Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
di lucmu (del 05/05/2011, in Lavoro, linkato 1061 volte)
Domani, venerdì 6 maggio, c’è lo sciopero generale proclamato dalla Cgil. Uno sciopero generale un po’ strano, perché accompagnato non dal clamore che un atto del genere dovrebbe suscitare, bensì da tanti silenzi, compresi quelli su molti luoghi di lavoro. Dall’altra parte, un po’ strano questo sciopero lo era sin dall’inizio, visto che la sua tempistica e modestia sono in palese contrasto con la drammaticità economica, sociale e politica del momento.
Insomma, stranezze che non fanno che ribadire quanto già conoscevamo. Cioè, la proclamazione dello sciopero da parte della confederazione non era dovuta tanto alla convinzione o alla determinazione, ma piuttosto all’esigenza di neutralizzare le spinte provenienti dalle categorie e dai settori più esposti all’offensiva padronale contro il contratto nazionale e i diritti, a partire ovviamente dalla Fiom.
Infatti, non è un caso che quei settori e quelle categorie avessero immediatamente esteso lo sciopero generale (che è di 4 ore soltanto) a tutta la giornata e che i settori sociali e di movimento più vicini alla battaglia dei metalmeccanici avessero chiamato alla generalizzazione dello sciopero.
Tuttavia, le stranezze, i silenzi e le contraddizioni pesano terribilmente e hanno già provocato i primi effetti negativi, contribuendo all’indebolimento e all’isolamento di chi sta in prima linea. E la vicenda del referendum truffa alla ex-Bertone di Grugliasco (TO), dove i delegati Rsu Fiom hanno dato indicazione di votare sì al ricatto di Marchionne ne è una dimostrazione lampante.
Penso sia né utile, né onesto lanciare scomuniche alla Fiom per il voto alla ex-Bertone, come qualcuno ha già iniziato a fare. Certo, la vicenda apre una fase difficile e complessa, non solo per la Fiom, ma per tutti gli operai metalmeccanici che stanno cercando di resistere ai ricatti padronali, e non dobbiamo nascondercelo. Ci sarà da discutere e da valutare, eccome, ma non ce la caveremo erigendoci a giudici delle scelte altrui, come se fossimo tifosi o spettatori e non, invece, parte in causa.
In altre parole, in solitudine nessuno va da nessuna parte e non si può pretendere che la Fiom, i sindacati di base e gli operai metalmeccanici facciano tutto da soli, magari pure la supplenza a una sinistra che non c’è. Diciamoci la verità, in quest’ultimo anno hanno resistito al più violento e insidioso degli attacchi, quello di Marchionne, spesso in solitudine e con la crisi che pesa sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici. Ed è questo il punto che dovrebbe interessarci e preoccuparci.
Quindi, discutiamo della Fiom, ci mancherebbe altro, ma soprattutto affrontiamo il problema, decisivo e determinante, della costruzione di quella forza, di quel movimento e di quello spazio sociale e politico imprescindibili per rompere l’isolamento e la solitudine. E questo riguarda non qualcuno in astratto, ma concretamente tutti e tutte noi, che stiamo nei sindacati di base, nella Cgil, nei partiti della sinistra e del centrosinistra o nei movimenti.
Luciano Muhlbauer
di lucmu (del 12/04/2011, in Lavoro, linkato 1252 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale online Paneacqua il 12 aprile 2011
Le elezioni delle Rappresentanze sindacali unitarie (Rsu) nella pubblica amministrazione si terranno il 5-7 marzo 2012. Lo stabilisce il protocollo firmato ieri pomeriggio dall’Aran, l’agenzia che rappresenta le pubbliche amministrazioni al tavolo negoziale nazionale, e le organizzazioni sindacali confederali e autonome (vedi allegato).
“Evviva!”, viene da esclamare, visto che le elezioni Rsu nel pubblico impiego si devono tenere ogni tre anni e che, dunque, i delegati attualmente in carica erano scaduti il 30 novembre dell’anno scorso. Era ora, certo, ma intanto passerà ancora un anno prima che i quasi 3 milioni di lavoratori e lavoratrici del pubblico possano esercitare uno dei loro più elementari diritti democratici.
Formalmente il rinvio delle elezioni e la conseguente proroga delle Rsu in carica era dovuto alla legge Brunetta, che prevede la riorganizzazione dei comparti contrattuali della P.A., riducendone il numero. La tesi era la seguente: prima si fanno i nuovi comparti e solo dopo i lavoratori potranno eleggere le Rsu. Tuttavia, essendo nella realtà quella riorganizzazione sostanzialmente ferma, la proroga delle Rsu scadute risultava di fatto sine die.
Tifosi particolarmente accalorati di quella tesi, a parte Brunetta e Sacconi, ovviamente, erano due organizzazioni sindacali: Cisl e Uil. Cioè, gli stessi che hanno firmato l’abolizione tout court delle elezioni Rsu negli stabilimenti Fiat di Mirafiori e Pomigliano, introducendo in loro vece l’edificante principio che gli unici delegati saranno quelli nominati da loro.
Insomma, più che di questioni “organizzative” si trattava di questioni politiche. In altre parole, i vertici di Cisl e Uil, impegnati come sono nella politica degli accordi separati e del sostegno al governo amico, non intendevano sottoporre a verifica democratica le loro scelte finché queste non fossero divenute fatti compiuti, temendo evidentemente il giudizio dei diretti interessati.
Ma poi qualcosa è andata storta. Non soltanto i sindacati di base e la Cgil erano attivamente ostili a questo furto di democrazia, ma due mesi fa era arrivato anche un parere del Consiglio di Stato, che ribadiva che la mancata definizione dei nuovi comparti contrattuali non giustificava la sospensione delle elezioni. O per dirla con le parole dei giudici amministrativi: “dopo il 30 novembre 2010 si riespande il diritto al rinnovo degli organi di rappresentanza sindacale”.
Ed eccoci al protocollo firmato ieri, che finalmente stabilisce una data certa per il rinnovo della rappresentanza sindacale per i lavoratori pubblici. Tuttavia, quella della data certa è anche l’unica notizia buona, considerato che le elezioni si terranno soltanto tra un anno e che questo tempo sarà utilizzato per accontentare Brunetta sui nuovi comparti contrattuali e, soprattutto, per riscrivere gli accordi del 1998 che regolano la rappresentanza sindacale nel pubblico impiego.
E questo ultimo elemento, alla luce dei tempi che corrono e delle numerose dispute interpretative degli anni passati, di solito provocate dalla pretesa degli apparati confederali di limitare i diritti e le libertà di delegati sindacali troppo indipendenti (e ci riferiamo non soltanto a quelli dei sindacati di base), solleva numerosi interrogativi e fondate preoccupazioni.
Insomma, è netta l’impressione che questo protocollo sia figlio di uno scambio tra la necessità di individuare una data per le elezioni e la volontà di blindare preventivamente le rappresentanze sindacali elette dai lavoratori.
Ovviamente, speriamo di sbagliarci, ma il fatto che le categorie del pubblico impiego della Cgil, fino a ieri sul piede di guerra, abbiano accettato nella massima tranquillità una dilatazione dei tempi fino al 2012, non fa ben sperare. In altre parole, segniamoci sull’agenda le date del 5-7 marzo 2012, ma le condizioni per guardare con serenità all’anno prossimo non ci sono proprio. Anzi, occorre vigilare ed agire da subito, per non ritrovarci domani con una democrazia sindacale mutilata.
E, beninteso, questa avvertenza non vale semplicemente per gli attivisti sindacali del sindacalismo di base, ma anche -e forse soprattutto- per quanti in Cgil pensano che il superamento della contrattazione separata non si faccia comprimendo lo spazio democratico dei lavoratori e delle lavoratrici e, in ultima analisi, convergendo sulla linea della Cisl.
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il testo del Protocollo sul rinnovo delle Rsu firmato il 11.04.2011
di lucmu (del 07/04/2011, in Lavoro, linkato 1461 volte)
“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, sulla free press eretica MilanoX, n° xxix del 7 aprile 2011.
Quando in una categoria le adesioni agli scioperi crescono velocemente, a prescindere dalle sigle sindacali che li proclamano e nonostante i tempi di crisi e di portafogli magri, allora vuol dire che la misura è davvero colma. Ed è esattamente quello che ora sta accadendo nel trasporto pubblico locale.
Lo scorso venerdì, 1° aprile, a Milano ha scioperato l’80% degli autoferrotranvieri. Metro, tram e bus, quasi tutta l’Atm è rimasta ferma. Eppure non era la prima astensione dal lavoro in questo ancora giovane 2011, ma già la terza. E scioperare costa, perché quando scioperi non ti pagano.
Questa volta lo sciopero l’avevano proclamato le organizzazioni confederali e autonome, cioè Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl, Orsa, Fiasa-Cisal e Fast. Lo sciopero precedente, di venerdì 11 marzo, si era invece realizzato nel quadro dello sciopero nazionale di tutte le categorie, indetto dai sindacati di base Usb e Slai-Cobas, e aveva sorpreso stampa e Comune per l’alta adesione: le tre linee della metropolitana e oltre il 40% dei mezzi di superficie bloccati. E ci sono già le prossime date: lo sciopero generale della Cub del 15 aprile e quello della Cgil del 6 maggio.
Insomma, l’Atm assomiglia sempre di più a una pentola a pressione. Non siamo ancora al clima dell’inverno 2003-2004, quando gli autoferro si videro costretti a passare ai cosiddetti “sciopero selvaggi”, ma nella sostanza non siamo molto lontani.
Non a caso, una delle ragioni di fondo del malessere di macchinisti, tranvieri, autisti ed operai è identica a quella di sette anni fa, cioè il non rinnovo del contratto nazionale, scaduto ormai da oltre tre anni. Ma questa volta ci sono anche altri due elementi che aggravano la situazione. Primo, i draconiani tagli governativi dei fondi per il trasporto locale e, secondo, gli effetti devastanti dei contratti di ingresso. Questi ultimi, infatti, stabiliscono per i nuovi assunti degli stipendi più bassi rispetto a quelli dei “vecchi” dipendenti e provocano un divario di retribuzione, a parità di mansione, fino a 7mila euro all’anno.
Saranno ovviamente i lavoratori dell’Atm a decidere i prossimi passi, ma sta a noi non lasciarli soli e sostenerli, ognuno e ognuna per quello che può. Anche quando ci capiterà di rimanere appiedati di fronte alla stazione del metro chiuso.
di lucmu (del 31/03/2011, in Lavoro, linkato 1624 volte)
“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, sulla free press eretica MilanoX, n° xxviii del 31 marzo 2011.
Telecomunicazioni e Information technology sono termini che evocano la modernità e che solitamente indicano uno di quei settori economici su cui puntare per uscire dalla crisi. Altro che tutte quelle industrie “vecchie” e ad alta intensità di manodopera che vengono allegramente delocalizzate verso la Cina, la Romania o la Tunisia.
Eppure, guardando alla realtà del settore nell’area milanese, si fatica terribilmente a distinguere il nuovo dal vecchio. Infatti, anche qui prevalgono chiusure, delocalizzazioni, cassa integrazione e licenziamenti. Nokia Siemens Network, Competence-Jabil, Agile-Eutelia, Italtel, Alcatel, Linkra, Gruppo Compel, Siae Microelettronica ecc., tutti a rischio.
Volete un esempio? Eccovi quello dei lavoratori dello stabilimento ex-Siemens di Cassina de’ Pecchi. Nel marzo 2007 finiscono nella joint venture Nokia Siemens Networks, ma alla fine dell’anno vengono già ceduti alla transnazionale statunitense Jabil. Questa annuncia grandi progetti, ma nel 2010 cede gli stabilimenti di Cassina e quello di Marcianise (CE) al fondo di investimento Usa Marcatech, che darà vita alla newco Competence. A questo punto la storia si fa sempre più torbida e l’unica cosa certa è che Competence accumula in pochi mesi un debito stratosferico, finendo in stato di insolvenza. Ma alla vigilia della decisiva udienza in tribunale del 23 febbraio scorso, eccoci all’ennesimo colpo di scena: Jabil rientra nuovamente in possesso di Competence. Dunque, niente commissariamento e incertezza totale per i 350 lavoratori di Cassina e gli 850 dello stabilimento casertano.
Potremmo fare altri esempi ancora, ma la nota stonata sarebbe sempre la medesima: la passività delle istituzioni e l’assenza totale di una politica industriale degna di questo nome. E questo vale anche per i casi manifestamente delinquenziali, come l’affaire Agile-Eutelia.
Un mese fa, Formigoni ha annunciato alla stampa un miliardo di euro per “sferzare” l’economia, investire sulla banda larga e creare nuovi posti di lavoro. La realtà è però un’altra e lunedì scorso l’assessore alle attività produttive, il leghista Gibelli, quello della “legge Harlem”, ha persino sconvocato un incontro con la Fiom, perché tanto di Competence se ne occuperà il Ministero a Roma…
di lucmu (del 17/03/2011, in Lavoro, linkato 1283 volte)
“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, sulla free press eretica MilanoX, n° xxvi del 17 marzo 2011.
Ma che fine hanno fatto la crisi, le aziende che chiudono e la piaga della precarietà? Domanda più che lecita, visto che il lavoro è letteralmente sparito dalle prime pagine di giornali e tv e che anche il governo individua ben altre priorità per il paese, tipo la “riforma della giustizia”.
Ci piacerebbe rispondere “è arrivata la ripresa!”, ma purtroppo le cose non stanno così e quella omissione assomiglia piuttosto al famoso tappeto che serve per nascondere la polvere. E quindi, proviamo noi a darvi tre notizie degli ultimi giorni che difficilmente troverete in prima pagina.
Primo, dalle dichiarazioni dei redditi del 2010 emerge che in un solo anno sono spariti 200mila contribuenti tra 15 e 24 anni. Ormai, i giovani con meno di 25 anni rappresentano soltanto il 4,34% del totale dei contribuenti, ma in cambio gli under 30 sono protagonisti nell’apertura di partite Iva, con un secco +22,5% tra il 2009 e il 2010.
Secondo, un’indagine di Datagiovani sulle buste paga dei giovani al loro primo impiego ha evidenziato che lo stipendio medio di un neoassunto si è ridotto del 3% rispetto a un anno fa, attestandosi su 823 euro netti mensili. Ovviamente, alcune categorie si collocano sotto quella media, come le donne, gli “atipici”, i lavoratori del commercio e quelli del Sud, ma la dinamica è generale. Infatti, a Nord la media è più alta, cioè di 876 euro, ma è più accentuato anche il calo rispetto all’anno precedente, che arriva addirittura al -6%.
Terzo, nel mese di febbraio sono aumentate di nuovo le ore di cassa integrazione, in particolare quella in deroga (+23% rispetto a gennaio). L’aumento relativo è più forte al Sud, ma in termini assoluti è la Lombardia che usa più ore di cassa in deroga. E l’aumento della cassa in deroga, specie in settori come l’industria o l’edilizia, è un pessimo segnale, poiché indica la presenza di un numero significative di aziende all’ultima spiaggia.
Morale? La crisi c’è e picchia duro dappertutto, ma colpisce in particolare e massicciamente i giovani, in termini di occupazione, reddito e precarietà. Forse sta qui la ragione di quell’irreale e ingiustificata omissione, cioè nella paura che i giovani di qui possano rompere il silenzio e seguire l’esempio dei giovani di Tunisi e del Cairo.
di lucmu (del 10/03/2011, in Lavoro, linkato 867 volte)
“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, su MilanoX n° xxv del 10 marzo 2011, la free press eretica in distribuzione a Milano
Fa tristezza e rabbia vedere decine di lavoratori e lavoratrici trattati come un fastidio e spintonati da guardie private e poliziotti. È successo domenica scorsa agli ingressi della Fiera di Rho-Pero. Dentro c’era un’esposizione di calzature, pelletteria e… pellicce, fuori sono rimasti i 62 licenziati dall’Innova Service, una società di servizi, e chi sosteneva la loro protesta, a partire dal centro sociale Fornace.
62 uomini e donne, la cui sorte non sembra interessare più di tanto quanti avrebbero invece il compito istituzionale di interessarsene. Un disinteresse, beninteso, che non può essere attribuito all’ignoranza, perché il caso è noto.
Anzi, il Prefetto Lombardi, tanto per fare un esempio, un anno fa aveva persino incontrato i lavoratori. Era finita con la promessa di grandi impegni, ma dopo un inizio promettente, all’improvviso era calato il silenzio. Si dirà che il Prefetto è molto impegnato, ma poi si viene a sapere che aveva trovato il tempo per ricevere nel suo ufficio una delle ragazze del bunga bunga bisognosa di un aiutino o per stendere un ricorso a se stesso, pur di non dover pagare una multa di poco conto.
Ma, in fondo, per conoscere il caso non c’era bisogno di incontri specifici, visto che i capi dell’Innova Service sono vecchie conoscenze della giustizia. E poi, l’azienda è attiva sull’area dell’ex-Alfa Romeo, oggetto delle attenzioni molto particolari del Presidente della Regione, il capo ciellino Roberto Formigoni.
Insomma, tutti sanno tutto, compreso il fatto che i licenziamenti non trovano alcuna giustificazione nella crisi. O per dirla con lo Slai Cobas, il loro sindacato, all’ex Alfa “ci vorrà sempre qualcuno che sta alle portinerie, fa manutenzione e pulisce i cessi”.
Appunto, ci vorrà sempre qualcuno, ma evidentemente non quei lavoratori ex-operai cassintegrati dell’Alfa, che hanno il brutto vizio di non stare zitti quando ci sono delle cose che non vanno. Specie ora, con il “Piano Alfa” nuovo di zecca in arrivo, dove la reindustrializzazione è desaparecida, ma in cambio c’è un mega centro commerciale e tanta speculazione.
Insomma, quel silenzio delle istituzioni è poco innocente e questo fa ancora più rabbia. E quindi, se vi capita, sostenete la lotta dei lavoratori dell’Innova.
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di lucmu (del 03/03/2011, in Lavoro, linkato 996 volte)
“Labor Blues”, rubrica a cura di Luciano Muhlbauer, su MilanoX n° xxiv del 3 marzo 2011, la free press eretica in distribuzione a Milano.
Tutto il mondo è paese, specie in tempi di globalizzazione. E così, invece di parlare di Milano, Torino o Pomigliano, questa volta parliamo degli States, del Wisconsin per la precisione. Tanto, come vedrete, fa lo stesso.
Ebbene, succede che da due settimane Madison e le altre città del Wisconsin siano attraversate da un’ondata di scioperi e manifestazioni senza precedenti da parte dei dipendenti pubblici, dagli impiegati fino agli insegnanti. I lavoratori hanno persino occupato il campidoglio, mentre i deputati dei democrats sono scappati nel vicino Illinois per far mancare il numero legale nel parlamento locale e non farsi intercettare dalla polizia di Stato sguinzagliata dal Governatore.
La ragione di questo scontro sta nel fatto che il neo-eletto Governatore Scott Walker, i cui grandi sponsor sono gli straricchi fratelli Koch, tra i principali finanziatori dell’estrema destra repubblicana dei Tea-Party, cerca di far approvare una legge che sopprime senza troppi complimenti la contrattazione collettiva nel pubblico impiego, aumentando en passant brutalmente i contributi previdenziali.
Ma quanto sta avvenendo nel Wisconsin non è che la punta dell’iceberg, poiché disegni di legge simili sono sul tavolo in diversi altri Stati, in particolare dopo l’avanzata repubblicana nelle elezioni di metà mandato dell’anno scorso. Il denominatore comune è quello dell’assalto al salario, ai diritti e, soprattutto, alla contrattazione collettiva nel pubblico impiego, ma non mancano nemmeno le iniziative che puntano a rendere ancora più difficoltosa la sindacalizzazione nel settore privato, come nel caso dell’Indiana.
Per il movimento sindacale statunitense siamo di fronte a una “final offensive”, cioè al tentativo di liquidare definitivamente un sindacato già indebolito da anni di liberismo sfrenato.
Ebbene, vi ricordate i tempi di Pomigliano, quando ci raccontavano la frottola dell’eccezione? Dopo sono arrivate le favole delle deroghe e, infine, la cruda realtà del contratto aziendale in sostituzione di quello nazionale. Ma attenzione, non è finita qui, perché l’obiettivo finale è quello del contratto individuale: ogni lavoratore da solo di fronte al padrone. Insomma, Pomigliano è più vicina a Madison di quanto non si creda e forse dovremmo trarne le dovute conseguenze.
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di lucmu (del 24/02/2011, in Lavoro, linkato 1439 volte)
Tanto tuonò che… non successe nulla. Infatti, dopo i roboanti annunci del vicepresidente ed assessore regionale, il leghista Andrea Gibelli, e del presidente del Consiglio regionale, il leghista Davide Boni, che dicevano di voler costringere i circa 3mila dipendenti regionali a presentarsi al lavoro e a tenere aperti gli uffici il 17 marzo prossimo, giorno festivo causa 150° anniversario dell’unità d’Italia, il tutto finirà, forse, con l’apertura al pubblico dell’aula consiliare e con la conseguente presenza al lavoro di qualche pugno di lavoratori, retribuiti per l’occasione con la maggiorazione da straordinario festivo.
In realtà, era ovvio e giusto che finisse così, perché ogni altra soluzione sarebbe stata non solo illegale, ma anche un autentico furto ai danni dei lavoratori e delle lavoratrici, tirati in ballo, loro malgrado, sin dalla prime avvisaglie di questa stucchevole polemica sul 17 marzo festivo.
Ma riepiloghiamo velocemente i contorni di questa assurda vicenda, tralasciando in questa sede ogni considerazione sull’opportunità o meno di scatenare una gazzarra secessionista nel 150° anniversario dell’unità d’Italia. E sorvoliamo pure sul piccolo particolare che è la Lega a tenere in vita quel Governo Berlusconi che ha deciso in autonomia di dichiarare il 17 marzo giornata festiva.
Orbene, nonostante le quisquilie di cui sopra e il fatto che a nessuno sia passato per la testa di chiedere un parere ai lavoratori, questi ultimi si sono ritrovati da subito in mezzo alla bufera politico-mediatica, facendo la figura di quelli che in piena crisi vogliono fare il ponte invece che lavorare.
A dare il via era stata l’immancabile presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che di fronte all’annuncio berlusconiano di proclamare festa il 17 marzo aveva gridato allo scandalo, sottolineando che in piena crisi non era possibile togliere giorni alla produzione (perché si sa che quei fannulloni di lavoratori avrebbero poi pure saltato il venerdì 18 marzo) e gravare le imprese con nuovi costi.
Una Marcegaglia in pieno stile Marchionne, insomma, improvvisamente dimentica dei tanti giorni di inattività a cui sono costretti moltitudini di lavoratori e lavoratrici a causa della disoccupazione giovanile e della cassaintegrazione oppure del fatto che quest’anno ben due festività, cioè il 25 aprile e il 1° Maggio, coincidono con dei giorni festivi e quindi sono “guadagnati” per la produzione.
Infine, va aggiunto che lo stesso decreto del Governo Berlusconi (vedi allegato) non regala un bel niente ai lavoratori, poiché prevede sì l’introduzione, limitatamente all’anno 2011, del giorno festivo del 17 marzo, ma eliminando contestualmente la “festività soppressa” del 4 novembre. In altre parole, nessun onere finanziario per gli imprenditori privati e la pubblica amministrazione e nessun guadagno per i lavoratori dipendenti.
Ciononostante, la Marcegaglia aveva da subito incassato l’appoggio del capo della Cisl, Bonanni, che nemmeno in questa occasione si era ricordato che sulla carta risulta ancora essere un sindacalista. Ma soprattutto ha suonato la carica la Lega, in primis Calderoli, alla quale non era sembrato vero di poter spostare l’attenzione dallo stato pietoso in cui versa il suo Governo e riproporre l’evergreen della secessione.
E con l’offensiva leghista sono finiti nel mirino in particolare i lavoratori pubblici, chiamati a festeggiare lavorando in un giorno festivo. Nel Consiglio regionale lombardo il presidente Boni, che da tempo pratica un’interpretazione tutta sua del ruolo di presidente dell’assemblea legislativa, grazie anche all’assenza di contrasto da parte di chi dovrebbe fare opposizione, ha fatto partire persino delle strampalate circolari interne con le quali intimava ai dipendenti di recarsi al lavoro il 17 marzo.
Alla fine, comunque, ha dovuto fare una poco gloriosa retromarcia, smentito pubblicamente da Formigoni e, soprattutto, dalla lettera del decreto-legge del Governo di cui la Lega fa parte.
Insomma, il tutto era iniziato come un triste teatrino ad uso e consumo di una Lega che sta al governo da una vita, ma fa finta di stare su Marte ed è finito come meritava di finire, cioè con una farsa. Tuttavia, chissà perché non riusciamo a ridere e perché abbiamo la sensazione che ancora una volta il prezzo della farsa, in termini di immagine, non la pagheranno i responsabili, ma quelli che l’hanno involontariamente subita, cioè i lavoratori.
Quindi, almeno proviamo a raccontare e diffondere la storia vera che si cela dietro la farsa, perché una volta tanto, finalmente, inizino a pagare i responsabili.
Luciano Muhlbauer
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il decreto-legge del Governo sulla festività del 17 marzo 2011
di lucmu (del 17/02/2011, in Lavoro, linkato 1089 volte)
I precari e le precarie potranno impugnare il loro licenziamento ancora per tutto il 2011. Quindi, quanti non lo avevano fatto entro il 23 gennaio u.s. avranno ora un’altra possibilità.
Infatti, nel maxiemendamento al decreto-legge n. 225 del 29 dicembre 2010 -meglio conosciuto come “Milleproroghe”-, approvato dal Senato il 16 febbraio, è contenuta anche la proroga del termine per l’impugnativa del licenziamento da parte dei lavoratori e delle lavoratrici il cui contratto a tempo determinato era cessato prima dell’entrato in vigore del “collegato lavoro” (legge 183 del 24 novembre 2010).
Quel collegato lavoro, fortemente voluto dal Ministro Sacconi, è un vero e proprio minestrone di fregature, ma la norma ammazza-ricorsi (art. 32), che di fatto sana tutti i licenziamenti illegittimi di precari, è senz’altro quella più vile e ignobile. Beninteso, quella norma contro i precari e le precarie rimane interamente in piedi, ma la sua entrata in vigore viene posticipata al 2012.
In altre parole, se prima c’erano soltanto 60 giorni, dal 24 novembre al 23 gennaio, per impugnare in sede legale un contratto a tempo determinato, prima che arrivasse il colpo di spugna, ora ci sarà tempo fino al 31 dicembre 2011. Insomma, non si tratta di una vittoria, ma sicuramente di un po’ di tempo guadagnato da utilizzare bene, anzitutto estendendo le campagne già in atto, da parte di diversi soggetti sindacali e di movimento, per far conoscere ai lavoratori e alle lavoratrici interessati la possibilità di ricorrere e offrire loro conseguentemente la necessaria assistenza legale.
Politicamente parlando, questa proroga, inserita nel maxiemendamento su proposta del Pd e con il consenso della maggioranza di destra, nonostante la pubblica opposizione da parte del solito Sacconi, è la definitiva dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogna, che quella norma è esattamente quello che avevamo detto che fosse: cioè, una porcheria.
Segnalo, infine, per chiarezza, che tecnicamente quella proroga non è ancora operativa, perché il Milleproroghe, così come modificato dal maxiemendamento, passa ora alla Camera, che dovrà approvarlo a sua volta. Teoricamente, dunque, ci potranno essere ancora delle modifiche e dei passi indietro, ma visto che ogni modifica comporterebbe un ritorno del testo al Senato e considerata la situazione politica, questa ci pare una prospettiva assai improbabile.
Luciano Muhlbauer
Cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare la pagina del maxiemendamento approvato dal Senato, contenente la proroga (vedi comma 10. evidenziato in rosso)
di lucmu (del 15/02/2011, in Lavoro, linkato 1192 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale online Paneacqua il 15 febbraio 2011
In casa Bonanni c’è un po’ di nervosismo a proposito dell’intesa separata sul pubblico impiego, firmata il 4 febbraio scorso da Cisl, Uil, Ugl e alcune sigle autonome con il Governo Berlusconi. Infatti, in questi giorni le postazioni di lavoro dei dipendenti pubblici vengono letteralmente inondate da comunicati, in cui la Cisl lamenta che “si sta facendo un gran polverone” invece di apprezzare il “grande risultato”.
La colpa di tutto questo trambusto sarebbe, ovviamente, di quelle organizzazioni sindacali (Cgil, Usb, Cisal ed altre) che non hanno firmato il testo predisposto da Brunetta e non certo di un accordo di cui praticamente nessuno ha capito la presunta bontà, tranne un Presidente del Consiglio in piena crisi bunga bunga.
Dall’altra parte, mettetevi nei panni di uno dei 3,5 milioni di dipendenti pubblici, al quale era stato spiegato poco più di sei mesi fa che il suo stipendio (base ed accessorio) sarebbe rimasto bloccato per tre anni (in realtà, quattro), senza che Cisl e Uil abbiano mosso anche solo mezzo dito, e ora si sente dire che Cisl e Uil hanno realizzato una grande conquista, firmando un accordo che “impedisce la diminuzione dello stipendio”. Ammetterete che quel lavoratore, per lo meno, rimane un po’ perplesso e disorientato.
Ma cosa c’è scritto -e cosa non c’è scritto- in quella paginetta di accordo? Anzitutto, c’è una dichiarazione di condivisione piena da parte dei firmatari del decreto legislativo n. 150/2009, meglio conosciuto come “riforma Brunetta”, compreso il suo famigerato articolo 19, secondo il quale in ogni ente il 25% dei dipendenti è da considerarsi a priori e a prescindere come di “merito basso” e dunque da privare completamente del salario accessorio.
Ma subito dopo aver affermato questo, si passa al comma 2. e 3., dove si dice che l’applicazione dell’articolo 19 non deve portare ad una diminuzione della retribuzione complessiva e pertanto dovrà essere finanziato “esclusivamente” da risorse aggiuntive (che però Tremonti allo stato non mette a disposizione).
Chiaro? La storiella dello stipendio bloccato, ma che non si riduce, sparso a piene mani da Governo e sindacati complici fino a ieri, non era affatto vera. Anzi, applicando la riforma Brunetta in tutte le sue parti subito, come avevano detto da sempre i sindacati indipendenti dal governo, ci sarebbero stati dei tagli drastici per una parte significativa di lavoratori pubblici, a prescindere dal merito, beninteso. E questo in pieno clima pre-elettorale. Ecco quindi la ragione per cui Bonanni e Brunetta si sono dati una mano.
Tuttavia, non è vero comunque che non ci saranno perdite salariali in questi anni di blocco delle retribuzioni e della contrattazione, alla faccia di quello che raccontano i sindacati complici. Anzitutto, la riforma Brunetta, con l’attiva collaborazione di Cisl e Uil e, molte volte, anche della Cgil, ha già provocato nel 2010 la ridefinizione in senso peggiorativo dei sistemi premianti in molti enti. E, soprattutto, per il solo effetto del blocco delle retribuzioni ci sarà mediamente un perdita in termini di potere d’acquisto di circa 1.600 euro per dipendente, secondo le stime più caute della Cgil.
A quanto c’è scritto nell’intesa del 4 febbraio va però aggiunto anche quello che non c’è scritto, quello che drammaticamente manca. Anzitutto manca un qualsiasi accenno ai tanti precari e alle tante precarie che popolano la pubblica amministrazione e che spesso garantiscono il funzionamento dei servizi, ma ai quali viene negata una prospettiva di stabilizzazione e che ora rischiano il posto di lavoro. E non è soltanto questione di equità e giustizia, ma anche di efficienza dei servizi, considerato che la stretta sul pubblico impiego, contenuta nella legge n. 122 del 30 luglio 2010 (ex dl 78/2010), prevede altresì il blocco del turn over, per cui nei prossimi due anni su 300mila uscite potranno essere fatte al massimo 60mila assunzioni.
Infine, arriviamo al silenzio più assordante in quella intesa: nemmeno una parola sulle elezioni dei rappresentanti sindacali (Rsu)! Infatti, in tutto il pubblico impiego le Rsu sono scadute a novembre dell’anno scorso, ma non state convocate ancora nuove elezioni, a causa principalmente del veto di Bonanni. Alla luce di questo fatto le considerazioni della Cisl, per cui l’accordo “dà più voce ai rappresentanti dei lavoratori”, suonano davvero come una presa per i fondelli.
Ma proprio con la vicenda del mancato rinnovo delle Rsu si chiude il cerchio con quanto Cisl e Uil fanno nel resto del mondo del lavoro. A Mirafiori l’accordo separato tra Marchionne e Bonanni & Co., infatti, ha abolito tout court le elezioni dei rappresentanti dei lavoratori.
In altre parole, non siamo di fronte a tante storie diverse, ma a diversi episodi della medesima storia. Ecco perché non è giustificabile che si continui, da parte della Cgil, ad eludere il tema dello sciopero generale e che si punti invece, ancora una volta, a un semplice sciopero di categoria, come quello del pubblico impiego proclamato per il 25 marzo prossimo.
P.S. segnalo inoltre che per l’11 marzo prossimo è già stato proclamato lo sciopero generale di tutte le categorie da parte dell’Usb, che avrà come una delle questioni centrali proprio il pubblico impiego.
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare l’intesa separata del 4 febbraio scorso, la legge 122/2010 e il d.lgs 150/2009
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