Blog di Luciano Muhlbauer
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
di lucmu (del 11/07/2006, in Movimenti, linkato 885 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 9 luglio e su il Manifesto (pag. Milano) del 11 luglio 2006
 
A Milano è iniziato finalmente il processo per i fatti del 11 marzo scorso. 25 ragazzi e ragazze si trovano in carcere da ormai 120 giorni in attesa di questo momento. Un’enormità e un’anomalia senza precedenti in materia di detenzione preventiva, così come enorme e palesemente impropria è l’ipotesi di reato, cioè devastazione e saccheggio, per il quale l’articolo 419 del codice penale, risalente al periodo fascista, prevede la reclusione tra 8 e 15 anni. Anzi, c’è di peggio, poiché i ragazzi e le ragazze sono accusati non tanto di fatti specifici, bensì di “concorso morale”, una variante appena meno creativa della “compartecipazione psichica” teorizzata in alcuni processi per i fatti di Genova 2001.
Alcuni giorni fa, il 6 luglio scorso per la precisione, sono state realizzate alcune perquisizioni a Milano e Padova e consegnati almeno sette avvisi di garanzia per un lungo elenco di reati ipotizzati, tra cui rapina aggravata. Obiettivo della perquisizione: la ricerca, sette mesi dopo i fatti (sic), di una borsa che sarebbe stata sottratta all’esponente leghista Borghezio o ai suoi accompagnatori durante la nota vicenda del treno di ritorno dalla manifestazione anti-TAV di Torino. Destinatari degli avvisi: due esponenti di primo piano del centro sociale Vittoria di Milano e cinque padovani.
Al di là di ogni altra considerazione, come l’interrogativo tuttora aperto sui motivi della presenza di Borghezio tra i manifestanti, colpisce il fatto che anche in questo caso si fa un uso a dir poco allegro del concetto di “concorso”. Ebbene sì, perché i due esponenti del Vittoria, ad esempio, non hanno mai messo piede sulla carrozza dove sono avvenuti i fatti, come anche gli organi di polizia ben sanno. E se la logica è quella del concorso, cioè della corresponsabilità di tutti i passeggeri del treno, perché sono stati “scelti” soltanto sette?
Insomma, cerchiamo di capirci. Per il solo fatto di essere stato presente in un determinato luogo e in un determinato momento, a prescindere da quello che hai effettivamente fatto, puoi essere sbattuto in galera per quattro mesi senza processo, essere perquisito e indagato e, infine, rischiare condanne a lunghi anni di carcere. Se dovessimo accettare l’ingresso nella prassi investigativa e giudiziaria del nostro paese di tale uso estensivo e discrezionale della nozione di concorso, allora metteremmo a serio rischio le fondamenta del nostro ordinamento giuridico, di cui fa parte il principio che afferma che la responsabilità penale è personale, ed esporremmo la magistratura ad ogni sorta di condizionamento politico.
Fa davvero specie, e preoccupa non poco, che finora così poche voci si siano levate a segnalare la gravità di quanto avviene. Sappiamo che può essere scomodo, per carità, ma qui non stiamo mica parlando di quisquilie, bensì dei cardini dello stato di diritto e delle libertà democratiche. E allora, visto il moltiplicarsi di fatti del genere, forse è giunto il momento di prendere l’iniziativa anche a livello istituzionale e di invitare anche forze politiche più moderate ad assumersi la responsabilità di porre un freno alla deriva.
 
 
di lucmu (del 20/07/2006, in Movimenti, linkato 952 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer e Mario Agostinelli, pubblicato su il Manifesto del 20 luglio 2006 (pag. Milano)
 
Un colpo al cerchio e uno alla botte. È probabilmente questa la definizione giusta per l’odierna sentenza relativa ai fatti dell’11 marzo scorso. In altre parole, una sentenza di compromesso tra i principi dello stato di diritto e quel sommario teorema accusatorio che ha tenuto ingiustamente in carcere per oltre quattro mesi 25 giovani.
Siamo sicuramente felici che oggi tutti i 25 ragazzi e ragazze possano 
uscire dalle carceri. E ancora più contenti ci rende il fatto che ci siano state nove assoluzioni, anche se queste non riescono a restituire ai giovani il tempo loro rubato da una folle carcerazione preventiva. Tuttavia, anche se è stata svelata la montatura politica alla base del procedimento, quello strano compromesso, con le sue 18 condanne a quattro anni, lascia in piedi un pericoloso precedente. Cioè, in Italia è possibile essere condannati a lunghe pene detentive senza che ci siano prove circa le responsabilità personali, ma soltanto in base al fatto che sei stato presente a una manifestazione, dove sono avvenuti dei fatti penalmente rilevanti.
Ed è questo che ci fa dire che oggi giustizia non è stata fatta e che occorre aprire nel paese e nelle istituzioni una battaglia di civiltà, per impedire l’affermarsi di una visione della giustizia subordinata alla politica. Ebbene sì, perché il ricorso ad accuse gravi e improprie, come quella di devastazione e saccheggio, per giunta in abbinamento a un generico “concorso morale”, viene ormai teorizzato in diversi procedimenti e sempre in casi di manifestazioni politiche. Se permettessimo che questa prassi giuridico-politica si estenda, allora saremmo tutti quanti corresponsabili non soltanto di minare le basi del nostro ordinamento giuridico, ma altresì di mettere a repentaglio quel fondamentale diritto democratico che è la libertà di manifestare.
 
di lucmu (del 01/10/2006, in Movimenti, linkato 1018 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberamente di ottobre 2006
 
Il 19 luglio scorso si è concluso il processo di primo grado contro i 29 ragazzi e ragazze imputati per i fatti milanesi dell’11 marzo. 25 di loro attendevano la sentenza rinchiusi da oltre quattro mesi nelle carceri di San Vittore e Bollate. Per quasi tutti l’ipotesi di reato era pesantissima: devastazione e saccheggio, per la quale l’articolo 419 del codice penale, risalente al periodo fascista, prevede una pena detentiva tra 8 e 15 anni. Alla fine, a parte i due imputati minori, che hanno patteggiato, nove sono stati assolti e altri 18 condannati a quattro anni e messi agli arresti domiciliari.
In altre parole, una sentenza di compromesso, tutta politica, tra i principi dello stato di diritto e il sommario teorema accusatorio del Pm che ha permesso di porre fine all’incredibile e prolungata carcerazione preventiva, ma che stabilisce un pericoloso precedente. Ebbene sì, perché i ragazzi e le ragazze erano accusati non tanto di fatti specifici, bensì di “concorso morale” in devastazione e saccheggio. Cioè, erano presenti quel giorno alla manifestazione di Porta Venezia e pertanto considerati tout court colpevoli di tutto ciò che vi era accaduto. E se nove di loro sono stati assolti, ciò era dovuto al fatto che l’accusa non riusciva nemmeno a dimostrare la loro partecipazione alla manifestazione. Eppure, anche la maggior parte degli assolti aveva passato lunghi mesi in carcere, unicamente sulla base di accuse sommarie e della campagna d’odio scatenata dal centrodestra milanese.
Insomma, cerchiamo di capirci. Per il solo fatto di essere stato presente in un determinato luogo e in un determinato momento, a prescindere da quello che hai effettivamente fatto, puoi essere sbattuto in galera per quattro mesi senza processo –anche se non hai precedenti penali- e rischiare condanne a lunghi anni di pena. Se dovessimo accettare l’ingresso nella prassi investigativa e giudiziaria del nostro paese di tale uso estensivo e discrezionale della nozione di concorso, allora metteremmo a serio rischio non soltanto le fondamenta del nostro ordinamento giuridico, di cui fa parte il principio che afferma che la responsabilità penale è personale, ma la stessa libertà di manifestare.
Il precedente è tanto più pericoloso, quanto più si è diffuso ultimamente l’uso dell’accusa di concorso in diversi procedimenti contro manifestanti. Basti qui ricordare che in alcuni processi per i fatti di Genova 2001 si teorizza una inaudita “compartecipazione psichica” in devastazione e saccheggio oppure che il “concorso” ha fatto la sua comparsa persino nell’inchiesta sulla nota vicenda del treno di manifestanti anti-Tav, dove si era accomodato incredibilmente anche l’estremista di destra Borghezio. E così due esponenti di un centro sociale milanese, che non avevano nemmeno messo piede sulla carrozza dove erano avvenuti i fatti, si trovano ora indagati per “concorso”.
Ci sono dunque molti validi motivi per non considerare chiusa la vicenda, ai quali ne va aggiunto un altro, cioè che 18 ragazzi e ragazze si trovano tuttora agli arresti domiciliari, in regime di massima restrizione e dunque impossibilitati a riprendere la loro vita, i loro studi e il loro lavoro.

La sinistra milanese ci aveva messo parecchio, troppo, a denunciare l’enormità e la gravità dell’anomalia che si stava consumando. E sarebbe ora un errore ancora più grande far tornare il silenzio. L’uso discrezionale del “concorso” e il ricorso ad accuse palesemente improprie e sproporzionate colpisce fino ad oggi in maniera mirata e limitata alcune aree politiche antagoniste. Una circostanza già abbastanza grave in sé, ma nulla impedisce che in un futuro più o meno vicino possano essere estesi a qualsiasi espressione del conflitto sociale, dal corteo allo sciopero, dalle occupazioni ai blocchi stradali. E allora, forse è giunto il momento di prendere l’iniziativa anche a livello istituzionale e di invitare tutte le forze politiche ad assumersi la responsabilità di porre un freno alla deriva.

 
di lucmu (del 12/10/2006, in Movimenti, linkato 1396 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 12 ottobre 2006 (pag. Milano)
 
L’O.R.So. (Officina della Resistenza Sociale), il centro sociale a cui apparteneva Dax, non c’è più. Stamattina tra le 9.00 e le 10..00 le forze dell’ordine hanno sgomberato lo stabile di via Gola 16 a Milano, occupato sin dal 2001. Nessuno si è fatto male durante le operazioni, grazie soprattutto al senso di responsabilità degli occupanti, la cui resistenza è sempre rimasta pacifica.
Tutto si è svolto senza incidenti, certo, ma c’è poco da rallegrarsi poiché da oggi Milano ha uno spazio sociale in meno. E, purtroppo, non si tratta di un caso isolato. In questi anni diversi centri sociali sono stati sgomberati e altre iniziative del genere sono già annunciate per il prossimo futuro, come se ci fosse un disegno preciso di desertificazione sociale.
Ora i soliti noti grideranno alla vittoria, ripetendoci la litania del ripristino della legalità. Per loro i centri sociali, così come qualsiasi spazio di aggregazione indipendente, sono soltanto un fastidio, qualcosa da criminalizzare e da eliminare.
No, oggi decisamente c’è poco da gioire in una città dove i quartieri popolari, le cosiddette periferie, stanno pagando il prezzo di lunghi anni di inazione e abbandono da parte delle istituzioni, in primis il Comune di Milano. E poi, non appena un problema viene a galla, allora si fa un comunicato stampa e si annunciano più telecamere, poliziotti e vigili urbani, magari armati di manganello. A nessun amministratore nostrano sembra passare per la mente che la sicurezza e la vivibilità dei quartieri è fatta anzitutto di presenza dei servizi, di riqualificazione e di luoghi di aggregazione.
In una città così, i centri sociali sono una presenza preziosa e necessaria. Sono isole di vita e di relazioni, un piccolo antidoto alla solitudine urbana e alla disgregazione. Ecco perché il nostro auspicio è che i ragazzi e le ragazze dell’Orso presto ricostruiscano un nuovo spazio, dando seguito alle loro attività. Ed ecco perché riteniamo necessario che la sinistra milanese si svegli dal suo sonno, per fermare questa folle strategia della desertificazione e per rimettere al centro dell’agenda politica la condizione delle nostre tante periferie.
 
di lucmu (del 16/11/2006, in Movimenti, linkato 997 volte)
Si sono appena spenti gli echi dello sgombero del centro sociale che fu di Dax, cioè l’Orso, ed ecco che già sembra toccare al prossimo. Infatti, oggi in Consiglio di zona 8 è prevista la votazione di un ordine del giorno presentato dal centrodestra che chiede formalmente di sgomberare la Cascina Autogestita Torchiera.
A guardarla bene, la faccenda ha del grottesco, poiché non si capisce proprio a chi dovrebbe dare fastidio il Torchiera. La cascina, ubicata di fronte al Cimitero Maggiore, risale al XIV secolo e, all’inizio degli anni novanta, si trovava in stato di degrado avanzato, visto che le amministrazioni comunali dell’epoca se n’erano completamente disinteressate. Arrivò allora un gruppo di ragazzi del quartiere che iniziò di propria iniziativa i lavori di ristrutturazione, recuperandola. E così nacque uno spazio di aggregazione e di iniziativa sociale, in una zona della città che ne è peraltro priva.
Ma, alla parte più oltranzista della destra milanese, tutto ciò non sembra interessare. Interessa, invece, alimentare continuamente quella crociata contro i centri sociali, che poco c’entra con la tanto invocata legalità, ma molto con i miseri giochi di autopromozione politica. E allora, avanti con le richieste di sgombero e chi se ne frega se i ragazzi del Torchiera non si sono mai sottratti al dialogo con chicchessia.
Il nostro auspicio è che oggi il Consiglio di zona 8 faccia prevalere il buon senso e rinunci dunque a quella votazione. E, soprattutto, chiediamo al sindaco Moratti se non ritiene finalmente giunto il momento di togliere la copertura politica alle campagne d’odio di alcuni suoi alleati.
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
di lucmu (del 06/03/2007, in Movimenti, linkato 906 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su Liberazione del 3 marzo e su il Manifesto (pag. Milano) del 6 marzo 2007
 
Ci risiamo, sta arrivando un altro processo e con esso l’ennesimo teorema politico. Il 16 marzo prossimo, infatti, si apre a Milano il procedimento contro 28 persone per fatti legati alla Mayday Parade del 2004.
Il vicesindaco meneghino, De Corato, ormai privo di deleghe importanti e impegnato a piazzare telecamere, non ha perso tempo per chiarire quale sarà il leitmotiv della strumentalizzazione politica. Così, “spezzoni eversivi no global”, “attivisti dei centri sociali” e rischi di “travaso verso il terrorismo” disegnano un oscuro scenario che finisce inesorabilmente per indicare nei soliti centri sociali e nelle manifestazioni di piazza il problema da eliminare.
D’altronde, l’impianto accusatorio del processo si presta benissimo, basato com’è sull’assemblaggio arbitrario di fatti diversi e distanti tra di loro. Troviamo quindi persone accusate di danneggiamenti e incendi, altre di aver semplicemente imbrattato i muri cittadini mediante bomboletta spray, così come attivisti e sindacalisti colpevoli di aver picchettato in mattinata alcuni supermercati che non rispettavano la chiusura del 1° maggio. Ci sono poi due ragazzi e due ragazze accusati di manifestazione non autorizzata, svoltasi però due settimane dopo la Mayday Parade. Ma la vera chicca è costituita senz’altro dalla riesumazione del Regio decreto n. 773 del 1931, con il quale cinque persone vengono accusate –e non stiamo scherzando- di aver distribuito “scritti e disegni nelle forme di volantini e striscioni reclamizzanti l’iniziativa ‘MayDay Parade’ contrari agli ordinamenti politici, sociali od economici costituiti nello Stato”. Cioè, sono sotto processo perché pubblicizzavano una manifestazione, peraltro regolarmente autorizzata!
Siamo di fronte a un procedimento dalla dubbia ratio giuridica, ma dall’inequivocabile valenza politica. Vale a dire, a finire sul banco degli accusati è la Mayday Parade. Questo fatto dovrebbe giustificare di per sé una reazione politica e civile ampia, ma in realtà c’è ben altro, poiché non è certo la prima volta che fatti processuali diventano strumento di battaglia politica contro i movimenti.
Rinfreschiamoci dunque la memoria. Dopo il mezzogiorno di follia dell’11 marzo scorso, 25 ragazzi e ragazze hanno subito quattro mesi di carcerazione preventiva. Un fatto senza precedenti nella storia recente della nostra città e una violazione bella e buona dei principi dello stato di diritto. Quella vicenda fu accompagnata da una campagna politica ossessiva e coerente che additava i centri sociali tout court come luoghi eversivi e ostili. E, inutile negarlo, quella campagna produsse dei risultati, perché è riuscita nell’intento di produrre isolamento politico.
Anche i recenti arresti dei presunti neobrigatisti sono stati accompagnati da strumentalizzazioni politiche di ogni tipo. Alcuni degli arrestati avevano la tessera della Fiom in tasca? E quindi avanti con gli interessati “inviti” alla Fiom di moderare i toni e di essere più mansueta, come se questo centrasse qualcosa. All’interno della stessa Confederazione di appartenenza si sono moltiplicate le voci che chiedono di rompere ogni rapporto con i movimenti sociali, in particolare con i sindacati di base e con i centri sociali. E anche questa campagna rischia di produrre dei risultati.
Beninteso, qui non si tratta di evocare inesistenti trame e complotti, bensì di cogliere e leggere una serie di dinamiche convergenti che tendono a produrre un senso comune ostile al conflitto sociale e a provocare isolamento e divisione tra le realtà di movimento. In altre parole, dopo l’esaurimento del ciclo delle grandi mobilitazioni –Vicenza a parte-, ora rischiamo la definitiva chiusura del varco aperto da Genova sei anni fa, con la recisione della rete di comunicazione e iniziativa tra movimenti e organizzazioni sociali diversi tra di loro. Questa ci pare essere la posta politica in gioco.

L’esperienza concreta ci ha insegnato che queste dinamiche non hanno trovato un granché di capacità di reazione, ma piuttosto un rassegnato chiudersi su sé stessi. Di questo passo, e non ci vuole molto a capirlo, il futuro non promette nulla di buono. Forse vale la pena parlarne.

 
di lucmu (del 16/03/2007, in Movimenti, linkato 1081 volte)
Oggi a Milano si è tenuta la prima udienza del processo contro 28 persone per i fatti legati alla Mayday Parade del 2004, con il rinvio però di tutto al 17 luglio prossimo. Il Comune di Milano, come anticipato dal vicesindaco De Corato, ha annunciato formalmente di volersi costituire parte civile.
Esprimiamo la nostra preoccupazione per un impianto accusatorio che sembra voler mettere sotto processo l’intera MayDayParade, cioè quella iniziativa di mobilitazione che da anni porta nelle strade milanesi decine di migliaia di precari.
Infatti, la pubblica accusa ha operato un assemblaggio arbitrario di fatti diversi e distanti tra di loro, dai danneggiamenti alle semplici scritte sui muri, fino ai presidi di protesta davanti ad alcuni supermercati che non rispettavano la giornata di chiusura del Primo Maggio. Ma l’oscar va sicuramente alla riesumazione del Regio decreto n. 773 del 1931, con il quale sindacalisti e attivisti vengono accusati di aver distribuito “scritti e disegni nelle forme di volantini e striscioni reclamizzanti l’iniziativa ‘MayDayParade’ contrari agli ordinamenti politici, sociali od economici costituiti nello Stato”. Cioè, sono sotto processo perché pubblicizzavano una manifestazione, peraltro regolarmente autorizzata.
Un’occasione troppo ghiotta per il vicesindaco De Corato, dedito da anni alla sua guerra privata contro chiunque in città non la pensi come lui, che infatti ha imposto la costituzione in parte civile del comune di Milano. L’obiettivo politico, più volte dichiarato, è quello di limitare la libertà di manifestazione.
Sarà ovviamente il giudice a occuparsi degli aspetti processuali, ma dalla politica deve arrivare un deciso segnale di contrasto dell’ennesimo teorema politico. In una città dove da anni oltre il 70% delle nuove assunzioni ha carattere atipico, ci aspettiamo che un vicesindaco si occupi della piaga della precarietà e non della criminalizzazione dei precari che manifestano, delle condizioni di lavoro e di vita dei giovani milanesi e non delle sue guerre private.
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
di lucmu (del 04/10/2007, in Movimenti, linkato 1361 volte)
È passato appena un mese dalla cancellazione del murale che ricordava Dax, il giovane assassinato da alcuni neofascisti, ed ecco che gli amministratori di Milano tornano alla carica, annunciando l’eliminazione di quello di via Bramante, dedicato a Carlo Giuliani, il manifestante ucciso nel corso della repressione delle iniziative genovesi del 2001.
Il vicesindaco De Corato, come sempre, motiva questi proclami con la necessità di ridare decoro alla città, pulendone i muri dai graffiti. Ammesso e non concesso che a Milano il principale problema in materia di decoro urbano siano i graffiti e non, per esempio, il prolungato abbandono istituzionale delle periferie popolari, resterebbe comunque da spiegare come mai gli amministratori milanesi se la prendano sempre e soltanto con una determinata categoria di murales. Cioè, come mai ci sia una pulizia selettiva.
Infatti, come sanno bene anzitutto i funzionari dell’Amsa, sui muri cittadini vi è un numero significativo e crescente di scritte e disegni di stampo neofascista o peggio, compresi degli insulti contro i Partigiani. Diverse volte, cittadini indignati o la stessa Anpi ne hanno chiesto la rimozione, ma senza ottenere risposta alcuna. Anzi, il solitamente prolisso De Corato non sente nemmeno il bisogno di dedicare alla vicenda una riga di un suo comunicato stampa.
Lasciando un attimo da parte le nostre considerazioni sulle campagne sommarie contro i writers, risulta tuttavia evidente che qui il problema non è il decoro urbano, bensì la cancellazione delle memorie ritenute scomode. Ebbene sì, perché murales come quelli di Dax o Carlo rappresentano un monito, un promemoria collettivo. D’altra parte, cosa aspettarsi da un’amministrazione comunale che cerca di far sparire la lapide a Pinelli da Piazza Fontana oppure di tumulare i resti dei partigiani insieme a quelli dei loro assassini?
Qui la pulizia dei muri non c’entra proprio nulla. Qui c’entra soltanto la peggior politica possibile, cioè quella che abusa dei poteri amministrativi per aggredire gli avversari politici con ogni mezzo, compresa la manipolazione della memoria della città.
Per questi motivi, aderiamo con convinzione all’appello alla mobilitazione per impedire questo ennesimo scempio, reso pubblico oggi dal centro sociale Il Cantiere, così come riaffermiamo il nostro sostegno agli amici di Dax, che si apprestano a restaurare il murale già cancellato.
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
di lucmu (del 23/10/2007, in Movimenti, linkato 1071 volte)
Le richieste dei Pm al processo genovese contro 25 giovani sono gravi, sproporzionate e fuori dalla realtà, ma purtroppo non sorprendono. Tutto il processo, sin dall’inizio, era basato su un teorema tanto semplice quanto micidiale, cioè che durante i giorni della contestazione del G8 del luglio 2001 si fosse consumato un reato collettivo definito “devastazione e saccheggio”.
Ebbene, si tratta di un reato definito da una norma del codice penale risalente al periodo fascista, applicato in pochissime occasioni nella storia dell’Italia democratica e repubblicana e che prevede pene pesantissime. Ovvero, agli imputati non vengono contestati tanto i singoli fatti, bensì il contesto generale, definito appunto di “devastazione e saccheggio”, in cui questi fatti si sono consumati.
Proprio per questa ragione, già tempo fa, gli ex-portavoce del Genoa Social Forum, compreso il sottoscritto, ci eravamo pubblicamente autodenunciati. Cioè, se davvero si trattava di un contesto generale e di un’azione preordinata, allora bisognava processare gli organizzatori, che appunto erano i componenti del Gsf, e non qualche ragazzo. Ovviamente, questa autodenuncia non fu mai presa in considerazione, per il semplice motivo che il teorema dell’accusa non ha né capo, né coda e che questo processo serve a unica cosa: trovare qualche capro espiatorio, gettarlo in galera e fare dunque da contrappeso politico agli altri processi genovesi, quelli relativi ai fatti di Bolzaneto e della Diaz, che vedono sul banco degli accusati dei responsabili delle forze dell’ordine.
Quanti hanno vissuto quelle giornate genovesi conoscono bene la verità. In quei giorni allucinanti si era consumata un’azione repressiva degna del Cile di Pinochet. Ma è proprio quella verità che si vuole mettere sotto il tappeto, dando un colpo al cerchio e uno alla botte, salvando così i responsabili politici del misfatto. E così, il processo per l’omicidio di Carlo Giuliani è stato insabbiato ancora prima del suo inizio e la commissione parlamentare d’inchiesta non è mai partita.
Tutto questo fa male, anzitutto alla democrazia. Ma è davvero inaccettabile che ora debbano essere alcuni giovani a pagare il prezzo di queste ripugnanti manovre politiche.”
 
comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
 
di lucmu (del 13/11/2007, in Movimenti, linkato 992 volte)
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 13 nov. 2007 (pag. Milano)
 
Ai giudici della prima corte d’appello di Milano è mancato oggi il coraggio di rimuovere la grave anomalia giuridica che aveva segnato sin dall’inizio il procedimento per i fatti dell’11 marzo e portato, l’anno scorso, all’inaudita carcerazione preventiva per quattro mesi di 25 ragazzi e ragazze, peraltro incensurati.
Certo, siamo contenti per le due assoluzioni, ma la conferma della sentenza di condanna a quattro anni di reclusione per 15 ragazzi è un segnale negativo e preoccupante. Ebbene sì, perché sono stati giudicati colpevoli non per quello che ognuno di loro ha fatto in quella giornata, bensì per essere stati presenti sul luogo degli scontri.
“Devastazione e saccheggio” è infatti l’accusa. Cioè un reato collettivo, la cui codificazione risale al periodo fascista e che è stato applicato pochissime volte nella storia dell’Italia repubblicana e democratica e soltanto in casi limite. Ma non basta, perché agli imputati è stato contestato il “concorso morale”. In altre parole, tu eri alla manifestazione e, anche se non hai fatto nulla di particolare, ti condanno lo stesso, come se tu fossi l’autore diretto di tutto quello che è successo.
Oggi, è stata confermata l’anomalia giuridica e non è stato ristabilito quel principio basilare dello stato di diritto che afferma che la responsabilità penale è personale. Così 15 ragazzi e ragazze pagano il prezzo di un folle teorema accusatorio, che evidentemente nessuno trova il fegato di smontare nel luogo deputato, cioè nelle aule del tribunale.
E, infine, aggiungiamo preoccupazione a preoccupazione. Appena tre settimane fa, i Pm del processo di Genova, per vicende legate alla contestazione del vertice del G8 del 2001, avevano chiesto oltre 200 anni di carcere per 25 ragazzi. Questi non hanno ammazzato nessuno, né hanno rapinato banche o ville. Semplicemente erano stati arrestati nel corso degli scontri e, visto che servono capri espiatori, vengono ritenuti colpevoli di tutto e di più. L’accusa è, ovviamente, di concorso in “devastazione e saccheggio”.
Non possiamo che sperare che i giudici genovesi siano più coraggiosi e lungimiranti di quelli milanesi, che oggi hanno perso l’occasione di applicare una giustizia giusta”.
 
allegato articolo versione pdf
 

Scarica Allegato
 
Pagine: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13


facebook twitter youtube
Cerca  
Titolo

Titolo

Titolo
Antifascismo (86)
Casa (48)
Diritti (19)
Infrastrutture&Trasporti (38)
Lavoro (232)
Migranti&Razzismo (147)
Movimenti (124)
Pace (21)
Politica (105)
Regione (77)
Sanità (19)
Scuola e formazione (71)
Sicurezza (59)
Territorio (46)

Catalogati per mese:

Ultimi commenti:
Attention! Attention...
22/11/2017
di Mrs.Emilia Fedorcakova
Prove di grave e vel...
22/07/2016
di claudine
appoggio e sostengo ...
03/06/2016
di merina tricarico



12/05/2024 @ 15:43:17
script eseguito in 66 ms

Ci sono 25 persone collegate