Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
La Fornace sgomberata era risorta già ieri notte, ma il Sindaco ciellino Zucchetti, principale istigatore di quello sgombero, non si rialzerà più dalla sua caduta di questa mattina. È questa la morale di quanto accaduto nella città di Rho in questi primi giorni del 2011 e, nel contempo, anche un augurio per il futuro.
In pochi a Rho rimpiangeranno Zucchetti, uno dei peggiori Sindaci che la città abbia mai avuto.
Incapace di amministrare, molto attento alle esigenze dei capi di Comunione e Liberazione, specie di quello che siede all’ultimo piano del Pirellone, ma totalmente insensibile alle esigenze dei cittadini del suo territorio, come aveva dimostrato la vicenda del piano Alfa.
Sempre interessato a seguire con tenacità gli affari suoi, come il tentativo incessante di trasformare la destinazione d’uso dei terreni agricoli di sua proprietà, ma poi addirittura platealmente assente, sebbene ufficialmente invitato, quando in Regione Lombardia si discuteva del taglio dei treni pendolari da Rho.
La lista potrebbe continuare a lungo, ma la conclusione sarebbe sempre la medesima: un’esperienza amministrativa fallimentare su tutta la linea e pesantemente inquinata dal conflitto di interessi di Zucchetti.
Un’esperienza talmente negativa che stamattina a Rho a firmare congiuntamente le dimissioni non erano soltanto i 13 consiglieri comunali di opposizione, ma anche 4 della maggioranza. Cioè, anche una parte del suo partito, il Pdl, non ha più retto Zucchetti, contribuendo dunque alla sua caduta, al commissariamento del Comune e al ricorso alle elezioni anticipate.
Zucchetti non c’è più, ma la Fornace c’è ancora, nel nuovo spazio di via Moscova 5, una ex-fabbrica abbandonata. Ed è giusto così, perché alla faccia delle tante sciocchezze che si sono lette ancora oggi sulle ragioni dello sgombero, l’unico vero e autentico motivo dell’insensata azione di forza di ieri mattina era la volontà di zittire e punire una delle più serie voci di opposizione e denuncia del malgoverno di Zucchetti.
Alla Fornace auguriamo lunga vita, all’ormai ex-Sindaco che debba rispondere dei suoi intrallazzi nelle sedi opportune e alla cittadinanza di Rho che con le elezioni anticipate torni ad amministrare il territorio una coalizione che guardi in basso e a sinistra e non semplicemente agli affari suoi e degli amici.
Comunicato stampa di Luciano Muhlbauer
Nella serata del 31 gennaio, il Consiglio Comunale di Sesto San Giovanni (MI) ha approvato alla quasi unanimità una mozione, presentata dalla Lega, che vieta nei luoghi pubblici il “burqa e altre forme simili di vestiario”, poiché “costituiscono, secondo la nostra cultura, una forma di integralismo oppressivo della figura femminile e di costrizione della libertà individuale”.
Un voto che rappresenta un’autentica bomba politica, visto che la cosiddetta ex-Stalingrado d’Italia è governata tuttora da una maggioranza di centrosinistra e da un Sindaco, Oldrini, che viene dal Pci e che da giovane passò sette anni a Cuba come corrispondente dell’Unità.
In fondo, nemmeno la Lega e il Pdl osavano sperare tanto e, infatti, ci hanno messo un giorno per reagire ed esultare. Un regalo inaspettato e gradito, insomma, visto che i difensori estremi del diritto berlusconiano ai bunga bunga e della riduzione della donna a velina hanno potuto vestire all’improvviso le vesti dei difensori della dignità della donna.
E un autogol clamoroso degli strateghi del centrosinistra sestese, visto che hanno consentito a Salvini e De Corato di rilanciare immediatamente l’idea a Milano, in piena campagna elettorale e in pieno caos Pgt ed emergenza smog.
Ma questo incredibile assist tattico alla destra milanese, in fondo, altro non è che il figlio legittimo di un dato ben più grave, cioè dello smarrimento culturale e della subalternità da parte di settori significativi del centrosinistra su alcuni temi non certo marginali del dibattito pubblico, come quello dell’immigrazione e del rapporto con l’Islam. Uno smarrimento reso ancora più pesante dal contestuale mutismo sui sconvolgimenti in atto dall’altra parte del Mediterraneo, che sta spazzando via dittatori corrotti, fino a ieri amici dell’Europa.
Che senso ha dichiarare guerra a burqa, niqab e altro alle porte di Milano? Si pensa davvero che così si possano difendere i diritti e le libertà delle donne e contrastare le correnti integraliste nelle comunità islamiche? Non è piuttosto vero che così si rischia di contribuire all’emarginazione e all’invisibilità delle donne che oggi portano il velo integrale, come ha giustamente ricordato ieri anche Pisapia, e che si fa un regalo alle tesi jihadiste, allo stato ampiamente minoritarie nelle comunità islamiche milanesi?
E che senso ha assecondare le pulsioni leghiste in tema di attribuzioni di poteri in materia di sicurezza e ordine pubblico ai Sindaci o di sovvertimento strisciante del principio costituzionale della libertà religiosa e di culto?
Insomma, quanto accaduto lunedì sera a Sesto ha poco o nulla a che vedere con la difesa della dignità delle donne e molto invece con il clima da campagna elettorale e con quella merce pregiata che rappresenta la paura e l’islamofobia.
Luciano Muhlbauer
cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il testo originale della mozione approvata dal Consiglio comunale di Sesto San Giovanni
Non mi candido a consigliere alle elezioni amministrative di Milano. So che molti compagni e compagne, amici e amiche, elettori ed elettrici davano quasi per scontata la mia candidatura, come se si trattasse di una sorta di secondo tempo dopo le regionali dell’anno scorso, e il gruppo dirigente di Rifondazione Comunista me l’ha anche proposta ufficialmente una settimana fa. Ma alla fine, dopo averci riflettuto parecchio e non senza travagli, perché consapevole delle implicazioni, ho scelto di non accettare la proposta. E con le righe che seguono voglio condividere con voi le ragioni della mia decisione, che sono di natura politica e che pertanto, penso, non riguardino soltanto il sottoscritto.
E premetto subito, per sgomberare il campo da ogni possibile malinteso, che questa scelta non comporta in alcun modo un mio ritiro dall’attività sociale e politica che, anzi, continua come prima, a partire dall’impegno a favore di Giuliano Pisapia e per mandare a casa Moratti, De Corato & Co.
Un anno fa, dopo il risultato negativo delle regionali, nel ringraziare gli elettori, scrissi queste parole: “la certezza è che a sinistra così non si può andare avanti, che occorre una scossa, un fatto nuovo, aria fresca, capacità unitaria e un atto di liberazione dall’autoreferenzialità degli apparati”. Ho cercato di essere fedele alle mie valutazioni, oggi più valide che mai, e nei mesi successivi avevo tentato, per quello che una persona poteva, di lavorare in quella direzione, compresa la costruzione di un’unica lista della sinistra alle elezioni comunali di Milano.
Beninteso, non credo e non ho mai creduto che l’immane compito del rifare la sinistra, perché di questo si tratta, fosse una questione di liste elettorali, ma essendo oggi e qui le elezioni comunali l’evento politico più rilevante in ordine di tempo, specie in considerazione del fatto che il dominio della destra in città copre ormai il tempo di un’intera generazione, ritenevo necessario che qualche fatto nuovo si materializzasse proprio in quella occasione.
Ed erano pure emersi degli elementi che, in teoria, avrebbero dovuto, o potuto, favorire una prospettiva del genere. Non solo c’era finalmente un candidato sindaco che a sinistra non provocava i crampi allo stomaco, per usare un eufemismo, e al quale sarebbe stato estremamente utile avere una lista di sinistra unica ed aperta, ma soprattutto l’arido campo della politica era stato innaffiato da uno straordinario fermento sociale. La resistenza, la dignità e la voglia di futuro di operai, studenti, ricercatori, precari e migranti, anzitutto, era ed è un’occasione per ricominciare con il piede giusto.
Tutti elementi e fatti che spingevano nella direzione auspicata, mentre i movimenti rimettevano al centro i soggetti sociali e le questioni che contano davvero, a partire dal lavoro e dal reddito, provocando una valanga di balbettii tra gli alchimisti della sinistra di palazzo.
Eppure, tutto questo non è stato sufficiente per smuovere le cose a Milano. Il gruppo dirigente locale di Sel ha preferito barricarsi nel proprio orto e crogiolarsi al calore dei sondaggi d’opinione e il Prc/FdS, benché impegnato seriamente sul terreno unitario, ha pagato il prezzo della sua crisi e dell’immobilismo nazionale. Altri soggetti organizzati della sinistra milanese si erano a priori sottratti alla discussione.
Ma soprattutto è mancata un’altra cosa, considerato che era estremamente arduo immaginarsi che i gruppi dirigenti della sinistra potessero produrre un fatto nuovo se lasciati da soli. Cioè, è mancata una presa di parola e di iniziativa da parte della cosiddetta società civile, dall’associazionismo ai movimenti.
O meglio, le parole ci sono state e pure qualche iniziativa, ma si è palesata anche la drammatica incapacità di tradurre la grande e spesso sottovalutata ricchezza, in termini di partecipazione ed attività sociale, culturale e territoriale, in pressione politica sufficiente a condizionare finanche i deboli gruppi dirigenti della sinistra milanese. Insomma, è un po’ l’altra faccia della medaglia di una Fiom costretta, invece, a fare sul piano nazionale supplenza a una sinistra politica che ancora non c’è.
Tutte queste considerazioni non sono, ovviamente, degli atti d’accusa, ma piuttosto delle prese d’atto. Cioè, degli appunti da cui ripartire ed utili per ridisegnare i percorsi.
Per quanto mi riguarda, ho quindi scelto di non candidarmi alle comunali di Milano, perché penso che la questione non sia cercare un taxi che ti porti a una poltrona, bensì trovare un percorso che dia senso e prospettiva a quello che fai tu e che fanno quelli e quelle con i quali hai condiviso e condividi lotte, dolori, gioie e speranze.
Oggi non so come saranno quei percorsi, ma so che dovremo ridisegnarli insieme, facendo tesoro dell’esperienza, mai perdendo di vista le condizioni e i sogni che si vogliono portare e rappresentare nella sfera politica e mai cedendo alla tentazione di rinchiudersi nei fortini, magari pure fatiscenti.
E so un’altra cosa, da fare subito, in questi mesi: cioè, fare il possibile perché a maggio Giuliano Pisapia possa indicare la porta d’uscita alla Moratti e a De Corato.
Luciano Muhlbauer
Siamo di nuovo alla Baggina, a quel Pio Albergo Trivulzio da dove era partito nel 1992 il terremoto di Tangentopoli. Ora si chiama Affittopoli e, ironia della sorte, è esplosa proprio nei giorni in cui Berlusconi ha annunciato al mondo che intende reintrodurre quell’immunità parlamentare che fu eliminata all’indomani di Tangentopoli.
Coincidenze simboliche che la dicono lunga sul quasi ventennio che ci separa dai giorni che spazzarono via il sistema politico del dopoguerra. Insomma, tutto è cambiato, ma non troppo. Anzi, la logica privatistica con la quale si affronta il governo della cosa pubblica è diventata, semmai, ancora più spudorata. Insomma, o privatizzo o ci metto su le mani direttamente, oppure faccio tutte e due le cose insieme. Certo, non è ancora l’arraffare dei Ben Ali, però…
Questione morale? Sì, certamente, perché è immorale, nel senso più proprio della parola, che quelli che pubblicamente si vantano di sgomberare dalle case popolari qualche famiglia squattrinata e priva di protezioni (perché quelli del racket meglio non toccarli) e che hanno deriso gli inquilini delle case popolari quando protestavano per l’aumento generalizzato degli affitti, siano gli stessi che hanno protetto ed favorito il sistema di concessione di case di proprietà pubblica, in affitto o in proprietà, a prezzi agevolati e a persone nemmeno bisognose.
Ebbene sì, perché il punto è questo: i vertici degli enti pubblici che gestiscono i patrimoni immobiliari vengono nominati dalle istituzioni, che hanno anche l’obbligo di esercitare la funzione di controllo. Nel caso del Pio Alberto Trivulzio il Comune e la Regione, ambedue governati dalla destra, Lega compresa, da tempo immemorabile.
Quello che sta emergendo con Affittopoli e con tutto quello che seguirà (oggi è il turno degli elenchi del Policlinico ed è già saltato fuori il nome del corrotto ex-assessore regionale Prosperini…) non è che l’ennesima dimostrazione, nel caso ce ne fosse ancora bisogno, che la fuoriuscita dal prolungato dominio della destra è una questione urgente ed improcrastinabile. E, che sia chiaro, non si esce cambiando soltanto il nome di chi amministra la città, bensì anche e soprattutto quel putrefatto sistema di potere che avvantaggia soltanto furbetti e speculatori.
Per questo stupiscono e colpiscono ancora di più le strane priorità individuate da alcuni pezzi del principale partito dell’opposizione, cioè il Pd, che in questi giorni si esercitano al tiro al segno contro il candidato sindaco del centrosinistra, Giuliano Pisapia.
Ma che c’entra Pisapia con Affittopoli? Nulla, lui non c’entra proprio nulla. Non ha mai abitato in una casa di proprietà del Pat o di un altro ente pubblico, né ha mai fatto l’intermediario perché qualcuno ci andasse a vivere. E, infatti, nessuno lo accusa di questo.
Ma, la sua colpa consisterebbe nel fatto che la sua attuale compagna, Cinzia Sasso, giornalista di La Repubblica, è intestataria di un contratto d’affitto, scaduto nel 2008 e non rinnovato, di un appartamento di proprietà del Pat. Lei ci era entrata nel 1990 con il suo allora marito. Più tardi, dopo la separazione, è subentrata come intestataria del contratto (maggiori dettagli sul sito di Pisapia).
Beninteso, queste cose andavano giustamente spiegate pubblicamente, come peraltro la stessa Cinzia Sasso aveva fatto da subito. E chissà, forse ha pure ragione chi ha sostenuto che all’inizio ci fosse un po’ di sottovalutazione rispetto alle implicazioni politiche della vicenda. Infine, non ci stupisce nemmeno che da destra abbiano approfittato alla grande della circostanza, che gli deve essere apparsa come la manna da cielo, viste le responsabilità politiche ed amministrative immani di Pdl e Lega e la prospettiva concreta di perdere le elezioni.
Ma quello che proprio non riusciamo a comprendere è l’ostinazione del fuoco amico. Anzi, consultando i giornali di oggi, a partire da Corsera e Repubblica, sembra quasi che sia diventato il principale dei fuochi.
Orbene, conosciamo tutti il taffazzismo che a volte alberga dalle nostre parti –e che rappresenta uno dei nostri problemi-, ma sparare sul proprio candidato Sindaco proprio quando l’avversario è in difficoltà, chiedere ancora e ancora “chiarimenti” già ampiamente forniti e gonfiare oltremisura un fatto in realtà piuttosto irrilevante, è irresponsabile e miope.
Sappiamo bene che nel principale partito dell’opposizione c’è chi non ha ancora accettato l’esito delle primarie, sebbene, pensiamo, si tratti di una piccolo minoranza, e che forse si illude ancora che i giochi di palazzo portino da qualche parte, ma è bene che tutti quanti ci diciamo in faccia la verità che tutti conosciamo: l’unica alternativa a Giuliano Pisapia si chiama Letizia Moratti.
Così stanno le cose e l’auspicio è, pertanto, che cessi immediatamente il fuoco amico e che ci si concentri a costruire l’alternativa alla destra a Milano.
Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale online Paneacqua il 3 marzo 2011
Torna lo spettro dell’intervento umanitario con l’elmetto. Lo evocano quelle potenze occidentali che fino a ieri hanno sostenuto, protetto e coccolato i dittatori e i monarchi assoluti nel Maghreb e nel Medio Oriente. E laddove ciò è ancora possibile, si continua a farlo.
Un sostegno motivato dal business, dalla politica di contrasto dei flussi migratori e dalla lotta al terrorismo di matrice islamica. Del primo si parla relativamente poco, ma in cambio pesa parecchio. Nel nome degli altri due si giustifica un po’ di tutto, anche l’ingiustificabile e l’infame.
Affari a parte, la tesi di fondo suona più o meno così: per poter difendere la nostra democrazia, la nostra libertà e i nostri diritti umani bisogna sostenere regimi che negano la democrazia, la libertà e i diritti umani, poiché gli arabi e gli islamici sono geneticamente incapaci di comprendere questi concetti.
È la solita vecchia storia, si dirà. Certo che è così, ma c’è di più questa volta, perché il colonialismo e l’imperialismo storici avevano pur sempre una visione, mentre l’Occidente di oggi, in particolare l’Europa, sembra non vedere più oltre il proprio naso.
Com’è possibile che a Washington e nelle capitali europee nessun governo abbia previsto o annusato quanto stava per avvenire? Che persino, a rivolta già iniziata, il Ministro degli esteri di un’importante ex potenza coloniale del Nord Africa, cioè la Francia, abbia prima trascorso le sue vacanze in Tunisia, ospite degli uomini di Ben Ali, e poi addirittura offerto la cooperazione della Francia per reprimere le manifestazioni di piazza?
Insomma, le classi dirigenti degli Usa e dell’Europa sono stati colti di sorpresa. E quello che è peggio, anche chi dovrebbe e vorrebbe incarnare delle alternative, cioè la sinistra, è stato colto di sorpresa.
Da tutto questo deriva un giudizio impietoso sull’Europa e le molte tesi sul declino del vecchio continente ne escono senz’altro rafforzate. Ma non è di questo che vogliamo parlare in questa sede. Qui ci interessa ragionare su di noi, sulla sinistra politica e sui movimenti, su quello che oggi dovremmo fare di fronte agli avvenimenti.
Anzitutto, c’è una cosa che non dovremmo fare, cioè aggrapparci alle voglie interventiste di Usa e Nato per nobilitare l’ignobile, per riesumare la stantia e deleteria tesi del nemico del mio nemico è mio amico. Ghedaffi non è un campione dell’antimperialismo e dell’autodeterminazione dei popoli. Chissà, forse un tempo lontano ci assomigliava, ma oggi non è che un tiranno, abbagliato dal suo potere e dalle sue ricchezze e persino disponibile a fare da aguzzino di migranti e profughi per conto di Berlusconi e della Lega.
No, non si può essere ambigui, tra Ghedaffi e chi si ribella al suo regime bisogna stare con i secondi. A Tripoli e a Bengasi, esattamente come a Tunisi, il Cairo, Algeri, Sanaa o Teheran, noi stiamo con chi insorge.
I potenti del mondo non solo non hanno previsto la rivolta, ma nemmeno i suoi contorni e i suoi protagonisti. Certo, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio: la Libia non è la Tunisia o l’Egitto, l’Algeria è cosa diversa dallo Yemen, per non parlare dei paesi del Golfo o dell’Iran, che è un discorso a parte. Tuttavia, bisogna mettersi le fette di salame sugli occhi per non vedere che c’è qualcosa che accomuna i rivoltosi al di là dei confini e delle specificità. I protagonisti sono soprattutto giovani e scolarizzati, usano internet, ma non trovano un posto nel presente e non vedono un futuro. Sono schiacciati dagli effetti della crisi globale e da regimi corrotti e sclerotizzati. Non sono fondamentalisti religiosi, non chiedono la sharia, bensì democrazia e libertà di parola, lavoro e un futuro.
Quei giovani, in fondo, assomigliano molto di più ai loro coetanei europei che nell’autunno scorso inondarono le strade di Roma e Londra, che non ai miliziani della jihad, che i propagandisti nostrani dello scontro di civiltà vorrebbero vendere come l’unica espressione politica di cui sono capaci le società a prevalenza islamica.
Beninteso, non sappiamo se quelle rivolte si tramuteranno in rivoluzioni compiute, in un “1848 arabo”, come sostiene Tariq Ali. Né sappiamo se sia giustificato l’ottimismo sfrenato di Hardt e Negri, che intravedono per il mondo arabo un ruolo da laboratorio politico paragonabile a quello svolto dall’America Latina nel decennio scorso. E non dobbiamo nemmeno sottovalutare la potenza delle forze normalizzatrici, peraltro già all’opera, come gli eserciti, le strutture politiche e sociali conservatrici e le stesse ingerenze occidentali.
Eppure, saremmo dei folli a non capire che nulla sarà più come prima e che si sta affacciando una nuova generazione non riducibile alla falsa alternativa tra dittatura filo-occidentale ed islamismo militante. D’altronde, andrebbe sempre ricordato che tra le prime vittime del predominio di queste false alternative, di questa vera e proprio tenaglia troviamo anche le aspirazioni e i diritti del popolo palestinese.
La rivolta dei giovani maghrebini e arabi è una boccata d’ossigeno e una possibilità. E quando si presenta una possibilità del genere, quando in campo ci sono dei movimenti reali, allora non bisogna ritirarsi nelle sale riunioni a disquisire su quanto sono potenti i nemici e su quanto sono fragili, disorganizzate e incerte quelle insorgenze, ma occorre uscire di casa ed agire.
Anzitutto, schierandosi senza esitazione con le rivolte, con i ragazzi e le ragazze che si battono per il loro futuro. In secondo luogo, costruendo dialogo, solidarietà e cooperazione tra la sinistra e i movimenti nostri e quelli maghrebini e arabi. In terzo luogo, opponendosi a tutti i tentativi di normalizzare, ingabbiare e invertire i processi in atto, a partire da ogni ipotesi di intervento militare Usa o Nato. Infine, promuovendo l’accoglienza dei profughi e contrastando la criminalizzazione berlusconiano-leghista dei migranti maghrebini.
L’esito del nostro schieramento è garantito? No, tutt’altro. Ma è l’unica cosa giusta da fare per una sinistra che vuole guardare al futuro e, così facendo, magari ci ricordiamo anche come si fa a cambiare le cose a casa nostra.
Ce la possiamo giocare! Dopo 18 anni di governo ininterrotto della città, per prima volta la destra mostra segni di preoccupazione e, sondaggio dopo sondaggio, arriva la conferma che Giuliano Pisapia è in partita e che lady Letizia non riesce a prendere il volo, nonostante i tanti milioni di euro gettati nella campagna elettorale.
Certo, la Moratti e la sua coalizione berlusconian-postfascista-leghista sono ancora avanti, ma allo stato la prospettiva più probabile è che si vada a quel ballottaggio, che la destra teme come la peste.
Tutto bene quindi? Ma neanche per sogno, perché non basta stare alle calcagna dell’avversario, bisogna invece superarlo, e poi, considerato lo schifo dilagante, anche l’astensionismo e il voto di protesta sono dati in crescita. Anzi, si ha nettamente l’impressione che a destra stiano lavorando proprio per far aumentare l’astensionismo, cioè per allontanare i milanesi e le milanesi dalle urne per mezzo del ritornello del tutti colpevoli, quindi nessuno colpevole, che finisce poi per assolvere esattamente chi da un ventennio fa il bello (poco) e il cattivo (tanto) tempo in città.
Ce la possiamo giocare, ma per vincere e portare la primavera a Milano occorre che tra due mesi quelli e quelle che non ne possono più di Moratti, De Corato e leghisti rampanti partecipino, che vadano a votare e che non si facciano spingere nell’astensionismo.
Di tutto questo ero convinto da tempo, ma ora lo sono sempre di più. Anche per questo avevo già dichiarato, quando avevo motivato la mia decisione di non candidarmi a consigliere comunale, che avrei fatto tutto il possibile per sostenere l’elezione di Giuliano Pisapia.
Ieri Giuliano mi ha scritto, proponendomi formalmente di collaborare con lui e la sua campagna elettorale, in particolare per quanto riguarda le relazioni con i movimenti e l’associazionismo, cioè con quella ampia parte di Milano che questa amministrazione, in primis il suo Vicesindaco, considera un nemico da eliminare manu militari, come ha dimostrato, peraltro, ancora una volta nei giorni scorsi con la chiusura del circolo Arci La Casa 139.
Ecco la lettera di Pisapia:
Caro Luciano,
come ti ho già detto a voce, ho molto apprezzato e mi ha fatto particolarmente piacere, la tua decisione di continuare a impegnarti per la mia elezione a sindaco, dopo la tua decisione di non candidarti alle prossime elezioni comunali.
Considero la tua figura e il tuo impegno a Milano decisivi per battere il centrodestra e ridare alla nostra città una dimensione aperta, partecipativa, democratica.
Ti propongo quindi di collaborare con me e di dare il tuo contributo, nel quadro della mia campagna elettorale, nei rapporti e nelle iniziative con quelle realtà e quelle esperienze di movimenti sociali e associativi che rappresentano un patrimonio importante di partecipazione, proposte e innovazioni di questa città.
Un abbraccio
Giuliano
Ebbene, attraverso queste righe rispondo dunque a Giuliano che accetto con piacere e convinzione la sua proposta. Ce la possiamo giocare!
Luciano Muhlbauer
Articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato sul giornale online Paneacqua il 15 marzo 2011
Il Sindaco Moratti e il suo vice, l’ex-capo missino De Corato, non smettono di stupire. Infatti, proprio quando la campagna elettorale inizia ad entrare nel vivo, ne hanno inventata un’altra: è temporaneamente sospeso il diritto dei cittadini milanesi di manifestare davanti alla sede del Comune, cioè in piazza della Scala.
Persino i Re di Francia ammettevano che i sudditi potessero presentargli le loro lamentale (doléances), ma il democratico potere municipale della moderna Milano non può tollerare che i cittadini si riuniscano davanti a Palazzo Marino? Ci sarebbe da ridere, se non fosse roba seria.
Beninteso, non ci sorprende l’avversione del vicesindaco per la libertà di espressione, specie di quelli e di quelle che non la pensano come lui, bensì che egli abbia trovato complicità nelle istituzioni preposte alla tutela dell’ordine pubblico e delle libertà costituzionali.
In realtà, le avvisaglie c’erano tutte, perché da un po’ di tempo in Questura stavano diventando estremamente rigidi di fronte a comunicazioni di presidi o manifestazioni in piazza della Scala, ma il salto di qualità era arrivato settimana scorsa, quando all’Arci di Milano era stata negata piazza della Scala. Non c’era niente da fare e l’Arci ha dovuto spostare la sua iniziativa, prevista per sabato prossimo, in piazza Fontana.
Per capire ancora meglio di cosa stiamo parlando, occorre ricordare che la protesta dell’Arci è rivolta espressamente contro alcuni atti dell’amministrazione comunale, considerato che all’inizio del mese la Polizia Locale, che riceve gli input direttamente dal vicesindaco con delega alla sicurezza, ha chiuso l’ennesimo circolo Arci, La Casa 139.
Insomma, siamo di fronte a un divieto che nulla c’entra con l’ordine pubblico, ma molto invece con la politica. E, come se non bastasse, ieri pomeriggio è arrivato pure un lancio di agenzia dell’Ansa che ha annunciato quello che tutti intuivano: “a Piazza della Scala non si può più manifestare: a quanto si è appreso la questura, la prefettura e l’amministrazione avrebbero stretto un’intesa per evitare assembramenti nella famosa piazza di fronte all’amministrazione comunale”.
L’Ansa non ha citato la fonte, ma si sa, quell’agenzia difficilmente lancia un sasso se prima non ha fatto le sue verifiche. Ma a questo punto c’era un problema, visto che l’ancién regime non c’è più e vietare ai cittadini una piazza pubblica per non infastidire Moratti e De Corato è palesemente illegale e incostituzionale. E così, passate alcune ore, è arrivato il comunicato stampa della Questura che diceva che non c’è alcun divieto di manifestare in piazza della Scala, che “non esiste alcun accordo preventivo tra le istituzioni citate” e che il Questore valuta caso per caso “in relazione ad eventuali, possibili problematiche che possano influire, in generale, sull’ordine e sulla sicurezza pubblica”.
Tutto bene, quindi? Per niente, visto che gli altri protagonisti della vicenda sono rimasti in assordante silenzio. Neanche mezza smentita, ovviamente, da De Corato e Moratti, ma soprattutto non ha smentito il Prefetto, che è pur sempre la massima autorità sul territorio in materia di ordine pubblico. Inoltre, rimane la questione dell’iniziativa dell’Arci in programma per sabato prossimo, per la quale piazza della Scala risulta tuttora off-limits.
Insomma, azzardiamo un’ipotesi. L’accordo l’hanno fatto davvero, soprattutto tra l’amministrazione comunale e il Prefetto Lombardi, il quale si è sempre contraddistinto per la sua sensibilità verso le sollecitazioni politiche provenienti dal centrodestra, tant’è vero che aveva persino ricevuto nel suo ufficio Marysthell Polanco, una delle papi-girls bisognosa di un aiutino. La Questura, da parte sua, non fosse altro perché vi era consapevolezza dell’illegalità di accordi del genere, ha cercato di prendere le distanze una volta che la cosa era finita sulla pubblica piazza.
Tuttavia, a parte i comunicati stampa, tutto è rimasto esattamente come prima, a partire dal divieto per l’Arci di poter manifestare davanti al Comune. Ecco perché riteniamo che debba essere fatta chiarezza in tempi stretti. Cioè, il Questore ritiene davvero che l’Arci sia un problema per l’ordine e la sicurezza pubblica? Se non lo pensa, allora deve revocare immediatamente ogni divieto.
Comunque sia, noi pensiamo che divieti di questa natura siano estremamente preoccupanti ed estranei alla legalità costituzionale e che sia, pertanto, un dovere civico non accettarli e non legittimarli e, se necessario, disobbedire ad essi.
Mancano due settimane al voto, quasi tutti i sondaggi danno la Moratti sotto il 50%, la Lega litiga con il Pdl e dentro il Pdl tutti litigano con tutti. In altre parole, dopo quasi 20 anni di governo ininterrotto le destre potrebbero perdere Milano e questo sarebbe un botto il cui eco arriverebbe indubbiamente fino a Palazzo Chigi.
Per questo Berlusconi, le sue truppe cittadine e i numerosissimi clan ex-post-neo fascisti che popolano il Pdl e la sua periferia sono seriamente preoccupati e, soprattutto, sono incattiviti, disposti a tutto pur di salvare il loro potere e i loro interessi.
Questa è la premessa necessaria per leggere l’alzarsi della tensione in città e finanche per comprendere meglio fatti come quelli di ieri, cioè l’incredibile storia della corona per Gaetano Amoroso, giovane di sinistra ammazzato dai neofascisti a Milano nel 1976, e l’aggressione di Forza Nuova a un’assemblea antifascista in serata.
Per farla breve, la vicenda era iniziata con il divieto del Questore della posa dei fiori alla lapide di Amoroso, scattato soltanto perché la consigliera provinciale del Pdl, Roberta Capotosti (ex-Msi), la considerava provocatoria nel giorno nell’anniversario dell’omicidio Ramelli. Cioè, tanto per capirci, il Questore ha ritenuto normale accogliere la richiesta di un’ex dirigente del Msi, alla quale dava fastidio la posa di una corona in memoria di un giovane antifascista assassinato da un commando che era partito proprio dalla loca sede del Msi…
La cerimonia si era poi tenuta lo stesso, grazie a una mediazione e all’anticipo di un’ora, ma il bello, si fa per dire, sarebbe arrivato in serata, in occasione dell’assemblea pubblica in Sala Guicciardini, organizzata da Memoria Antifascista e alla quale partecipavano anche il segretario della Camera del Lavoro e il vicepresidente dell’Anpi di Milano. Infatti, davanti all’ingresso della sala si è materializzato all’improvviso un corteo di una quarantina di neonazisti di Forza Nuova, che brandivano le loro spranghe e minacciavano i presenti. La polizia, pure presente sugli angoli, non gli aveva fermati, perché “non li aveva visti”…
Insomma, troppe cose strane e una certezza: c’è interesse perché in città salga la tensione, che qualcuno reagisca alle provocazioni, che succeda il famoso incidente. E forse è un caso o forse no che proprio ieri, in contemporanea con i fatti milanesi di cui sopra, a Napoli una provocazione dei neofascisti di Casa Pound all’Università avesse portato all’accoltellamento di tre studenti di sinistra.
Ma quello di ieri non è un fatto isolato, poiché la strategia della provocazione e la ricerca dell’incidente salta fuori un po’ dappertutto. Vi ricordate il 25 aprile? Ebbene, in realtà non era successo assolutamente nulla, era il 25 aprile più tranquillo da molti anni, e l’unica notizia vera era che nonostante pasquetta fossero scesi in piazza 60mila persone e che Pisapia, candidato sindaco del centrosinistra, fosse stato accolto nel corteo da una marea di applausi. Ma il giorno dopo, eccoci le “notizie” più o meno immaginarie lanciate dagli organi di informazione: fischi, contestazioni, tensioni e un mezzo scontro tra polizia e centri sociali…
E poi, cambiando ancora scenario, che dire del 1° Maggio, con tutte le polemiche e il tentativo di vietare il centro alla MayDay, con la negazione di piazza Duomo a Cgil-Cisl-Uil e, last but not least, con la trovata dell’ancora assessore Terzi, che prima delibera l’apertura di negozi per domenica 1° maggio, costringendo persino la Cisl a dichiarare sciopero, e poi annuncia pure la sua partecipazione al corteo sindacale del 1° Maggio?
Insomma, queste ultime due settimane di campagna elettorale non saranno soltanto all’insegna della scesa in campo del capo, cioè Silvio Berlusconi, e degli attacchi personali contro Giuliano Pisapia (al quale, ricordo, sono stati distrutti negli ultimi giorni ben tre gazebo elettorali), ma anche dell’ossessiva ricerca della provocazione, dell’incidente, del fattaccio da esibire poi sulla pubblica piazza come prova della necessità di votare la destra che garantisce ordine e sicurezza. I mezzi saranno i più diversi, dagli sgomberi ai blitz, dalle presenze inopportune fino alle sviste del Questore.
E noi? Ebbene, noi dobbiamo essere consapevoli della situazione e della posta in gioco, che è Milano (e forse non soltanto). Quindi, occhi aperti e nervi saldi!
Luciano Muhlbauer
Musica con i DjSet di Vito War, Facchini, Jam, Cegna e Dottor Noise (from Punkreas), reading di Renato Sarti, Bebo Storti, Dijana Pavlovic e Stefano Massaron, interventi dei Comitati x Pispia, del Circolo Magnolia, della rete Milano l’è bela e di altr* e, ovviamente, di GIULIANO PISAPIA. Questo ed altro succederà martedì 3 maggio, dalle ore 18.30 alle 23.00, all’aperitivo in piazza Leonardo da Vinci, a Milano.
Insomma, un’occasione per stare insieme, per chiacchierare e, soprattutto, per discutere e ragionare con il candidato Sindaco, Giuliano Pisapia, sulla questione degli spazi nella Milano che c’è e in quella che (auspichiamo) verrà. Infatti, la Milano della destra, dei De Corato, dei leghisti e dei berluscones è anche la città delle aree dismesse e abbandonate, degli spazi vuoti, degli sgomberi, della chiusura di circoli e locali indipendenti, del fastidio istituzionale verso la musica e la cultura, dei giovani trattati come sorvegliati speciali, delle piazze recintate e dei coprifuochi.
E allora, si impone in maniera dirimente la domanda se possiamo immaginarci una Milano diversa, che magari cominci ad assomigliare un po’ ad altre metropoli europee, come Berlino, Parigi, Barcellona, Amsterdam o Londra. Una Milano che potrebbe esserci senza spendere tanti soldi, perché a Milano lo spazio c’è; quello che manca è una politica decente sugli spazi che li valorizzi, che stimoli il loro riuso, che li renda accessibili e fruibili.
E allora, ci vediamo martedì 3 maggio, dalle ore 18.30, in piazza Leonardo da Vinci.
In fondo, in allegato puoi scaricare il flyer dell’iniziativa, in formato pdf e jpg. Qui di seguito invece, il mio articolo sul 3 maggio, pubblicato sulla freepress eretica MilanoX di questa settimana:
IL CIELO SOPRA MILANO
articolo di Luciano Muhlbauer, pubblicato su MilanoX del 29 aprile
Una delle caratteristiche dei quasi vent’anni di governo del centrodestra a Milano è l’incessante opera di produzione di nemici da additare e di conflitti da cavalcare. Ormai la città è letteralmente disseminata di conflitti: italiani contro stranieri, giovani contro anziani, residenti contro movida e chi più ne ha più ne metta.
Certo, un modo ben strano di amministrare una città e di volerle bene, ma indubbiamente un metodo che si è dimostrato efficace per legittimare la propria permanenza a Palazzo Marino.
Per Milano, però, il risultato finale è un disastro. Una città sempre più grigia, inospitale e chiusa. La cultura, specie quella prodotta nei quartieri, nei circoli o negli spazi sociali, viene vissuta come un fastidio. I luoghi pubblici sono sempre più recintati e sottoposti a divieti, perché se tante persone si ritrovano in piazza lo si considera un problema. Per quanto riguarda le numerose aree dismesse di Milano, si preferisce consegnarle all’abbandono e al degrado, piuttosto che incentivare il loro riuso per finalità sociali o per attività produttive.
Tra le prime vittime di questa visione di città ci sono ovviamente i giovani, trattati come se fossero dei sorvegliati speciali. Altro che stimolare il protagonismo giovanile! Chi ha amministrato la città ha reso Milano una città ostile per i giovani. E come meravigliarsi, dunque, che l’età media a Milano città sia ormai di 45,1 anni, cioè superiore non solo alla media nazionale (42,8), ma anche a quella della stessa provincia (43,6).
Poi, nella nostra città c’è pure un aggravante, di non poco conto, rappresentato dalla presenza determinante nel governo cittadino della cultura politica di provenienza missina, peraltro intrisa di revanscismo, di cui il vice del sindaco, Riccardo De Corato, è il massimo, ma ahinoi non unico, esponente.
Fino a non troppi anni fa era assai diffusa la convinzione che quest’ultimo fosse un problema che riguardava i soli centri sociali, ai quali il vicesindaco riserva da lungo tempo un trattamento speciale. Ma le cose non stavano affatto così e, infatti, presto la destra cittadina iniziò a dedicare un’attenzione particolare anche ai circoli Arci. Vi ricordate la chiusura forzata del circolo La Scighera nel 2007? Ebbene, nel frattempo le cose sono notevolmente peggiorate e l’ultimo intervento mirato in ordine di tempo ha portato alla chiusura di La Casa 139.
Ma il problema va ben oltre, come aveva giustamente rilevato anche l’appello Liberiamo la Musica, firmato da uno schieramento molto ampio di circoli, artisti e locali all’inizio di marzo: “La Musica a Milano non è più di casa, soprattutto se indipendente, autorganizzata e di base. E non fa differenza se viene promossa da un circolo Arci, da un locale pubblico o da un centro sociale”.
Appunto, non fa differenza, poiché quello che è considerato insopportabile è che i milanesi e le milanesi prendano iniziative culturali, artistiche o sociali indipendenti, cioè fuori dagli spazi politicamente o commercialmente controllati. Infatti, al trattamento iper-severo riservato ad alcuni, corrisponde una tolleranza totale per altri. Vi ricordate la vicenda delle bustarelle e delle dimissioni del comandante della Polizia Locale? Ecco, ci fermiamo qui.
Ebbene, tutto questo per dire una cosa fondamentale e determinante: a Milano il problema non è la mancanza di spazi, ma la politica sugli spazi. Cioè, gli spazi ci sono, ma latita una politica che favorisca e stimoli il loro uso, a fini sociali, lavorativi, culturali, artistici o anche, semplicemente, per stare insieme.
E poi, uno spazio abbandonato, magari in attesa di qualche speculazione immobiliare, non è semplicemente uno spazio vuoto, bensì uno spazio sottratto alla città e un luogo di insicurezza. Anche per questo, vi dovrebbe essere un interesse pubblico affinché venga stimolato il riuso, temporaneo o permanente, delle aree dismesse e abbandonate.
Infine, le esperienze delle metropoli europee ci confermano che un’altra politica sugli spazi è possibile, che diversi approcci culturali possono convivere nello spazio urbano e che il conflitto frontale e permanente è una scelta dell’amministratore e non una legge della natura. Beninteso, anche nelle altre città europee non mancano i problemi, ma una cosa ottusa come qui non è facile trovarla.
Ebbene, se il problema è cambiare politica, allora un’occasione ce l’abbiamo. Il 15 e il 16 maggio si vota per le comunali e decidiamo se tenerci la Moratti, le destre e la loro politica oppure se finalmente si cambia, scegliendo Giuliano Pisapia come Sindaco.
E siccome, appunto, cambiare significa anche cambiare la politica sugli spazi e sulla cultura, c’è un’occasione per parlarne prima del voto, tra di noi e con Pisapia, all’aperitivo in piazza Leonardo da Vinci, martedì 3 maggio. A Milano c’è spazio!
clicca sull’icona qui sotto per scaricare il flyer in formato jpg o pdf
Mancano ormai pochi giorni al voto e la partita è ancora tutta aperta. È questa la vera notizia, perché è da tempo immemorabile che qui a Milano una cosa del genere non succedeva. Anzi, siamo talmente abituati a partire perdenti e a batterci al massimo per un posto sugli spalti, che ora fatichiamo a crederci e ne abbiamo quasi timore.
E così, non stupisce neanche che molti abbiano dato credito alle voci diffuse dal centrodestra che parlano di sondaggi confidenziali che attesterebbero un grande recupero della Moratti e una sua vittoria al primo turno. Ma non è vero niente, la Moratti non è affatto al 50% e quelle dicerie servono semplicemente a galvanizzare la propria truppa e a diffondere i dubbi dalle nostre parti.
Ovviamente, sia ben chiaro, nemmeno noi abbiamo già in tasca il ballottaggio! Tutto si deciderà in questi ultimi giorni, perché l’area dell’indecisione e dell’astensionismo è ancora molto ampia e alla fine sarà decisiva per determinare l’esito del primo turno.
A destra sono letteralmente terrorizzati dalla prospettiva del ballottaggio, perché sanno che al secondo turno tutto diventa possibile. Quindi hanno fatto, fanno e faranno qualsiasi cosa pur di portare a casa la vittoria al primo turno. Provocazioni, bugie, promesse senza ritegno e soldi a palate, tutto vale e di tutto dobbiamo aspettarci, compresa l’onnipresenza di Berlusconi, che non rispetterà né regole, né silenzi elettorali e cercherà di trasformare in un comizio anche i festeggiamenti per lo scudetto del Milan (compagni milanisti, inventatevi qualcosa!).
Per noi, invece, andare al ballottaggio è il primo obiettivo e la condicio sine qua non per poter mandare a casa la destra, Moratti, De Corato e Salvini. È un sogno? Sì, certo, un bellissimo sogno, peraltro. Ma è anche e soprattutto una possibilità concreta ed è la prima volta da quasi vent’anni che si presenta. In altre parole, saremmo dei folli e degli irresponsabili se non tentassimo di tutto per tradurre la possibilità in realtà!
Quindi, altro che farci deprimere dalla propaganda della destra o coltivare il nostro sconfittismo. Dobbiamo invece mobilitare tutte le nostre energie fino all’ultimo minuto utile, cioè fino alla chiusura delle urne, lunedì alle ore 15, e convincere chi ancora non è convinto, chi ha dei dubbi o chi vorrebbe rispondere con l’astensionismo allo spettacolo penoso della politica politicante. E se siete residenti fuori città, allora avrete sicuramente amici, conoscenti, colleghi e colleghe che stanno in città. Contattateli e parlateci.
Insomma, la storia di queste elezioni è ancora tutta da scrivere e una volta tanto siamo noi che possiamo scriverla. Dunque, che nessuno e nessuna si astenga! Per Giuliano Pisapia, per Milano e, soprattutto, per noi.
Luciano Muhlbauer
Istruzioni per il voto – siti consigliati per le info:
Cliccando sull’icona qui sotto puoi scaricare il facsimile della scheda che troverai al seggio domenica 15 (ore 8.00-22.00) e lunedì 16 maggio (7.00-15.00).
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