Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
La voglia di schedare e classificare etnicamente gli “zingari” è ormai un vero e proprio virus che sta infettando le istituzioni democratiche. Ora il Ministro Maroni l’ha fatto diventare legge e politica dello Stato, ma il quadro inquietante che emerge man mano che si scava nella realtà è che, almeno in Lombardia, quel virus agisce da tempo. Avevamo già denunciato che la Polizia municipale di Milano dispone di una sua autonoma schedatura etnica, risalente al periodo ottobre 2006 – dicembre 2007, e ora scopriamo che iniziative analoghe furono promosse un anno fa addirittura nelle scuole.
Infatti, come ha segnalato il blog del Circolo Pasolini di Pavia (http://circolopasolini.splinder.com), è sufficiente visitare il sito internet dell’Ufficio scolastico provinciale di Milano, cercare un po’ ed ecco che salta fuori la circolare n. 3058 dell’11 giugno 2007 che invitava i direttori scolastici di città e provincia a procedere a una “rilevazione alunni rom sinti”. A tal fine era stata fornita anche una “scheda rilevazione dati”, prodotta dall’Ufficio scolastico per la Lombardia, da compilarsi a cura del singolo istituto scolastico: una scheda per ogni alunno “nomade”.
Beninteso, che la scuola si preoccupi di monitorare il grado di apprendimento e di inserimento degli studenti ci pare assolutamente doveroso, specie in una regione come la Lombardia che da tempo registra un tasso di abbandoni scolastici superiore alla media nazionale e dove la crescente presenza di bambini provenienti da famiglie di immigrati richiede nuove e adeguate politiche.
Ma cosa c’entra questo con una schedatura rivolta esclusivamente agli alunni individuati come “nomadi”, che siano essi cittadini italiani o stranieri, che vivano in campi oppure in appartamenti? E che senso ha classificare i bambini per appartenenza a gruppi etnici? Difatti, la scheda relativa al singolo alunno prevede di rilevare informazioni come “Indicare se l’alunno è Nomade italiano o straniero”, “Gruppo nomade di appartenenza (Es. Sinti, Rom, Abruzzesi…)” e “Luogo di abitazione (Campo, Appartamento, …)”.
Insomma, la realtà che sta venendo a galla non è soltanto che la presunta necessità di “sapere chi sono”, invocata dal Ministro Maroni per legittimare la schedatura etnica di massa degli zingari, è una gigantesca menzogna per giustificare l’ingiustificabile, ma soprattutto che la cultura democratica e la legalità costituzionale stanno diventando un optional per troppe istituzioni pubbliche. E quando una cosa del genere può accadere persino nella scuola, allora vuol dire che le cose si stanno mettendo davvero male.
Oggi abbiamo presentato un’interpellanza al governo regionale in cui chiediamo che intervenga con urgenza, affinché questa banca dati etnica venga distrutta immediatamente. Non si può, infatti, un giorno rivendicare che la Regione possa gestire autonomamente persino la scuola e il giorno dopo fare finta di niente quando succedono fatti incredibili come quelli descritti sopra.
Ma soprattutto crediamo che sia necessario un grande moto di disobbedienza da parte del mondo della scuola per impedire che cose di questo tipo possano accadere di nuovo, anche se a chiederle sarà un Ministro.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
qui sotto puoi scaricare il testo dell’interpellanza, comprensivo della scheda rilevazione
 

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di lucmu (del 15/07/2008, in Movimenti, linkato 1197 volte)
Che strano Paese è il nostro, dove il processo contro 25 manifestanti per danni materiali elargisce ben 110 anni di carcere, mentre quello contro 45 agenti delle forze dell’ordine responsabili di violenze e abusi contro le persone si conclude con soli 24 anni di pena, che peraltro nessuno sconterà mai.
Sì, l’Italia è proprio uno strano posto, visto che ha un governo che accusa quotidianamente la magistratura di buonismo e di non tenere i delinquenti in carcere - escluso ovviamente il caso del suo capo e quelli riguardanti i suoi amici - ma che esulta di fronte alla notizia dell’impunità di fatto concessa ai responsabili delle violenze di Bolzaneto, anche se questa è dovuta essenzialmente alle prescrizioni, all’indulto e soprattutto a un codice penale che non riconosce il reato di tortura.
Possiamo girare e rigirare la sentenza del processo Bolzaneto come vogliamo e discutere ore e giorni sull’aggettivo più appropriato, ma alla fin fine rimane sul campo un'unica certezza: nonostante il tribunale abbia riconosciuto che a Bolzaneto sono successe cose che con lo stato di diritto non c’entrano un fico secco, nessun autore materiale pagherà e nessuno andrà a cercare i mandanti, quelli che hanno lasciato fare e quelli che hanno coperto.
Insomma, molto difficile parlare di giustizia. Tuttavia, sarebbe un errore scaricare tutta la responsabilità sui giudici genovesi, perché essi hanno lavorato non solo in solitudine, ma spesso anche in un clima di aperta ostilità politica e istituzionale. Ci riferiamo ovviamente ai governi di centrodestra, di ieri e di oggi, che non hanno mai nascosto la loro opinione, ma altresì a quello di centrosinistra che non era riuscito ad istituire la commissione d’inchiesta parlamentare e nemmeno a rimuovere uno dei principali responsabili dei fatti del G8 del 2001, cioè Gianni De Gennaro.
Oggi, come ieri, occorre la consapevolezza che non possiamo pretendere che sia la sola magistratura a consegnare al Paese verità e giustizia sulla brutale repressione di Genova, perché quello che successe allora fu la conseguenza diretta di una decisione politica presa ai massimi livelli. In altre parole, occorre che facciamo di nuovo sentire la nostra voce e la nostra partecipazione, a partire dalla più totale opposizione alla malsana idea di tenere un altro G8 l’anno prossimo, che sia alla Maddalena oppure in Lombardia.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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In Lombardia parlare di infrastrutture significa anzitutto parlare di autostrade. Per quelle i fondi, pubblici e privati, sono sempre abbondanti, mentre per il trasporto ferroviario locale le risorse sono sempre drammaticamente scarse. E soprattutto bisogna farle in fretta, anche a costo di sorvolare su dei “dettagli” come l’impatto ambientale o la partecipazione alle decisioni da parte delle comunità locali.
E così succede, come nel caso della Broni-Mortara, in provincia di Pavia, che prima si decide la VAS (Valutazione ambientale strategica) e poi non solo si consegna uno studio tecnico-scientifico, ma si pretende pure di procedere nell’iter senza dare ai Comuni e ai cittadini la possibilità di leggersi le 1.000 pagine dello studio e dunque di poter esprimere dei pareri.
Di conseguenza, a metà giugno 50 consiglieri di diversi consigli comunali del pavese hanno preso carta e penna e scritto alla Provincia di Pavia e alla Regione Lombardia per chiedere il rispetto della legalità, ripristinando le procedure della VAS e, quindi, congelando immediatamente la procedura di aggiudicazione della progettazione dell’opera.
Fino ad oggi l’Assessore regionale alle infrastrutture non ha ritenuto opportuno rispondere alcunché. Per questo oggi abbiamo presentato un’interpellanza, con la quale chiediamo, appunto, di bloccare temporaneamente la procedura e di garantire agli enti locali e ai cittadini il sacrosanto diritto di poter avanzare le proprie osservazioni.
L’interpellanza è stata firmata dai seguenti consiglieri regionali: Muhlbauer, Agostinelli e Squassina O. (Prc), Squassina A. e Cipriano (Sd), Monguzzi (Verdi).
 
qui sotto puoi scaricare il testo integrale dell’interpellanza
 

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Vi ricordate del sindaco di Rho, il ciellino Zucchetti? Cioè colui il quale il 27 maggio scorso era riuscito a ottenere lo sgombero forzato del centro sociale Sos Fornace? Ebbene, la Fornace non aveva mai fatto del male a nessuno, salvo criticare l’operato del sindaco e denunciare gli affari di Expo 2015. “Cuore Nero” invece fa del male, visto che si tratta di un’aggregazione neonazista, eppure per il sindaco Zucchetti il fatto che “Cuore Nero” abbia tenuto a Rho il un suo raduno precedentemente vietato a Milano non rappresenta alcun problema.
Ieri sera, anzi alle due di notte, il Consiglio comunale di Rho ne ha discusso e ci sono andati anche i ragazzi e le ragazze del centro sociale Sos Fornace, temporaneamente senza fissa dimora. Ecco di seguito il loro comunicato:
 
CUORE NERO, CONTESTATO ZUCCHETTI DURANTE IL CONSIGLIO COMUNALE

Ieri, nel corso del Consiglio comunale abbiamo contestato Zucchetti durante la discussione sul punto all'ordine del giorno relativo al raduno di "Cuore Nero" tenutosi a Rho il 13 e 14 giugno scorso, che è stato affrontato alle due di notte quando ormai molti dei cittadini residenti in via Molino Prepositurale erano già andati a casa, a riprova della "sensibilità" dell'Amministrazione sul tema in questione.
Mentre Zucchetti interveniva dichiarando: "per me che si chiami cuore nero o cuore di mamma è la stessa cosa" e ribadendo la propria estraneità al raduno, vietato in precedenza a Milano dalla Questura per motivi di ordine pubblico, abbiamo esposto all'interno della sala del Consiglio comunale due cuori, uno nero al cui interno c'era scritto "Cuore Nero" e disegnato un ritratto di Zucchetti intento a fare il saluto romano e uno rosso con su disegnato il simbolo della Fornace e sotto scritto "Cuore Vivo".
Il sindaco nel proprio intervento ha finto di ignorare il fatto che il terreno dove si è svolto il raduno era di proprietà di Sinopoli, famoso costruttore edile e sponsor del recente Rho Alive, preferendo enfatizzare l'aspetto tecnico legato a permessi ed autorizzazioni, ma ignorando totalmente l'aspetto politico sulla presenza di una realtà dichiaratamente neofascista sul territorio comunale.
Inoltre, durante i fischi di contestazione Zucchetti ha fatto sfoggio di un inutile vittimismo per eludere le proprie responsabilità politiche in merito a questo gravissimo fatto.
Ancora più grave è stata l'assenza di una presa di posizione pubblica da parte delle forze politiche della maggioranza e vedere che i pochi interventi fatti dai consiglieri erano diretti contro di noi per aver "osato" contestare il sindaco.
Ieri sera, il sindaco, la giunta e il consiglio comunale hanno toccato il punto più basso del proprio mandato per non aver preso una posizione di fronte a chi predica l'odio, il razzismo e il fascismo, infangando la memoria dei rhodensi che hanno partecipato alla Resistenza. Probabilmente se fosse per personaggi come loro a Rho avremmo ancora il podestà.
Per quanto ci riguarda, continueremo a portare avanti i valori della Resistenza e dell'antifascismo che sono il presupposto della nostra iniziativa politica rivolta a denunciare i problemi del territorio e i danni che questa amministrazione sta facendo alla città.
 
SOS FORNACE
INFO: 346 3989550
 
 
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Che senso ha vendere a investitori immobiliari privati un edificio di proprietà comunale, dichiarato ufficialmente “di interesse storico e artistico”, attualmente sede di ben cinque associazioni di diversa natura e situato in una delle tante periferie popolari milanesi, già povere di servizi, attenzione istituzionale e luoghi di socializzazione? Nessuno, ovviamente. Eppure, è esattamente quello che sta facendo il Comune di Milano con l’immobile conosciuto come “ex municipio di Crescenzago”, sito in via Adriano 2.
Peraltro, che la cosa non abbia alcun senso non lo pensano soltanto le cinque associazioni a rischio sfratto –Anpi Crescenzago, Corpo Musicale di Crescenzago, il Circolino, Cooperativa sociale di cultura popolare “Don Milani” e Legambiente Crescenzago- e gli oltre 3.000 cittadini che hanno finora firmato la loro petizione, ma altresì il Consiglio di Zona 2, che nel marzo scorso aveva richiesto all’unanimità al Comune “il blocco della dismissione dell’immobile, il conseguente stralcio dalla stessa delibera e il mantenimento dell’attuale uso alle associazioni locate”.
Ma nonostante tutte le proteste gli amministratori milanesi non hanno sentito nemmeno il bisogno di aprire un confronto. Sarà perché la vendita dell’immobile di via Adriano fa parte di un’operazione di alienazione del patrimonio pubblico ben più vasta, del valore di almeno 240 milioni di euro, e che fa gola a tanti. Cioè, è solo una delle tante proprietà comunali comprese nel “Piano di valorizzazione del patrimonio immobiliare del Comune di Milano”, approvato nell’ottobre scorso e dove per “valorizzazione” si intende, appunto, vendere ai privati. Tanto per capirci, si tratta di quel piano che prevede di vendere, per la gioia di De Corato, anche la sede provinciale dell’Anpi di via Mascagni.
E quindi, chi se ne frega se la zona di via Padova viene ulteriormente impoverita e altre cinque realtà associative rimangono per strada. Tanto, a via Padova ci penseranno le pattuglie dell’esercito e le ronde di alcune associazioni amiche della destra, lautamente retribuite dalle casse comunali.
Noi crediamo che fatti del genere la dicano lunga sulla malsana idea di città che alberga nelle teste degli amministratori milanesi. Ma pensiamo anche che bisogna cominciare -o ricominciare, se preferite- ad opporsi a questo andazzo.
Per questo cerchiamo di dare il nostro contributo anche in Regione e abbiamo presentato un’interpellanza urgente –a firma dei consiglieri Muhlbauer, Oriani, Agostinelli, Valmaggi, Squassina O., Squassina A., Fabrizio, Storti e Monguzzi- con la quale raccogliamo l’appello delle cinque associazioni, chiedendo formalmente al governo regionale di esercitare il suo diritto di prelazione, che scade il 22 luglio, garantendo così la proprietà pubblica e l’uso sociale dell’ex municipio di Crescenzago.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
qui sotto puoi scaricare il testo dell’interpellanza
 

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di lucmu (del 22/07/2008, in Politica, linkato 983 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 22 luglio 2008 (pag. Milano)
 
Il Presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, è un fiume in piena. Da una settimana ormai è impegnato in un tormentone mediatico dal leitmotiv “c’è un pezzo di Rifondazione che vuole destabilizzare la maggioranza in Provincia” (vedi Corsera del 20 giugno). E nel calderone polemico ci finisce un po’ di tutto, dalle dichiarazioni del sottoscritto e di Nicotra fino agli affari sulle aree ex-Falck di Sesto San Giovanni, con l’ovvia conseguenza che ogni persona che non sia laureata in provinciologia non riesce più a capire dove stia l’oggetto del contendere. Ma forse è proprio questo uno degli obiettivi del Presidente, vero maestro nell’arte del rovesciare la frittata.
Il tutto iniziò il lunedì di settimana scorsa con un comunicato stampa, poi pubblicato anche da il Manifesto, in cui Penati attaccò frontalmente Nicotra e il sottoscritto, rei di averlo criticato. Ma in realtà le nostre dichiarazioni non c’entravano poi granché, come si evince facilmente dal fatto che le parole incriminate di Nicotra risalivano a una settimana prima, mentre le mie erano assolutamente identiche a quelle pronunciate pubblicamente tante altre volte. No, l’obiettivo della polemica era un altro, sebbene non dichiarato, cioè il congresso provinciale di Rifondazione Comunista, conclusosi 24 ore prima dell’attacco di Penati, in cui era stato approvato a larghissima maggioranza un ordine del giorno che impegnava la federazione milanese ad aprire immediatamente una verifica in Provincia, al fine di valutare se sussistessero ancora le condizioni per poter andare avanti.
E allora è molto più comodo, ma anche molto più sbagliato, cercare di anticipare i tempi e di buttarla in rissa, evitando la politica. E così Penati fa tutto da solo. Lui apre la sua personalissima verifica mediatica, indica i nemici e poi addirittura pretende di chiuderla con un perentorio “oggi non ci sono le condizioni per una crisi in Provincia”, sparato dalle pagine del Corsera. Caro Presidente, così non va!
Il profondissimo disagio rispetto alla politica che persegue il Presidente della Provincia, specie da un anno a questa parte, non appartiene soltanto a qualche esponente di Rifondazione e nemmeno ai soli delegati del congresso, bensì a una parte significativa di suoi elettori. Sì, “suoi” elettori, perché quanti e quante alle ultime provinciali avevano votato un partito di sinistra avevano votato anche per Penati Presidente. Certo, chi con convinzione e chi con meno convinzione, ma comunque lo ha fatto, consapevole che fosse maledettamente importante avere un’amministrazione di centrosinistra in un territorio, quello milanese e lombardo, egemonizzato e governato da tempo dalle destre. E nessuno era pazzo e quindi nessuno pretendeva l’impossibile, ma un presidio democratico e una profonda diversità dalle amministrazioni di centrodestra, questo sì.
Ebbene, sappiamo tutti che la Provincia ha fatto molte cose buone e che molti assessori, non solo quelli di Rifondazione, beninteso, stanno svolgendo un lavoro egregio e meritorio, ma tutto questo finisce nell’ombra o nell’irrilevanza quando vi è una continua sovrapposizione di esternazioni e atti politici di segno diverso o persino opposto da parte della massima carica dell’amministrazione.
Ci pare che il Presidente Penati sia giunto a conclusioni politiche analoghe a quelle di Veltroni, cioè che bisogna rompere con la sinistra e dialogare con la destra. Infatti, di fronte al preoccupante risultato negativo raccolto in Lombardia dalle allora forze di governo nelle elezioni amministrative della primavera 2007 non fu aperta una riflessione sulla deludente azione di governo nazionale, bensì applicato il principio che occorre rincorrere le destre sul loro terreno. Non a caso, fu nel mese di giugno dell’anno scorso che iniziarono le esternazioni anti-rom del Presidente e che in consiglio provinciale fu votato un ordine del giorno bipartisan Ulivo-Centrodestra sulla sicurezza. E come sempre quando rincorri qualcuno, prima o poi cerchi di superarlo e così, di recente, siamo arrivati addirittura al grottesco, con l’ideona di multare i musulmani che pregano per strada.
Oppure potremmo parlare dell’Expo 2015, dove crediamo il ruolo della Provincia non debba e non possa essere semplicemente quello di sostenere Formigoni contro la Moratti, ma dovrebbe essere quello di contrastare la marea speculativa che sta per abbattersi sull’area metropolitana e di restituire a chi abita e lavora sul territorio la possibilità di partecipare e decidere.
Insomma, per non farla troppo lunga, il Presidente Penati sta applicando una linea politica e istituzionale che c’entra ben poco con quella che fu votata dagli elettori quattro anni fa e che prescinde completamente dalla composizione della coalizione che amministra la Provincia. E, cosa ancora più preoccupante in prospettiva, che ha comportato il venir meno di un argine politico e culturale nei confronti dello strapotere delle destre.
In altre parole, di materia politica da verificare ce n’è in abbondanza –e non da oggi, a dire il vero- e l’esito non è in alcun modo predeterminato, poiché l’unica certezza è che così non si può andare avanti.
 
P.S. da molto tempo diverse realtà di Sesto San Giovanni, dalla Rete dei Comitati fino al circolo locale del Prc, stanno denunciando le possibili speculazioni sulle aree ex-Falck e la troppa accondiscenza nei confronti degli interessi di Zunino. Siamo felici che ora anche il Presidente Penati se ne sia accorto, ma questo non c’entra con il nostro discorso, bensì con il dibattito interno al Pd.
 
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Ieri il Senato della Repubblica ha approvato in via definitiva la conversione in legge del decreto legge n. 92 del 23 maggio 2008 “recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”, comprensivo delle modifiche introdotte dal maxi-emendamento della Camera. Il testo approvato è dunque legge dello Stato.
Il decreto legge sulla sicurezza rappresenta tecnicamente un insieme di modifiche di diverse leggi (codice penale, codice di procedura penale, Testo unico sull’immigrazione n. 286/1998 e tante altre) e politicamente una stretta autoritaria e repressiva, specie in materia di immigrazione e diritti e libertà individuali.
Quindi, mentre continuano a mancare canali di ingresso regolare nel nostro paese, si passa a un salto di qualità nella criminalizzazione dell’immigrazione irregolare, di cui l’introduzione dell’aggravante della clandestinità costituisce l’esempio più nitido.
Tuttavia, la volontà di affrontare le questioni sociali anzitutto sul piano repressivo è presente in maniera più generale, come si evince dall’uso delle Forze Armate per compiti di controllo del territorio oppure dai nuovi poteri concessi ai Sindaci –e dunque alle polizie municipali- in materia di sicurezza urbana.
Infine, va sottolineato che il decreto rappresenta soltanto un primo passo, poiché sono in discussione al Parlamento ulteriori provvedimenti, tra cui segnaliamo quello che vuole aumentare il periodo di detenzione amministrativa nei Cpt –la cui denominazione cambia con il decreto in Cie- fino a 18 mesi consecutivi.
 
In allegato puoi scaricare il testo del decreto convertito in legge dal voto del Parlamento, nonché una breve guida alla lettura proposta dal Sole 24 Ore. Inoltre vi segnalo il commento di Fulvio Vassallo Paleologo, reperibile all’indirizzo http://www.meltingpot.org/articolo13102.html, pubblicato dal sito di Melting Pot Europa.
 

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di lucmu (del 29/07/2008, in Sicurezza, linkato 898 volte)
Il dispiegamento di 3.000 effettivi delle forze armate italiane per la vigilanza dei “siti sensibili” e dei centri di detenzione amministrativa per immigrati irregolari (Cie), nonché per il pattugliamento delle strade di 9 città, tra cui Milano, rappresenta uno sfregio alla democrazia.
È di gravità inaudita che in un Paese in pace, dove vige un sistema democratico e il numero di reati commessi è inferiore a quello delle principali metropoli europee, venga utilizzato l’esercito per funzioni di controllo del territorio. Non c’è alcuna giustificazione che regga e la sicurezza dei cittadini non c’entra un bel niente. Anzi, l’unico effetto concreto sarà quello di gonfiare ulteriormente la percezione di insicurezza.
E non è proprio il caso di minimizzare, poiché l’uso delle forze armate sul territorio nazionale si inserisce in un quadro più generale che non può che destare la più viva preoccupazione. Siamo infatti alla moltiplicazione dei soggetti pubblici e privati che si occupano di sicurezza e repressione. Alle tradizionali forze dell’ordine - Polizia, Carabinieri e GdF - peraltro colpite da significativi tagli di bilancio, si aggiungono così non solo l’esercito, ma anche delle polizie municipali sempre più militarizzate e simili a una sorta di Polizia del Sindaco, nonché le varie ronde private, sponsorizzate da politici e amministratori delle Destre e in maniera crescente anche da Sindaci del centrosinistra.
La nostra opposizione a questa schifezza non potrebbe essere più totale.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
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di lucmu (del 30/07/2008, in Sicurezza, linkato 993 volte)
Questa mattina si è riunito in Prefettura a Milano il Comitato provinciale per l'ordine pubblico per decidere la dislocazione dei militari in città. Si tratta complessivamente di 424 uomini, che arriveranno a Milano tra il 4 e l’11 agosto, di cui 174 presidieranno postazioni fisse, 80 sorveglieranno il Cie (ex Cpt) di via Corelli e 170 pattuglieranno le strade.
Non tutti gli aspetti dell’operazione sono stati chiariti dal Prefetto, ma quello che ad oggi si sa è quanto segue:
Vigilanza postazioni fisse. Si tratta di circa 20 punti considerati a rischio, ma soltanto una parte è stata resa nota, cioè il Duomo (sic!), diversi Consolati -Usa, Cina, Israele e Paesi mediorientali-, le sinagoghe e altri luoghi di culto. Le unità impegnate in questo compito saranno formate soltanto da militari, senza la presenza di agenti delle forze dell’ordine, e disporranno anche di armi automatiche (non è chiaro se questo vale anche per il Duomo).
Vigilanza Cie-Cpt di via Corelli. In questo caso non si sa quasi nulla di preciso per quanto riguarda le regole d’ingaggio e il tipo di armamento ammesso. Tuttavia, in questa sede pare opportuno rammentare il fatto simbolicamente significativo che ben 80 militari addestrati per missioni di guerra sorveglieranno una struttura detentiva che può ospitare al massimo 112 persone, rinchiusi unicamente perché non in regola con il permesso di soggiorno e non accusati di alcun reato.
Pattugliamento del territorio. Alla fine le zone cittadine interessate saranno 11, ma quelle rese note e pattugliate sin da lunedì 4 agosto sono Stazione Centrale, via Padova e Baggio. I militari saranno in servizio prevalentemente di sera e di notte, si muoveranno a piedi (così si vedono, come aveva specificato La Russa) in pattuglie miste comprendenti due soldati e un agente delle forze dell’ordine (polizia, carabinieri o finanzieri), potranno procedere ad arresti e saranno armati con armi corte.
Che dire? Buona fortuna milanesi!
 
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Qualcuno lo mormorava già settimane fa, ma ora le segnalazioni sono diventate davvero tante. Cioè, l’onorevole Gian Carlo Abelli, ex Assessore della Giunta regionale della Lombardia e uomo vicinissimo al Presidente Formigoni, continuerebbe ad avere a sua disposizione un automezzo con relativo autista dell’Amministrazione regionale per i suoi spostamenti a Milano, anche dopo le sue dimissioni da Assessore.
Se questa notizia dovesse corrispondere a verità, allora saremmo di fronte a un fatto di una certa gravità. Ecco perché oggi abbiamo presentato un’interrogazione.
In questi mesi si parla molto e di solito male della pubblica amministrazione. Anzi, si parla male soprattutto dei lavoratori del pubblico impiego, considerati in toto dei “fannulloni” e responsabili unici degli sprechi. E così, la mannaia del Ministro Brunetta si abbatte su quanti garantiscono, spesso in condizioni precarie e quasi sempre con stipendi miseri, il funzionamento dei servizi pubblici.
Ma nessuno sembra avere voglia di guardare davvero cosa succede nelle pubbliche amministrazioni, dove come in altri campi della vita il pesce inizia a puzzare dalla testa. In questo senso il privilegio di una macchina di rappresentanza con tanto di autista sarebbe più che eloquente.
Non vogliamo certo discutere le amicizie politiche del Presidente Formigoni, che sono affari suoi, ma l’istituzione Regione Lombardia e le sue risorse sono un affare di tutti e tutte. Quindi, qualcuno - e con urgenza - deve una spiegazione pubblica ed esaustiva.
 
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
qui sotto puoi scaricare il testo dell’interrogazione
 

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