Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Anche i più incalliti pessimisti, tra i quali mi annoveravo, non prevedevano un risultato tanto disastroso. E non l’ha fatto nemmeno il compagno che mi aveva detto “questa volta non voto”, disgustato e disilluso dopo i due anni di governo Prodi, o quello che aveva ceduto alla tentazione del “voto utile”, credendo davvero alla favola veltroniana della pareggio possibile. Ambedue non avevano trovato le motivazioni sufficienti per esprimere un voto a favore della “Sinistra l’Arcobaleno” e ambedue hanno cercato una via per esprimere nelle urne il proprio disagio e lanciare un segnale politico. E ambedue sono rappresentativi dell’atteggiamento prevalente degli elettori di sinistra, cioè l’astensione e il voto al Pd, con l’aggiunta che al Nord alcuni hanno votato pure per la Lega.
Che di una vera e propria disfatta si tratti, si può peraltro evincere da tre fatti. In primo luogo, prendendo i dati della Camera, neanche sommando tutti i voti di tutte le liste riconducibili alla “sinistra radicale” di due anni fa, cioè oltre SinArc (3,1%) anche Pcl (0,6%), Sinistra Critica (0,5%) e Per il Bene Comune (0,3%), ci si avvicina anche soltanto alla metà dei voti di allora. Ovvero, nel 2006 Prc, PdCi e Verdi ottennero complessivamente 3.898.460 voti e il 10,2%, mentre oggi SinArc, Pcl, S.C. e Bene Comune realizzano insieme 1.619.905 voti e il 4,5%.
In secondo luogo, dalle elezioni emerge un netto spostamento a destra del panorama politico italiano. La coalizione berlusconiana non solo dispone di una chiara maggioranza sia alla Camera che al Senato, ma al suo interno non c’è più la componente centrista dell’Udc, mentre la Lega ha rafforzato notevolmente le sue posizioni, grazie al suo exploit al Nord. E, da sottolineare, la campagna elettorale della Lega, specie nelle aree metropolitane, era giocata fortemente sui temi della sicurezza e della paura dell’immigrazione.
Infine, il Pd ha realizzato, forse oltre le sue aspettative, il suo obiettivo primario, cioè l’eliminazione della sinistra, come primo passo verso l’imposizione di un sistema bipartitico all’americana. In campagna elettorale, Veltroni è riuscito in un capolavoro politico, staccando la sua immagine da quella di Prodi, addossando alla sinistra la responsabilità del fallimento dell’esperienza governativa e, soprattutto, convincendo gli elettori di sinistra che il Pd potesse effettivamente battere Berlusconi. Una tesi spericolata e truffaldina, senza alcun fondamento reale, come hanno poi ampiamente confermato i risultati elettorali. Infatti, il Pd non ha tolto nemmeno l’ombra di un consenso alle destre e non ha fagocitato l’Udc, dirottando in cambio voti dalla sinistra e rimanendo sostanzialmente fermo a quello che avevano due anni fa Ds e Margherita.
Questa ci pare essere in sintesi la fotografia del terremoto che ha investito la sinistra nel nostro paese e da qui occorre partire per porsi la prima domanda: come mai è potuto accadere?
Non penso, in tutta franchezza, che la risposta sia che il popolo italiano abbia voluto decretare la fine e l’inutilità dell’esistenza di una sinistra nel nostro paese, ma piuttosto che la soggettività –o le soggettività- che si è concretamente presentato alle elezioni non era adatta e credibile. E non si tratta di una mera questione di simboli. Insomma, se c’era la falce e il martello sarebbe andata diversamente? Sì, forse un mezzo o un intero punto percentuale in più sarebbe arrivato, ma giusto per mitigare un po’ il disastro e forse consegnare qualche deputato, ma non sarebbe certo servito a rimuovere e far dimenticare i due anni precedenti.
Ebbene sì, perché questi ultimi due anni al governo sono stati devastanti, perché la sinistra ne è uscita sconfitta nella linea politica, nella credibilità e nei rapporti con i movimenti e i ceti popolari. E non sono stati due anni qualsiasi, bensì due anni che si sono consumati nel quadro di una dinamica sfavorevole di medio periodo, segnata dalla crisi continua della sinistra e dalla conquista dell’egemonia culturale delle destre. In altre parole, è come se fossero stati il colpo di grazia.
In campagna elettorale non abbiamo motivato e convinto neanche i “nostri”, perché non abbiamo risposto a questo scenario. La Sinistra l’Arcobaleno appariva come un cartello elettorale e un assemblaggio dell’esistente, fin dentro la composizione delle liste, senza un profilo chiaro e leggibile, senza una prospettiva per il futuro e senza innovazione.
Ora ci aspetta una fase difficile, irta di ostacoli. E ci sono due cose da evitare. La prima è la tentazione di attribuire il disastro alla cattiveria degli altri e non ai propri errori e insufficienze. La seconda è la concreta possibilità che lo stato delle cose produca semplicemente una sorta di deflagrazione della sinistra e una serie infinita di rese dei conti nelle stanze dei partiti.
Dire oggi, il fatidico giorno dopo, quello che bisogna fare esattamente è difficile e nessuno ha la ricetta in tasca. Ci vorrà riflessione, umiltà e ascolto. Ma una cosa è certa: un ciclo si è chiuso e la sinistra così com’è ha fatto il suo tempo. Occorre un fatto nuovo, una ripartenza, una sinistra nuova.
E un’altra cosa è certa: il processo di ricostruzione di una sinistra nuova non potrà essere il prodotto degli apparati e gruppi dirigenti esistenti, ma necessita di rinnovamento e, soprattutto, del calore della realtà sociale. Ovvero, della partecipazione e del protagonismo dei movimenti, dei lavoratori e delle tante realtà attive nella lotta sociale e nell’associazionismo.
Un “debutto” e una “novità”, anzi un “tesoretto” che Regione Lombardia consegna alle famiglie lombarde. Il forse-Ministro e tuttora Presidente della Regione Lombardia, Formigoni, non ha risparmiato parole roboanti per annunciare che da oggi, 21 aprile, possono essere presentate le domande per la “dote scuola”.
Peccato però che quelle parole faticano terribilmente a trovare un qualche riscontro nella realtà dei fatti, poiché l’unico debutto è quello del termine “dote”. Infatti, le tre tipologie di doti introdotte, in applicazione della legge regionale n. 19/2007, altro non sono che un nome nuovo per finanziamenti vecchi, di provenienza sia statale, che regionale.
E così, la “dote per la permanenza nel sistema educativo”, destinata a quel 91,45% di studenti lombardi che frequentano la scuola pubblica, riunisce semplicemente i diversi contributi statali per i libri di testo e per gli assegni e le borse di studio. In altre parole, la Regione, in quanto ente erogatore, non ci mette un soldo e si limita unicamente a cambiare denominazione a finanziamenti vincolati dello Stato.
Per quanto riguarda i fondi regionali, cioè quelli decisi autonomamente dalla Giunta Formigoni, va anzitutto sottolineato che le quantità economiche erogate corrispondono quasi esattamente a quanto stanziato l’anno precedente. In secondo luogo, si riproduce pari pari la pesante discriminazione delle famiglie i cui figli frequentano la scuola pubblica. Infatti, la “dote di merito”, destinata agli studenti meritevoli delle scuole statali e private, è finanziata con appena 4,2 milioni di euro, mentre la “dote per la libertà di scelta” -cioè il vecchio “buono scuola”-, destinata in maniera esclusiva a quel 8,55% di studenti lombardi che frequentano le private, dispone uno stanziamento di ben 46 milioni di euro.
Cioè, per avere diritto a qualche sostegno da parte della Regione, le famiglie della scuola pubblica devono versare in condizioni economiche sfavorevoli e i figli sono tenuti a dimostrare un ottimo rendimento scolastico, mentre le famiglie delle private possono disporre anche di redditi superiori –fino a 200mila euro di reddito dichiarato al fisco!- e il rendimento scolastico dello studente può essere anche pessimo o nullo.
Insomma, più che di una novità si tratta di un’operazione pubblicitaria, tesa a vendere fumo alla grandissima maggioranza delle famiglie lombarde, mentre i soliti amici del Presidente, cioè le scuole private, si accaparrano quasi tutto il finanziamento pubblico della Regione.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 23 aprile 2008 (pag. Milano)
Quanto sta accadendo nella scuola elementare di via dei Narcisi, a Milano, dovrebbe essere preso molto sul serio. Infatti, come rilevato ieri anche dal quotidiano la Repubblica, 30 capifamiglia maghrebini, genitori di 60 alunni, hanno chiesto il licenziamento del mediatore culturale di origine marocchina, Mouchen, perché lo accusano di voler allontanare i loro bambini dagli insegnamenti dell’Islam.
Sottovalutare la vicenda o, peggio, riproporre la ormai abituale valanga di dichiarazioni anti-islamiche sarebbe la reazione più miope possibile. Ebbene sì, perché crediamo che a nessun osservatore attento possa sfuggire il fatto che gli avvenimenti di via dei Narcisi rappresentano una sorta di preavviso di quello che potrebbe succedere su scala più ampia in un futuro più o meno prossimo, qualora la politica cittadina continui sulla strada finora seguita.
In altre parole, l’episodio appare come figlio legittimo di quelle tendenze della politica cittadina che affrontano l’affacciarsi di una società multietnica e multiculturale esclusivamente in termini di contrapposizione tra culture, religioni e nazionalità. Una siffatta politica non riesce a costruire un futuro condiviso tra vecchi e nuovi cittadini, ma rischia seriamente di seminare gli anni a venire con sempre più incomprensioni e conflitti.
Ne è esempio lampante la politica seguita da troppi amministratori in relazione ai fedeli musulmani. Se si riuniscono in preghiera in capannoni o altri spazi, allora si grida alla “moschea abusiva” e si chiede lo sgombero. Se invece intendono costruire un luogo di culto formale, allora scatta la campagna “no alla moschea”. Insomma, qualsiasi cosa facciano non va bene e alla fine non rimane che la contrapposizione religiosa e culturale, terreno di coltura ideale per integralisti religiosi e opportunisti politici di ogni risma.
Noi abbiamo sempre difeso la scuola pubblica, laica e libera contro le ingerenze confessionali e privatistiche che tentano di imporre un credo piuttosto che un altro. E lo facciamo anche ora, nel caso della scuola elementare di via dei Narcisi, esprimendo la nostra decisa solidarietà a Bendaoud Mouchen.
Siamo certi che così la pensa anche tantissima parte dei cittadini e delle cittadine di origine maghrebina che vivono e lavorano nella nostra città.
Ma per difendere la libertà di insegnamento e il carattere laico e libero della scuola non basta opporsi alla cacciata del mediatore culturale: occorre contemporaneamente iniziare a spezzare la follia delle campagne xenofobe e islamofobiche. E un primo passo dovrebbe essere un’assunzione di responsabilità da parte di tutte le forze politiche cittadine, cioè la rinuncia al solito rito delle dichiarazioni da guerra di civiltà e l’apertura di una seria riflessione e di un vero dialogo.
di lucmu (del 23/04/2008, in Casa, linkato 5979 volte)
I destini personali e politici di Roberto Formigoni stanno letteralmente monopolizzando l’informazione lombarda. Tutto ciò è comprensibile, visto che quello strano presidenzialismo italico in vigore nelle regioni imporrebbe a nove milioni di lombardi di tornare alle urne, qualora il Presidente cambiasse mestiere. E così, anche le nomine dei consigli d’amministrazione delle Aler, approvate ieri a maggioranza dal Consiglio regionale, non hanno trovato più di due righe qua o là.
Eppure, le Aler non sono briciole, bensì le proprietarie della maggioranza delle case popolari in Lombardia, cioè di 105mila alloggi su un totale di 170mila. In altre parole, i consigli d’amministrazione, composti da sette membri, di cui cinque di nomina regionale, gestiscono un patrimonio pubblico enorme. Quindi, sebbene comprensibile, non ci pare assolutamente giustificato questo assordante silenzio informativo e politico, in particolare in merito alla nomina a presidente dell’Aler di Milano di Loris Zaffra.
Qui non si tratta di fare processi sommari e tanto meno di considerare colpevole una persona per il resto della vita, anche dopo che ha estinto il suo debito con la giustizia. Ma quando un’istituzione pubblica affida un incarico di tale importanza, occorre anzitutto garantire trasparenza e affidabilità. E questo ragionamento generale vale ancora di più per quanto riguarda le case popolari, poiché proprio pochi mesi fa una legge regionale sbagliata ha imposto agli inquilini un aumento sproporzionato e iniquo degli affitti, mentre nulla si era voluto fare rispetto ai diffusi sprechi e all’assenza di trasparenza delle Aler.
Da questo punto di vista, ci saremmo aspettati da PdL e Lega un segnale nuovo in occasione delle nomine. Ieri, invece, è stato scelto un pessimo segnale, affidando la presidenza della più importante Aler della Lombardia a un dirigente politico assurto agli onori della cronaca a causa del suo coinvolgimento, in posizione non certo secondaria, in tangentopoli e nel sistema di corruzione della cosiddetta prima repubblica.
Già ieri, nel corso del dibattito in Aula, il gruppo di Rifondazione aveva sollevato fortemente il problema, sottolineando l’inopportunità di tale nomina. Ma abbiamo raccolto soltanto l’indifferenza e il manifesto disinteresse della maggioranza e quindi, in segno di protesta, non abbiamo partecipato al voto.
Tuttavia, non possiamo considerare chiusa la vicenda con il voto di ieri. Ribadiamo che consideriamo un gravissimo errore la nomina di Loris Zaffra e chiediamo pertanto un impegno celere e reale da parte del centrodestra, al fine di definire gli strumenti idonei a garantire la massima trasparenza della gestione delle Aler, aprendo immediatamente il confronto sia in Consiglio regionale, che con le rappresentanze degli inquilini.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
È già abbastanza triste che il sindaco di una città come Milano non consideri necessario partecipare alla manifestazione del 25 aprile, ma che ora il suo vice, l’incorreggibile De Corato, si erga pure a supremo giudice che pretende di distinguere preventivamente tra manifestanti buoni e manifestanti cattivi, nella malcelata speranza di contribuire a qualche casino in piazza, è davvero troppo.
E così, De Corato non si limita alla consueta sequela di insulti gratuiti contro i centri sociali, ma arriva persino a offendere la Brigata Ebraica, definendola senza pudore “super partes”. E tanti saluti alla memoria del significativo tributo di sangue offerto dai combattenti della brigata alla causa della liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo.
Martin Luther King aveva un sogno grande, noi ne abbiamo uno più piccolo, ma in cambio speriamo che possa avverarsi. Cioè, se il vicesindaco non riesce proprio a liberarsi dal suo passato neofascista, che almeno riesca a stare zitto il 25 aprile e a non offendere quei milanesi che per fortuna non la pensano come lui.
Insomma, forse è giusto che il sindaco Moratti non partecipi alla manifestazione, visto che non solo non lo considera importante, ma che non riesce nemmeno a porre un freno alla lingua del suo vice.
Anzi, meglio così, almeno ci risparmiamo l’ipocrisia.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato (con altro titolo) su Liberazione del 26 aprile 2008
Formigoni non andrà a Roma e la Lombardia non tornerà alle urne in autunno. Sembra essere questa la conclusione del tormentone lombardo, sebbene la parola fine non sia ancora stata scritta. Ciononostante, occorre azzardare una prima riflessione, perché un tale esito avrebbe rilevanti conseguenze sullo scenario politico lombardo.
Anzitutto, saremmo di fronte a una sconfitta personale per il potente governatore. Non solo si è esposto parecchio, annunciando il suo trasloco nella capitale e candidandosi di fatto alla leadership futura del centrodestra, ma non è nemmeno la prima volta che tenta il salto nella politica nazionale. Tutti ricordano il suo progetto centrista della lista del presidente ai tempi delle elezioni regionali del 2005, poi naufragato a causa del veto berlusconiano. Oppure la lunga e inconcludente telenovela all’insegna del “vado, anzi non vado”, di cui il presidente-senatore si rese protagonista l’anno successivo.
Questa volta, però, la situazione appariva diversa. Il tutto era stato preparato con estrema cura, c’era persino un patto con la Lega, che sembrava d’acciaio, e il centrodestra ha stravinto le elezioni. Ma allora, come mai è andato tutto storto per il capo di Cl? Semplice, ai suoi due tradizionali talloni d’Achille, se n’è aggiunto un terzo, quello fatale. In altre parole, per fermare Formigoni forse non sarebbe stato sufficiente l’intreccio tra l’ostilità conclamata di Berlusconi, che da sempre vuole tenerlo lontano da Roma, e le resistenze silenziose del possente sistema di potere ciellino, preoccupato per il futuro dei suoi affari lombardi, se non fosse intervenuta la significativa affermazione elettorale della Lega.
Ebbene sì, perché il cambio di mestiere del presidente impone le elezioni anticipate e, in tal caso, sarebbe impossibile negare alla Lega il candidato presidente ed è prevedibile un nuovo rafforzamento elettorale del Carroccio. Considerato quanto già successo il 13-14 aprile in Veneto, dove la Lega ha cannibalizzato parte del tradizionale elettorato di Forza Italia, si capisce che questo scenario trova l’opposizione di Berlusconi.
Insomma, se l’esito dell’affaire Formigoni è quello ipotizzato e se la nostra analisi è fondata, allora gli ultimi due anni della legislatura regionale si preannunciano densi di contraddizioni, con una Lega che cerca di massimizzare il suo exploit elettorale e con un Formigoni indebolito e quindi costretto a qualche rilancio.
In fondo, un terreno interessante per le opposizioni per tentare di rimontare la china e presentarsi all’appuntamento con il 2010 con una proposta credibile di cambiamento. Ahinoi, le prime parole dei dirigenti lombardi del Pd non fanno sperare bene, visto che non trovano di meglio che reiterare le offerte di collaborazione con Formigoni. Quindi, per Rifondazione è ancora più importante non disperdere il tempo e affrontare da subito, nelle parole e nella pratica, la ricostruzione di una presenza e di una prospettiva della sinistra alternativa in Lombardia.
di lucmu (del 30/04/2008, in Lavoro, linkato 985 volte)
Prima del 25 aprile De Corato annunciò che ben 900 telecamere comunali avrebbero ripreso ogni angolo del corteo, al fine di identificare quel vero e proprio esercito di “imbrattatori” che secondo lui sarebbe calato su Milano. Stando ai fatti, risulta che tutto questo dispiegamento di forze ha portato alla denuncia di un’unica persona, colpevole del grave reato di aver fatto una scritta su un muro. Ora siamo alla vigilia del 1° Maggio e De Corato, deluso dal magro bottino del 25 aprile, riparte all’attacco, annunciando che domani 30 videocamere e delle apposite squadre di vigili urbani si incaricheranno a sorvegliare passo dopo passo le decine di migliaia di manifestanti della MayDay Parade, considerati tout court dei potenziali delinquenti.
Ci sarebbe da ridere, se De Corato non fosse il vicesindaco di quella città dove oltre il 70% delle nuove assunzioni sono precarie e dove la stessa amministrazione comunale ha largamente fatto ricorso al precariato. Ma, evidentemente, il suo zelo nel condurre le sue guerre private per mezzo delle istituzioni è pari soltanto al suo menefreghismo rispetto ai problemi che i lavoratori, specie quelli giovani, vivono a Milano.
Se Milano fosse quella città moderna e internazionale che i suoi amministratori strombazzano in giro per il pianeta, allora il Sindaco ascolterebbe quei tanti giovani che ogni 1° Maggio gli ricordano che le cose in città non vanno tanto bene. Invece, ci troviamo con il suo vice che non fa altro che criminalizzare e insultare decine di migliaia di cittadini e cittadine. Complimenti!
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su il Manifesto del 7 maggio 2008 (pag. Milano)
Nelle ore in cui Nicola Tommasoli stava perdendo la sua lotta contro la morte, il sindaco di Cremona, cittadina della Lombardia meridionale, ha annunciato il varo di un “pacchetto sicurezza”, comprendente l’assunzione di vigilantes privati, ulteriori impianti di videosorveglianza e il via libera comunale alle ronde.
Visti i tempi che corrono, sarebbe una perfetta non notizia, se non fosse per il fatto che a Cremona non succede mai niente, che gli omicidi sono praticamente inesistenti e che il numero di furti e rapine si situa decisamente sotto la media statistica. A tutto ciò si aggiunga che il sindaco Corada, targato Pd, non è certo famoso per essere un pasdaran veltroniano che rincorre le destre e bastona le sinistre, anzi. Eppure, anche a Cremona i cittadini si sentono insicuri e il loro sindaco ha infine ceduto all’aria che tira.
La svolta securitaria del centrosinistra cremonese e l’omicidio di Nicola sono, ovviamente, due fatti distinti e indipendenti. Tuttavia, a volte succede che un’accidentale coincidenza temporale riesca ad essere parecchio più rivelatrice del nocciolo del problema di tante parole dotte. Cioè, nel nostro caso, della relazione tra l’aumento del numero di aggressioni da parte di gruppi neofascisti, in primis a Roma e nel lombardo-veneto, e la marea traboccante del securitarismo.
Ebbene sì, perché il dato saliente dell’evoluzione della violenza di estrema destra contro militanti di sinistra, immigrati, gay e di chiunque venga individuato come diverso, altro e dunque nemico, non è tanto il numero di militanti dei gruppi neofascisti, tutto sommato ancora modesto, bensì il crescente spazio politico e culturale di cui dispongono e l’accondiscenza sociale che incontrano le loro azioni. Insomma, il problema non è il pesce in sé, bensì il mare in cui nuota e di cui si nutre.
L’egemonia culturale appartiene ormai alle destre e il discorso sulla sicurezza ne rappresenta non un semplice accessorio, bensì il nucleo ideologico portante e trainante. Esso offre a una società atomizzata, disorientata e socialmente sempre più insicura una lettura della realtà, dei colpevoli e l’illusione di una soluzione. I gruppi neofascisti, in fondo, non fanno altro che radicalizzare il messaggio, portarlo alle estreme conseguenze. Se è lecito e giusto che esponenti politici e istituzionali predicano in diretta televisiva la caccia allo straniero e al diverso, come pretendere che la società condanni coloro che quella caccia la praticano?
Dalle parti della sinistra soffriamo terribilmente il discorso securitario, spesso viene eluso, rimosso o banalizzato. Ma, sebbene non sia di per sé sufficiente, fare chiarezza, non scendere a compromessi e lavorare per delle alternative credibili è, oggi e qui, la condizione necessaria per poter dotare l’antifascismo di sostanza ed efficacia.
In Lombardia il territorio è un grande affare, almeno per alcuni, e anche il fatto che la grande area metropolitana milanese sia sempre più satura non sembra assolutamente costituire un impedimento alle continue operazioni immobiliari. Anzi, la fantasia pare non conosca proprio limiti in questo campo ed ecco che arriva la nuova frontiera: rendere più facilmente edificabili le aree attigue alle grandi opere autostradali, cioè Pedemontana, Brebemi e Tem.
È quanto prevede l’articolo 10, comma 3 del progetto di legge della Giunta regionale, approvato oggi in Commissione V con il voto favorevole del Centrodestra e con l’astensione del Pd, mentre il Prc, i Verdi e l’IdV hanno espresso un voto contrario.
Del pdl n. 226, “Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale”, finalizzato anzitutto all’accelerazione delle procedure per le opere infrastrutturali, si è parlato poco a livello pubblico e sempre ignorando, a torto, le disposizioni del suo articolo 10, che rappresentano invece un’autentica bomba a orologeria.
La norma prevede che le concessioni delle infrastrutture, in primis le tre grandi opere autostradali, “possono riguardare anche interventi di carattere insediativo e territoriale, …, rivolti principalmente agli utenti delle infrastrutture medesime ovvero a servizio delle funzioni e delle attività presenti sul territorio”. La giustificazione di tale innovazione normativa, secondo il governo regionale, risiede nella necessità di rendere le aree attigue economicamente sfruttabili, al fine di attrarre capitali privati e abbattere così i costi dell’esposizione finanziaria.
Insomma, il CAL (Concessioni Autostradali Lombarde S.p.a.), di cui il 50% è controllato direttamente dal Presidente Formigoni, mediante la società Infrastrutture Lombarde S.p.a., rilascia le concessioni per le opere infrastrutturali, che comprendono anche l’autorizzazione a costruire nelle immediate vicinanze più o meno qualsiasi cosa, vista la definizione generica prevista dal progetto di legge. Certo, tutta questa procedura va correlata agli Accordi di Programma, cioè alla concertazione tra il Presidente della Giunta Regionale e i Sindaci dei Comuni interessati, ma risulta evidente che a questo punto gli enti locali si troveranno stretti in un angolo e con i loro strumenti urbanistici ampiamente depotenziati. I cittadini che abitano i territori coinvolti, poi, saranno sempre di più ridotti a spettatori impotenti.
Una norma siffatta, qualora venisse approvata così com’è anche dall’Aula consiliare, aggiungerebbe danno al danno. Cioè, non soltanto arriveranno le consistenti colate di asfalto su un’area già oggi tra le più inquinate d’Europa, ma per riuscire a finanziare in qualche modo tali faraoniche opere si mette a disposizione dei grandi capitali immobiliari e di speculatori di ogni risma pure le aree adiacenti.
Ci siamo opposti oggi a questo miope scempio e lo faremo anche in Aula, chiedendo lo stralcio della norma. E invitiamo sin d’ora i cittadini e le associazioni a far sentire la loro voce.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
qui sotto puoi scaricare il testo integrale del pdl 226, così come approvato dalla Commissione V
di lucmu (del 08/05/2008, in Lavoro, linkato 1035 volte)
La sospensione di quattro dirigenti della Fiom di Milano, tra cui la segretaria generale Maria Sciancati, è un atto di estrema gravità, il cui significato va ben oltre le questioni interne della Cgil.
Basta avere anche solo un minimo di dimestichezza con il mondo sindacale, per capire che qui non c’entrano le regole organizzative, bensì la politica, come dimostrano sia i futili motivi alla base del provvedimento, sia la scelta dei tempi. La verità è che la Fiom viene ormai guardata come un nemico interno e che ogni mezzo, anche quello più antidemocratico e stalinista, è considerato lecito per eliminarlo. Insomma, o ti adegui agli ordini del capo oppure ti faccio fuori, con tanti saluti a quel poco che è rimasto della democrazia sindacale nel nostro Paese.
Pare di assistere a una triste replica di quanto già avvenuto a livello politico. Cioè, dopo aver eliminato la sinistra dal parlamento, ora tocca alle voci indipendenti del mondo del lavoro.
Qualcuno potrebbe obiettare che le mie parole sono inopportune, perché ora faccio il consigliere regionale, mentre la mia militanza sindacale si è sempre svolta nel sindacalismo di base, il Sincobas (ora SdL intercategoriale) per la precisione. Ma si tratta di un’obiezione insostenibile, poiché se dovesse passare la normalizzazione all’interno della Cgil, con annesso affossamento del contratto nazionale, il prezzo lo pagherebbero tutti i lavoratori, visto che all’assenza di democrazia sui luoghi di lavoro si aggiungerebbe pure il divieto di discutere nel maggior sindacato italiano.
Ecco perché il tentativo di epurazione in atto riguarda tutti i lavoratori e le lavoratrici e perché noi esprimiamo oggi la nostra piena solidarietà ai quattro dirigenti della Fiom milanese.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
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