, né “estremismo conservatore”, bensì un punto di partenza necessario per poter guardare al futuro.
 
 
di lucmu (del 22/01/2011, in Lavoro, linkato 1094 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 22 gennaio 2011 con il titolo “Mirafiori, un no che pesa”.
 
Nella politica e nella vita esistono meteore e fatti costituenti. Pomigliano e Mirafiori appartengono indubbiamente alla seconda fattispecie. Con essi, molto semplicemente, è cambiato il quadro entro il quale dobbiamo ragionare, progettare ed agire.
Certo, per molti versi è piovuto sul bagnato, perché una moltitudine di lavoratori e lavoratrici, tra precarietà, outsourcing e polverizzazione dell’impresa, sta vivendo da molto tempo quanto Marchionne pretende oggi dagli operai. Ma, come insegnano i classici, ci sono dei momenti in cui l’accumulo di quantità si traduce in un salto di qualità e quanto sta avvenendo in Fiat rappresenta e incarna esattamente questo.
Mettere in discussione l’insieme dei diritti e delle libertà conquistati dai lavoratori negli anni ’60-’70, o persino quelli codificati nella Costituzione repubblicana, non in un qualche sottoscala di periferia, ma al centro, in un luogo simbolico e sfidando sulla pubblica piazza la più combattiva categoria sindacale, significa innescare una valanga che tende a travolgere e ridisegnare tutto.
Infatti, a soli sei mesi dal referendum di Pomigliano, la cosiddetta “eccezione” è sbarcata a Mirafiori e domani toccherà, come ha subito chiarito Marchionne, anche a Cassino e Melfi. Peraltro, nel frattempo l’accordo capestro è pure peggiorato, considerato che ora l’abolizione dell’elezione dei delegati sindacali e l’espulsione dalla fabbrica dei dissidenti, cioè di Fiom e sindacati di base, sono norma contrattuale.
L’operazione di Marchionne, inoltre, era fuoriuscita quasi subito dai confini Fiat, trasformandosi in richieste sempre più diffuse di derogare al contratto nazionale e sfociando il 29 settembre scorso in un apposito accordo nazionale tra i ligi Fim e Uilm e Federmeccanica. Ma non era che l’inizio.
E così, all’indomani del referendum-ricatto di Mirafiori, il Ministro Sacconi ha precisato che il contratto aziendale “non è tanto deroga al contratto nazionale, ma legittima uscita da esso”. Poi, il giorno dopo, Federmeccanica, in accordo con Confindustria, ha chiesto pubblicamente ai sindacati di introdurre il principio della “alternatività” tra contratto aziendale e nazionale.
In altre parole, la valanga sta travolgendo anche i contratti separati di chi, come Cisl e Uil, ha pensato di poter cavalcare la tigre. A meno che, ovviamente, Bonanni non fosse sin dall’inizio pienamente consenziente rispetto alla riduzione dei sindacati a semplici strutture di vigilanza dell’azienda. Ma in tal caso, dovrebbe spiegarlo ai suoi iscritti.
Insomma, siamo all’idea della tabula rasa. Niente più diritti e libertà sul luogo di lavoro e niente contrattazione collettiva, ma soltanto contratti individuali e comando esclusivo del padrone. Una concezione totalitaria dell’impresa, che non tollera rappresentanza autonoma del lavoro, conflitto e democrazia, e che gode del tifo militante del Governo Berlusconi, il quale si appresta a varare la revisione dello Statuto dei Lavoratori.
Con quella concezione non si può trattare o mediare. In gioco è il modello sociale - e non solo - per il dopo-crisi e, pertanto, il pareggio non è previsto. Così stanno le cose, altro che la lotta di classe non c’è più, e far finta di non capirlo è di una miopia tremenda.
Eppure, sebbene il fronte sociale e politico pro-referendum fosse talmente ampio e trasversale da sembrare invincibile, l’offensiva di Marchionne ha trovato una resistenza straordinaria e sorprendente proprio nei soggetti più ricattati, perché in cassa integrazione e minacciati di chiusura della fabbrica, cioè gli operai e le operaie di Pomigliano e Mirafiori. Anzi, nonostante la pistola puntata e una campagna mediatica senza precedenti, il “no” di Mirafiori è stato ancora più rumoroso di quello di Pomigliano.
Ed è stata quella resistenza operaia, con il suo carico di dignità e determinazione, ad aver cambiato a sua volta il quadro generale. Non solo ha rimesso al centro del dibattito politico il lavoro e la questione sociale, diradando per un attimo i fumi tossici del bunga bunga, ma ha anche provocato, anzitutto grazie all’azione limpida ed intelligente della Fiom, una convergenza di lotte e movimenti, a partire da quello degli studenti. Insomma, ha agito da centro di gravità, favorendo l’emergenza di un possibile fronte sociale alternativo.
Oggi e qui la possibilità di definire un modello, un percorso e una pratica alternativi passa necessariamente da lì. E, aggiungiamo, da lì passano anche le strade per rifare una sinistra politica all’altezza della situazione.
Per questo è importante e prezioso il seminario/meeting nazionale di “Uniti contro la crisi” che inizia oggi al Cso Rivolta di Marghera (Ve). Ma soprattutto è fondamentale e decisivo lavorare per la riuscita e la generalizzazione dello sciopero nazionale dei metalmeccanici del 28 gennaio, proclamato dalla Fiom, utilizzando a questo fine anche le proclamazioni di sciopero di tutte le categorie promosse dai sindacati di base.
 
 
Marchionne ha vinto, ma non ha stravinto e tanto meno convinto. Niente plebiscito, niente trionfi. Nonostante il referendum fosse un ricatto bello e buono (o fai come dico io oppure ti chiudo la fabbrica), nonostante il tifo per il sì di governo, mezza opposizione e buona parte del sistema mediatico e, infine, nonostante una partecipazione al voto massiccia, di oltre il 94% degli aventi diritto, il sì ha prevalso soltanto di misura, cioè con uno striminzito 54%, e grazie all’apporto determinante del voto degli impiegati.
Infatti, quel 54% andrebbe depurato dal voto degli impiegati, il cui seggio ha visto un’affermazione bulgara dei sì (421 sì, 20 no), anche in considerazione del fatto che a Mirafiori gli impiegati sono toccati soltanto marginalmente dalle “innovazioni” di Marchionne e, soprattutto, che svolgono spesso mansioni di capi.
Ebbene, senza quel plebiscito nel seggio degli impiegati, il sì non ce l’avrebbe fatta, come dimostrano i numeri: hanno votato 5.119 lavoratori (il 94,2% degli aventi diritto), i sì sono  stati 2.735 (54,05%), i no 2.325 (45,95%) e le schede bianche e nulle 59.
In particolare, il no ha vinto in tutti i quattro seggi del reparto montaggio (complessivamente 1.576 no e 1.382 sì) e in uno dei due seggi del reparto lastratura. In altre parole, il voto negativo è stato più forte proprio laddove l’intensità del lavoro è maggiore e dove l’accordo incide maggiormente sulle condizioni di lavoro.
Insomma, sette mesi dopo il primo referendum-ricatto di Pomigliano, quando i sì prevalsero con il 62%, anche in quel caso con il contributo decisivo del seggio di impiegati e capi, l’offensiva degli amerikani Marchionne ed Elkann sembra perdere vigore persuasivo, mentre continua invece in piedi la resistenza di quella Fiom -e dei sindacati di base presenti nel gruppo Fiat-, data per spacciata già tante volte, derisa dai “modernizzatori” del Pd, attaccata e insultata dai Sacconi e dai Bonanni e messa sul banco degli accusati persino nella stessa Cgil.
Con questo non vogliamo ovviamente cantare vittoria, che sarebbe una sciocchezza da apprendisti stregoni. La crisi picchia duro, la precarietà, la cassa integrazione e la disoccupazione sono in agguato dappertutto e il fronte di quelli che pensano che questo sia il momento per poter osare il tutto e subito, cioè la cancellazione dei diritti e delle libertà dei lavoratori e delle lavoratrici, è ampio, potente e trasversale.
Ma guardare alla realtà per quella che è, prendere atto che delle volte dire di no ai ricatti non è solo necessario e giusto, ma anche e soprattutto possibile, è un esercizio di sano realismo, che deve animarci a moltiplicare i nostri sforzi per generalizzare lo sciopero dei metalmeccanici del 28 gennaio.
Infatti, quella di Mirafiori è stata una battaglia fondamentale, che peralto ha pesato integralmente sulle spalle degli operai e delle operaie della Fiat di Mirafiori, ma in fondo, in un senso o nell’altro, non è che un inizio. Insomma, la strada è ancora lunga e faticosa, ma Pomigliano prima e Mirafiori ora ci dicono che possiamo e dobbiamo percorrerla.
 
Luciano Muhlbauer
 
Cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il testo integrale dell’accordo separato su Mirafiori, oggetto del referendum-ricatto del 13-14 gennaio e firmato il 23 dicembre scorso tra Fiat Group Automobiles S.p.A. e Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Associazione Capi e Quadri Fiat.
 

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Abbiamo già argomentato su questo blog la necessità di generalizzare lo sciopero dei metalmeccanici di venerdì 28 gennaio, proclamato dalla Fiom. E sicuramente lo faremo ancora, comunque vada il referendum-ricatto di Mirafiori di questi giorni. Ma per poter generalizzare lo sciopero ci vuole anche e anzitutto la possibilità materiale e giuridica di poter scioperare nelle altre categorie.
E, premetto subito, che questa possibilità c’è, sia nel settore privato, che in quello pubblico. Ma ecco il riepilogo della situazione ad oggi, perché tutti quelli e tutte quelle che vogliono partecipare anche individualmente allo sciopero (diritto peraltro previsto dalla Costituzione) e/o promuovere lo sciopero sul proprio posto di lavoro abbiano a disposizione almeno le informazioni essenziali.
 
Allo stato, risulta proclamato lo sciopero generale nazionale - cioè per tutte le categorie pubbliche e private - per l’intera giornata del 28 gennaio da parte della Confederazione Cobas e dell’Usi-Ait (vedi anche l’allegato).
Inoltre, per completezza di informazione, segnalo che esistono per il 28 anche delle specifiche proclamazioni di sciopero per il comparto Scuola (Cobas Scuola e Cub) e per il comparto Università (Cub), nonché delle proclamazioni territoriali (valide sempre per tutte le categorie sul territorio provinciale), come quella dell’Usb di Livorno.
Per quanto riguarda invece le varie categorie della Cgil, non risulta al momento indetto alcuno sciopero e, visti i tempi tecnici e procedurali necessari, specie nel pubblico impiego, è assai improbabile che questo scenario cambi.
Comunque, per essere aggiornati quasi in tempo reale sugli scioperi e per informarvi su eventuali interventi limitativi nei confronti degli scioperi proclamati -che ad oggi tuttavia non risultano-, per quanto riguarda i settori, gli enti e le aziende sottoposte alla regolamentazione di cui alla legge n. 146/2000, vi consiglio vivamente il sito della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (nell’elenco che troverete lì ci sono anche degli scioperi nelle ferrovie promossi dalle oo.ss. confederali, ma si tratta di coincidenze temporali e non c’entrano nulla con la generalizzazione dello sciopero della Fiom e delle sue motivazioni).
 
Da un punto di vista formale e giuridico, tutti i lavoratori e le lavoratrici dipendenti sono dunque “coperti” da proclamazioni di scioperi nelle categorie pubbliche e private. Tuttavia, attenzione, perché quest’affermazione generale va poi rapportata alla realtà concreta.
 
Quindi, eccovi alcune avvertenze e sottolineature:
 
- le proclamazioni di sciopero generale per il 28 gennaio prevedono l’esclusione delle aziende del trasporto locale e ferroviario. Questo è dovuto al fatto che la normativa in materia di limitazione del diritto di sciopero è particolarmente complessa ed incisiva nel settore trasporti. Quindi, i lavoratori di quei settori NON sono coperti dalle proclamazioni di sciopero già effettuate;
 
- se lavorate in un ente o in un’azienda dove ci sono dei servizi o attività classificate come servizi minimi essenziali, ai sensi della 146, informatevi prima sulle modalità dello sciopero;
 
- in tutti i comparti del pubblico impiego, fermo restando quanto detto sui servizi minimi essenziali, siete coperti anche individualmente dalle proclamazioni generali.
Tuttavia, anche qui, abbiate cura anzitutto che la vostra amministrazione sia a conoscenza delle proclamazioni (vedi allegato), cosa che dovrebbe in teoria essere, ma la realtà è a volte diversa, specie nelle realtà più piccole o periferiche.
E, in secondo luogo, laddove ci sono delegati sindacali o sindacati interni, anche diversi da quelli che hanno proclamato lo sciopero generale, che però sostengono lo sciopero del 28, è utile che questi facciano una comunicazione formale di adesione all’amministrazione, anche al fine di comunicare un’eventuale specifica articolazione dello sciopero. Questo è importante perché, ad esempio, la proclamazione nazionale dice “per l’intera giornata” e quindi l’amministrazione potrebbe trattenervi in busta paga 8 ore, anche nel caso che il vostro orario normale di venerdì è di sole 4 ore, come in diversi enti pubblici. E questa comunicazione sindacale interna va inviata alla direzione del personale 10 giorni prima dello sciopero, cioè entro lunedì 17 gennaio;
 
- come detto, lo sciopero generale copre tutte le categorie del privato, ma siccome la situazione è quella che è dal punto di vista dei diritti (in fondo con Marchionne piove un po’ sul bagnato) e la precarietà è ovunque, informatevi, verificate e, se avete qualche dubbio, contattate qualche delegato o sindacato di cui vi fidate e/o che ha proclamato lo sciopero per il 28.
 
Insomma, generalizzare lo sciopero si può, perché ci sono le proclamazioni e la copertura formale e giuridica. E lo possono fare anche i lavoratori, delegati o settori sindacali della Cgil che pensano davvero che la Fiom non vada lasciata da sola.
 
In allegato, cliccando sull’icona qui sotto, potete scaricare le proclamazioni dello sciopero generale della Confederazione Cobas e dell’Usi-Ait.
 
Ci vediamo il 28 gennaio!
 
Luciano Muhlbauer
 

Scarica Allegato
 
di lucmu (del 09/01/2011, in Lavoro, linkato 1205 volte)
E dopo l’Epifania, che tutte le feste le porta via, ricominciamo da dove abbiamo lasciato. Anzi, riprendiamo un po’ peggio, perché qualcuno, cioè Marchionne & C., non si è fermato nemmeno durante le feste, utilizzando le vigilie di natale e capodanno per proseguire sulla strada tracciata sin dal referendum-ricatto di Pomigliano e per firmare nel giro di una sola settimana gli accordi di Mirafiori (23 dicembre) e di Pomigliano (29 dicembre).
Voglio qui evitarci l’analisi dettagliata dei due contratti, perché in questi giorni se ne riescono a recuperare a volontà sulla stampa o nella rete, ma soprattutto perché è utile concentrarci su alcune considerazioni.
Primo, vi è una differenza, un salto di qualità tra l’accordo separato di Pomigliano del giugno scorso e i due accordi separati firmati ora. Quello di sei mesi fa contava poco più di 20 pagine e nella sua forma non si configurava come un contratto di lavoro, mentre gli accordi attuali, ben più corposi e dettagliati, si configurano invece come contratti di lavoro a tutti gli effetti, con l’aggravante che non derogano più al contratto nazionale, ma molto più banalmente lo disapplicano, lo sostituiscono e lo cancellano.
Secondo, per quanto riguarda gli effetti sulle condizioni di lavoro per gli operai e le operaie, sostanzialmente si conferma quanto già contenuto nell’accordo di Pomigliano di sei mesi fa, cioè ritmi intensificati, pause ancora più ridotte, aumento dell’orario di lavoro e dello straordinario obbligatorio, assenze per malattie non necessariamente retribuite ecc.
Terzo, in relazione ai diritti sindacali e democratici dei lavoratori, invece, si registra un’ulteriore e gravissima stretta, già presente allo stato embrionale nell’accordo di giugno, ma ora esplicitata e formalizzata, sia per Pomigliano, che per Mirafiori. Infatti, oltre a confermare l’incredibile principio che un lavoratore che sciopera può essere sanzionato, si è aggiunta addirittura l’abolizione tout court delle elezioni dei rappresentanti sindacali e l’espulsione dall’azienda di quei sindacati (leggi: Fiom e sindacati di base) che non firmano il contratto di Marchionne.
In altre parole, secondo quei due accordi (vedi accordo Mirafiori e accordo Pomigliano), gli operai non potranno più scegliere i loro “rappresentanti” mediante il voto, ma questi verranno nominati dalle organizzazioni sindacali scelti da Marchionne. Insomma, democrazia abolita e sindacato trasformato in guardiano del padrone. Né più, né meno.
Quarto, il fatto che siamo passati nel giro di soli sei mesi da Pomigliano a Mirafiori, cuore anche simbolico della Fiat in Italia, e che in questi giorni si sia scatenata una campagna mediatica e d’opinione senza precedenti a favore dell’approccio Marchionne-Bonanni-Governo, dimostra definitivamente che Pomigliano non era un’eccezione alla regola, ma l’inizio dell’assalto alle regole stesse. In Fiat, nelle relazioni sindacali di tutto il paese e nella legislazione del lavoro.
Beninteso, lo ribadiamo ancora una volta, non si tratta di un complotto, bensì di una convergenza di interessi, diversi tra di loro, attorno un obiettivo ritenuto capace di scardinare l’insieme di quel sistema di diritti e regole conquistato dai lavoratori nel passato recente.
Ebbene, stando così le cose, appaiono ancora più gravi i balbettii, se non le posizioni apertamente favorevoli ai progetti di Marchionne & C., che si registrano in diversi e non indifferenti settori dell’opposizione, a partire dal Pd e nella stessa Cgil.
Il 13 e il 14 gennaio prossimi gli operai e le operaie di Mirafiori voteranno nel referendum-ricatto imposto da Marchionne, il quale ha già fatto sapere che o votano come vuole lui oppure chiude la fabbrica. E, ovviamente, in omaggio allo spirito dell’accordo sottoposto a referendum, i lavoratori appena rientrati dall’ennesimo periodo di cassa integrazione non potranno fare neanche mezza assemblea prima del voto, giusto per informarsi e discutere con i colleghi. No, niente assemblee in fabbrica, sono cose inutili. Così hanno deciso Fim, Uilm e Fismic di comune accordo con la Fiat.
Insomma, un referendum che assomiglia maledettamente a una pistola puntata alla tempia e che non potrà certo essere nobilitato da “firme tecniche” ex post, come aveva chiesto Susanna Camusso.
Da parte mia, ritengo che attorno alla battaglia della Fiom, che è appunto questione generale, debba svilupparsi il massimo di convergenza di interessi nostra, cioè di quei movimenti e quelle forze sindacali e politiche che ritengono che l’uscita dalla crisi non stia nella svendita dei diritti e delle libertà di chi lavora.
E questo significa, anzitutto, mobilitarsi subito, non lasciare da soli gli operai e le operaie che non si vogliono far imbavagliare e, molto concretamente, lavorare sin da subito per la piena riuscita della giornata di mobilitazione del 28 gennaio prossimo, giorno per il quale la Fiom ha proclamato lo sciopero generale di otto ore dei metalmeccanici.
Ci saranno manifestazioni regionali in tutta Italia il 28 (in Lombardia a Milano) e c’è anche l’appello rivolto dalla Fiom a tutto lo schieramento del 16 ottobre scorso di esserci. I primi riscontri positivi ci sono già (sindacalismo di base, Uniti contro la crisi, appelli vari ecc.), ma il tempo è poco e l’avversario è potente.
Quindi, molto semplicemente, non stiamo a guardare e diamoci una mossa.
 
 
“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, su MilanoX n° xxiii del 3 dicembre 2010, la free press eretica in distribuzione a Milano.
 
Questa settimana non ci occupiamo di storie precarie o operaie, come siamo soliti, bensì di chi esercita la professione medica. Non siamo esperti in materia, beninteso, ma alcune cose importanti le sappiamo. Per esempio, che ogni medico, facendo un lavoro molto particolare e di grande responsabilità umana e sociale, deve fare un solenne giuramento, detto di Ippocrate, che rappresenta una sorta di elenco dei principi deontologici ed etici della professione.
E così, tra le altre cose, il medico giura “di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologica” e “di osservare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato”.
Detto in altre parole, se un medico assiste un cittadino immigrato, anche se non è in regola con il permesso di soggiorno e da lunghi giorni protesta in cima a una torre in via Imbonati, allora fa semplicemente il suo lavoro.
E se poi, dopo una notte di osservazione presso il pronto soccorso e dopo aver accertato che non vi erano più motivi per tenerlo ricoverato, non essendo peraltro in corso alcun provvedimento restrittivo da parte delle autorità di pubblica sicurezza, il medico dispone le dimissioni del cittadino immigrato, allora, ancora una volta, fa il suo mestiere.
Eppure, il dott. Andrea Crosignani, cioè il medico dell’ospedale San Paolo che ha fatto semplicemente il suo lavoro, si è trovato improvvisamente sbattuto in prima pagina, grazie a un comunicato stampa della Questura di Milano, che lo informava con questo curioso mezzo, che su di lui erano in corso indagini per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Un’accusa che non ha né capo, né coda, ma tant’è.
Bel posto questa Italia, dove chi spaccia le sue amichette per nipotine di Mubarak fa il capo del governo e chi, invece, fa bene il suo lavoro rischia un procedimento penale.
Da parte nostra, per quello che possiamo, rendiamo omaggio ai medici e ai paramedici che fanno il loro lavoro, da Gino Strada fino ad Andrea Crosignani.
 
 
“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, su MilanoX n° xxii del 26 novembre 2010, la free press eretica in distribuzione a Milano.
 
Del “collegato lavoro” avevamo già parlato in questa rubrica. Ora ci torniamo, perché la legge n. 183/2010 è entrata in vigore il 24 novembre.
E qui e ora non vogliamo parlare dell’intero minestrone di fregature, ma concentrarci invece sulla novità più micidiale, perché immediatamente operativa. Si trova all’articolo 32 e prende di mira i tempi di impugnazione dei contratti di lavoro precari (a termine, somministrato, interinale, a progetto ecc.).
Per capirci, fino all’entrata in vigore del “collegato”, un precario o una precaria poteva impugnare un contratto ritenuto illegittimo e quindi chiedere l’assunzione a tempo indeterminato o un risarcimento monetario anche molto tempo dopo la fine del rapporto di lavoro.
Ora, invece, tutto cambia e con una salto mortale giuridico la fine del periodo di lavoro temporaneo viene equiparata al licenziamento del lavoratore a tempo indeterminato. In altre parole, se vuoi impugnare il contratto precario, devi farlo entro 60 giorni dalla sua scadenza e poi procedere, entro altri 270 giorni, al deposito del ricorso in tribunale.
Ma la fregatura non finisce qui, perché questo principio non si applica soltanto al futuro, ma anche al passato. Cioè, se vuoi impugnare un contratto relativo a un periodo di lavoro antecedente il “collegato”, allora devi farlo entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, cioè entro il 23 gennaio 2011.
Infine, anche se alla fine riesci ad avere ragione in tribunale, l’eventuale risarcimento non sarà più proporzionale al danno subito, ma potrà arrivare al massimo a 12 mensilità di retribuzione.
Insomma, considerato che la grande maggioranza dei contratti precari presentano delle illegittimità e che di solito, per vari motivi, un precario non è molto tempestivo nell’impugnazione, questa norma equivale a un condono preventivo e permanente.
Conclusione? Se sei un precario e stavi pensando di impugnare un contratto, presente o passato, allora corri subito a uno sportello o da un’organizzazione sindacale (sicuramente Cub, Usb, Fiom, Cgil). E soprattutto, dillo anche ai tuoi conoscenti precari, perché non soltanto vogliono fregarti, ma pure senza dirtelo.
 
 
“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, su MilanoX n° xxi del 18 novembre 2010, la free press eretica in distribuzione a Milano.
 
Trent’anni fa all’Alfa Romeo di Arese lavoravano in 20mila, poi lo Stato cedette l’Alfa, quasi a gratis, alla Fiat, la quale avviò subito lo smantellamento dello stabilimento. Fu così che cominciò quella desertificazione produttiva, che fa oggi dell’area ex-Alfa uno dei più ambiti bocconi per la speculazione.
Ovviamente, le istituzioni si erano sempre riempite la bocca con i progetti di reindustrializzazione. Formigoni ne firmò uno in pompa magna nel 2005, alla vigilia di una delle sue numerose rielezioni, ma poi non se ne fece nulla. Anzi, nel 2010 Formigoni ha sostituito il vecchio piano con uno nuovo, dove le attività produttive spariscono, ma in cambio ci sono un centro commerciale, parcheggi per l’Expo e un po’ di edilizia residenziale.
Eppure, sul sito ex-Alfa c’è ancora chi lavora. Qualcuno per la Fiat, anche se la maggior parte è in cassa, ma anche per altre aziende insediatesi negli anni. In teoria, tutte le aziende presenti dovevano assumere anche operai ex-Alfa, ma questo avvenne soltanto in parte. Gli ex-alfisti sono invece tanti alla Innova Service, che ne impiega 70.
La Innova è un’azienda un po’ strana, o meglio, strano è che quella azienda avesse ottenuto certi appalti, come quello della vigilanza degli ingressi, visto che i suoi proprietari e dirigenti vengono regolarmente coinvolti in storie losche, compresa quella della cimice al Comune di Milano. “Azienda spionistica”, la chiamano infatti i suoi dipendenti, organizzati dallo SlaiCobas.
L’illegalità la fa da padrona anche nei rapporti di lavoro in quella strana azienda: truffe ai danni dell’Inps, il licenziamento di due delegati sindacali, poi reintegrati dal giudice, fino all’epilogo provvisorio di questi giorni: il licenziamento di 62 dipendenti.
Insomma, l’eliminazione di ogni residuo di lavoratore sindacalizzato dall’area sembra ormai la missione della Innova. Uno scandalo in sé, ma ciò che fa più specie è il silenzio di tomba di Regione, Provincia e Prefettura. Tutti sanno tutto sugli affari sporchi della Innova, eppure tutti tacciono sui licenziamenti. Forse perché fa comodo che non ci siano occhi ed orecchie aperti quando arriva la speculazione?
 
 
Sacconi non si ferma e con lui nemmeno il resto del centrodestra. Il governo e la coalizione sono in crisi, litigano e si fanno la guerra, ma quando si tratta di fare a pezzi i già malmessi diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, allora berlusconiani, finiani e leghisti sono tutti d’accordo. Anzi, su questo punto sono d’accordo pure pezzi importanti di quanti, in teoria, dovrebbero scatenare il finimondo, perché oppositori politici o sindacalisti.
E così, dopo soltanto qualche settimana dall’approvazione del collegato lavoro e mentre si sviluppa senza soste l’offensiva di Marchionne, Bonanni e Sacconi per far fuori con ogni mezzo la Fiom e piegare gli operai metalmeccanici, Sacconi ha formalizzato il progetto governativo di eliminare lo Statuto dei Lavoratori (cioè, quella legge che stabilisce, tra l’altro, il divieto di licenziamento senza giusta causa) e di sostituirlo con uno “Statuto dei Lavori”.
Infatti, giovedì scorso, 11 novembre, il Ministro del Lavoro e della Politiche Sociali, Maurizio Sacconi, ha mandato alle parti sociali una lettera, una relazione e una bozza di legge, intitolata “Delega al Governo per la predisposizione di uno Statuto dei lavori”.
In allegato potete scaricare in formato pdf la versione originale della lettera, della relazione e della bozza di legge delega.
Qui di seguito, invece, riportiamo soltanto il breve articolato della bozza di legge delega, composta da soli due articoli, che però parlano più che chiaro. O meglio, sono una sintesi del peggior pensiero padronale e liberista del nostro tempo, una sorta di Pomigliano per tutti, comprensiva di deroghe elevate al rango di legge e di privatizzazione degli ammortizzatori sociali.
Insomma, leggetevi la bozza e i testi allegati, perché questa volta, davvero, non occorre essere giuslavoristi o legislatori per capire quello che c’è scritto.
 
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Delega al Governo per la predisposizione di uno Statuto dei lavori
 
Articolo 1
Delega al Governo per la predisposizione di uno Statuto dei lavori
 
1. Al fine di incoraggiare una maggiore propensione ad assumere e un migliore adattamento tra le esigenze del lavoro e quelle della impresa, il Governo è delegato a emanare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni, anche di carattere innovativo, volte alla redazione di un testo unico della normativa in materia di lavoro denominato Statuto dei lavori.
 
2. La delega di cui al comma 1 deve essere esercitata in conformità agli obblighi derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro e nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
 
a)       razionalizzazione e semplificazione con l’obiettivo di ridurre almeno del 50 per cento la normativa vigente anche mediante abrogazione delle normative risalenti nel tempo, prevedendo un nuovo regime di sanzioni, in particolare di tipo premiale, che tengano conto della natura sostanziale o formale della violazione e favoriscano la immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita;
 
b)      identificazione di un nucleo di diritti universali e indisponibili, di rilevanza costituzionale e coerenti con la Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, applicabili a tutti i rapporti di lavoro dipendente e alle collaborazioni a progetto rese in regime di sostanziale monocommittenza;
 
c)       conseguente identificazione della rimanente area di tutele con possibilità per la contrattazione collettiva di una loro modulazione e promozione nei settori, nelle aziende e nei territori, anche in deroga alle norme di legge, valorizzando il ruolo e le funzioni degli organismi bilaterali. Nell’esercizio di questa capacità la contrattazione collettiva tiene conto, in particolare, dei seguenti indici:
 
·         andamento economico della impresa, del territorio o del settore di riferimento con particolare riguardo alle crisi aziendali e occupazionali, all’avvio di nuove attività, alla realizzazione di significativi investimenti e ai più generali obiettivi di incremento della competitività e di emersione del lavoro nero e irregolare;
·         caratteristiche e tipologia del datore di lavoro anche con riferimento a parametri dimensionali della impresa non legati al solo numero dei dipendenti;
·         caratteristiche del lavoratore con specifico riferimento alla anzianità continuativa di servizio, alla professionalità o alla appartenenza a gruppi svantaggiati;
·         modalità di esecuzione della attività lavorativa autonoma e coordinata con un solo committente, con particolare riferimento all’impegno temporale e al grado di autonomia del lavoratore;
·         finalità del contratto con riferimento alla valenza formativa o di inserimento al lavoro.
 
d)      riordino della regolazione delle tutele nel mercato del lavoro con riferimento ai servizi di orientamento e collocamento al lavoro e ad attività di formazione secondo percorsi per competenze in ambiente produttivo, certificabili negli esiti, coerenti con i fabbisogni professionali rilevati;
 
e)       estensione, su base volontaria od obbligatoria e mediante contribuzioni corrispondenti alle prestazioni, degli ammortizzatori sociali senza oneri aggiuntivi di finanza pubblica.
 
3. I principi e criteri direttivi di cui al comma 2 potranno essere integrati da un avviso comune reso al Governo dalle associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su scala nazionale entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
 
 
Articolo 2
Disposizioni concernenti l’esercizio della delega di cui all’articolo 1
 
1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, deliberati dal Consiglio dei Ministri e corredati da una apposita relazione sono trasmessi alle Camere, una volta sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori e prestatori di lavoro, per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti entro la scadenza del termine previsto per l’esercizio della relativa delega.
 
2. In caso di mancato rispetto del termine per la trasmissione, il Governo decade dall’esercizio della delega. Le competenti Commissioni parlamentari esprimono il parere entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Qualora il termine per l’espressione del parere decorra inutilmente, i decreti legislativi possono essere comunque adottati. Qualora il termine previsto per il parere delle Commissioni parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l’esercizio della delega o successivamente, quest’ultimo è prorogato di sessanta giorni.
 
3. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, il Governo può adottare eventuali disposizioni modificative e correttive, comprensive della possibilità di adottare un testo unico delle disposizioni in materia di lavoro, con le medesime modalità e nel rispetto dei medesimi criteri e princìpi direttivi.
 
cliccando sull’icona qui sotto, puoi scaricare la lettera di Sacconi, la relazione e la bozza di legge delega
 

Scarica Allegato
 
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